AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE (3ª)

GIOVEDÌ 11 NOVEMBRE 2004
210ª Seduta

Presidenza del Presidente
PROVERA
indi del Vice Presidente
Franco DANIELI


Intervengono, ai sensi dell'articolo 144-quater, comma 1, del Regolamento, i parlamentari europei Elmar Brok, Claudio Giovanni Fava, Jas Gawronski, Armin Laschet e Luisa Morgantini.

La seduta inizia alle ore 15,30.


PROCEDURE INFORMATIVE
Audizione, ai sensi dell’articolo 144-quater, comma 1, del Regolamento del Senato, di una delegazione della Commissione affari esteri del Parlamento europeo sulla riforma dell’ONU.

Il presidente della Commissione affari esteri del Parlamento europeo Elmar BROK interviene a fornire informazioni sulla risoluzione del Parlamento europeo n. 2003/2049.

Ha quindi la parola il membro del Parlamento europeo Armin LASCHET per svolgere alcune considerazioni sulla medesima risoluzione di cui è stato relatore.

Intervengono poi i senatori Franco DANIELI (Mar-DL-U) , ANDREOTTI (Aut) , MANZELLA (DS-U) , PROVERA (LP) e TONINI (DS-U) , i parlamentari europei GAWRONSKI e FAVA ponendo quesiti e formulando osservazioni.

In seguito alle brevi repliche del presidente BROK e di Armin LASCHET, interviene Luisa MORGANTINI, membro del Parlamento europeo.

Il presidente Franco DANIELI (Mar-DL-U) ringrazia, quindi, tutti gli intervenuti e dichiara conclusa la seduta.

La seduta termina alle ore 16.55.
BOZZA NON CORRETTA
2
Servizio dei resoconti e della comunicazione istituzionale – Ufficio dei resoconti

BOZZA NON CORRETTA
SENATO DELLA REPUBBLICA
----------------------------XIV LEGISLATURA-----------------------

SERVIZIO DEI RESOCONTI E DELLA COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE

3a COMMISSIONE PERMANENTE
(Affari esteri, emigrazione)

AUDIZIONE, AI SENSI DELL’ARTICOLO 144-QUATER, COMMA 1, DEL REGOLAMENTO DEL SENATO
SULLA RIFORMA DELL’ONU

36° Resoconto stenografico
SEDUTA DI GIOVEDÌ 11 NOVEMBRE 2004
Presidenza del presidente PROVERA,
indi del vice presidente Franco DANIELI

UE 1329
I testi contenuti nel presente fascicolo – che anticipa a uso interno l’edizione del resoconto stenografico – non sono stati rivisti dagli oratori

I N D I C E
Audizione di una delegazione della Commissione esteri
del Parlamento europeo

        PRESIDENTE:
        - DANIELI Franco (Mar-DL-U)
        - PROVERA (LP)
        ANDREOTTI (Aut)
        DANIELI Franco (Mar-DL-U)
        MANZELLA (DS-U)
        TAVIANI (Mar-DL-U)
        TONINI (DS-U)
        BROK
        FAVA
        GAWRONSKI
        LASCHET
        MORGANTINI












Sigle dei Gruppi parlamentari del Senato della Repubblica: Alleanza Nazionale: AN; Democratici di Sinistra-l'Ulivo: DS-U; Forza Italia: FI; Lega Padana: LP; Margherita-DL-l'Ulivo: Mar-DL-U; Per le Autonomie: Aut; Unione Democristiana e di Centro: UDC; Verdi-l'Ulivo: Verdi-U; Misto: Misto; Misto-Comunisti Italiani: Misto-Com; Misto-Lega per l'Autonomia lombarda: Misto-LAL; Misto-Libertà e giustizia per l'Ulivo: Misto-LGU; Misto-MSI-Fiamma Tricolore: Misto-MSI-Fiamma; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI; Misto-Partito Repubblicano Italiano: Misto-PRI; Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC; Misto-Socialisti democratici Italiani-SDI: Misto-SDI; Misto Popolari-Udeur: Misto-Pop-Udeur.



Intervengono gli onorevoli Elmar Brok, Armin Laschet, rispettivamente Presidente e membro della Commissione affari esteri del Parlamento europeo, e gli onorevoli Giovanni Claudio Fava, Jas Gawronski e Luisa Morgantini.

Presidenza del presidente PROVERA

I lavori hanno inizio alle ore 15,30.

PROCEDURE INFORMATIVE
Audizione di una delegazione della Commissione affari esteri del Parlamento europeo sulla riforma dell’ONU

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’audizione, ai sensi dell’articolo 144-quater, comma 1, del Regolamento, di una delegazione della Commissione affari esteri del Parlamento europeo sulla riforma dell’ONU.
Comunico che, ai sensi dell’articolo 33, comma 4, del Regolamento, è stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo e che la Presidenza del Senato ha già preventivamente fatto conoscere il proprio assenso. Se non si fanno osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
Anche a nome della Commissione, ringrazio il presidente Brok e l’onorevole Laschet per la disponibilità che hanno dimostrato accogliendo il nostro invito. Ringrazio altresì i parlamentari europei presenti a questa audizione.
Abbiamo già avuto modo di avere un primo scambio di idee riguardo ad alcuni temi dell'attività internazionale, ma vorrei focalizzare l'attenzione soprattutto sulla risoluzione del Parlamento europeo sulle relazioni tra l'Unione Europea e l'Organizzazione delle Nazioni Unite, approvata nel gennaio scorso, il cui relatore è stato l'onorevole Laschet. Già a marzo abbiamo avuto modo di affrontare questo tema che ci è sembrato particolarmente significativo. Ci pare oggi particolarmente preziosa l'opportunità di ascoltare direttamente dal presidente Brok un'opinione sulla riforma dell’ONU e sugli altri temi che egli vorrà trattare.
Ringrazio ancora il presidente Brok, al quale cedo immediatamente la parola.

BROK. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio per l'opportunità che con questo incontro ci è stata offerta per affrontare questioni di importanza strutturale che ci vedranno impegnati nei prossimi mesi e nei prossimi anni. Il collega Laschet, che è stato relatore sulle relazioni tra l’Unione Europea e l’Organizzazione delle Nazioni Unite, dopo di me aggiungerà alcune osservazioni.
Innanzi tutto vorrei fare qualche premessa. Per quanto riguarda il dibattito sulla guerra in Iraq, ritengo importante che si possa assicurare, proprio alla luce di questi ultimi eventi, un multilateralismo ragionevole. Solo il multilateralismo infatti potrà essere accettabile per tutte le regioni e per tutti i popoli. Vi sono molte ragioni a sostegno di tale orientamento. Le Nazioni Unite rappresentano un forum decisivo del multilateralismo di cui parlo, ma ritengo che proprio le Nazioni Unite abbiano bisogno di essere rafforzate nella loro struttura affinché, in relazione ai loro compiti e alla loro composizione, possano avere un maggiore grado di accettabilità.
Ciò riguarda anche il processo decisionale, affinché l'ONU possa assumere decisioni e possa essere in grado di agire. Non serve, infatti, avere un'organizzazione internazionale senza un'adeguata capacità di agire; è negativo, inoltre, che nelle regioni in crisi non si abbia l'impressione di potersi fidare delle Nazioni Unite. A tale proposito, vi è un esempio antico che conosciamo bene. L’Organizzazione delle Nazioni Unite quarant’anni fa, durante la guerra di Yom Kippur, le Nazioni Unite non ha suscitato sufficiente fiducia nelle parti in conflitto. Ebbene, dobbiamo fare in modo che in futuro non si ripetano simili esperienze e sia possibile fare affidamento sulle decisioni dell'ONU proprio perché sappiamo che le sue posizioni possono essere interpretate. Ritengo che questo aspetto, così come quello della riforma della composizione e delle procedure decisionali, sia molto rilevante.
Permettetemi di aggiungere, in questa fase del dibattito, qualche considerazione più concreta in relazione alla composizione del Consiglio di sicurezza. Per quanto riguarda i membri permanenti, l'attuale composizione rappresenta una fotografia della situazione del 1945, che ovviamente non riflette più quella odierna. Si è sviluppato pertanto un dibattito sulla nuova organizzazione, sulla composizione del Consiglio di sicurezza e su come prevedere membri permanenti, non permanenti, aggiuntivi. E' certamente vero che per la legittimazione delle Nazioni Unite è importante il fatto che vi sia una rappresentanza dell'America Latina, dell'Africa e dell'Asia, così come è certamente giusto che vi sia, accanto a questi continenti, anche l'Europa. Sappiamo, inoltre, che da molti anni si stanno svolgendo discussioni molto interessanti sul tema. I nostri due Paesi, però, non hanno una posizione che si può definire comune; anzi potremmo affermare che essa è piuttosto contrastante. Ritengo importante, comunque, che si faccia in modo di ottenere un seggio per l'Europa.
Sullo sfondo c'è anche il Trattato per la Costituzione europea sottoscritto a Roma. Questa Costituzione getta le basi per una politica estera e di sicurezza comune e spiana la strada all'introduzione della figura del Ministro degli esteri europeo. Forse tale figura sarebbe un po' indebolita se vi fosse una posizione contraria. Pertanto, se si intende portare avanti questa politica e se nella Costituzione è scritto che tutti i Paesi membri devono impegnarsi a favore di una posizione comune (tra l'altro, il portavoce di questa politica potrebbe contare su una struttura diplomatica), dobbiamo fare in modo che il seggio venga attribuito all'Unione Europea. Forse avremo difficoltà con la Francia e la Gran Bretagna, ma questi due Paesi, a mio avviso, possono senz'altro mantenere un seggio e la loro permanenza non è un punto controverso in questo momento. Non si tratta di un aut aut, si possono semplicemente aggiungere ulteriori membri. Questo potrebbe essere un motivo molto importante per fare in modo che la riforma delle Nazioni Unite sia una spinta anche verso la riforma dell'Europa. Se avremo un servizio diplomatico europeo, sussisterà anche un vincolo per i Paesi europei ad adeguare le loro politiche. Non si tratta quindi soltanto di una questione di rappresentanza dell'Europa all'interno delle Nazioni Unite, questo seggio potrebbe essere anche uno strumento di integrazione della politica europea. Concludo affermando di ritenermi apolide in relazione a questa questione e quindi favorevole al seggio europeo.

LASCHET. Signor Presidente, ripeterò ancora una volta qual è la nostra posizione, anche con esemplificazioni concrete. Nelle istituzioni europee in passato non abbiamo avuto praticamente alcun dibattito sul rapporto tra le Nazioni Unite e l'Europa: la relazione della Commissione esteri del Parlamento europeo depositata nel dicembre 2003 ha rappresentato una novità. Vi è stata una presa di posizione della Commissione e quindi un inizio di discussione; per quanto riguarda i rapporti con le Nazioni Unite si è instaurato un dialogo politico. Ricordo che i Paesi europei contribuiscono per il 60 per cento al bilancio delle Nazioni Unite, ma questo contributo non corrisponde al nostro ruolo all'interno di quell’Organizzazione. Con la nostra relazione si è cercato di spostare l'attenzione sul dialogo istituzionale a tutti i livelli - anche a livello dei funzionari - tra l'ONU da una parte e il Parlamento e la Commissione europea dall'altro. Ciò è necessario perché occorre migliorare la conoscenza reciproca tra i vari livelli quale primo passo per attribuire un maggiore peso alle relazioni tra le due organizzazioni.
Quanto alla questione sollevata dall’onorevole Brok, si tratta in realtà di uno sviluppo consequenziale all'approvazione della Costituzione europea. A questo punto l'Unione Europea ha personalità giuridica e può essere rappresentata, ad esempio, alla FAO. Abbiamo un ufficio a New York con un ambasciatore; sia la Commissione sia il Consiglio hanno una propria rappresentanza. Al di fuori dell'Europa la frammentazione della rappresentanza europea è poco comprensibile, soprattutto quando si tratta di finanziamenti; ci si deve rivolgere a istituzioni diverse, al Parlamento o al Consiglio ad esempio, a seconda dell'obiettivo che si vuole raggiungere. Ora, avendo approvato la Costituzione europea, l'Unione acquisisce personalità giuridica: avremo un Ministro degli esteri e vi sarà un'unica rappresentanza per gli affari esteri dell'Unione Europea. È quindi sensato un seggio per l'Unione occupato dal Ministro degli esteri europeo.
Quanto alla questione della rappresentanza, il continente africano e l'America Latina non sono rappresentati, mentre l'Asia è rappresentata dalla Cina. L'ambasciatore francese a New York ha affermato recentemente che la rappresentanza non è poi tanto importante: la Chiesa cattolica è stata governata per quattrocento anni da italiani, non vi è stata alcuna diversificazione nella rappresentanza, eppure abbiamo convissuto ugualmente con questa situazione. Non è certamente questo un metodo di organizzazione dei rapporti internazionali nel XXI secolo, ma avremmo bisogno di due seggi per il continente africano, uno per l'Africa nera, al sud dell'Equatore, e l’altro che rappresenti il mondo islamico. È un dettaglio, ma non corrisponde alla realtà dei tempi la richiesta di un seggio nazionale.
Il Parlamento europeo propone un seggio europeo. A questo punto il Consiglio di sicurezza dovrebbe avere nove membri e, per impedire una decisione, sarebbe necessario un doppio veto. Questa è la nostra posizione. Sarà ovviamente necessario svolgere un'intensa opera di convincimento. All'inizio di dicembre avremo il parere del Panel e le stesse Nazioni Unite ci hanno chiesto che a gennaio e febbraio si svolga un intenso dibattito nei Parlamenti nazionali e nel Parlamento europeo affinché il Segretario generale possa presentare in marzo le sue proposte per concludere tutto il processo di riforma. Penso che si debba utilizzare questa possibilità. In primavera, ci sarà anche un intervento del Vice segretario generale dell'ONU presso la Commissione affari esteri del Parlamento europeo e penso che anche il Senato e la Camera italiani dovrebbero discutere dell'argomento in questi mesi.

PRESIDENTE. Ringrazio per i contributi forniti.
Vorrei sottolineare che è la prima volta in questa legislatura che ha luogo una seduta che vede la presenza di parlamentari nazionali e parlamentari europei. A tale proposito saluto il collega Jas Gawronski, che rappresenta il Gruppo del partito popolare europeo, e il collega Fava, che rappresenta il Gruppo socialista. Do la parola ai colleghi che intendano formulare domande.

DANIELI Franco (MAR-DL-U). Signor Presidente, ringrazio i colleghi perché questa è per noi un'importante occasione di discussione. Esprimo innanzi tutto condivisione per il metodo dell'integrazione e del confronto tra la dimensione dei Parlamenti nazionali e il Parlamento europeo. Questo è uno dei temi all'attenzione del Parlamento europeo e credo sia utile lavorare in questa direzione.
Esprimo anche soddisfazione profonda per le parole ascoltate, che mi paiono prima di tutto parole di buon senso e di grande ragionevolezza, espresse da chi incarna in maniera compiuta un ruolo istituzionale nel Parlamento europeo. Nelle parole del Presidente della Commissione affari esteri ritrovo totalmente espressa la mia opinione di ciò che deve essere l'Unione Europea.
Io e la mia parte politica lavoriamo affinché ci sia una dimensione politica unitaria dell’Unione Europea, come soggetto che abbia un proprio ruolo sullo scenario internazionale. È evidente che se vogliamo lavorare per questo salto di qualità c’è bisogno di coerenza globale su tutti gli aspetti. Non ci può essere un’Europa à la carte, per cui va bene la dimensione unitaria quando fa comodo e invece tornano gli interessi dello Stato o degli Stati-Nazione quando ci sono altri elementi. Credo sia necessario avere una linea di condotta coerente su tutti gli aspetti.
Uno dei temi essenziali è quello del rapporto tra Unione Europea e Organizzazione delle Nazioni Unite. Mi riferisco - ovviamente - al tema della riforma dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e del suo Consiglio di sicurezza.
Non mi prolungo oltre. Mi pare evidente che, se devono prevalere logiche quali quelle espresse recentemente dal Giappone per bocca del suo Primo Ministro in maniera anche piuttosto netta (diamo una grande quantità di denaro alle Nazioni Unite, quindi esigiamo un posto nel Consiglio di sicurezza), la dimensione politica comunitaria dell’Unione non farà un passo avanti. A quel punto anch’io, che oggi faccio parte dell’opposizione, potrei tornare a ragionare secondo logiche dalle quali vorrei invece distaccarmi, tipiche dell’interesse nazionale, e dire: abbiamo fatto male a inviare i militari italiani in Iraq, ma comunque quella presenza militare costa 700 milioni di euro all’anno. La mia scelta potrebbe essere quella di ritirare i soldati italiani e di trasferire quei 700 milioni di euro l’anno all’ONU, mettendo a quel punto sul piatto anche la dimensione economica. Tuttavia così facendo non andiamo da nessuna parte, mentre dobbiamo lavorare in una dimensione politica dell’Unione Europea. È per questo che esprimo apprezzamento per le parole che ho sentito qui.

ANDREOTTI (Aut). Signor Presidente, credo che un dibattito approfondito forse potrà essere svolto tra qualche settimana, quando avremo conoscenza dei risultati del Panel, anche se ce n’è stato già uno nel passato che fece alcune proposte.
Le Nazioni Unite, a mio avviso, hanno grande importanza per le loro Agenzie (l’UNICEF, l’Agenzia per la popolazione), che hanno esercitato un ruolo importante. Si può condividere in tutto o in parte l’azione delle Nazioni Unite, ma hanno la loro importanza, non come elemento di guida politica, che invece è stato assolutamente un disastro, se togliamo il momento della guerra del Golfo, quando veramente l’ONU è potuta intervenire. Probabilmente Saddam Hussein pensava che, come sempre, le Nazioni Unite avrebbero approvato una bella risoluzione che contenesse deplorazioni e condanne, ma poi non sarebbe successo niente. In questi giorni si parla molto di Palestina, ma se le decisioni delle Nazioni Unite fossero state rispettate il problema della Palestina sarebbe già chiuso da alcuni decenni.
In queste condizioni, nel quadro attuale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, penso che parlare di un ampliamento del Consiglio di sicurezza non sia politicamente efficace. Si può prevedere il doppio veto, ma secondo me, posto che sia possibile, bisogna trovare un meccanismo che funzioni e se in cinquant’anni non lo si è trovato non è per cattiva volontà, ma per difficoltà obiettive. Si sono viste già le difficoltà di un meccanismo che preveda una rappresentanza continentale, a cominciare dall’Asia, e giustamente è stato ricordato che l’Africa non può essere rappresentata da un solo seggio.
Per quanto concerne più strettamente l’Unione Europea, parliamoci chiaro: già a Maastricht abbiamo preso un impegno probabilmente romantico, quello della politica estera e di sicurezza comune. Forse avremmo dovuto accontentarci di puntare sulla convergenza progressiva delle politiche estere e di sicurezza. Come abbiamo preso un impegno in materia di bilanci, per cui non si può andare oltre un certo livello del deficit, così, se fosse stato possibile, avremmo dovuto fare per la politica estera, ma vi abbiamo rinunciato. Adesso nella Costituzione è ripetuto il riferimento alla politica estera comune. Sinceramente ritengo, non per scetticismo, ma almeno in prospettiva, che il Ministro degli esteri della Comunità avrebbe importanza se non fosse il ventiseiesimo Ministro degli esteri dell’Unione, ma “il” Ministro degli esteri. In caso contrario, accadrebbe come nella Chiesa cattolica, dove ci sono vescovi titolari di sedi come Trebisonda che non contano niente, sono solo delle etichette.
È possibile pensare, invece, a qualcosa di più concreto. Ad esempio, reputerei negativo se avessimo un ampliamento del Consiglio di sicurezza, con l’ingresso di un rappresentante dell’Unione Europea, e contemporaneamente rimanessero i seggi per Francia e Gran Bretagna. Sarebbe un pasticcio, non credo che possa essere un obiettivo; realisticamente ci trovo delle difficoltà.
Aspettiamo di vedere i risultati del Panel, augurandomi che ci diano dei suggerimenti, qualche idea nuova.
Vorrei fare un’ultima raccomandazione. Vorrei che il Ministro degli esteri dell’Unione si prefiggesse l’obiettivo di far camminare l’Organizzazione della sicurezza e cooperazione europea, lavorando affinché sia reso effettivo quello strumento che penso sia stato e sia importantissimo, perché è l’unico legame che abbiamo con gli Stati Uniti d’America e con il Canada, ma è uno strumento dormiente. L’unico organo che funziona è l’Assemblea parlamentare, perché gli americani vi partecipano, mentre non partecipano più all’Unione interparlamentare e ad altri organismi. Sarebbe un’occasione per affidare un compito concreto a questo ventiseiesimo Ministro degli esteri in attesa che, nel quadro della riforma, possa assumere un ruolo contemporaneamente al ridimensionamento delle politiche estere e di sicurezza nazionali.

MANZELLA (DS-U). Anch’io, come il presidente Andreotti, credo che per porre su una base concreta la nostra discussione sia necessario attendere le conclusioni del Panel. Tuttavia il rapporto del Parlamento Europeo, anche per la sua originalità, è assai rilevante, anzi direi che contiene più carne al fuoco di quella che potrebbe essere commestibile e eccellenti idee, come quella della rete di Assemblee elettive dai Parlamenti nazionali, al Parlamento europeo, all’Assemblea dell’ONU, per fare dell’ONU non già un organismo burocratico, ma qualcosa di vitale e di democratico.
Proprio per questo vorrei rivolgere qualche breve domanda ai nostri amici, in particolare al presidente Brok.
Credo che siamo vincolati, nel Trattato esistente e in quello relativo alla Costituzione europea che si sta per ratificare, a vedere con favore un seggio europeo al Consiglio di sicurezza dell’ONU. Tuttavia credo che questa idea, per avere successo in sede ONU, e quindi in sede mondiale, non debba essere eurocentrica bensì modellarsi un po’ su quella che si va prospettando come la governance globale del mondo, cioè sulle organizzazioni regionali. Allora la prima cosa da chiedere è: lo Statuto dell’ONU è adeguato quando stabilisce che membri dell’ONU sono solo gli Stati nazionali? È ancora adeguata questa idea di governance, oppure nello Statuto dell’ONU deve entrare non più l’idea geografica dei continenti, bensì l’idea insieme giuridica e geografica delle regioni multistatali del mondo? Io dico che il nostro ragionamento avrebbe molto più successo se pensassimo di assegnare un seggio all’Unione Europea, ma anche al MERCOSUR, al NAFTA, all’ASEAN, cioè a regioni multistatali che, seppure non sviluppate nei loro rapporti come l’Unione Europea, tuttavia rappresentano istituzionalmente, giuridicamente e politicamente un superamento dello Stato nazionale. È necessario cominciare da questo elemento di base. Dobbiamo incidere sullo Statuto dell’ONU che stabilisce che sono membri dell’Organizzazione gli Stati nazionali. Vorrei conoscere la vostra opinione su questo punto.
Seconda domanda. Ho visto che nella relazione della Commissione esteri del Parlamento europeo si parla di partnership Unione Europea-ONU, idea che mi pare un po’ bizzarra. L’Unione Europea rispetto all’ONU non è un partner: può essere o un’articolazione dell’ONU (secondo il concetto di membri regionali e non già di membri solo nazionali) oppure uno strumento dell’ONU, ma non un partner. Anche al riguardo vorrei sentire la vostra opinione.
Ancora. Dobbiamo essere piuttosto realistici sulla situazione attuale. Già il presidente Andreotti ha fatto riferimento al Ministro degli esteri europeo come al ventiseiesimo Ministro degli esteri dell’Unione; magari si potrebbero cercare formule di cui siamo esperti in Italia. La mia domanda però è questa: dal punto di vista del Parlamento europeo ritenete che siano possibili anticipazioni costituzionali? C’è qualche passo della relazione che dice di aspettare la ratifica della Costituzione europea. Benissimo, però il Consiglio europeo ha già fatto qualche anticipazione per quanto riguarda la clausola di revisione costituzionale, tirandola un po’ fuori dal Trattato. Allora, è possibile tirare fuori dal Trattato l’idea di un Ministro degli esteri europeo o assecondare la proposta contenuta nella relazione - che giudico eccellente - di delegazioni diplomatiche comuni?
Da ultimo, visto che i tedeschi non sono d’accordo con i tedeschi, siamo proprio sicuri che il disegno della Germania, di avere un seggio al Consiglio europeo, sia meramente nazionalistico o non sia piuttosto un disegno in qualche modo europeo, nel senso di raggiungere nel Consiglio di sicurezza dell’ONU Francia e Gran Bretagna e creare lì, in quella sede, una specie di direttorio europeo? Per noi italiani andrebbe malissimo, andrebbe peggio, ma siccome siamo amici della verità vediamo anche questa faccia della medaglia.

GAWRONSKI. Vorrei ristabilire una verità storica. Il collega Laschet ha parlato di un inizio di dibattito sui rapporti tra Parlamento europeo e ONU; vorrei ricordare che negli anni Ottanta sono stato presidente della prima delegazione ufficiale del Parlamento europeo per i rapporti con l’ONU, che è durata due anni e mezzo e alla fine si è estinta perché mancavano i rapporti. Come ha detto il senatore Manzella, si tratta di due organismi diversi in cui i rapporti da pari a pari sono piuttosto complicati.
Mi auguro che questa nuova fase di rapporti possa dare risultati diversi, anche se con l’onorevole Laschet sono stato alle Nazioni Unite pochi giorni fa, dopo le elezioni americane, e l’impressione che ho tratto di questa Organizzazione (immagino anche che chi venga al Parlamento europeo veda confusione, poca efficienza magari) è stata un senso di vecchiaia, di stantio, di mancanza di energia. Ho provato questa sensazione in maniera molto forte. Sono stato corrispondente dalle Nazioni Unite per tanti anni e devo dire che allora sembrava un organismo più vivace, mentre adesso dà veramente l’impressione di una grande organizzazione senza iniziativa. Speriamo che la mia sia solo un’impressione.
Nei colloqui che abbiamo avuto - l’onorevole Laschet ne ha avuti più di me e forse potrà confermare questa impressione - l’ipotesi di un seggio europeo al Consiglio di sicurezza è dibattuta ma con poca attualità, direi, con molta meno convinzione di quanto sia invece discussa l’ipotesi di un seggio tedesco al Consiglio di sicurezza. Ho notato che gli amici tedeschi non hanno molto menzionato questa possibilità ma, come diceva il senatore Manzella, diciamoci la verità: questa evenienza è quella che mi sembra più probabile o meno improbabile rispetto a un seggio europeo.
La domanda che rivolgo ai colleghi tedeschi è questa: c’è un’ipotesi che circola e che io ho sentito da pochi giorni; si tratta della proposta della Francia di inglobare nella propria rappresentanza dei diplomatici tedeschi. Poiché a proposito del servizio diplomatico europeo si parlava di rappresentanza mista, questa è un’idea che segue un po’ quella linea, l’idea di fare una specie di sharing, di condivisione del seggio tra Francia e Germania. A quanto so i tedeschi non hanno accettato tale proposta, dal loro punto di vista giustamente, perché accettandola avrebbero senz’altro indebolito la loro richiesta di un seggio permanente. Tuttavia, se si vuole parlare di seggio europeo, vista la difficoltà di crearlo ex novo, forse la strada di cominciare a condividere con altre Nazioni i seggi già esistenti potrebbe essere utile.

PRESIDENTE. Vorrei brevemente riferirmi all’intervento dell’onorevole Gawronski, che ha parlato di uno scarso entusiasmo dell’ONU per l’ipotesi di un seggio europeo. Questo scarso entusiasmo non può dipendere dal fatto che si immagina che un seggio europeo non possa esprimere in concreto una volontà europea unica?
Gli esempi che abbiamo avuto alcuni mesi fa non confortano. Non credo che l’approvazione della Costituzione europea - e quindi una nuova veste giuridica dell’Unione - comporti automaticamente un’unica politica estera e di difesa. Dare per scontato che a questo presupposto consegua l’unicità della politica estera mi sembra azzardato, anche alla luce - ripeto - dei fatti che abbiamo vissuto. Le posizioni assunte rispetto alla guerra in Iraq sono state drammaticamente diverse, non ci sono state sfumature o nuances. E proprio alla luce di quanto è successo, se mi permettono i nostri amici tedeschi, mi sembra veramente antistorico riproporre uno Stato Nazione come membro permanente. È veramente andare contro la storia. È difficile costruire un seggio unico che esprima la volontà europea, ma è altrettanto difficile e assolutamente antistorico pensare che la Germania possa entrare come membro permanente nel Consiglio di sicurezza, creando quello squilibrio di rappresentanza che tutti conosciamo.
Gradirei una vostra osservazione al riguardo.

FAVA. Signor Presidente, non mi sembra un caso che il rapporto Laschet abbia ricevuto nell’Aula del Parlamento europeo, quando lo abbiamo votato, un consenso quasi unanime da parte dei Gruppi politici, perché parte da alcune considerazioni che sono condivise da tutti, come dimostra il tono della discussione oggi, e parte anche da una considerazione amara, quella che ci suggeriva il collega Gawronski, vale a dire l’obsolescenza delle Nazioni Unite, la senilità non soltanto in termini umani e generazionali di un’istituzione che è rimasta l’ultimo feticcio sopravvissuto a Yalta. Dal 1945 ad oggi la Carta costitutiva delle Nazioni Unite ha subìto soltanto due riforme significative: quando i membri non permanenti furono elevati da sei a dieci e quando si decise che l’astensione non valeva come voto contrario. Da allora nulla è accaduto. Nel frattempo nel mondo si sono verificati alcuni fatti assai importanti: negli anni Sessanta la decolonizzazione, quando di fatto il pianeta disegnato da Yalta finì di esistere, nel 1989 la caduta del muro di Berlino e, aggiungo, nel 2004 un Trattato costituzionale per l’Unione europea che le attribuisce personalità giuridica e che rende l’Europa un soggetto politico a tutti gli effetti, al quale va affidato un ruolo politico significativo anche rispetto a una nuova idea, più rappresentativa e più democratica, delle Nazioni Unite.
In questo senso a me sembra che gli obiettivi ben individuati dalla relazione Laschet siano due. Non c’è soltanto il problema di una diversa ingegneria istituzionale all’interno delle Nazioni Unite, c’è anche la necessità di restituire all’ONU quote di sovranità politica. Se vogliamo fare in modo che siano le Nazioni Unite il punto di riferimento di un nuovo multilateralismo, questo non passa soltanto attraverso la nostra capacità di incidere sul loro assetto istituzionale, ma attraverso la capacità di affidare quote di soggettività politica. E di fatto il multilateralismo, che vorremmo vedere affidato alle Nazioni Unite, in questi anni è stato sconfitto nella prassi. La vicenda dell’Iraq è l’ultima, ma potremmo fare un lunghissimo elenco di risoluzioni che sono state valutate, considerate, applicate o no a seconda di considerazioni geopolitiche che assai poco avevano a che fare con la qualità delle risoluzioni, dalla Palestina in poi.
Il problema è capire se noi come consesso politico internazionale, e anche l’Unione europea, vogliamo conferire questa funzione, questo recupero di multilateralismo, questa governance mondiale sulla pace e sui diritti dell’uomo alle Nazioni Unite. In questo è importante il ruolo dell’Unione europea.
Concordo con le proposte indicate nella relazione circa l’opportunità - lo ricordava il senatore Manzella - di allargare la rappresentanza ad aree regionali, quindi non soltanto all’Unione europea, non soltanto alle grandi aree geografiche, ma anche ad aree territorialmente omogenee che hanno la necessità di essere attori. Credo sia importante andare a un sistema di doppio veto che sottragga forza e deterrenza politica ad alcuni Paesi. Credo, però, che la palla poi torni a noi, cioè ai 25 Paesi che compongono oggi l’Unione Europea per verificare se c’è o no la disponibilità a dare un mandato chiaro al Ministro degli esteri europeo per evitare che sia il ventiseiesimo Ministro degli esteri dell’Unione. Al di là della sua presenza, del suo inserimento all’interno del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in rappresentanza dell’Unione Europea, dobbiamo sapere che mandato avrà. Noi siamo stati presenti in alcuni momenti topici della storia degli ultimi anni, siamo stati presenti nel Quartetto quando si è trattato di riorganizzare il processo di pace in Medio Oriente ma, a differenza di altri rappresentanti (il russo, l’americano, il rappresentante delle Nazioni Unite), il rappresentante dell’Unione Europea non aveva un mandato, doveva verificare 15 mandati diversi, non era in condizione di esprimere una volontà politica definitiva e concludente.
Allora, accanto all’attenzione ai passaggi di ingegneria istituzionale nella riforma democratica e verso una maggiore rappresentatività delle Nazioni Unite, credo che il problema resti politico, resti un problema di volontà nel dare seguito e senso al Trattato costituzionale e di cedere quote di sovranità all’Unione Europea e al suo Ministro degli esteri.

TONINI (DS-U). Signor Presidente, anch’io ringrazio il presidente Brok e l’onorevole Laschet per questa occasione di confronto per noi molto utile e importante.
È stato già detto che nei prossimi giorni sarà reso pubblico il rapporto del Panel nominato dal Segretario generale delle Nazioni Unite e certamente sarà quella l’occasione per una discussione di merito più informata e completa. Tuttavia credo che anche il confronto tra Parlamenti nazionali e Parlamento europeo, la cui voce molto opportunamente si è fatta sentire nei mesi scorsi, possa raggiungere le opinioni pubbliche e quindi contribuire al processo di costruzione di un’opinione europea.
Condivido il punto di partenza che accomunava i due interventi introduttivi: dobbiamo lavorare per un multilateralismo efficace. “Multilateralismo” perché nessun Paese, neppure la più grande superpotenza mondiale, può garantire l’ordine mondiale da solo ed “efficace” perché deve essere in grado di produrre decisioni che vengano rispettate, altrimenti è un multilateralismo impotente che diventa alibi dell’unilateralismo.
Da questo punto di vista, la riforma dell’ONU che sta impegnando il Panel e il Segretario generale è una priorità assoluta nella politica internazionale. Serve un’Organizzazione delle Nazioni Unite che individui in maniera più precisa i casi nei quali è necessario e opportuno promuovere ogni forma di ingerenza umanitaria di fronte a disastri umanitari quale, da ultimo, la crisi del Darfur. Tale crisi dimostra quanto sia frustrante la sensazione di impotenza della comunità internazionale di fronte a crimini che si vanno perpetrando contro l’umanità. Vi è poi la questione della prevenzione; il conflitto in Iraq ha aperto la discussione sulla guerra preventiva: che cosa dobbiamo intendere per guerra preventiva? Quali sono i casi nei quali un intervento di prevenzione è legittimo e necessario? Quali sono i casi, invece, nei quali questo intervento si trasforma in una violazione delle regole del diritto internazionale? Il terrorismo può assumere forme di guerra vera e propria che possono seminare distruzione, morte e lutti anche su vasta scala e che sono assolutamente inedite nella loro dimensione e nella loro forma perché non sono condotte da Stati, da eserciti, da divise militari, ma da formazioni occulte e clandestine. Infine c’è la grande questione del coordinamento delle politiche economiche e sociali: si parla di un Consiglio di sicurezza economico e sociale che sovrintenda e dia un indirizzo politico anche ad Agenzie multilaterali importanti, le quali non sempre, tuttavia, hanno avuto un ruolo di progresso, come la Banca mondiale o il Fondo monetario internazionale.
Di fronte a tutto questo, accanto a tutto questo e insieme a tutto questo c’è la questione del governo delle Nazioni Unite e quindi la riforma del Consiglio di sicurezza. Certamente, come è stato già detto da altri colleghi, abbiamo l’esigenza di andare oltre la fotografia dell’indomani della seconda guerra mondiale: non ha più senso un Consiglio di sicurezza dominato dai cinque Paesi vincitori della seconda guerra mondiale, attorniati da un gruppo - diciamo così - di comparse, di figure di secondo piano. Dobbiamo quindi promuovere una riforma che renda più rappresentativo il Consiglio di sicurezza, rispetto a una realtà mondiale che, come ha poc’anzi detto il collega Fava, è certamente cambiata in non pochi dettagli rispetto allo scenario di mezzo secolo fa. Come è stato detto negli interventi introduttivi dei nostri lavori e come ha ben sottolineato il collega Manzella, il tema decisivo è andare oltre l’unicità della membership in capo agli Stati nazionali e pensare a una configurazione delle regioni multistatali come soggetti membri a pieno titolo.
È questa una proposta utopistica? Verificheremo dalla prima soluzione che sarà predisposta dal Panel quanta distanza può esserci tra questo obiettivo, che resta il grande traguardo dei prossimi anni, e ciò che è concretamente realizzabile. Si tratta, d’altronde, di decisioni che dovrebbero essere assunte dalla prossima Assemblea delle Nazioni Unite, quindi da qui a meno di un anno. Certamente, come ha detto il senatore Manzella, il cammino intrapreso dall’Europa, che va assumendo la dimensione di un soggetto con personalità giuridica, con il coordinamento della politica estera e di sicurezza in capo a un'unica figura di rappresentanza, è differente da quello di altri coordinamenti regionali più arretrati. Se per ragioni politiche non fosse una proposta immediatamente percorribile perché i tempi non sono maturi, allora può essere realistico dire che questo è un orizzonte di medio termine, di dieci-quindici anni, verso il quale dobbiamo muoverci, ma nel frattempo dobbiamo trovare una soluzione intermedia.
A mio parere, però, dobbiamo evitare che questa soluzione intermedia sia il mantenimento dello status quo; non si cambia, cioè, nulla perché cambiare è troppo difficile. Questo è il rischio che incombe sulla prossima Assemblea delle Nazioni Unite. Tale soluzione da un punto di vista miope potrebbe confortare l’Italia, perché si potrebbe pensare che, non essendo cambiato alcunché, non è successo niente di male per noi. In questo caso si direbbe “no news; good news”. Ma io non credo sia così. Sarebbe una posizione miope. Ovviamente non ho alcuna veste per rappresentare il Governo, ma vi è una condivisione di fondo bipartisan al riguardo, costruita negli anni in Parlamento, tra il Governo e l’opposizione. Non credo pertanto possa essere questa la posizione dell’Italia. D’altra parte la scorciatoia del quick fix, cioè dei quattro Paesi - perdonate la battuta - “pochi, maledetti e subito” che entrano in Consiglio di sicurezza, forse crea più problemi di quanti non ne risolva. È del tutto evidente che la presenza dell’India nel Consiglio di sicurezza si giustifica da sé per il semplice fatto di mettere sul tavolo un miliardo e non so quante decine di milioni di persone. È evidente che il Giappone ha forza nel sostenere la sua posizione in quanto grande contribuente, potenza economica mondiale e quant’altro. Possiamo però ridurre l’America Latina alla sola dimensione non ispanofona e, anzi, unica dimensione lusitana del Brasile? Come è pensabile che il Brasile da solo possa rappresentare la complessità dell’America Latina, senza che sia rappresentato alcun Paese ispanofono? Come è immaginabile lasciare fuori l’Africa? E quale Paese africano può essere scelto? Il Sud Africa o l’Egitto da soli possono rappresentare per intero il continente africano? Non è pensabile! Come è pensabile lasciare fuori il mondo arabo-islamico e risolvere il problema dell’Europa con la scorciatoia tedesca? Con la Germania abbiamo un’amicizia consolidata negli anni, ma abbiamo qualche difficoltà a pensare che la rappresentanza italiana possa trovare una strada attraverso la Germania, accettando lo stesso modello contenuto nella proposta francese che i tedeschi hanno in questi giorni rifiutato.
Cosa pensate allora della proposta storica avanzata dieci anni fa dall’Italia attraverso l’allora ministro degli esteri Beniamino Andreatta, che consisteva in una soluzione intermedia e quindi transitoria, in vista di un equilibrio più avanzato? Si proponeva di evidenziare un gruppo di Paesi che sul piano demografico, economico, di contributi alle operazioni di peace-keeping e della cultura dei media rappresentasse la stragrande maggioranza delle risorse del pianeta; per questo gruppo di Paesi avrebbero dovuto crearsi delle posizioni - come sono state definite - semipermanenti nel Consiglio di sicurezza, riservando ai Paesi minori lo stesso numero di seggi che hanno oggi. Se si seguisse quella strada si porterebbe il numero dei seggi nel Consiglio di sicurezza a 20-22, cinque dei quali (quelli attuali) permanenti, sette o otto a rotazione per i 20 membri semi-permanenti (che così sarebbero rappresentati appropriatamente), più l’attuale rappresentanza dei Paesi minori. Sarebbe interessante sapere se questa può essere considerata una proposta intermedia, utile per non allontanarci dall’obiettivo alto e grande che è stato definito.

BROK. Signor Presidente, intravedo una certa convergenza. È stato detto che l’obiettivo è l’unione politica e certamente questo è l’obiettivo dell’Unione. Abbiamo, in effetti, lo stato giuridico unico, la personalità giuridica, quindi il presupposto giuridico per potere realizzare ciò che è nelle nostre intenzioni. Considero importante l’argomentazione secondo la quale non bisogna dare l’impressione che la composizione del Consiglio di sicurezza possa essere basata fondamentalmente sui contributi finanziari. Dovremmo, quindi, evitare innanzi tutto di avanzare la proposta del direttorio.
Quanto alla politica nucleare dell’Iran, sono state inviate in Iran alcune rappresentanze francesi e inglesi, mentre a mio parere era necessario inviare una rappresentanza europea. Quindi, penso sia stato negativo aver dato l’impressione di non agire all’interno delle istituzioni europee.
Quanto all’intervento del senatore Andreotti, abbiamo raggiunto una dimensione della politica estera comune per cui vi è una legittimazione per questa figura come rappresentante dell’Europa. Ebbene, ci vuole la volontà politica e dobbiamo tenere presente che l’80 - 90 per cento dei Paesi membri dell’Unione Europea, in realtà, ha una posizione comune nel Consiglio di sicurezza. Non ci troviamo in una fase iniziale, in effetti. Vi saranno certamente singoli casi in cui non sussisterà una posizione unitaria o sarà meno difficile trovarla: abbiamo un quadro istituzionale che consente una migliore qualità.
Vi è poi il nuovo servizio estero a disposizione di questo rappresentante, di cui fanno parte anche esponenti del Consiglio e della Commissione. Attualmente, ancora prima della ratifica della Costituzione, si sta cercando di elaborare delle proposte di soluzione. Credo che questo rappresenti un aspetto fondamentale. Infatti, se vi sarà soltanto un’azione tra il Consiglio e la Commissione non si realizzerà la soluzione ideale. E’ necessario che il servizio diplomatico estero sia connesso alla Commissione e che diventi un istituto comunitario. Certamente occorre una soluzione intermedia. È vero che una parte della politica estera è ancora intergovernativa ma, proprio per questo, occorre muoversi in direzione di una più ampia rappresentanza di tutta l’Unione Europea.
Vorrei pregarvi, quindi, di far sì che nelle prossime settimane emerga la volontà del Parlamento italiano in direzione di un servizio diplomatico europeo che sia veramente ancorato ad una dimensione europea. Il ministro degli esteri Fischer ha ottenuto che questo servizio venga creato soltanto previa approvazione della Commissione. Il Consiglio, quindi, non può agire contro la Commissione. Questo è stato sancito dalla Costituzione ed è importante che la Commissione, sotto questo profilo, possa avere l’appoggio di diversi Paesi membri.
Per quanto concerne la questione relativa alla figura del Ministro degli esteri europeo, che dovrebbe essere più di un vescovo titolare, sono d’accordo soltanto se tale figura non sarà quella del ventiseiesimo membro ma rivestirà almeno il ruolo di primus inter pares con una funzione di portavoce. Se così non sarà, avremo creato un'altra carica istituzionale che non avrà molta influenza e non riusciremo a compiere veri progressi.
Il collega Manzella ha parlato della possibilità di anticipare qualcosa rispetto alla Costituzione. Per fare ciò, in effetti, occorrerebbe utilizzare tutto il margine che abbiamo. Nel mio Paese sono membro del partito all’opposizione: credo però che il Governo non voglia andare contro gli obiettivi europei e ritengo che tale posizione non sia contraria alla realizzazione di una politica europea in questi settori.
L’onorevole Gawronski ha parlato anche della posizione tedesca. Questo argomento non avrebbe acquistato la rilevanza che gli è stata attribuita, se si fosse stati in grado di escludere la clausola dei cosiddetti Stati nemici (una clausola del passato che riguardava il Giappone); il superamento di tale clausola produrrebbe certamente un effetto psicologico positivo. A livello nazionale in Germania si discute spesso di questo e c’è un richiamo a quella clausola. Pertanto, se vi fosse un movimento in tal senso, sarebbe molto utile.
Signor Presidente, ritengo che il seggio europeo debba essere legato ad una convinzione comune. In sostanza, il Ministro degli esteri deve essere membro della Commissione, deve avere l’incarico del Governo europeo e deve anche poter incidere sull’ordine del giorno. Con questa triplice funzione, avrà il potere di dirigere i lavori nel senso da lui ritenuto utile. Se poi le proposte che avanzerà saranno di tipo europeo, ci sarà sempre un gruppo di Paesi europei disposto ad appoggiarle. Invece, gli Stati che esprimeranno una posizione contraria a quella espressa dalla maggioranza degli Stati membri dovranno motivarlo. Porto l’esempio della guerra in Iraq dell’agosto 2002, in relazione alla quale la prima posizione del Consiglio di sicurezza si è avuta solo nel febbraio 2003. Non vi è costrizione verso una posizione comune; penso, tuttavia, che combinando le posizioni riusciremo a fare dei passi in avanti anche sotto il profilo di una giustificazione giuridica e in questo, onorevole Fava, sono d’accordo con lei.
Vorrei fare ora una breve osservazione in relazione all’intervento dell’onorevole Tonini. Siamo contro l’unilateralismo, ma il multilateralismo deve permettere all’Unione Europea di agire. In questo senso, è ovviamente importante la credibilità. Occorre chiedersi quando bisogna agire, ossia quando la minaccia è talmente definita che, in base alla Carta delle Nazioni Unite (e ciò non significa che si tratti di una decisione delle Nazioni Unite), vi è la concreta possibilità di un intervento preventivo. Escludere l’intervento preventivo non sarebbe una decisione ideale perché vi sono casi in cui alcuni Stati sono la base per alcuni gruppi di terroristi. Si ha, quindi, di fronte un antagonista atipico rispetto alla classica figura del nemico conosciuta nel diritto internazionale.
Bisogna essere capaci di agire a livello multilaterale, concordando le posizioni a livello delle Nazioni Unite e adottando soluzioni concrete e non soltanto ideali che all’atto pratico non consentono di agire.

LASCHET. Risponderò brevemente al primo punto, ovvero alla domanda sulla partecipazione o membership di organizzazioni regionali. È una domanda complessa sia dal punto di vista del diritto internazionale che da quello della prospettiva dell’importanza politica. L’Europa, l’Occidente e le democrazie del mondo non guadagnerebbero nulla se i 25 Stati non fossero più membri dell’Unione Europea ma un'entità unica. È evidente, infatti, che 25 voti sono sempre più di un voto. Se guardiamo all’idea del seggio europeo unico da un punto di vista logico dobbiamo riconoscere che segna un’interruzione in questa argomentazione. Le Nazioni Unite, però, hanno sempre trovato una soluzione per tener conto di una determinata situazione contingente. L’Unione Sovietica, ad esempio, ad un certo punto era rappresentata in seno all’ONU con tre seggi (Bielorussia, Ucraina e Russia), anche se non si trattava ancora di Stati indipendenti con una propria politica estera.
Presidenza del vice presidente Franco DANIELI

(Segue LASCHET). Effettivamente questi Stati avevano la possibilità di esprimere tre voti e ciò consentiva di raggiungere un equilibrio. Quindi, limitatamente al Consiglio di sicurezza, avrebbe senso mantenere i seggi del Regno Unito e della Francia per poi dare il terzo seggio all’Unione Europea. Questo è il primo aspetto. In secondo luogo, questo potrebbe essere un esempio per altre ragioni. Né l'Asean, né il Mercosur, né le altre organizzazioni sono talmente integrate, a livello di politica estera, da essere paragonabili all'Unione Europea; anzi, ogni tanto dovrebbero seguire l'esempio dell'Unione Europea e creare una personalità giuridica, formulare una volontà in materia di politica estera per poter affidare loro un seggio all'interno del Consiglio di sicurezza.
Mi è stato chiesto poi per quale motivo si parla di partner e come è possibile che l'Unione Europea possa essere un partner, visto che solo gli Stati sono tali. Oggi, però, già esiste la situazione in cui l'Unione Europea agisce con un’unica voce, ad esempio, nell'Organizzazione mondiale del commercio. In realtà, quindi, è gia un partner, ad esempio a livello monetario e valutario e nei progetti di sviluppo, proprio perché insieme all'ONU realizza progetti.
Ritengo, pertanto, che la scelta del termine non sia stata errata.
In ordine alla domanda posta dal senatore Andreotti in relazione ai 25 Ministeri degli esteri più uno (come Elmar Brok ha evidenziato e come gli ambasciatori hanno confermato), esiste una cooperazione molto concreta dei 25 ambasciatori e nel 95 per cento dei casi delle votazioni c'è una posizione comune dell'Unione Europea, cui poi si associano altri Paesi, come, ad esempio, la Svizzera e la Norvegia.
Abbiamo chiesto se tale procedura sia stata resa più difficile dall'allargamento a 25 Paesi e ci è stato risposto che, in realtà, l'esercizio è diventato più facile. Non è possibile, infatti, dare la parola a tutti i rappresentanti dei 25 Paesi e, quindi, ognuno interviene solo quando ha veramente qualcosa da evidenziare; con 15 membri, invece, ognuno poteva prendere la parola. A questo punto, pertanto, si sta cercando di sveltire la procedura e si prende la parola - ripeto - solo se vi sono vere obiezioni. Ad esempio, l'Olanda, se ha la Presidenza, propone un sistema di votazione per e-mail. A tal fine, vale anche il principio del silenzio-assenso. Si tratta, dunque, di una razionalizzazione del processo.
Ritengo che il nuovo Ministro degli esteri, se è anche portavoce del Consiglio e se ha un proprio servizio, costituisca una figura che è ben più di 25 più uno.
Condivido, infine, quanto ha evidenziato Elmar Brok sul fatto che quella del Governo tedesco non è una posizione nazionalista. La motivazione è che si tratta di una soluzione fattibile, giacché la finestra è aperta soltanto fino al prossimo anno. Noi dichiariamo che vogliamo il seggio tedesco per metterlo, però, al servizio dell'Europa. L'articolo 19 del Trattato dell’Unione Europea (che attualmente prevede soltanto un diritto di informazione), interpretato in maniera molto restrittiva dalla Francia e dalla Gran Bretagna, vuole essere trasformato da noi in un diritto di partecipazione. Quindi, con il tempo, diventerebbe una vera e propria partecipazione dell'Unione Europea. Io sono un po' scettico e ritengo che comunque sia meglio favorire un seggio europeo. Sarebbe, dunque, preferibile non decidere nulla ora e riservare il seggio europeo ad un momento in cui, anche dal punto di vista costituzionale, l'Europa sarà pronta. In ogni caso, la posizione della Germania non è ideologica, ma è molto pragmatica.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per le risposte puntuali che sono state fornite.
Abbiamo ancora alcuni minuti di tempo per svolgere ulteriori riflessioni o porre alcune domande.

MORGANTINI. Signor Presidente, sono Presidente della Commissione sviluppo del Parlamento Europeo.
In primo luogo, devo scusarmi se sono giunta con ritardo (il mio aereo da Bruxelles è arrivato due ore dopo l'orario previsto). Inoltre, è un momento un po’ particolare, perché tra un'ora partirò per Ramallah e per Il Cairo per seguire i funerali di Arafat. Tra l'altro, sono molto lieta di annunciare che il Parlamento europeo, nella sua Conferenza dei Presidenti, ha designato una delegazione ufficiale al Cairo nella persona di un vice Presidente.
In secondo luogo, voglio sottolineare che mi sembra di straordinaria importanza (in questo senso, ringrazio sentitamente la Commissione esteri del Parlamento europeo e anche quella del Senato della Repubblica) che si avvii uno scambio di opinioni, su un tema così rilevante, tra i parlamentari europei e i parlamentari nazionali: oggi noi siamo pochi, ma in realtà sono pochi anche i senatori italiani presenti. Ritengo sia di straordinaria importanza dare forza e vitalità alle Nazioni Unite, così male utilizzate ed abusate anche da comportamenti di Paesi estremamente importanti nella loro composizione, per tentare di avviare una riforma democratica.
Credo, pertanto, che all'interno del Consiglio di sicurezza, che dovrebbe essere mutato, sia utile ed importante avere, ad esempio, una presenza unitaria dell'Europa, sapendo però che ciò non può avvenire se non si trasformano anche le condizioni in cui l'Europa si muove.
Desidero semplicemente ribadire la necessità di questo rafforzamento. Il Parlamento europeo l'ha fatto molto bene anche quando ha conferito a Kofi Annan il premio Sakharov; quando lo stesso Kofi Annan è venuto al Parlamento europeo, ha evidenziato in modo esplicito i drammi delle Nazioni Unite rispetto alla questione delle guerre e ha posto a noi europei problemi estremamente forti ed importanti sulle contraddizioni della nostra democrazia, legate, ad esempio, alla questione degli immigrati e così via. Egli ha parlato lungamente di tali tematiche.
Ritengo, quindi, sia estremamente importante continuare tale confronto per riuscire a costruire delle relazioni tra il Parlamento europeo e quelli nazionali (in questo senso, ringrazio Brok e Laschet), affinché si possa veramente fare delle Nazioni Unite e dei nostri Parlamenti istituzioni vive e democratiche.

PRESIDENTE. L'onorevole Morgantini, anche se è arrivata in ritardo, ha svolto considerazioni totalmente in linea con le valutazioni espresse dai colleghi nei diversi interventi.
Ringrazio il presidente Brok e il collega Laschet e gli altri colleghi parlamentari europei per il prezioso contributo fornito e per la disponibilità e la sensibilità manifestate ad incontrare la Commissione esteri del Senato. Ritengo che questa esperienza sia stata per noi di grande utilità; mi auguro che il dialogo possa proseguire anche in futuro.
Dichiaro conclusa l'audizione odierna.

I lavori terminano alle ore 16,55.