AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE (3a)

MERCOLEDÌ 13 NOVEMBRE 2002
79a Seduta

Presidenza del Presidente
PROVERA


Intervengono, ai sensi dell'articolo 48 del Regolamento: in rappresentanza dell'Associazione delle Organizzazioni non-governative italiane il dottor Sergio Marelli, presidente; in rappresentanza dell'Associazione volontari per il servizio internazionale (AVSI) il dottor Alberto Piatti, amministratore delegato e l'onorevole Alberto Garocchio; in rappresentanza della Campagna per la riforma della Banca mondiale il dottor Antonio Tricarico, coordinatore; in rappresentanza della Campagna italiana per la cancellazione del debito ("Sdebitarsi") il dottor Gino Barsella, coordinatore; in rappresentanza della Fondazione giustizia e solidarietà il dottor Riccardo Moro, direttore.

La seduta inizia alle ore 14,40.


PROCEDURE INFORMATIVE

Seguito dell'indagine conoscitiva sul funzionamento delle istituzioni finanziarie internazionali: audizione di rappresentanti di Organizzazioni non-governative.

Il presidente PROVERA rivolge un cordiale benvenuto agli auditi, ringraziandoli per la pronta disponibilità.
Ricorda quindi che dell'odierna seduta è prevista la resocontazione stenografica.

Interviene quindi il dottor PIATTI, il quale rileva preliminarmente come i due terzi dell'aiuto pubblico allo sviluppo erogato dall'Italia transitino sul canale multilaterale. In proposito, sottolinea l'opportunità di una maggiore caratterizzazione sul piano politico di tale apporto secondo indirizzi idonei a raccogliere la tradizione del solidarismo italiano, che rappresenta un patrimonio politico-culturale di tutto il Paese al di là delle logiche di schieramento.
Per altro verso, osserva come sia opportuno promuovere un riequilibrio nel riparto dell'aiuto pubblico allo sviluppo erogato dall'Italia a favore del canale bilaterale.
Dopo aver sottolineato l'importanza dell'apporto delle Organizzazioni non-governative (ONG) ai programmi di sviluppo economico-sociale realizzati nei PVS, richiamando in particolare le iniziative dell'AVSI, egli rileva come le stesse ONG siano sistematicamente penalizzate dai gravi ritardi nei pagamenti da parte del Ministero degli affari esteri. Tale situazione potrebbe trovare in buona parte rimedio se si desse luogo all'applicazione delle disposizioni legislative che prevedono la possibilità di liquidare i crediti delle ONG in via provvisoria sulla base dei rendiconti non ancora approvati.
Un secondo ordine di problemi nel funzionamento delle ONG impegnate nel settore della cooperazione allo sviluppo è rappresentato dagli elevati oneri previdenziali e tributari sulle retribuzioni del personale volontario. Al riguardo, auspica una pronta approvazione del decreto attuativo adottato in materia nelle scorse settimane, tenendo conto che si tratta di personale che espleta mansioni altamente meritorie dal punto di vista sociale, spesso in condizioni di grande disagio, e il cui trattamento retributivo è largamente inferiore a quello spettante al personale che opera presso le sedi diplomatiche all'estero.
Sottolinea infine l'opportunità di un sollecito varo della nuova legge sulla cooperazione allo sviluppo, rilevando come sia ormai giunto il momento, superati i retaggi del passato, di reintrodurre una contabilità speciale.

Il dottor TRICARICO rileva preliminarmente come negli ultimi anni si sia assistito ad una profonda crisi degli indirizzi culturali e operativi tradizionalmente adottati dalla Banca mondiale e da Fondo monetario internazionale, in un contesto finanziario internazionale contrassegnato dal ripetersi di gravi crisi, dal Sud-Est Asiatico, al Messico, all'Argentina.
In tale situazione, si assiste all'affermarsi nell'Amministrazione statunitense della tendenza ad affrontare i problemi del sottosviluppo secondo un approccio bilaterale.
Si tratta di una linea velleitaria e pericolosa, ma la difesa del multilateralismo deve passare evidentemente attraverso una profonda revisione del modo di funzionare delle istituzioni finanziarie internazionali. In tale prospettiva, è auspicabile che il Parlamento italiano si adoperi, impartendo i necessari indirizzi al Governo, per un rilancio del processo di riforma dell'IFI. L'indagine conoscitiva promossa dalla 3a Commissione del Senato rappresenta un importante segnale della volontà politica di perseguire tale strada.
Dopo aver sottolineato l'opportunità di promuovere l'inserimento di una rappresentanza dell'Unione europea in seno agli organi della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, auspica che in futuro vi sia un raccordo sempre più stretto fra l'ECOSOC e il G24, che raggruppa i Paesi in via di sviluppo e i Paesi emergenti. In prospettiva, l'obiettivo a suo avviso dovrebbe essere quello di trasformare lo stesso ECOSOC in un Consiglio di sicurezza economico e sociale dotato di poteri paragonabili a quelli del Consiglio di sicurezza dell'ONU.
In conclusione, richiama l'imminente presentazione da parte del Fondo monetario internazionale di un progetto di Accordo sugli arbitrati per gli Stati che presentano situazioni di dissesto finanziario, che è destinato a rivoluzionare le attuali procedure, garantendo il coinvolgimento di tutti i creditori. In proposito, auspica che l'Italia si faccia promotrice dell'assunzione di una posizione comune da parte dell'Unione europea su tale importante riforma.

Il dottor BARSELLA rileva preliminarmente come l'esperienza applicativa della legge n. 209 del 2000, in materia di cancellazione del debito estero dei Paesi più poveri, sia stata nel complesso positiva. Tale legge rappresenta tuttora un punto di riferimento per il dibattito sulla riforma delle istituzioni finanziarie internazionali. Fra gli esempi più incoraggianti va richiamato quello del Mozambico, Stato nei confronti del quale è stata quest'anno disposta la cancellazione del cento per cento del debito verso l'Italia. Contestualmente il Governo del Mozambico ha assunto l'impegno ad adottare entro la fine dell'anno un programma di sviluppo e di lotta alla povertà per un importo pari al debito cancellato. La sfida è quella di definire meccanismi e garanzie tali da assicurare la trasparenza delle iniziative che dovranno essere assunte. Nel contempo, occorre prevedere il finanziamento di nuove iniziative di sostegno allo sviluppo, per evitare che gli impegni inerenti ai programmi economico-sociali assunti dai Governi beneficiari delle cancellazioni li sospingano nuovamente nella spirale del debito.
Come è noto, la percentuale dell'aiuto pubblico allo sviluppo in rapporto al PIL è da anni in Italia ben al di sotto degli impegni assunti in sede internazionale e comunitaria. In proposito, occorre adoperarsi una pronta ripresa dell'impegno italiano a favore dei PVS che postula tra l'altro la rinuncia al computo dell'importo delle cancellazioni ai fini del calcolo della quota di APS italiano rispetto al PIL.
Ulteriori elementi di preoccupazione derivano dalla previsione, alla stregua dell'articolo 42, comma 1, del disegno di legge finanziaria quale è stato appena approvato dalla Camera, di un meccanismo destinato, ove trovasse conferma, a paralizzare l'applicazione della legge n. 209 del 2000, condizionando le cancellazioni del debito alle esigenze della finanza pubblica.
In base a tale nuovo meccanismo, le operazioni di cancellazioni sarebbero sostanzialmente rimesse alla discrezionalità del Ministero dell'economia. Tutto ciò appare tanto più grave in quanto si tratta di disposizioni introdotte in modo estemporaneo all'interno della legge finanziaria, senza alcun coinvolgimento della società civile.
Preannuncia al riguardo l'invio ai parlamentari da parte della Associazione "Sdebitarsi" di una lettera nella quale si fa appello a riconsiderare l'opportunità delle disposizioni testé richiamate.

Il dottor MORO sottolinea preliminarmente l'opportunità di porre mano al più presto ad una riforma delle istituzioni finanziarie internazionali, il cui deficit di democrazia è tanto più grave in rapporto all'enorme ampliamento intervenuto nelle loro funzioni rispetto al momento in cui ne furono definiti gli assetti istituzionali. Rileva inoltre come sia indispensabile un maggior coordinamento fra le stesse istituzioni finanziarie internazionali, l'ECOSOC e l'Organizzazione mondiale del commercio. In vista di tale processo di riforma, appare essenziale una maggiore capacità di iniziativa da parte dei Parlamenti e dei Governi degli Stati membri, i quali troppo spesso tendono a delegare al management della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale la definizione degli indirizzi e delle prospettive di questi.

Il dottor MARELLI esprime innanzitutto l'auspicio che siano reperite maggiori risorse per la cooperazione allo sviluppo rispetto a quelle previste dal disegno di legge finanziaria nel testo approvato dalla Camera. Ulteriori interventi correttivi appaiono fortemente opportuni nel senso di incrementare i finanziamenti a favore delle ONG e di rendere meno penalizzante il prelievo fiscale sulle retribuzioni dei volontari; è auspicabile inoltre che siano rimossi i vincoli all'applicazione della legge n. 209 del 2000 in materia di cancellazione del debito.
Auspica poi il sollecito varo della nuova legge sulla cooperazione allo sviluppo, indispensabile per tener conto dei profondi mutamenti intervenuti in tale ambito rispetto a quando fu approvata la legge n. 49 del 1987.
Quanto alla riforma delle Istituzioni finanziarie internazionali, essa dovrebbe essere portata avanti in stretto coordinamento con la riforma dell'ONU. In particolare, appare auspicabile una trasformazione dell'Ecosoc in un Consiglio di sicurezza per le questioni economico-sociali, dotato di poteri analoghi a quelli dell'attuale Consiglio di sicurezza. In tale prospettiva, i meccanismi di voto ponderato previsti per le istituzioni dell'Unione europea possono rappresentare un utile punto di riferimento.

Il presidente PROVERA esprime innanzitutto apprezzamento per l'ampiezza e l'originalità dell'esposizione introduttiva degli auditi. Con riferimento poi ai rilievi espressi da alcuni di essi circa il carattere ormai obsoleto della legge n. 49 del 1987, fa presente che sarà prossimamente avviata la sua revisione, che si augura possa essere portata a compimento in tempi ragionevoli; in proposito, appare incoraggiante l'esistenza di ampie convergenze fra le forze politiche, tanto nei ranghi della maggioranza che dell'opposizione, sulle soluzioni normative da perseguire.
Domanda quindi se la persistenza di alti tassi di natalità nei PVS possa pregiudicare le possibilità di successo dei programmi di cooperazione.
Analoghi interrogativi formula con riferimento alla presenza in buona parte dei Paesi destinatari degli aiuti di condizionamenti negativi come la scarsa preparazione del management locale, il deficit democratico e gli alti livelli di corruzione.

Il senatore CORRADO si associa alle considerazioni testé prospettate dal presidente Provera circa la possibilità che una quota rilevante degli aiuti ai PVS continui ad essere assorbita da pratiche di corruttela.

Il senatore MARTONE rileva come, al fine di garantire una maggiore trasparenza nell'utilizzo degli aiuti da parte dei Paesi destinatari delle cancellazioni del debito estero, sia opportuno promuovere appropriati meccanismi auditing finanziario, anche con la partecipazione diretta di rappresentanze parlamentari. Analoghe procedure di auding parlamentare andrebbero a suo avviso previste nel contesto dei meccanismi di arbitrato internazionale che dovranno essere istituiti per i Paesi in stato di insolvenza.
In conclusione, rileva come il progressivo ampliamento del mandato delle istituzioni finanziarie internazionali, ivi compresa l'Organizzazione mondiale del commercio, rappresenti un fattore di distorsione al quale dovrà porsi al più presto rimedio.

Replica quindi ai senatori intervenuti nel dibattito il dottor MARELLI, il quale rileva preliminarmente come il migliore antidoto contro la diffusione della corruzione nei PVS sia rappresentato da una maggiore partecipazione della società civile alla definizione e all'attuazione dei programmi di sviluppo economico-sociale. Quanto al deficit di democrazia che sovente affligge i Paesi destinatari degli aiuti, esso rappresenta certamente un problema, ma occorre prendere atto che non si può decidere sullo sviluppo di un Paese prescindendo dalle sue autorità di Governo, ancorché queste siano poco o per nulla rappresentative.

Il dottor MORO, con riferimento al quesito rivoltogli dal presidente Provera circa la portata dei condizionamenti negativi che derivano nell'attuazione dei programmi a favore dei PVS dall'esistenza in essi di alti tassi di natalità, rileva come tali tassi siano verosimilmente destinati a ridursi con il crescere del tasso di sviluppo. Quanto al difetto di affidabilità che sovente si registra presso le autorità locali, il rimedio migliore è rappresentato da un maggior coinvolgimento della società civile, che si risolve in genere in un aumento della trasparenza ed una riduzione della portata dei fenomeni di corruttela.

Il PRESIDENTE ringrazia gli auditi per l'importante contributo assicurato ai lavori della Commissione e li congeda.

Il seguito dell'indagine conoscitiva è quindi rinviato.

La seduta termina alle ore 16,30.


>INDAGINE CONOSCITIVA

SUL FUNZIONAMENTO DELLE ISTITUZIONI

FINANZIARIE INTERNAZIONALI

3º Resoconto stenografico

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 13 novembre 2002

Presidenza del presidente PROVERA

INDICE

Audizione di rappresentanti di Organizzazioni non governative


PRESIDENTE Pag. 3, 25, 27 e passim

CORRADO (LP) 25, 28

MARTONE (Verdi-U) 26

* BARSELLA Pag. 14

MARELLI 22, 27

* MORO 17, 27, 28 e passim

PIATTI 3

TRICARICO 7

N.B.: L’asterisco indica che il testo del discorso è stato rivisto dall’oratore.

Sigle dei Gruppi parlamentari: Alleanza Nazionale: AN; Democratici di Sinistra-l’Ulivo: DS-U; Forza Italia: FI; Lega Padana: LP; Margherita-DL-l’Ulivo: Mar-DL-U; Per le Autonomie: Aut; Unione Democristiana e di Centro: UDC: CCD-CDU-DE; Verdi-l’Ulivo: Verdi-U; Misto: Misto; Misto-Comunisti italiani: Misto-Com; Misto-Lega per l’Autonomia lombarda: Misto-LAL; Misto-Libertà e giustizia per l’Ulivo: Misto-LGU; Misto-Movimento territorio lombardo: Misto-MTL; Misto-MSI-Fiamma Tricolore: Misto-MSI-Fiamma; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI; Misto-Partito repubblicano italiano: Misto-PRI; Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC; Misto-Socialisti democratici italiani-SDI: Misto-SDI; Misto Udeur-Popolari per l’Europa: Misto-Udeur-PE.


Intervengono, in rappresentanza dell’Associazione delle Organizzazioni non governative italiane il dottor Sergio Marelli, presidente; in rappresentanza dell’Associazione volontari per il servizio internazionale (AVSI) il dottor Alberto Piatti, amministratore delegato, e l’onorevole Alberto Garocchio; in rappresentanza della Campagna per la riforma della Banca mondiale il dottor Antonio Tricarico, coordinatore; in rappresentanza della Campagna italiana per la cancellazione del debito (“Sdebitarsi”) il dottor Gino Barsella, coordinatore; in rappresentanza della Fondazione giustizia e solidarietà il dottor Riccardo Moro, direttore.

I lavori hanno inizio alle ore 14,40.

PROCEDURE INFORMATIVE
Audizione di rappresentanti di Organizzazioni non governative

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito dell’indagine conoscitiva sul funzionamento delle istituzioni finanziarie internazionali.
Comunico che, ai sensi dell’articolo 33, comma 4, del Regolamento, è stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo e che la Presidenza del Senato ha già preventivamente fatto conoscere il proprio assenso. Se non ci sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
È in programma oggi l’audizione di rappresentanti di organizzazioni non governative.
Ringrazio gli ospiti per aver accolto il nostro invito e rivolgo loro un cordiale benvenuto. Vorrei ricordare ai colleghi che si tratta di rappresentanti di importanti associazioni, diverse per provenienza e competenza. Poiché l’argomento è di grande interesse ed il contributo che riceveremo sarà altrettanto importante, propongo di iniziare i nostri lavori lasciando subito la parola agli ospiti.

PIATTI. Signor Presidente, ringrazio lei e tutti i senatori componenti la Commissione affari esteri del Senato per l’invito rivoltoci.
Ho esaminato i numeri relativi al contributo concesso dall’Italia agli organismi multilaterali e ho constatato che nel tentativo di identificare, fra le diverse relazioni, quali siano le cifre reali si corre il rischio di perdersi o di annegare nelle carte.
Sintetizzo molto brevemente il pensiero dell’Associazione volontari per il servizio internazionale, che qui rappresento. Tutti sappiamo che i due terzi degli aiuti erogati dall’Italia transitano sul canale multilaterale e che la parte del leone è esercitata dal Ministero del tesoro. Qui si apre già, evidentemente, un problema. Se la politica è l’organizzazione della vita del consorzio civile, come sintesi o compromesso di idee per un bene comune, è necessario che questa sintesi e questo compromesso per il bene del popolo siano supportati da adeguati strumenti economici e finanziari. A volte sembra, però, che lo strumento economico-finanziario determini tout-court una politica quasi neutra.
Premetto che non sono assolutamente contrario al multilaterale; ritengo anzi rappresenti un essenziale contributo apportato dall’Italia alla fase di globalizzazione che sta attraversando il mondo. Tuttavia, allo stesso tempo, ritengo che il contributo multilaterale apportato dall’Italia sia attualmente troppo poco caratterizzato dalla cultura che il Paese Italia esprime. Per cultura del Paese Italia intendo quella tradizione solidaristica, cristiana, ma anche laica e socialista, che caratterizza fortemente la cultura di questo Paese e la sua conseguente organizzazione sociale, con magnifici esempi di realizzazioni all’estero impregnate di tale cultura.
Propongo con forza alla vostra riflessione la necessità urgentissima di caratterizzare con politiche adeguate gli interventi sul canale multilaterale. Non si può parlare, infatti, della partecipazione dell’Italia ai Fondi globali; bisogna parteciparvi con un’idea politica – e questo credo sia il vostro mestiere – e con adeguate rappresentanze perché l’idea politica sia con forza proposta in tali ambiti.
A proposito dei Fondi globali (apro una breve parentesi), ritengo la loro modalità di costituzione davvero molto strana perché, da quello che ho compreso, in realtà si tratta di fondi di diritto privato con funzionariato pubblico proveniente da organismi internazionali, che però non sembra avere alcun controllo e partecipazione di rappresentanze democratiche né dei Paesi istitutori dei Fondi, né delle popolazioni beneficiarie degli interventi. C’è perciò un deficit di rappresentanza democratica che, in qualche modo, andrebbe colmato.
Prendo spunto da questa considerazione per aggiungere che se le politiche sul multilaterale non saranno indirizzate, l’Italia rischia quello che io definisco un grave strabismo politico per cui, a fronte di un sempre crescente dibattito sul privato sociale, sulla sussidiarietà e sui corpi intermedi all’interno del Paese, con un peso così preponderante delle attività multilaterali in politica estera si rischierà di ottenere esattamente l’effetto contrario. Mi riferisco, per esempio, alle politiche di remissione del debito multilaterale e bilaterale per le quali vorrei portare il caso dell’Uganda, che conosco abbastanza bene.
Saprete certamente che l’Uganda ha ottenuto la remissione del debito attraverso le iniziative HIPC“1” e HIPC“2”, per cui si sono liberate risorse che saranno destinate alla sanità pubblica e all’istruzione primaria. Ebbene, riferendoci solo alla sanità pubblica, in Uganda il 50 per cento dei servizi sanitari di base sono erogati dal privato sociale o, più generalmente, dagli ospedali missionari, quelli cioè in cui vi è la presenza della chiesa cattolica, di quella anglicana e di due realtà musulmane. Se nella remissione del debito non si tiene conto di questa realtà, del fatto che il privato sociale rappresenta l’ossatura del sistema sanitario e non si favoriscono i soggetti del volontariato, ma si invita lo Stato a perpetuare se stesso, andando incontro a rischi di distrazione di fondi, mi permetto di dire in punta di matita, si rischia la paralisi del sistema sanitario locale con un grave danno per la popolazione.
Ripeto con forza che i finanziamenti da noi concessi al programma delle Nazioni Unite contro la droga, alla FAO, all’UNESCO e all’Organizzazione internazionale del lavoro, all’UNICEF, all’UNDP, all’Alto Commissariato per i rifugiati, al Programma alimentare mondiale, che rappresentano i principali beneficiari degli aiuti erogati dall’Italia al multilaterale (lasciando fuori le banche internazionali e le banche di investimento e di sviluppo) devono poter avere una caratterizzazione culturale patrimonio di tutto il Paese e non solo di una parte di esso.
Per quanto riguarda invece le attività delle banche di sviluppo, nella relazione del presidente della Banca mondiale James Wolfensohn, svolta il 26 settembre 2000 a Praga, forse non solo perché era imminente il nuovo millennio, passaggio che tutte le grandi organizzazioni hanno celebrato in modo particolare, mi sembra di aver colto un certo cambiamento del trend, con il riconoscimento dei macroscopici errori compiuti dalla Banca (è stato ammesso il fallimento di più del 50 per cento degli interventi strutturali) e con l’enfatizzazione della lotta alla povertà. Di fronte a queste affermazioni, a maggior ragione, è necessario che i contributi devoluti dal nostro Paese agli organismi di sviluppo siano in qualche modo influenzati dalla concezione solidaristica propria della cultura italiana.
A questo punto, però, è necessario che la richiamata collaborazione con la società civile e con le ONG non si esaurisca nel rappresentare quanto in molti casi sembra essere, cioè che le ONG e la società civile fanno il volto buono della Banca per arrivare alla popolazione.
Un esempio molto interessante è rappresentato da un trustfund italiano sul programma della Banca mondiale Cities alliance, in cui, per quanto riguarda Salvador de Bahia (un intervento che interessa una popolazione di 150.000 persone), ci è stato chiesto di intervenire riproducendo su scala più ampia una metodologia di miglioramento delle condizioni di vita in attività suburbane (i cosiddetti insediamenti informali). Ritengo che questo esempio rappresenti una modalità di reale partnership e non solo il volto buono della Banca, in cui sono compresi la popolazione locale (nei confronti della quale e con la quale stiamo intervenendo per progettare gli interventi), lo Stato locale (il governo di Bahia), la Banca mondiale e il Governo italiano. Vi risparmio la burocrazia necessaria per dialogare con la Banca e con i loro protocolli di acquisto e di contratti. Credo siamo riusciti ad aprire una breccia, essendo stati classificati come a basso rischio dalla loro società di auditing; abbiamo dimostrato di saper lavorare secondo i loro criteri e abbiamo insinuato la possibilità che se la Banca, nella persona del suo presidente, a Praga fa certe affermazioni, anche le strutture e le procedure della Banca si devono conseguentemente adeguare.
Circola una e-mail interna alla Banca in cui, per un analogo intervento in India sullo stesso programma Cities alliance, un funzionario di alto rango afferma testualmente che bisognerebbe implementare la “giurisprudenza AVSI” che stiamo sperimentando a Salvador de Bahia.
Certamente c’è bisogno di una grandissima spinta della politica italiana nei confronti di queste istituzioni. Credo sia nota a tutti la percentuale irrisoria del funzionariato italiano: nella Banca mondiale ci sono in tutto 4.406 unità e gli italiani sono 81. Cito solo questo dato per non aumentare il disagio che provo.
Passo velocemente in rassegna le attività che abbiamo in corso con il multilaterale. Con l’UNDP lavoriamo in Africa (in Ruanda e in Uganda), in America Latina (in Venezuela) e nell’Europa dell’Est (in Kosovo). Con l’UNICEF, invece, abbiamo lavorato e lavoriamo in Ruanda ed in Uganda (non elenco tutti i progetti), nell’Europa dell’Est (in Albania, in Kosovo e in Romania) e in Medio Oriente (abbiamo lavorato in Iraq nel 1994).
Per quanto riguarda lo stato consultivo generale del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, esso ci ha consentito di intervenire nelle conferenze internazionali, ma anche attraverso eventi paralleli o side event, come vengono definiti, nell’ambito delle diverse manifestazioni internazionali organizzate.
Con l’Agenzia Habitat, invece (caduta un po’ in disgrazia per una non chiarissima gestione del precedente segretario generale), abbiamo lavorato per molto tempo in Brasile; abbiamo partecipato con contributi e siamo stati selezionati tra le cento migliori best practices alla Conferenza di Habitat ad Istanbul nel 1996; inoltre abbiamo fatto una serie di pubblicazioni con loro.
Con l’Alto Commissariato dei rifugiati abbiamo lavorato tantissimo in Africa ed in particolare nei campi profughi per gli internal displaced (rifugiati interni) e i rifugiati sudanesi. Con la Banca mondiale abbiamo lavorato in Angola e, per quanto riguarda l’America Latina, in Colombia, in Brasile e in Messico. Con la FAO – come probabilmente riferiranno i rappresentanti delle altre ONG – allo stato dei fatti, pur essendo l’Italia un donatore prevalente, è difficilissimo lavorare.
Concludo ribadendo che non siamo contrari all’attività multilaterale; essa forse va riequilibrata in termini di cifre, ma sottolineo anche che la scelta di spendere i soldi italiani dell’aiuto pubblico allo sviluppo sul multilaterale, da un certo punto di vista, è obbligata, perché la capacità di spesa del Ministero degli affari esteri sul bilaterale ha un tetto massimo. Come forse i signori senatori sapranno, ci sono circa 1.200 rendiconti giacenti presso la ragioneria del Ministero degli affari esteri e, se la mia informazione non è del tutto sbagliata, dal mese di giugno scorso sono stati pagati pochissimi rendiconti. L’organizzazione che qui rappresento in questo momento ha un credito verso il Ministero degli affari esteri di 10 miliardi delle vecchie lire. C’è qualcosa che non funziona! Come è noto, la legge n. 426 del 1996 permette il pagamento dei rendiconti in via provvisoria, in attesa di verifica, entro 60 giorni; dei 10 miliardi di vecchie lire (circa 5 milioni di euro) che ho citato, la maggior parte è solvibile attraverso questo meccanismo. La situazione esistente mette in grandissima difficoltà non solo la nostra ONG. In questo momento ci sono cento persone “espatriate”, alle quali non possiamo certamente dire che abbiamo scherzato e che devono tornare a casa per due o tre mesi fintanto che non riusciremo a risolvere la questione.
Prima di proporvi l’ultimo punto di riflessione, vorrei sottolineare che, dei circa 30 miliardi che gestiamo in un anno, il tasso di autofinanziamento è oscillato negli ultimi quattro anni tra il 45 e il 50 per cento e il peso del Ministero degli affari esteri sul totale gestito è pari al 18,6 per cento.
Da ultimo mi collego alla presenza italiana negli organismi multilaterali. Voi rappresentate qui il popolo italiano anche nei confronti delle popolazioni estere, ma ci sono altri rappresentanti del popolo italiano, che tecnicamente vengono chiamati volontari e cooperanti. Come dicevo, abbiamo circa cento “espatriati” nel mondo e credo che siano degni rappresentanti del nostro Paese e che come tali vadano trattati. Vi segnalo che in un provvedimento collegato alla finanziaria dello scorso anno fu definita la retribuzione convenzionale: ebbene, il decreto attuativo è stato adottato solo nelle scorse settimane. Con le nuove norme il pagamento delle tasse viene commisurato alla retribuzione convenzionale, ma contestualmente a tale retribuzione vengono commisurati anche i contributi previdenziali. Si tratta di persone che spendono la propria vita all’estero per chi ha bisogno, per quindici o vent’anni, spesso in condizioni di grande disagio, guadagnando dalla metà a un terzo di qualsiasi applicato d’ambasciata o di qualsiasi funzionario internazionale.
Sottopongo alla vostra attenzione e richiamo la vostra sensibilità sostanzialmente su due considerazioni. Innanzitutto chiediamo che il canale multilaterale – che pure deve esserci – abbia una caratterizzazione culturale e politica la più chiara e la più precisa possibile. In secondo luogo, chiediamo che, sempre nello stesso settore, vi siano regole precise e procedure snelle che permettano di agire con efficacia.
A questo proposito mi sembra evidente dovervi sollecitare su due questioni fondamentali: adeguare ai tempi la legge sulla cooperazione, che è piuttosto datata e, contestualmente, provare a mettere mano ad una nuova legge. So quali sono i tempi che necessitano per varare una legge. A tale riguardo, saluto il presidente Andreotti che nel 1996 ci accompagnò a un seminario che si tenne in Senato su una proposta di legge in materia. Pertanto, sapendo di avere a che fare con tempi piuttosto dilatati, vi chiediamo con urgenza di migliorare l’attuale legge dov’è migliorabile e contestualmente di mettere mano ad una riforma organica, adeguata al 2002, della cooperazione italiana. Nella nuova normativa, poi, bisognerà superare i retaggi del passato, che tanti problemi hanno provocato nel nostro Paese: bisognerà avere il coraggio, cioè, di reintrodurre una contabilità speciale. Viceversa non usciremo mai dalle secche in cui ci troviamo.
TRICARICO. Signor Presidente, onorevoli senatori, sono qui presente in rappresentanza della Campagna per la riforma della Banca mondiale, una coalizione di 41 organizzazioni non governative di sviluppo, ambientaliste e per la difesa dei diritti umani, attiva dal 1996 in Italia, a Washington e a livello internazionale per un’autentica riforma delle istituzioni finanziarie internazionali.
Concentrerò il mio intervento in particolare sulla governance e sul rapporto con il Fondo monetario internazionale, perché su questo intendiamo dare un contributo ai vostri lavori nell’ambito dell’indagine conoscitiva.
Rispetto al 1996 la Banca mondiale e il Fondo monetario sono profondamente cambiati, come è profondamente cambiato il quadro della politica internazionale a cui queste istituzioni fanno riferimento e di cui sono parte in maniera più o meno integrata. Alla metà degli anni ’90 ci sono stati dei passaggi che hanno profondamente intaccato la credibilità di queste istituzioni: penso alle drammatiche crisi asiatiche del 1997-98 che hanno interessato il Fondo monetario, alla crisi nel Messico e, più in generale, all’aumento della povertà che si registra in quel periodo. Purtroppo crediamo che anche la recente crisi argentina non sarà l’ultima, se non poniamo rimedio con una riforma complessiva dell’architettura finanziaria globale.
Oggi i segnali che arrivano dalla nuova amministrazione americana sono chiari ed organici, non più sporadici. Essa ritiene che sia giunto il momento di pensare a diminuire il ruolo del canale multilaterale complessivamente, privilegiando un approccio bilaterale o, se vogliamo, un approccio bilaterale nell’ambito di alleanze internazionali, che però non fanno più riferimento sistematico alle istituzioni multilaterali. Preciso che quando parliamo di multilaterale nel settore economico e finanziario, necessariamente parliamo di Banca mondiale e Fondo monetario internazionale.
Riteniamo anacronistico e rischioso contrapporre al multilateralismo, che invece va difeso e rafforzato, un modello frammentato di operazioni bilaterali. Ogni tentazione di contrapporre un frammentato modello bilaterale da parte delle maggiori potenze economiche ci riporterebbe drammaticamente a una situazione pre-seconda guerra mondiale con conseguenze imprevedibili per la stabilità del pianeta. Ovviamente c’è bisogno di una riforma autentica e siamo critici sul funzionamento delle due istituzioni centrali. Di fronte alla sfida dell’attuale processo di globalizzazione ci vuole coraggio e una visione: crediamo che i Parlamenti nazionali e il Parlamento europeo abbiano al riguardo un ruolo prioritario.
Consideriamo pertanto estremamente importante il segnale politico che, con le due indagini conoscitive svolte da questa Commissione, è stato lanciato: una delle due indagini riguarda proprio la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali. Questo è un aspetto a mio giudizio cruciale, che va riconosciuto e mette l’Italia in primo piano nel dibattito internazionale.
Sottolineo che nel corso degli ultimi sei anni abbiamo avuto rapporti molto buoni con i rappresentanti italiani in seno alla Banca mondiale e al Fondo monetario internazionale. A tale riguardo ricordo che il direttore esecutivo italiano alla Banca mondiale ha assunto per la prima volta, da poco, la carica importante di dean del consiglio direttivo (ossia il direttore con maggiore anzianità in Banca mondiale) e senza dubbio questo rafforza la responsabilità italiana in seno a quell’istituto e nei confronti delle richieste della società civile globale. È evidente che in assenza di un indirizzo chiaro da parte del Governo e del Parlamento è difficile pretendere un operato migliore e più efficace dei nostri rappresentanti a Washington.
Ricordo la vocazione chiaramente europeista dell’Italia. Dobbiamo quindi porci il problema di come l’Italia si muove nel consesso europeo, nell’elaborazione di una visione coerente che manca completamente in seno alle istituzioni internazionali. Ascoltiamo infatti posizioni profondamente diverse: questo è un segnale grave, anomalo, a cui bisogna porre rimedio subito con un indirizzo forte da parte dei Parlamenti e degli Esecutivi dell’Unione europea. Auspichiamo – e chiediamo il vostro contributo in quanto autorevole Commissione del Senato italiano – soluzioni per porre rimedio alla mancanza di protagonismo che attualmente si registra in Italia, nonostante il nostro Paese faccia parte del G7 e sia storicamente un motore politico dell’integrazione europea. Ne spiego brevemente i motivi.
Nel corso degli anni ’90 la posizione dei Paesi chiave europei, in particolare appartenenti al G7, in relazione alla situazione finanziaria internazionale è stata di notevole interesse. Il Governo inglese, ad esempio, ha prodotto sin dal 1997 un libro bianco sulla eliminazione della povertà nel mondo, che riguarda proprio gli obiettivi della vocazione multilaterale e bilaterale. Ogni tre anni c’è un Institutional Strategy Paper che viene rivisto con il fine di valutare quanto gli obiettivi del libro bianco siano stati raggiunti in partnership con le istituzioni multilaterali per lo sviluppo, a partire dalla Banca mondiale. Il Governo tedesco negli ultimi due anni ha presentato regolarmente, nel corso degli incontri annuali di Banca e Fondo, la sua posizione sulla riforma di queste istituzioni; tale iniziativa ha riscosso molto interesse. In Francia in numerose occasioni le forze politiche hanno promosso un dibattito parlamentare sulla riforma dell’architettura finanziaria internazionale. Negli Stati Uniti il congresso dispone da sempre di un forte potere di indirizzo sull’operato delle istituzioni di Bretton Woods.
Nel corso della passata legislatura, nell’ambito dell’indagine conoscitiva per la riforma delle Nazioni Unite, abbiamo avuto l’opportunità di partecipare apportando un contributo su questo aspetto specifico.
È molto importante, lo sottolineo ancora una volta, quello che sta avvenendo ora all’interno della Commissione affari esteri del Senato, ma ancora manca un indirizzo organico e complessivo per i rappresentanti italiani nella Banca mondiale e nel Fondo monetario internazionale. Di fatto, come il dottor Piatti prima di me ha affermato, il Ministero del tesoro dispone automaticamente di un grosso potere negoziale e decisionale che, se non ha un contraltare nel Parlamento, difficilmente potrà essere modificato. Questo può avvenire attraverso un raccordo di tutte le iniziative bilaterali all’interno di un quadro multilaterale. A nostro giudizio, è molto importante cercare di collegare questi due aspetti e soprattutto dare coerenza ad una visione economica e finanziaria a livello nazionale-europeo (espressa ovviamente dal Governo italiano) rispetto al messaggio che veicoliamo come Italia all’interno delle istituzioni di Bretton Woods.
In sostanza, è necessario un passaggio a tre livelli: nazionale, regionale (penso alla priorità data all’Europa dell’Est e al Mediterraneo da questo Governo) e, soprattutto, globale. Abbiamo bisogno di una coerenza tra questi tre livelli, che ancora manca. Per realizzarla occorre che il Parlamento abbia un ruolo cruciale. Noi proponiamo che questa indagine conoscitiva proponga la stesura di un Institutional Strategy Paper, un documento che il Governo deve elaborare e sottoporre al Parlamento prima degli incontri annuali di Banca mondiale e Fondo monetario internazionale; in sostanza, proponiamo che i nostri rappresentanti a Washington vengano in Parlamento a riferire su come si articolerà la posizione italiana nell’anno di riferimento. Abbiamo già verificato la disponibilità dei rappresentanti italiani a Washington ad intervenire in ambito parlamentare. In un certo senso, quindi, il Governo e il Ministero dell’economia e delle finanze avrebbero un interesse al riguardo. A questo punto è necessario mettere in pratica la nostra richiesta.
Allo stesso tempo, sottolineerei l’importanza di iniziare a rendere pubblica, a partire dall’ambito parlamentare, la posizione che i direttori esecutivi italiani in Banca mondiale e Fondo monetario internazionale prendono sulle diverse questioni. Ciò rappresenterebbe un segnale politico molto importante, che potrebbe avere ripercussioni a catena. È in corso un vivace dibattito sul punto, se cioè i consigli direttivi delle due istituzioni debbano essere resi maggiormente trasparenti o no. Vi sono Paesi, anche tra quelli in via di sviluppo, che mostrano resistenze al riguardo. Un segnale politico di questa portata proveniente, in particolare, dal dean, cioè da colui che presiede il consiglio dei direttori esecutivi della Banca mondiale, avrebbe un significato molto importante: genererebbe, e aiuterebbe voi a generare, un dibattito sulle decisioni prese nell’ambito di queste istituzioni.
Passerei ora all’aspetto che più realisticamente bisognerebbe affrontare prima possibile. Ovviamente, ci muoviamo in un contesto europeo; quindi, nonostante i passi segnalati vadano intrapresi subito, bisogna porsi il problema di come l’Italia si muove, in maniera coordinata, rispetto agli altri attori europei. Dopo l’integrazione dell’euro, quindi con l’arrivo della moneta unica, il dibattito europeo è finalmente decollato. Ci troviamo in un passaggio cruciale (il processo della Convenzione) e numerose sono le proposte, ma se pensiamo a quale integrazione abbiamo raggiunto con la Banca centrale europea dovremmo avere il coraggio di parlare di un’integrazione della posizione europea all’interno delle istituzioni finanziarie internazionali.
Dopo numerosi anni siamo di fronte ad una politicizzazione dell’agenda dello sviluppo e, personalmente, attribuisco un connotato positivo a questo aspetto. Ciò traspare da tre grandi Conferenze: quella di Doha sul commercio, nel novembre 2001, quella di Monterrey sul finanziamento dello sviluppo, nel marzo 2002, e quella di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile, nel settembre 2002. Tre Conferenze definite dall’Unione europea come un’opportunità di stabilire un patto globale con i Paesi del Sud del mondo e con gli altri Paesi industrializzati. Riteniamo che questo patto globale sia ancora parziale e che vada siglato con un consenso maggiore: perché non partire proprio dalle istituzioni finanziarie internazionali, spesso molto criticate non solo nei Paesi in via di sviluppo ma anche in quelli industrializzati? Per generare il consenso, bisogna sostanzialmente dare più voce ai Paesi in via di sviluppo nei consigli direttivi di queste istituzioni.
È emblematico che l’UNDP, il Programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite, abbia espresso nel suo Human Development Report forti preoccupazioni sul fatto che “il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale non saranno in grado di svolgere il loro lavoro in maniera efficace se rimarranno attaccati alle strutture che riflettono l’equilibrio di poteri della seconda guerra mondiale”. Questa è la verità, non possiamo negarlo. Vi è bisogno di un cambiamento della governance interna delle istituzioni. In quale direzione muoversi realisticamente?
Come saprete di sicuro, sono soltanto otto i Paesi che hanno un seggio a loro diretta rappresentanza all’interno della Banca mondiale; tra gli europei spiccano la Francia, la Germania e il Regno Unito. C’è poi un raggruppamento per constituency, cioè diversi Paesi di cui il Paese più forte economicamente, che ha una quota di voto maggiore perché versa più soldi alla Banca mondiale, ha la rappresentanza. Questo è il caso dell’Italia e del Canada. In sostanza l’Italia, oltre a rappresentare se stessa, rappresenta altri Paesi quali Grecia, Portogallo, Malta ed Albania.
Molto interessante è un altro movimento che sta nascendo nel versante Sud del mondo: il G24, che raggruppa i Paesi in via di sviluppo e i Paesi emergenti. Questo raggruppamento sta aumentando la propria influenza a livello internazionale. Come saprete, all’interno della Banca mondiale e nelle istituzioni finanziarie internazionali di Bretton Woods esiste il Development Committee, in cui sono rappresentati Nord e Sud del mondo in maniera piuttosto bilanciata. Esiste quindi il problema cruciale di raccordare tale Commissione con il G24, permettere cioè al Sud del mondo di avere una rappresentanza più diretta.
C’è poi un altro aspetto di cui l’Italia si sta facendo carico nei dibattiti preliminari a livello internazionale, almeno a Washington: come raccordare la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale, ed in particolare i rispettivi consigli direttivi, con l’ECOSOC delle Nazioni Unite. Questo raccordo, a nostro giudizio, può essere sempre più stretto. Si tratta di passaggi minimali ma di chiara direzione per quanto riguarda la governance delle istituzioni finanziarie internazionali come agenzie specializzate delle Nazioni Unite rispetto al contesto più ampio delle stesse Nazioni Unite. È chiaro che nel lungo periodo l’obiettivo dovrebbe essere quello di trasformare l’ECOSOC in un Consiglio di sicurezza economico e sociale, che dovrà obbedire a logiche diverse da quelle che regolano l’attuale Consiglio di sicurezza politico dell’ONU.
Per quanto riguarda il contesto europeo, il dibattito è molto avanzato ed esiste una proposta, a mio giudizio, realistica. Sarebbe molto bello avere una rappresentanza unica dell’Unione europea allargata ai 25 Paesi (tra il 2004 e il 2007) anche all’interno delle istituzioni finanziarie; seguendo questa linea, secondo gli statuti delle suddette istituzioni si potrebbe chiedere il trasferimento della sede centrale da Washington in Europa. Attualmente però tale obiettivo è poco realistico, anche perché dal punto di vista politico bisogna cementare maggiormente l’Europa. Che strategia seguire allora? L’ex direttore esecutivo tedesco della Banca mondiale ha chiaramente affermato che con alcuni piccoli accorgimenti, sarebbe possibile ottenere che i direttori esecutivi di Francia, Germania, Regno Unito, Italia e del gruppo scandinavo diventino i rappresentanti di constituency soltanto europee e che si coordinino con una posizione unica nel corso delle votazioni a Washington. Probabilmente con sole cinque persone potremmo rappresentare ben 25 Paesi. Questo permetterebbe di coordinare molto più facilmente le posizioni europee. Questo obiettivo è realistico. Abbiamo una scadenza – il 2004 – ma servono indirizzi forti dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo.
C’è infine un ultimo aspetto relativo alla governance e alle riforme che possono essere attuate. Come sottolineato dal rappresentante del Ministero dell’economia e delle finanze, dottor Bini Smaghi, nel corso dell’audizione che ha avuto luogo presso questa Commissione lo scorso luglio, esiste già, per quanto riguarda il Fondo monetario internazionale, un gruppo di lavoro di coordinamento, presieduto dallo stesso dottor Bini Smaghi, sulla posizione dell’Unione europea nel Fondo monetario internazionale. Perché non creare un gruppo di lavoro simile che faccia riferimento al Consiglio europeo degli affari generali dell’Unione europea, che attualmente, con una riforma piuttosto recente, ha avuto l’incarico di occuparsi dei temi dello sviluppo?
Sottolineo però un aspetto importante: a mio parere, bisogna dare mandato esplicito al direttore esecutivo italiano della Banca mondiale affinché si lavori per un coalition building. Come sapete, a livello di Istituzioni finanziarie, è molto importante il rapporto personale tra i vari direttori e gli uffici. Ci deve essere un indirizzo chiaro e i direttori esecutivi europei devono iniziare a lavorare in un rapporto più stretto. È difficile pretendere che una singola persona, lontana da Washington, quando deve prendere decisioni cruciali, riesca da sola a stabilire relazioni che purtroppo sono frammentarie, se non addirittura inesistenti.
Abbiamo poi un’ulteriore opportunità. Nel 2004 la Banca mondiale dovrà nominare il nuovo presidente. Storicamente, il presidente della Banca mondiale è un americano. In questo contesto, per dare un’apertura di credito ai Paesi del Sud del mondo, si potrebbe pensare, con l’Unione europea, di sostenere una candidatura, naturalmente autorevole, credibile e con un mandato chiaro, espressa dal G77, che raggruppa i Paesi del Sud del mondo. Ciò permetterebbe di dare un nuovo bilanciamento e probabilmente creare un precedente importante, che smusserebbe – sottolineo questo aspetto – molti contrasti esistenti. Tali contrasti sono anche aumentati poiché i Paesi del Sud del mondo non vedono soddisfatte in tempi brevi le poche richieste formulate, quali la diminuzione dei sussidi commerciali dei Paesi industrializzati ai loro prodotti e l’aumento degli aiuti allo sviluppo.
Nel documento che ho distribuito troverete una descrizione piuttosto dettagliata di tutti gli strumenti adottati negli ultimi anni dalle istituzioni e soprattutto dei passaggi cruciali sui quali il Parlamento, a nostro giudizio, dovrà pronunciarsi. Sappiamo già che nella vostra Commissione sta per iniziare un dibattito sulla ricostituzione dei capitali dell’International Development Association (IDA). Il capitale di questa Agenzia del gruppo della Banca mondiale dovrà essere ricostituito ogni tre anni e ciò rappresenta un’opportunità storicamente importante, così come quello del collegato Poverty Reduction and Growth Facility (PRGF).
Voglio, però, fare riferimento ad un aspetto chiave, proprio partendo da queste due Agenzie del gruppo della Banca mondiale. Attualmente esiste una profonda confusione. Per i Paesi a basso reddito, bisogna operare una scelta cruciale. Fino ad oggi esisteva un approccio di condizionalità, che era fallimentare. Si è voluto allora (questo è il grande cambiamento, a nostro giudizio, di cui bisognerà dare credito alla Banca mondiale, se lo metterà in pratica) porre rimedio all’inefficacia dei cosiddetti piani di aggiustamento strutturali o settoriali, messi in pratica da Banca e Fondo, con l’introduzione di un principio importante: lo sviluppo non può avvenire se non c’è un senso di ownership delle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo. Questo si ottiene con i nuovi strumenti, cioè con la Poverty Reduction Strategy Paper, le strategie nazionali di sviluppo, che devono essere scritte tramite consultazioni locali con i Governi, con il coinvolgimento di tutti gli stake holders, cioè gli attori delle agende internazionali (il settore privato, le organizzazioni non governative, i Governi riceventi e i donatori). Ebbene, in questo contesto, nello stesso tempo la Banca mondiale, anche sotto le pressioni del Governo americano, cerca in un certo senso di aprire una nuova politica a favore dello sviluppo del settore privato, approvando una nuova iniziativa denominata LICUS (Low income countries under stress), cioè per i Paesi a basso reddito sotto stress, che stravolge questo principio. Si stabilisce, cioè, una gerarchia tra chi è meritorio di avere uno sviluppo che dia anche più potere alle comunità locali e chi non lo è.
Sappiamo benissimo che esiste un problema di democrazia; tuttavia, che vi sia l’assunto per cui la Banca mondiale abbia una pregiudiziale – sulla base, tra l’altro, di statistiche che elabora essa stessa e che non sono disponibili, come ad esempio i Poverty Country Impact Assessments- è un fatto molto grave. I Parlamenti nazionali dovrebbero dare un indirizzo chiaro: quella è la linea da rafforzare e bisogna individuare criteri specifici per Paesi particolarmente problematici. Non bisogna pensare, però, che si possa abbandonare per alcuni Paesi quel passaggio oltre le condizionalità, introducendo in un certo senso delle condizionalità positive. Ciò va detto chiaramente, in contrapposizione alla logica – che purtroppo l’amministrazione americana porta avanti – di superare la condizionalità tramite la selettività. In sostanza, tale amministrazione predilige muoversi su base bilaterale, come è stato detto chiaramente a Monterrey, con la promessa di creare il Millennium challenge account: sostanzialmente, cioè, si decidono le priorità dei vari Paesi su base bilaterale.
Si tratta di una grande opportunità e di un dibattito molto vasto all’interno della Banca mondiale, su cui bisogna pronunciarsi. È chiaro che il Poverty Reduction and Growth Facility (di cui vi state occupando come ricostituzione del trust che governa la nuova facility) è il braccio finanziario che sta dietro il Poverty Reduction Strategy Paper; sarebbe, però, sbagliato che venisse subordinato. È importante, infatti, mantenere slegati questi due aspetti e pensare sempre più, invece, anche tramite l’IDA a 14 che verrà, di imporre dei criteri di equità.
Concludo il mio intervento su una questione, a noi molto cara, relativa all’arbitrato. Il prossimo aprile il Fondo monetario internazionale presenterà finalmente il suo progetto di un accordo internazionale, a nostro giudizio addirittura rivoluzionario, che propone un meccanismo di arbitrato che coinvolga tutti i creditori (pubblici e privati) e dia sostanzialmente potere ai Paesi in via di sviluppo di dichiarare la loro insolvenza, in modo innovativo. È molto importante che vi pronunciate anche su questo punto e nel nostro documento vi sono raccomandazioni abbastanza precise in tal senso. Infatti, anche in questo caso, bisognerebbe mantenere una voce unica europea – che fino ad oggi esiste – per cercare di convincere anche i creditori privati che questa è la strada per evitare che si verifichi un nuovo caso Argentina (potrebbe essere – ahimè – il Brasile, anche se ovviamente non lo auspichiamo). Riteniamo che questa responsabilità spetti all’Italia. Il nostro Paese, infatti, avrà la Presidenza dell’Unione europea nel secondo semestre del 2003 e anche l’opportunità di moderare i numerosi dibattiti che si svolgeranno a livello internazionale ed europeo.
Vi ringrazio nuovamente per avermi invitato quest’oggi e ribadisco ancora una volta l’importanza del lavoro che viene svolto con l’indagine conoscitiva in corso, che riguarda aspetti tanto cruciali.

BARSELLA. Signor Presidente, rappresento la Campagna italiana per la cancellazione del debito – “Sdebitarsi”, che dal 1997 porta avanti, appunto, la battaglia per la cancellazione del debito insostenibile o che, in termini reali, è stato già ripagato, debito ingiusto o odioso quindi.
Il mio intervento sarà molto specifico in relazione ad una questione che il Senato dovrà affrontare quanto prima, ma non tanto “locale” quanto potrebbe sembrare, perché rientra nell’ambito di tutti i processi di finanza internazionale, che fin qui sono stati esposti. In particolare, mi riferisco alla legge 25 luglio 2000, n. 209, che impone all’Italia la cancellazione del debito di un alto numero di Paesi impoveriti.
Si tratta di una legge che, attraverso un vasto processo di sensibilizzazione e di pressione della società civile italiana, nel contesto della preparazione al Giubileo e di una campagna internazionale, è stata approvata in modo trasversale da tutte le forze politiche presenti in Parlamento. L’obiettivo concreto della legge è la cancellazione del debito di Paesi impoveriti verso l’Italia per 6 miliardi di euro entro il 2004. Tale legge è molto più avanti rispetto al contesto internazionale in materia di cancellazione del debito; infatti, si indirizza ad un numero più alto di Paesi di quelli, per esempio, considerati nel programma HIPC. Essa può essere una legge-pilota per considerare la cancellazione del debito come una chiave di apertura nella riforma del sistema della finanza internazionale. Come è già stato esposto chiaramente, si deve cominciare a pensare in questi termini affinché le cose possano cambiare. Quello che è importante è che tale legge funziona.
Sono tornato ora dal Mozambico, dove ho partecipato ad un seminario che ha affrontato varie questioni, tra cui quella legata al modo in cui cominciare ad attuare la cancellazione del debito del Mozambico nei confronti dell’Italia. Sapete che quest’anno è stato cancellato dall’Italia il 100 per cento del debito bilaterale (pari a 524 milioni di dollari) al Mozambico, che ha gravi problemi a livello economico e sociale, soprattutto se si considera il Nord del Paese più povero del Sud.
Al momento – e ciò è emerso chiaramente nel seminario tenuto a Maputo circa due settimane fa – c’è un lavoro comune tra il Governo italiano e quello del Mozambico perché, in base alla legge n. 209 del 2000, che ha cancellato il 100 per cento del debito verso l’Italia, il Governo mozambicano, entro la fine del 2002, deve presentare un programma per reinvestire le somme derivanti dalla cancellazione del debito – ripeto, 524 milioni di dollari – in progetti di sviluppo e di lotta alla povertà. È chiaro che si tratta di un’impresa difficile perché il bilancio del Mozambico conta scarse risorse e, soprattutto, sono molto scarse le cifre che possono essere reperite nel Paese per simili investimenti. Quindi si tratta di predisporre un programma che preveda di smaltire l’impegno e di tradurlo in progetti di sviluppo in un certo numero di anni.
Il Mozambico ha un piano (PARPA, l’applicazione locale di quello che veniva prima chiamato Powerty Reduction Strategy Paper) che deve essere riadattato in base alla cancellazione del debito approvata dall’Italia. Ciò presuppone – se ne è parlato molto in loco - un impegno da parte dei Governi italiano e mozambicano, così come della società civile, attraverso l’individuazione di meccanismi e criteri (che devono essere individuati con precisione) per poter verificare la trasparenza del reperimento e dell’utilizzazione delle risorse e per effettuare un monitoraggio.
Anche se non si sa ancora come tradurla concretamente in progetti di sviluppo in Mozambico, la sostanza c’è, la società si sta muovendo e questo testimonia che la legge n. 209 è importante, ma va accompagnata con un impegno di cooperazione, perché la cancellazione da sola non basta. È chiaro che il debito che il Mozambico aveva nei confronti dell’Italia non poteva essere pagato, proprio per la povertà del Paese, ma è altresì chiaro che la mera cancellazione del debito nel giro di pochi anni riporterebbe il Mozambico ad una situazione estremamente difficile perché quel Governo, per adempiere agli impegni assunti in merito ai programmi economico-sociali, dovrebbe contrarre nuovi debiti, creando così un circolo vizioso che in pochi anni riporterebbe il Paese nella spirale del debito. Pertanto, sotto il monitoraggio della società civile italiana e mozambicana, è necessario appoggiare l’azione del Governo mozambicano con un serio impegno di cooperazione che possa sostenere lo sforzo di quel Paese.
A tale riguardo vorrei sottolineare che, in realtà, l’Italia sta diminuendo i fondi destinati all’aiuto pubblico allo sviluppo. Non parliamo più – per carità! – dello 0,7 per cento del PIL, un obiettivo ormai considerato troppo ambizioso. A livello europeo si dice che bisognerebbe arrivare almeno allo 0,39 per cento del PIL, mentre la legge finanziaria per il 2003 prevede solo lo 0,19 per cento. Presumibilmente arriveremo allo 0,33 per cento entro il 2006, sempre sotto la media europea. Quindi sta calando il nostro impegno nella cooperazione e ciò va a scapito, poi, di Paesi come il Mozambico. Non solo. Si arriverà addirittura al punto che nello 0,19 per cento del PIL saranno considerate anche le quote di cancellazione del debito: ci sembra veramente grave perché è necessario affiancare la cancellazione del debito con fondi per la cooperazione, non diminuire ulteriormente i fondi destinati a tale scopo proprio a causa della cancellazione.
Ulteriori elementi di preoccupazione derivano dalla previsione dell’articolo 59, comma 1, del disegno di legge finanziaria appena approvato dalla Camera, che arriverà presto al vostro esame. Tale disposizione vanifica la legge n. 209 del 2000, condizionando le cancellazioni del debito alle esigenze di finanza pubblica. Non vi saranno più quindi 6 miliardi di euro entro il 2004: l’eliminazione degli obiettivi vanifica una legge che, invece, era molto attenta alla situazione dei Paesi impoveriti e poteva quindi agire anche come legge pilota per altri Paesi. Queste modifiche determinerebbero una situazione di incertezza e la mancanza di trasparenza. Le operazioni di annullamento sarebbero in pratica ricondotte nella sfera decisionale dell’amministrazione finanziaria (segnatamente, ancora una volta, il Ministero dell’economia e la Ragioneria generale dello Stato) e si potrebbe quindi giungere al rallentamento e al blocco delle cancellazioni. In sintesi, una legge buona, attenta alle realtà povere nel mondo verrebbe vanificata da una norma estemporanea introdotta nel disegno di legge finanziaria.
E qui sorge un ulteriore problema: dove sta il rispetto per la società civile e le istituzioni? Ricordo che la legge n. 209 ha visto la luce dopo anni di battaglie della società civile, con milioni di firme raccolte in Italia e in giro per il mondo, una legge approvata dal Parlamento sostanzialmente nella sua interezza. Se veramente volessimo riformarla, almeno dovremmo farlo dopo un dibattito parlamentare serio e approfondito, coinvolgendo di nuovo la società civile, e non in maniera estemporanea nell’ambito della legge finanziaria.
È per questo che l’Associazione “Sdebitarsi” proprio ieri ha lanciato un appello alla società civile e ha inviato a tutti voi parlamentari una lettera aperta (che è già stata spedita per posta elettronica, ma che presto avrete a disposizione anche in forma cartacea), chiedendovi di rispondere anche a questa sfida per salvare la legge n. 209 del 2000, che voi stessi avete approvato quasi all’unanimità. È certo che con la fine del Giubileo questi argomenti sono passati in secondo piano, forse perché si è pensato che fosse sufficiente l’approvazione della legge sulla cancellazione del debito. Oggi si parla più di terrorismo, di sicurezza, ma noi di “Sdebitarsi” riteniamo che, invece, la cancellazione del debito è un passaggio fondamentale se veramente vogliamo creare rapporti economici tra i Paesi del Nord e quelli del Sud del mondo basati su una maggiore giustizia, creando così anche le condizioni per una pace più stabile, se si vuole veramente cominciare a riequilibrare le regole della finanza internazionale. Credo che sia importante adesso più che mai non abbassare la guardia su una questione come questa.

MORO. Innanzitutto, ringrazio il Presidente e i senatori per l’invito rivoltoci; ringrazio inoltre quanti sono finora intervenuti per l’ampiezza dei contenuti toccati. È vero infatti che parlando di istituzioni finanziarie internazionali si tocca un complesso di temi apparentemente non legati tra loro, ma coinvolti e condizionati in qualche modo dalla dimensione finanziaria.
La Fondazione giustizia e solidarietà è il soggetto in cui si è trasformato il comitato che la Conferenza episcopale italiana aveva creato per lanciare e condurre la campagna ecclesiale sul debito. Esso ha lavorato, insieme all’organizzazione Sdebitarsi e ad altre iniziative promosse dalla società civile italiana ed internazionale, per chiedere, durante l’anno giubilare (ma non solo), che fosse messo in atto un impegno ingente e fosse posto fine al perverso rapporto finanziario esistente tra Nord e Sud del mondo, che origina nella parte più povera del pianeta un pagamento ogni anno onerosissimo, un’uscita di risorse finanziarie che per i creditori è poca cosa ma che, viceversa, impedisce un investimento corretto per lo sviluppo nei luoghi dove questo sarebbe più necessario e che, di fatto, costituisce una moderna forma di schiavitù.
Per quanto riguarda le istituzioni finanziarie internazionali, visto che molte cose sono state già dette, procederei con pochi flash, partendo dal seguente interrogativo, che credo rappresenti l’obiettivo dell’indagine conoscitiva promossa dalla Commissione affari esteri: cosa si dice all’interno della società civile su questi argomenti?
La prima considerazione è che, visti i sentimenti della società civile, quantomeno italiana, in materia di globalizzazione ci si debba dotare di strumenti per governare quest’ultima perché diventi un’opportunità per migliorare e non per penalizzare la condizione umana sul pianeta, includendo nello sviluppo il maggior numero di persone. Dunque, globalizzazione per l’uomo.
Per fare questo occorrono istituzioni e regole sovranazionali ed internazionali. Il giudizio è che le istituzioni e le regole di cui disponiamo oggi non siano sufficientemente adeguate. In riferimento alle due principali istituzioni finanziarie, cioè Fondo Monetario internazionale e Banca mondiale, credo che la prima considerazione che dobbiamo fare (e che all’interno della società civile – come è già emerso – viene fatta normalmente) debba essere riferita alla democrazia e al potere della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale. Oggi sia l’uno che l’altra sono governati esattamente come sono governate una banca o una società per azioni, vale a dire che il diritto di voto e il potere sono pensati in ragione delle quote finanziarie versate. Ciò è assolutamente legittimo in una società per azioni, ma ci si chiede se questo criterio sia altrettanto adeguato dal momento che la Banca e il Fondo hanno un ruolo importante nel determinare, o quanto meno nell’influenzare, i percorsi di sviluppo di molte nazioni del nostro pianeta.
La seconda considerazione è quella relativa al potere; è cioè necessario comprendere quali funzioni hanno il Fondo e la Banca. Storicamente la Banca mondiale nasce per catalizzare risorse a favore dello sviluppo o, inizialmente, a favore della ricostruzione, in modo particolare dell’Europa dopo la guerra (il nome originale, tuttora esistente, è “Istituto per la ricostruzione e lo sviluppo”); oggi la funzione principale, anche se non la sola, è raccogliere e catalizzare risorse per favorire lo sviluppo nel Sud del mondo. Il Fondo nasce per garantire soprattutto la stabilità monetaria internazionale.
Credo si debba fare una riflessione, in primo luogo per comprendere se il criterio di rappresentanza e di attribuzione del potere all’interno di Banca e Fondo siano adeguati alle loro funzioni perché, se il problema è trovare risorse per favorire lo sviluppo, si può parlare di una dimensione politica che non è solo finanziaria, e forse si richiede una rappresentanza diversa da quella esclusivamente legata al contributo finanziario. So benissimo che non è immaginabile una riforma della Banca e del Fondo che si realizzi in pochi minuti, cambiando il potere di voto dei consigli e dei direttori esecutivi; questa è una considerazione che, secondo me, va fatta all’interno di una riflessione più ampia sulle istituzioni finanziarie internazionali.
Dal punto di vista della distribuzione delle funzioni, ci si chiede quale sia la sinergia tra il ruolo che svolgono Banca e Fondo, le altre istituzioni internazionali e i Governi nazionali. È stato già detto qualcosa sulla possibilità di una maggiore sinergia e coordinamento con l’ECOSOC. Io credo si debba immaginare anche un coordinamento quanto meno con l’Organizzazione mondiale del commercio. Lo dico solo come battuta, ma noi, in quanto appartenenti alla comunità internazionale, facciamo grandi programmi e grandi considerazioni sull’opportunità di sviluppare almeno alcuni settori, in particolare quello agricolo, nel Sud del mondo (la società civile si augura che si vada il più possibile verso un aumento del mercato interno piuttosto che verso un inseguimento dissennato dell’esportazione), però ciò interessa produzioni che possono essere vendute al di fuori dei confini dei singoli Stati; dunque vi è il problema di dove e a chi vendere i prodotti del Sud del mondo per garantire, appunto, il reddito di quei Paesi. Ebbene, si potrebbero vendere al Nord del mondo che, però, si adopererà per proteggere i propri mercati rendendo sostanzialmente sterili ed inutili tutti gli investimenti e le politiche adottati nel Sud. Finché tutte le azioni di sviluppo non saranno almeno in parte coordinate, vi è il rischio di fare discorsi quanto meno schizofrenici.
Come si fa allora a distribuire meglio ruoli e funzioni delle istituzioni? Se non è la politica che si fa carico di questo, non si capisce chi lo possa fare. Oggi, effettivamente, non abbiamo una sovranità politica internazionale esercitata a questo fine. È necessario quindi, probabilmente, un protagonismo diverso da parte delle dimensioni nazionali.
È già stato detto – lo ribadisco ulteriormente – che il ruolo dei Parlamenti nazionali in questa materia è fondamentale. Chi origina i mandati del Fondo e della Banca? A chi rendono conto coloro che siedono nell’organo di direzione, cioè nel consiglio dei direttori esecutivi? L’Italia – come è stato detto – ha un direttore esecutivo (lo ha ormai da molti anni e continuerà ad averlo, prevedibilmente) sia all’interno della Banca mondiale che del Fondo monetario internazionale. Allora, credo sarebbe buona abitudine che il mandato affidato ai direttori esecutivi di Banca e Fondo nasca e venga discusso in Parlamento. Oggi, i due direttori rendono conto al Ministero dell’economia e delle finanze e, in parte, alla Banca d’Italia; che io sappia, non esiste neanche una relazione istituzionale organica e permanente con il Ministero degli esteri. Eppure, la Banca e il Fondo sono ambiti in cui si fa politica estera in modo concreto. Questo è un gap che, almeno nel nostro Paese, esiste e credo dovrebbe essere colmato.
Vorrei sottolineare tre ambiti all’interno delle funzioni svolte concretamente da Banca mondiale e Fondo monetario che, a mio parere, meritano una breve riflessione, anche in questo caso probabilmente senza dire niente di nuovo e procedendo per flash, anche perché credo che il tempo a disposizione sia quasi esaurito.
Il primo riguarda la nuova stagione della lotta alla povertà. La società civile internazionale e certamente quella italiana hanno salutato con grande entusiasmo e speranza questa nuova stagione, apertasi sostanzialmente nel settembre nel 1999 quando Banca mondiale e Fondo monetario, nel corso degli incontri annuali che si svolgevano a Washington, hanno deciso di mettere fine alla stagione dei cosiddetti aggiustamenti strutturali, cioè delle politiche imposte ai Paesi del Sud del mondo come condizioni per ottenere nuovi scadenzamenti sui debiti o nuovi finanziamenti basati su una concezione che prevedeva che si sarebbe avuto un miglioramento economico, e dunque sociale, nel Paese solo se si fosse avviata una forte liberalizzazione. Di fatto, si è visto che la liberalizzazione, in contesti come quelli del Sud del mondo, non ha dato risultati positivi perché vi è una forte carenza di investimenti in infrastrutture e in formazione del capitale umano (sostanzialmente scuola e sanità). Dunque, non basta lasciar fare al mercato perché questo non ha risorse per creare e costruire opportunità.
Questa stagione è stata sostituita da nuovi approcci denominati “strategie di riduzione della povertà”, che si fondano su uno strumento nuovo e molto interessante (ho notato che anche il dottor Bini Smaghi vi ha fatto cenno durante la sua audizione): un Paese per poter accedere alla cancellazione del debito, a un nuovo scadenzamento e a nuovi finanziamenti, siano essi provenienti dalla Banca mondiale o dal Fondo monetario, deve presentare un PRSP (Poverty Reduction Strategy Paper), cioè un documento strategico di riduzione della povertà. Questo strumento non è indifferente, perché normalmente contiene la programmazione economica e sociale del Paese per i tre anni successivi. Il Paese, quindi, deve indicare quali intenzioni ha e come intende spendere le risorse che saranno disponibili, definendo come prioritari gli investimenti sociali che creano la condizione basilare per un ambiente favorevole allo sviluppo economico, all’ingresso di investimenti dall’estero e quant’altro.
Questo è un approccio alternativo a quello che riduce la spesa pubblica e lascia fare al mercato, perché è stata fatta una valutazione più realistica delle condizioni locali. Il PRSP è accettabile se il Governo dimostra di avere coinvolto adeguatamente la società civile locale, almeno nella riflessione che precede la fasi di elaborazione. Questo risponde alle esigenze di ownership citate poc’anzi e di cui ha parlato anche il dottor Bini Smaghi. A nostro parere, tale direzione deve essere mantenuta, facendo attenzione a due aspetti.
Innanzi tutto, sulla base della nostra esperienza, abbiamo constatato che spesso si pone un problema di coinvolgimento della società civile locale; si afferma che la società civile deve essere coinvolta, ma non c’è una riflessione adeguata sul modo in cui questo può avvenire. Infatti, per coinvolgere la società civile ci vogliono denari, mentre oggi non c’è uno sportello né del Fondo né degli aiuti bilaterali che dia denaro ai Governi affinché la società civile sia adeguatamente aiutata, o che dia denaro a soggetti della società civile per partecipare al percorso di elaborazione delle strategie di lotta alla povertà. Anzi, il denaro viene reso disponibile dopo, per finanziare il PRSP. Questo rappresenta un problema, perché in molti Paesi del Sud del mondo il coinvolgimento ufficiale della società civile si può tranquillamente dimostrare su un piano formale, ma non corrisponde necessariamente ad un autentico coinvolgimento delle risorse esistenti. Ricordiamoci che parliamo di situazioni, come quelle africane, in cui esiste un analfabetismo diffuso: in questi casi si coinvolgono le popolazioni con il teatro di strada e non con un sito Internet, perché non c’è la corrente elettrica e perché le persone non sanno leggere e scrivere. Non per questo, però, non c’è una società civile: essa non si esprime come siamo abituati noi, certo non partecipa ad audizioni svolte in Parlamento, ma non per questo non ha titolo democratico e anche autorevolezza e sapienza per poter concorrere al disegno della costruzione del futuro del proprio Paese.
Un ulteriore gap nella lotta alla povertà è dovuto al fatto che abbiamo avuto l’impressione – lo abbiamo detto ai rappresentanti del Fondo proprio nel percorso di verifica di queste strategie – che a volte il Fondo dia un finanziamento ad hoc (si è parlato dello sportello PRGF) per finanziare le strategie che partono dal Fondo stesso e non dalla Banca. A volte questi finanziamenti vengono concordati tra Ministeri delle finanze locali e Fondo a prescindere e, in ragione dell’urgenza, prima che il percorso PRSP sia terminato. Pertanto, ci si trova a ragionare ufficialmente di PRSP in grande libertà, ma poi ci si rende conto che esistono dei vincoli perché il Fondo ha già siglato una serie di intese con i Governi che condizionano la strategia futura. Allora, sarebbe importante che svolgessimo una riflessione anche a livello nazionale sul comportamento del Fondo.
C’è poi un problema di risorse finanziarie, se parliamo di lotta alla povertà. Non voglio dilungarmi, perché il tema sarebbe amplissimo ed anche affascinante, ed in parte è già stato accennato. Sottolineo, però, che occorre assolutamente che vi sia anche un protagonismo politico a livello nazionale per capire come distribuire ed impiegare gli strumenti al fine di fare giungere le risorse per finanziare lo sviluppo.
Negli ultimi mesi c’è stato un forte dibattito su grants versus loans, cioè su doni o prestiti. Forse anche per rispondere alla richiesta della società civile di ridurre il debito, alcuni Governi hanno cominciato a sostenere la necessità di dare ormai solo doni, usando gli sportelli della Banca mondiale, in modo particolare l’IDA (Associazione per lo sviluppo internazionale, nata per erogare finanziamenti a tassi particolari ai Paesi a basso reddito), e di fare in modo che quei finanziamenti diventino subito doni, senza più onere di restituzione. A nostro avviso, questo è preoccupante, non perché sia sbagliato dare doni (per l’amor di Dio, sarebbe bello dare doni e non più finanziamenti), ma perché è fuori dubbio che un Paese, in condizioni normali, abbia il diritto e la libertà di decidere i programmi da finanziare, senza che gli vengano imposti dai donatori, e abbia modo di finanziarsi attraverso strumenti proporzionati alle proprie capacità finanziarie. Fino ad oggi, l’IDA rappresentava esattamente questo. Se chiudiamo tale sportello, trasformandolo in un rubinetto che eroga doni, domani non si capirà dove questi Paesi possano alimentarsi finanziariamente; ciò significa creare una dipendenza finanziaria, che ovviamente non desideriamo porre in essere per uno sviluppo di questi Paesi che sia autenticamente libero.
Credo, allora, sia necessario mantenere alta la riflessione sulle differenti funzioni che devono assolvere i diversi strumenti a nostra disposizione e, a mio giudizio, tale riflessione non è adeguata.
L’ultimo punto, che secondo noi è un po’ topico, riguarda il debito. Se ne è già parlato e non aggiungo altro sulle preoccupazioni esistenti per la modifica proposta nel disegno di legge finanziaria. Voglio semplicemente sottolineare i limiti dell’iniziativa HIPC, diretta ai Paesi poveri altamente indebitati. Oggi questa iniziativa prevede la concessione della riduzione del debito in ragione di una cosiddetta “non sostenibilità del debito”. La sostenibilità del debito viene misurata attraverso un rapporto tra debito ed esportazioni, ma noi riteniamo che i parametri per misurare tale sostenibilità siano profondamente inadeguati. Non è il caso di approfondire tecnicamente la questione in questa sede, ma esiste un dibattito, anche scientifico, molto sviluppato nel merito. Ancora una volta, però, se non c’è un confronto, se la politica non si appropria di questi temi, tale dibattito, come tutti gli altri (ad esempio, le linee di fondo delle strategie di riduzione della povertà o quelle passate degli aggiustamenti strutturali, le linee di fondo dei criteri di finanziamento e degli strumenti e oggi quelle della cancellazione del debito) viene mantenuto all’interno delle due maggiori istituzioni finanziarie internazionali neanche dai direttori esecutivi, ma dal management, il quale fa anche cultura. Infatti, oggi la Banca mondiale ed il Fondo monetario internazionale producono un numero notevolissimo ed interessante di pubblicazioni scientifiche su questi temi, che però non hanno poi un confronto con la politica. Dunque, le opinioni vengono costruite all’interno delle istituzioni, che diventano di fatto autoreferenziate; si muovono su linee che sono costruite senza un confronto con la politica che, invece, dovrebbe dare effettivamente il mandato.
Ero partito dall’esigenza di governare la globalizzazione. Se consideriamo corretta questa esigenza, se nel nostro Paese ci muoviamo attraverso una “carta costituzionale”, alla luce della quale costruiamo gli strumenti, secondo me dovremmo immaginare di proporla, con lo stesso spirito, a livello internazionale.

MARELLI. Signor Presidente, la ringrazio innanzitutto per l’invito, precisando che sono anche presidente dell’Associazione delle ONG italiane, che in qualche modo rappresento in questa sede.
Anche in questa veste non posso non dimenticare che tra pochi giorni arriverà alla vostra attenzione il disegno di legge finanziaria: è solamente un richiamo telegrafico affinché il Senato ponga seri rimedi ad un testo licenziato dalla Camera che non ci trova assolutamente soddisfatti in materia di risorse per la cooperazione, di cancellazione del debito, di fondi destinati alle ONG, di fiscalità dei trattamenti retributivi dei volontari (chiediamo che davvero venga cancellata questa vergognosa imposizione di un prelievo fiscale sulla retribuzione di persone che donano parte della loro vita al servizio dei poveri).
Innanzi tutto non possiamo non sottolineare la forte necessità di una revisione della legge sull’aiuto pubblico allo sviluppo. Le discussioni che si fanno devono portare anche ad un’assunzione di responsabilità del Governo e del Parlamento italiani per adeguare la legislazione del nostro Paese a scenari che – penso che tutti noi concordiamo – sono profondamente mutati dal 1987, anno in cui entrò in vigore la legge n. 49.
L’oggetto dell’indagine conoscitiva a cui siamo stati chiamati a dare il nostro contributo è la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali. Parliamo di istituzioni molto diverse tra loro in una Commissione del Senato, nel un momento in cui stiamo costruendo, tutti insieme, anche noi della società civile, il cammino verso una Costituzione europea che fa della politica estera un punto centrale, forse uno dei pilastri della costruzione europea. Di questa politica estera, a nostro parere, le istituzioni finanziarie internazionali rappresentano essenzialmente uno strumento. Va da sé l’ordine gerarchico e prioritario con il quale noi leggiamo questo problema in ambito politico.
Abbiamo già detto che il mondo è cambiato da Bretton Woods, cioè da quando queste istituzioni sono state create. È profondamente cambiato lo scenario internazionale e ci sembra che come vengono oggi doverosamente sottolineati gli obiettivi dei cosiddetti global public goods, cioè dei beni pubblici globali che queste istituzioni devono garantire, così non è superfluo sottolineare l’urgenza della situazione internazionale che deve regolare anche i global public bads. Si tratta di terrorismo, di crimine, di droga, di commercio delle armi, di commercio illegale di organi e di persone, di tratta dei minori, e la lista sarebbe lunga. Noi pensiamo che così come è necessario garantire i beni pubblici, altrettanto è urgente e necessario regolare le cattiverie (questa è la traduzione di bads) di cui si deve far carico la comunità internazionale, e quindi le sue istituzioni.
Ritengo poi che non si possa parlare di riforma delle istituzioni finanziarie internazionali senza prima e prioritariamente parlare di riforma delle Nazioni Unite. Proprio coerentemente con quanto dicevo prima, consideriamo vi sia un legame molto stretto tra la politica e i suoi strumenti. Ci pare che a tale riguardo la Conferenza di Monterrey abbia dato un chiaro segnale una prima volta, quando le Nazioni Unite hanno convocato al loro tavolo anche le istituzioni finanziarie internazionali: ci sembra una pista da non abbandonare. Ebbene, a nostro parere, occorre prima pensare ad una riforma delle Nazioni Unite, senza la quale è inutile o forse superfluo parlare di riforma degli strumenti finanziari delle stesse, vale a dire delle istituzioni finanziarie internazionali. A tale riguardo abbiamo pronta da tempo una risposta molto chiara: chiediamo che l’attuale ECOSOC venga progressivamente trasformato in un vero e proprio Consiglio di sicurezza per le questioni economiche e sociali. Bisognerebbe dare all’ECOSOC, cioè, poteri effettivi che somiglino a quelli del Consiglio di sicurezza, perché in ballo non sono solo le questioni politiche e di sicurezza ma sempre più anche le questioni sociali ed economiche. All’interno delle Nazioni Unite, probabilmente nell’ECOSOC trasformato, occorrerebbe dotarsi di un ambito che regolamenti e supervisioni anche questi aspetti.
A tale riguardo, per non tralasciare la costruzione dell’Unione europea, penso che questa possa giocare un ruolo propositivo rilevante. Si è parlato spesso di come riformare il sistema di votazione, che è una parte importantissima delle istituzioni internazionali e nel Trattato di Nizza l’Unione europea ha previsto un meccanismo estremamente interessante, che sostanzialmente non tocca il peso economico e il potere che gli Stati membri hanno all’interno dell’Unione, ma li contempera e li completa con la ponderazione di altri criteri, quali la popolazione e il numero degli Stati che fanno parte dell’istituzione. Si tratta di proposte interessanti che ci piacerebbe venissero intanto recepite dall’Unione europea e poi avanzate a suo nome all’interno delle istituzioni internazionali.
Comune alle istituzioni finanziarie internazionali è un problema di rappresentanza, di trasparenza, di accountability, nonché dell’esistenza di luoghi informali in cui nella sostanza si assumono decisioni che, invece, noi continuiamo a ritenere debbano essere prese in sedi formali. Mi riferisco a tutti quegli ambiti che sappiamo non hanno nulla a che vedere con gli atti costitutivi delle istituzioni internazionali, ma che sappiamo sono sempre consultati per risolvere i problemi che vengono sottratti alle sedi formali che devono sottostare a mandati statutari ben precisi. Pensiamo che per garantire rappresentanza, trasparenza, accountability, non informalità dei processi decisionali occorra mettere in atto – e ciò spetta al Parlamento – un sistema di monitoraggio molto più serrato nei confronti delle istituzioni finanziarie internazionali, consapevoli del fatto che un monitoraggio serio ha bisogno di una valutazione esterna e indipendente che riporti alla società civile e ai cittadini, di cui i Parlamenti e i Governi sono rappresentanze, i risultati delle valutazioni. Senza questo meccanismo sarà difficile convincere fasce sempre più ampie della società civile che di queste istituzioni internazionali abbiamo bisogno per governare la globalizzazione.
Penso che non si possa non prendere in considerazione oggi anche un’evoluzione delle istituzioni finanziarie internazionali verso un modello regionale. La sussidiarietà è un principio che si deve applicare anche a livello delle istituzioni internazionali: ci sono banche regionali, ci sono fondi e ci sono accordi che a livello regionale stanno sempre più acquisendo potere e dimostrando capacità operativa. Ci sembra quindi da considerare la possibilità che le istituzioni finanziarie internazionali siano composte anche da aggregazioni nazionali esistenti, di cui l’Unione europea è una ma non la sola, e che si facciano sempre più promotrici di banche, di fondi, di istituzioni finanziarie regionali.
Da ultimo – e concludo – c’è un problema, più che di legittimità, di mandato delle istituzioni finanziarie internazionali. Esse hanno progressivamente allargato il proprio mandato, mantenendo fondamentalmente una struttura e una composizione che non si sono evolute con i tempi. Faccio solo tre esempi che si riferiscono alle principali istituzioni. La Banca mondiale, se vuole garantire sviluppo, che è anche crescita economica, a nostro parere deve procedere ad una demitizzazione del mercato e della sua liberalizzazione e proporsi sempre più come un partner reale delle azioni di sviluppo, anche di quelle promosse dai Paesi poveri e da quelli in via di sviluppo. Rispetto al Fondo monetario, nato per gestire le crisi finanziarie internazionali, oggi si deve sempre più porre la questione di come prevenire queste crisi. Uno strumento finanziario come il Fondo dovrebbe prevedere nel proprio mandato una simile evoluzione e risposte tradotte nelle strutture e nei meccanismi di funzionamento.
Infine, vi è una terza organizzazione che mi sembra non sia stata ancora citata, anche se non so se si tratti propriamente di un’istituzione finanziaria internazionale: l’Organizzazione mondiale del commercio. Ci prepariamo alla Conferenza di Cancun che si terrà tra un anno, a settembre 2003, e ci sembra sia emblematico che un’organizzazione nata per regolamentare questioni commerciali abbia esteso il proprio mandato a questioni che, secondo me, nulla hanno a che vedere con il commercio; cito soltanto gli standard del lavoro, le questioni ambientali, i servizi, anche quelli fondamentali e di base, le proprietà intellettuali, e infine, le questioni relative all’agricoltura.
Pensiamo che l’estensione del mandato e delle competenze dell’Organizzazione mondiale del commercio sulle problematiche citate rappresenti il vero problema che oggi fa delle istituzioni finanziarie internazionali – per lo meno nella nostra percezione – più un ostacolo che un’opportunità da sfruttare per lo sviluppo di tutti e non solo di qualcuno.

PRESIDENTE. Sento il dovere di ringraziare tutti, lo faccio in maniera molto sincera, per la completezza e la qualità degli interventi. Mi aspettavo un’esposizione di livello e non sono stato deluso.
Evito di esprimere la mia personale posizione, perché non necessaria in questo momento.
Prima di lasciare spazio alle domande che i colleghi vorranno porre, mi permetto soltanto di informare che in questa Commissione si sta preparando il dibattito sul disegno di legge di riforma della cooperazione, che ha avuto – ahimè – una vita travagliata nella passata legislatura e che mi auguro possa averne una più facile ed una conclusione più felice nell’attuale. Debbo aggiungere che su questo nuovo disegno di legge, che rappresenta uno strumento certamente importante – non debbo certo spiegarvelo io – ci sono ampie convergenze, che vanno al di là delle posizioni politiche di maggioranza e di opposizione. Questa credo sia una premessa molto felice per un iter che, mi auguro, sia il più breve possibile.
Voglio ora rivolgere ai nostri ospiti una domanda molto semplice a cui, al contrario, non credo sarà facile rispondere. Ci siamo soffermati sui meccanismi da rivedere e sui problemi che il Parlamento dovrà affrontare per aiutare chi sta dall’altra parte. La mia domanda è la seguente: ritenete che la persistenza di alti tassi di natalità nei Paesi in via di sviluppo possa pregiudicare le possibilità di successo dei programmi di cooperazione?
E ancora. Sappiamo cosa deve fare – o almeno crediamo di saperlo – chi concede aiuti. Per poter concedere un aiuto efficace, quali ritenete siano le condizioni di base fondamentali affinché mezzi e risorse vengano utilizzati al meglio, ben sapendo (perché operiamo in realtà difficili come quelle del Terzo mondo e dell’Africa, in particolare) che vi sono una scarsa preparazione del management locale, una scarsa democrazia e un alto livello di corruzione?
Invito i colleghi che vogliono intervenire a prendere la parola, in modo da raccogliere le domande alle quali poi i nostri ospiti risponderanno in base alle singole competenze.

CORRADO (LP). Vi è una diffusa credenza secondo cui gli aiuti finanziari concessi in parte sarebbero destinati alla cooperazione, in parte finirebbero nei conti svizzeri dei vari Capi di Stato. Ciò è stato affermato anche dal ministro del tesoro americano ÒNeill in riferimento ai Paesi sudamericani; a maggior ragione ciò potrebbe quindi valere per Paesi più arretrati, quali quelli africani.
La tesi di elargire doni (strade, autostrade, scuole, ospedali) non è campata in aria, anche se certamente preclude lo sviluppo intellettuale delle popolazioni beneficiarie. Effettivamente, in questa maniera si concedono risorse che non sapremmo fornire altrimenti. Ad esempio, si è fatto cenno al Mozambico, al quale mi sembra di aver capito è stato cancellato un debito di più di 500 milioni di dollari, una cifra notevole quindi. Mi chiedo se siano state effettuate opere per 500 milioni di dollari, o se invece ne siano stati utilizzati soltanto 50 o 100 e gli altri siano spariti misteriosamente.
Sarebbe forse il caso di recarci sul luogo, in qualità di Commissione affari esteri del Senato, magari accompagnati da esperti, per controllare come sono stati spesi in Mozambico i 500 milioni di dollari condonati. Non credo sia necessario essere dei geni per capire se questi soldi siano stati spesi bene oppure no.

MARTONE (Verdi-U). Vorrei ringraziare il senatore Corrado perché, in effetti, ha introdotto uno dei punti sui quali volevo richiamare l’attenzione e chiedere un consiglio ai nostri ospiti, che ringrazio per la qualità dei loro interventi, anche perché in Commissione per noi è molto importante avere occasione di verificare il lavoro che stiamo svolgendo rispetto alle aspettative e alle elaborazioni della società civile.
Il senatore Corrado ha fatto cenno ad una questione fondamentale che riguarda il lavoro che a livello internazionale deve essere svolto per superare i limiti dell’approccio attuale al debito estero, ovverosia comprendere quali sono le modalità di verifica dell’indebitamento di un Paese, effettuare un processo di auditing finanziario del debito.
Ci troviamo di fronte, ad esempio, al caso del Mozambico e a 500 milioni di dollari che dovrebbero essere utilizzati, mi sembra, per la costruzione della diga di Cahora Bassa. Sarebbe in effetti opportuno ed importante per noi comprendere se quel debito debba essere rimesso in toto al Paese o se sia collegato ad un progetto minato da corruzione oppure da una cattiva performance finanziaria o di sviluppo.
Chiedo quindi ai nostri ospiti come la necessità di un monitoraggio pubblico del debito possa essere inserita nell’indirizzo del Parlamento italiano rispetto alla qualità dei prestiti e degli interventi delle istituzioni finanziarie e rispetto alla proposta di una procedura di arbitrato e di insolvenza internazionale per quanto riguarda il debito. Infatti l’auditing e la capacità di effettuare una valutazione sistematica della composizione del debito può permettere di definire quali sono i creditori privilegiati e come andare avanti nella procedura di insolvenza.
In secondo luogo mi interessa comprendere più a fondo la questione della trasformazione antidemocratica del mandato delle istituzioni finanziarie internazionali, fondate per finalità diverse e che via via si sono trasformate senza che a tale processo abbiano partecipato i Parlamenti nazionali. Mi interesserebbe comprendere quale è l’interazione che esiste oggi tra Banca, Fondo monetario e agenda dell’Organizzazione mondiale del commercio, poiché sono preoccupato quanto i nostri ospiti per questo allargamento a dismisura del mandato.
Come terzo ed ultimo aspetto (ma non meno importante), ricordo che dovremmo finanziare con due miliardi di euro la Poverty Reduction and Growth Facility. In questa Commissione abbiamo svolto un dibattito sul Fondo monetario internazionale, che poi abbiamo riportato in Aula proprio perché fosse pubblico e chiaro. Vorrei sapere quali sono le due raccomandazioni che, secondo voi, la nostra Commissione dovrebbe formulare affinché quei soldi vengano utilizzati nel modo più adeguato.

PRESIDENTE. Chiedo ai gentili ospiti di dare risposte brevi, nei limiti del possibile, perché ci sono i tempi imposti dai lavori dell’Assemblea, che non si possono differire.

MARELLI. Intendo rispondere al senatore Corrado, ma anche ad altri senatori, relativamente alla corruzione, alle condizionalità, al buon fine degli aiuti. Rispondo con un flash, rimanendo comunque disponibile ad approfondire la questione, perché si tratta di un discorso molto più complesso di quello che si può svolgere in pochi secondi.
La nostra esperienza trentennale, che non è scevra da errori (quindi, non siamo sicuramente tacciabili di ingenuità), ci porta a ritenere seriamente che l’unico modo per affrontare la situazione sia quello di favorire la partecipazione, in particolare della società civile. Con ciò non si vuole minimamente intendere – voglio essere chiaro – di bypassare i Governi; evidentemente, in alcuni Governi c’è un problema di deficit democrazia, ma non ritengo che si possa ipotizzare lo sviluppo di un popolo e di un Paese senza fare i conti con il suo Governo, qualunque esso sia. Anche nel caso paradossale di Governi non democratici, si devono fare i conti proprio con una situazione di Governi non rappresentativi della società civile. Questo problema è collegato all’argomento in discussione oggi, perché la supposta rappresentatività degli attuali membri delle istituzioni finanziarie internazionali è forse da verificare più nel dettaglio.
In secondo luogo, vorrei rispondere alla domanda che c’è stata rivolta dal senatore Martone. La scarsa chiarezza delle interazioni delle agende dei diversi soggetti istituzionali internazionali rappresenta il motivo di fondo per cui chiediamo un ECOSOC trasformato in un Consiglio di sicurezza per gli affari economici e sociali, ovvero un ambito internazionale che sappia definire le priorità e, quindi, i vincoli di subordinazione istituzionali e delle agende dei diversi ambiti internazionali.

PRESIDENTE. Potreste rispondermi anche in ordine agli indici di natalità e alle possibilità di sviluppo?

MORO. Signor Presidente, rispondo da economista. Senza voler mancare di cortesia, non mi sento di rispondere perché non c’è tempo sufficiente per affrontare un tema così ampio. Mi limito a dire, senza spiegare il motivo per cui ciò avviene, dal momento che sono valide mille interpretazioni, che normalmente dall’analisi dei dati quantitativi si evince che il tasso di fertilità delle donne si riduce con il crescere del loro benessere economico. Senza svolgere alcuna considerazione nel merito, ciò potrebbe anche farci pensare – o sperare – che se le condizioni miglioreranno, forse anche il peso di una natalità eccessiva (come sembra da intendersi la domanda posta dal Presidente) diventerà un po’ meno oneroso. Il tema, però, è davvero troppo ampio per riuscire a sintetizzare una risposta in una battuta.
Approfitto dell’occasione per fornire una risposta flash allo stimolo del senatore Corrado. Sono assolutamente d’accordo sul fatto che c’è un problema di accountability dei Governi locali, come ha sottolineato il dottor Marelli.

PRESIDENTE. Potremmo parlare di affidabilità.

MORO. Sì, è corretto. Non si tratta tanto di capire se i doni sono più efficaci per evitare tale problema o se lo sono i prestiti. In teoria, anche per i doni, nel momento in cui si dà del denaro senza chiedere che venga restituito...

CORRADO (LP). Mi riferivo ad opere civili, non a denaro.

MORO. Sarebbe, però, una cosa diversa. In questo caso, in sede IDA non si propone di donare opere civili (cioè opere reali), ma denaro a dono, da non rimborsare. Questa è la differenza.
È vero, dunque, che il problema esiste da questo punto di vista; si tratta, però, di garantire comunque un complesso di strumenti affidabili. In questo senso, quanto maggiori sono la partecipazione ed il coinvolgimento della società civile, tanto più aumenta la trasparenza dei processi e tanto più siamo tranquilli, o relativamente meno preoccupati, che possano esserci utilizzazioni non positive dei soldi.
“Chi si loda si imbroda”, ma voglio sottolineare che, in collaborazione con lo Stato italiano, stiamo ponendo in essere una partnership sulla gestione della conversione del debito della Guinea. Oltre ai denari del Governo locale (che non devono più essere pagati al Governo italiano in ragione della cancellazione e, pertanto, verranno messi in un fondo ad hoc), si aggiungeranno i denari raccolti durante la campagna giubilare per la richiesta di cancellazione del debito. La somma delle due risorse – che ammonta a 7,5 milioni di euro – verrà amministrata in partnership da un comitato, in cui vi sarà un nostro rappresentante, uno del Governo locale e tre rappresentanti della società civile locale.
È un modo concreto che stiamo sperimentando per garantire un percorso trasparente ed un uso efficace del denaro.

PRESIDENTE. Mi spiace molto dover interrompere questa interessantissima audizione: continueremmo volentieri, ma l’imminente inizio dei lavori dell’Aula non ce lo consente. Non è detto, però, che non avremo un’altra occasione; anzi vi chiedo formalmente di contribuire alla predisposizione del nuovo provvedimento che stiamo elaborando sulla cooperazione, con suggerimenti e quant’altro riterrete opportuno. Siamo aperti a qualunque contributo.

MORO. Mi permetto, signor Presidente, di sottolineare la preoccupazione grande e diffusa in tutti i settori della società civile italiana che si occupano di questi argomenti per la modifica della legge n. 209 del 2000, relativa alla cancellazione del debito, prevista nel disegno di legge finanziaria. Chiedo anch’io, quindi, che ci si possa occupare della questione.

PRESIDENTE. Ne abbiamo doverosamente preso nota.
Ringrazio gli auditi per l’importante contributo fornito e dichiaro conclusa l’audizione.
Il seguito dell’indagine conoscitiva è rinviato ad altra seduta.

I lavori terminano alle ore 16,30.

Licenziato per la stampa dall’Ufficio dei Resoconti

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