la dirigenza del Ministero degli affari esteri, in occasione di un'informativa alle organizzazioni sindacali del 2 aprile 2014, ha reso noto che l'amministrazione degli affari esteri non provvederà a ricollocare all'interno delle sedi riceventi alcuni dipendenti a contratto, attualmente in servizio presso le sedi in chiusura a causa di sanzioni disciplinari pregresse, dando così seguito ad un licenziamento de facto;
successivamente è stato ulteriormente comunicato che nel caso di ricollocamenti transnazionali a seguito di chiusura della sede di servizio, a tale personale verrà comunque imposto un contratto individuale di lavoro ai sensi della legge locale, a prescindere dalla tipologia di contratto posseduta dal medesimo al momento della chiusura della sede di servizio, annullandone, di fatto, la storia professionale e degradandone i diritti e le prerogative;
vale la pena sottolineare che la normativa di riferimento, che disciplina l'istituto della ricollocazione del personale a contratto, fa capo al decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, artt. 160 e 166, e successive modificazioni, nonché all'accordo successivo del 2001, art. 13: nello specifico l'art. 160 del decreto del Presidente della Repubblica dispone che "Nel caso di chiusura o soppressione di un ufficio all'estero, l'amministrazione si impegna, nei limiti consentiti dalle esigenze di servizio e dalle disponibilità di bilancio, a ricollocare entro tre mesi gli impiegati a contratto presso un altro ufficio all'estero (...). L'impiegato riassunto presso altro ufficio conserva, a tutti gli effetti, la precedente anzianità di servizio ed il precedente regime contrattuale";
la normativa pertanto non legittimerebbe quanto ventilato dall'amministrazione: infatti non prevede la modifica del regime contrattuale nel caso di ricollocazione del personale; a ciò si aggiunge il fatto che una procedura di siffatta natura, oltre a non essere consentita dalla normativa speciale, è in spregio al generale principio del divieto di reformatio in peius;
come l'interrogante ha avuto modo di sottolineare in un altro atto di sindacato ispettivo (4-02010), si rischia che il mancato ricollocamento di lavoratori che sono stati destinatari in passato di provvedimenti disciplinari legittimi il provvedimento del licenziamento di fatto, configurandosi come un'arbitraria ed illegittima applicazione delle normative;
la ventilata decisione amministrativa riguarderebbe solo ed esclusivamente i dipendenti a contratto che, al pari dei restanti, sono dipendenti della pubblica amministrazione; ciò creerebbe un grave precedente, legittimando un provvedimento discriminatorio, e introducendo di fatto il licenziamento in assenza di adeguati strumenti di contestazione formale previsti dalla normativa in vigore,
si chiede di sapere quali iniziative i Ministri in indirizzo intendano intraprendere al fine di intervenire fornendo adeguati chiarimenti in merito alle palesi incongruenze normative e procedimentali che stanno condizionando le scelte dell'amministrazione degli affari esteri in merito alla ricollocazione del personale a contratto.
Premesso che:
da notizie a mezzo stampa, si apprende che è in atto una sistematica violazione dei diritti umani da parte dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante e della Siria (cosiddetto Isis);
nei mesi trascorsi tra l'occupazione della Provincia siriana di Raqqa e quella irachena di Mosul, l'Isis (autoproclamatosi Stato islamico del Califfato mondiale) di Abu Bakr al-Baghdadi avrebbe perpetuato crimini di ogni genere sulla base di un "Codice di Condotta";
il documento che intende «riportare la società islamica alla sua purezza originale» prevede, tra l'altro, nei 16 punti in cui è articolato: la proibizione di ogni forma di politeismo; la pena di morte per l'apostasia dall'Islam; l'obbligo per gli ex poliziotti e militari del Governo iracheno di fare una pubblica dichiarazione di pentimento; il dovere per i mussulmani di osservare le preghiere alle ore comandate e il divieto di consumo di alcool e tabacco;
in particolare, la situazione per le donne sarebbe drammatica: secondo le indicazioni varate, esse «devono restare in casa, uscire solo se necessario, il loro ruolo è provvedere alla stabilità del focolare». Altre restrizioni sarebbero state imposte a sarti, parrucchieri, cliniche e negozi di abbigliamento, mentre all'Università di Mosul sarebbe stato disposto di mettere fine alla promiscuità tra i sessi all'interno dell'ateneo;
inoltre, sarebbe stata diffusa la notizia di un presunto decreto varato il 21 luglio 2014 ad Aleppo, nella regione di Azaz, a nord della metropoli siriana, che imporrebbe la brutale pratica dell'infibulazione a «tutte le donne dello Stato islamico». Il testo del decreto è presente su diversi siti web e, a parere dell'interrogante, sarebbe da accertare la sua autenticità, sulla base di date e fonti;
considerato che:
le notizie dei delitti commessi (decapitazioni, crocifissioni, lapidazioni e fustigazioni) stanno destando scalpore in campo internazionale, e a venire colpite sono state anche persone di fede cristiana;
in particolare, nella città di Mosul sarebbe in atto una vera e propria "pulizia etnica" contro i cristiani. Le case della città da loro abitate sarebbero state segnate da una «n» di colore rosso (da «nazaraniy», che vuol dire cristiano), in modo da essere individuati, e in caso di rifiuto di convertirsi all'islam o di pagare una tassa (jizya) di diverse centinaia di dollari per rimanere nelle proprie abitazioni, vi era per loro l'ordine di evacuazione;
i cristiani presenti nella città di Mosul sarebbero oltre 50.000 su una popolazione di 1,8 milioni e, secondo quanto riportato dalle cronache, già gran parte di loro sarebbe fuggita nei primi giorni di giugno;
tale situazione ha destato preoccupazione nei principali leader mondiali, a partire da Papa Francesco, che segue "con preoccupazione" la tragedia fino al segretario generale dell'ONU Ban Ki-Moon che ha affermato che l'esodo forzoso dei cristiani va considerato "un crimine contro l'umanità";
infine, anche il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako, insieme a tutti i vescovi caldei, siro-ortodossi, siro-cattolici e armeni del Nord dell'Iraq, in un documento dedicato ai gravi avvenimenti registrati nella Regione medio-orientale nelle ultime settimane, ha richiesto al Governo iracheno di garantire ai cristiani e alle altre minoranze del Paese la tutela necessaria, un sostegno economico agli sfollati e l'indennizzo delle perdite materiali subite a causa della loro forzata espulsione dalla città di Mosul, assicurando loro un alloggio e la continuità nell'erogazione dei servizi sociali e scolastici per le famiglie costrette per lungo tempo a rimanere lontane dalla loro abitazione,
si chiede di sapere:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti e, comprovatane le veridicità, quale sia la sua opinione in merito;
quali iniziative, a livello europeo ed internazionale, siano in atto o possano essere intraprese per assicurare il rispetto dei diritti civili e politici, economici, sociali e culturali nei territori siriani ed iracheni occupati dall'Isis, in modo da tutelare la popolazione locale, in particolare le donne e la minoranza cristiana del Paese, e far cessare immediatamente questa intollerabile violenza nei loro confronti.