DIFESA (4a)

GIOVEDÌ 19 GIUGNO 1997


66a Seduta

Presidenza del Presidente
GUALTIERI

Interviene il ministro della difesa Andreatta.

La seduta inizia alle ore 14,45.

SULLA PUBBLICITÀ DEI LAVORI
(R033 004, C04a, 0003o)

Il presidente GUALTIERI avverte che era pervenuta la richiesta, ai sensi dell'articolo 33 del Regolamento, di attivazione dell'impianto audiovisivo, in modo da consentire la speciale forma di pubblicità della seduta ivi prevista ed avverte che, in previsione dell'adesione della Commissione a tale richiesta, il Presidente del Senato aveva già preannunciato il suo assenso.

PROCEDURE INFORMATIVE
Comunicazioni del Governo su episodi relativi alla missione «Restore Hope-Ibis» in Somalia; svolgimento di connesse interrogazioni
(R046 003, C04a, 0004o)

Il PRESIDENTE propone di abbinare lo svolgimento dei due punti all'ordine del giorno, vertenti sugli episodi relativi alla missione «Restore Hope-Ibis».

Conviene la Commissione.

Il ministro ANDREATTA precisa preliminarmente che nell'effettuare le comunicazioni del Governo sugli episodi relativi alla missione Ibis in Somalia risponderà contestualmente alle interrogazioni n. 3-00964 del senatore Russo Spena e n. 3-01108 del senatore Russo Spena ed altri, n. 3-01078 del senatore Ucchielli, n. 3-01079 del senatore Semenzato e n. 3-01105 del senatore Semenzato ed altri, n. 3-01084 della senatrice Manieri ed altri, n. 3-01085 del senatore Agostini ed altri, n. 3-01094 del senatore Marini ed altri, n. 3-01106 del senatore Pettinato, n. 3-01107 del senatore Salvi ed altri, n. 3-01109 del senatore Manca, n. 3-01110 del senatore De Luca Athos, n. 3-01111 del senatore Peruzzotti, n. 3-01112 del senatore Fumagalli Carulli ed altri e alla n. 3-01113 del senatore Palombo ed altri.
Il Ministro conferma che i fatti relativi alla missione «Ibis» in Somalia denunciati nei giorni scorsi e il corredo di immagini crudeli e ripugnanti hanno turbato le coscienze di tutti. Il Governo è unanimemente impegnato a fare chiarezza su tutti gli elementi e si augura che dalle risultanze dei vari organi che stanno indagando emerga in maniera inequivocabile la verità.
Non ci saranno da parte del Governo e dell'Amministrazione militare incertezze, tentennamenti, coperture o ritardi. È assolutamente indispensabile giungere in tempi rapidi alla verità su quanto accaduto, non solo per ciò che concerne singoli episodi, ma anche per accertare entità e diffusione di fenomeni devianti e contrari ai valori militari che possono essersi verificati nel corso dell'intera operazione «Ibis» nei confronti della popolazione civile, nonchè eventuali responsabilità nella catena di comando.
Le indagini e le inchieste avviate potranno consentire di accertare rapidamente la verità dei fatti. Questo è essenziale, sia perchè occorre fare giustizia in modo esemplare e con il massimo rigore e sia per confermare che fatti come quelli denunciati costituiscono deviazioni eccezionali ed aberranti rispetto alla generalità dei comportamenti che hanno caratterizzato l'operato generoso ed umano delle nostre Forze armate nel corso delle operazioni all'estero di questi ultimi anni.
Prima di illustrare la posizione del Governo sugli episodi che hanno originato le interrogazioni, ritiene opportuno esaminare alcuni aspetti importanti dell'impiego delle Forze armate all'estero e più in particolare in Somalia. Sotto la dizione di «missioni di pace» rientra un insieme assai diversificato di operazioni militari che in taluni casi, pur avendo come fine la «pacificazione», richiedono il ricorso all'uso della forza. Anche le operazioni indicate genericamente come «umanitarie» prevedono talvolta l'uso - sia pure controllato - della forza, con maggiori o minori limitazioni, in accordo con quanto previsto nei capitoli VI e VII della Carta delle Nazioni Unite. Gli esempi estremi sono quelli nei quali si tenta di imporre la pace attraverso l'uso estensivo della forza.
Le missioni di pace possono dunque avere caratteristiche assai varie e presentare livelli di difficoltà e di complessità molto diversi. Paradossalmente i casi più difficili non sono quelli di una guerra aperta (come, ad esempio, quella del Golfo), ma quelli nei quali si cerca di condurre operazioni di tipo umanitario in presenza di guerre civili ovvero di conflitti etnici o tribali. L'uso controllato della forza, in un clima generalizzato di violenza, pone problemi assai ardui di valutazione, di condotta e di controllo.
Le missioni di questo tipo pongono esigenze di preparazione e di addestramento specifico del personale partecipante, considerata la diversa tipologia di impiego e di comportamenti che esse presentano. In questo caso si era posto anche un altro problema di fondo, quello dell'utilizzazione del personale di leva. D'altronde, a parte i quadri permanenti, fino a qualche anno fa le nostre Forze armate e l'Esercito in particolare era basato quasi esclusivamente sulla leva, quindi la scelta era obbligata e si è prevista la partecipazione dei soldati di leva solo su base volontaria.
Si sofferma quindi brevemente sull'entità degli interventi militari italiani all'estero: a partire dalla missione in Libano tra il 1982 e il 1984 i principali interventi militari in territorio straniero hanno finora partecipato complessivamente oltre 43.000 uomini. È una cifra imponente e forse insospettata. La sola missione «Ibis» in Somalia ha visto la partecipazione di oltre 12.000 uomini dei quali quasi 10.000 di leva. Circa 8.000 sono stati i militari impiegati in Libano.
La Somalia ha fatto registrare, con 8 morti e 45 feriti, il tasso di gran lunga più alto di perdite. Vale quindi la pena di documentare più diffusamente le attività svolte nel corso di ciascuna delle missioni e i risultati conseguiti. Il mandato delle Nazioni Unite prevedeva, infatti, l'applicazione del Capo VII della Carta e l'autorizzazione ad usare «tutti i mezzi necessari» al fine di garantire rapidamente un ambiente sicuro per disarmare e demilitarizzare gruppi o individui, anche quando non manifestassero intenzioni ostili.
In un contesto del genere, quello di un conflitto senza una controparte precisa e ben individuata, dove il nemico poteva annidarsi in ogni angolo e dove contemporaneamente lo spettacolo della miseria era sempre presente, i soldati si sono trovati di fronte ad una situazione molto ambigua e di difficile interpretazione, in cui gli strumenti-psicologici, morali, di formazione ed anche di disciplina-potevano risultare forse insufficienti. Il contrasto tra le immagini televisive dei bambini somali denutriti e l'arrivo in un teatro di operazioni dove il rischio della vita era quotidiano e dove era molto difficile distinguere tra amico e nemico deve essere stato stridente per molti, come risulta anche dal diario del soldato caduto in Somalia, Pasquale Baccaro, ripubblicato in questi giorni. In una situazione come questa, di tensione prolungata e costante, in un territorio ostile e pericoloso, vi era sicuramente anche chi poteva entrare in difficoltà e reagire con un eccesso di autodifesa o di aggressività.
Naturalmente la violenza perpetrata contro banditi armati già ridotti in stato di soggezione è comunque da considerarsi un atto illegittimo e che viola il diritto umanitario internazionale, oltre che, ovviamente, le direttive impartite dal Comando della missione.
Se questi comportamenti sono quindi meritevoli di una severa censura e di punizioni adeguate, in tutt'altro modo sono da considerarsi i gravissimi reati contro la popolazione somala o contro singole persone indifese, uomini o donne, che in questi giorni turbano fortemente la nostra coscienza e rischiano di gettare un'ombra pesante su interi reparti e sulla missione tutta, facendo dimenticare la consistenza dell'aiuto umanitario e sanitario, così sintetizzabile: 570 scorte a convogli, distribuzione di 2.500 quintali di derrate alimentari e di 1.272 pacchi-famiglia, riattivazione di 22 orfanotrofi e assistenza a 100 scuole, assistenza medica (oltre 200.000 visite mediche, 560 interventi chirurgici effettuati e circa 9.000 giornate di ricovero per la popolazione civile).
Si tratta di una mole assai importante di attività che hanno visto convivere umanità e violenza, una violenza che, molto spesso, ha trovato un limite nell'umanità dei nostri soldati. In occasione del noto assalto al «chech point Pasta» i guerriglieri somali attaccarono un nostro reparto facendosi scudo di una folla di donne e bambini. Subimmo 3 morti e 22 feriti, ma non sparammo indiscriminatamente sulla folla. In numerose altre circostanze evitammo di usare le armi in presenza della popolazione civile, attirandoci le critiche della linea gerarchica delle Nazioni Unite, che chiese la sostituzione del nostro comandante, il generale Loi. Tutto questo è noto, ma va ricordato, non per giustificare, come chiaramente è emerso ieri nel corso della riunione del Consiglio supremo di difesa, fatti di inumanità, contro i quali, ove accertati, è necessaria la massima severità, ma per comprendere e giudicare con giustizia e verità su comportamenti devianti che offendono la dignità dell'uomo e al contempo per tutelare la tradizionale lealtà ed umanità del soldato italiano e l'onore dei corpi e dei reparti e tra essi la brigata Folgore, così ricchi di sacrificio e di eroismo.
Di fronte alle oscenità di qualcuna delle foto pubblicate non ha potuto fare a meno di inorridire: non si può perciò eludere il dovere di ricercare la verità e di fare chiarezza. Tuttavia già ora si sente di affermare che in almeno un caso, tra i più gravi, tra quelli riportati, è risultata evidente la falsità delle accuse. La foto di un presunto eccidio avvenuto a nord di Belet Uen con corpi che sarebbero stati straziati dal fuoco delle nostre armi pesanti, come è riferito da un tale Bertini, sono agli atti delle memorie storiche del Reggimento «Lupi di Toscana» insieme ad un resoconto ben diverso nei fatti. È un resoconto che cita nomi e generalità delle persone presenti ed è quindi verificabile. Questo resoconto ci riporta ad una realtà affatto diversa: la foto ritrae una nostra pattuglia intervenuta in soccorso dei somali, dopo che un loro veicolo era saltato su una mina anticarro, facendo molti morti e feriti. Erano presenti con la nostra pattuglia anche militari tedeschi e, sembra, civili delle Nazioni Unite. I feriti furono evacuati utilizzando anche mezzi tedeschi e successivamente curati e assistiti. Sembra quindi che possano esserci pochi dubbi sulla veridicità del rapporto, affidato peraltro in tempi non sospetti all'archivio dell'Ufficio storico dell'Esercito.
In Somalia, comunque, erano presenti istituzioni internazionali, istituzioni non governative, volontari di svariate nazionalità e ovviamene molti giornalisti italiani e stranieri, inviati sul posto per raccontare e documentare. Se eccessi vistosi ci fossero stati, sarebbero stati giustamente denunciati già allora.
Ci furono, è vero, servizi giornalistici sul trattamento riservato ad alcuni malviventi catturati ed arrestati i quali erano stati incappucciati e legati mani e piedi. Si trattava di una applicazione estensiva delle norme sulla custodia dei prigionieri, contenuta in diversi regolamenti di paesi alleati, le quali prescrivono - alla cattura ed in fase di traduzione- il bendaggio e, se necessario, l'ammanettamento. Una commissione di inchiesta nominata per i dovuti accertamenti concluse che si trattava di una pratica attuata con modalità eccessive e demandò ai comandati la definizione di provvedimenti disciplinari nei confronti dei responsabili. Ciò anche per l'immagine negativa che tale pratica dava del comportamento dei nostri militari.
In alcune interrogazioni si segnala che notizie su episodi devianti sarebbero già da tempo circolate in vari ambienti, inclusi quelli militari, e nel chiedere conferma, si domanda di conoscere se tali notizie rispondano al vero e di quali ulteriori notizie il Ministero sia a conoscenza. Il Ministro ricorda di aver accennato due giorni fa alla Camera ad una informativa pervenuta al SISMI relativa ad un grave fatto di violenza nei confronti di una donna somala che sarebbe stato compiuto da tre militari di leva immediatamente rimpatriati. Ha anche precisato che la notizia non conteneva elementi in grado di consentire un riscontro concreto.
Dell'episodio fornito dalla fonte non è stato possibile ancora raccogliere notizie sull'ulteriore seguito di provvedimenti disciplinari o di indagini penali aperti sulla vicenda. È evidente che indagini aggiuntive dovranno essere compiute sulla attendibilità e sulla punizione dei responsabili. Avverte altresì l'obbligo di fornire una precisazione a proposito dei provvedimenti disciplinari adottati durante la missione in Somalia. Gli ufficiali puniti sono complessivamente 17, di cui 15 in modo lieve, un ufficiale è stato rimpatriato per comportamento scorretto nei confronti dei somali, mentre ad un altro è stato ritirato il brevetto per lo stesso motivo. Come si vede sono stati denunciati dai Comandanti in Somalia episodi anche più leggeri di cattiva condotta o di abuso di autorità. Gli sembra pertanto difficile credere che da parte degli stessi comandanti si sia taciuto intenzionalmente su episodi di violenze ed atrocità così gravi ove ne fossero venuti a conoscenza. Le inchieste in corso, quella interna dello Stato maggiore dell'Esercito, affidata al generale Vannucchi, quella della Commissione mista istituita d'intesa con la Presidenza del Consiglio, presieduta dal professor Ettore Gallo, quella della Procura militare di Roma e quella affidata alla magistratura ordinaria accerteranno i fatti e faranno chiarezza.
Tuttavia, a suo avviso, i generali Bruno Loi e Carmine Fiore, richiedendo di essere rilevati dai loro incarichi allo scopo di favorire l'accertamento della verità e delle eventuali responsabilità, hanno dato prova di profonda sensibilità istituzionale.
I comportamenti ora citati non possono far dimenticare quanto di positivo è stato fatto dai nostri militari in Somalia ed in tutte le altre missioni a sostegno della pace per portare un segno di soccorso umano, sociale e sanitario alla popolazione somala, come testimoniano le cifre degli interventi in questo campo e come hanno riconosciuto in più circostanze le stesse comunità somale, la stampa presente e gran parte delle organizzazioni di volontariato.
Le organizzazioni umanitarie, da anni presenti in Somalia, che hanno lavorato a stretto contatto con i militari italiani e con quelli di altre nazioni, nonchè con i cittadini somali, non hanno mai denunciato alcun episodio specifico nè tantomeno un clima di violenza imputabile al nostro contingente. In proposito, desidera far conoscere le dichiarazioni lusinghiere del signor Giovani Bersani, presidente della CEFA, uno dei principali organismi non governativi di cooperazione allo sviluppo e volontariato internazionale, che ha operato in Somalia dal dicembre 1992 al 31 marzo 1994 nel quadro della missione UNOSOM.
Un'ultima considerazione sul tema del quale tanto si è parlato: lo scioglimento della brigata Folgore. Sottolinea che la «Folgore» è un elemento prezioso delle forze operative italiane: dal Libano e dalla Somalia al Ruanda, alla Bosnia ed ora in Albania. La sua dignità collettiva va protetta da speculazioni di parte, perchè in momenti di difficili e delicati impegni interni ed internazionali non subentrino demotivazione ed amarezza. Nella cultura professionale della «Folgore» c'è certamente il gusto di una certa spavalderia ma sicuramente non c'è il culto della violenza. Gli uomini coraggiosi sono raramente crudeli e la ferocia non fa parte del costume delle nostre Forze armate.
Ciò tuttavia non toglie che qualora emergano elementi sintomatici di un addestramento o di una formazione che in qualche misura potesse rendere difficile l'assimilazione profonda dei valori del cittadino soldato, saranno adottate le opportune ed adeguate misure correttive nell'ambito dei processi di formazione e addestramento degli uomini.
Un insegnamento che viene da questa tristissima vicenda riguarda, infatti, la necessità di compiere ogni sforzo per migliorare e rinnovare l'addestramento e la formazione di coloro che vengono inviati in armi in terra straniera per le operazioni a supporto della pace. Il diritto umanitario è oggetto di trattazione specifica nell'ambito dei corsi formativi svolti presso gli Istituti ed i reparti preposti alla formazione del personale in servizio permanente e dei volontari dell'Esercito. In particolare, presso la Scuola di Guerra, la tematica è sviluppata al massimo livello di approfondimento da parte del «Centro di studio e diffusione del diritto umanitario nei conflitti armati». Per quanto riguarda i volontari, durante i tre mesi di corso presso reggimenti incaricati del loro addestramento, vengono sviluppate nozioni sul trattamento dei prigionieri di guerra e sulle principali norme di diritto umanitario riferite a questi ultimi.
Da ultimo ricorda il comunicato del Presidente della Repubblica, secondo il quale è essenziale rispondere efficacemente alla richiesta di verità e di giustizia così profondamente sentita da tutto il Paese e dalle nostre Forze armate.

Il presidente GUALTIERI ringrazia il Ministro per gli elementi informativi forniti in aggiunta rispetto a quelli comunicati due giorni fa alla Camera dei deputati, e dichiara aperto il dibattito sulle comunicazioni rese dallo stesso.

Il senatore RUSSO SPENA, il quale interviene anche quale presentatore delle interrogazioni nn. 3-00964 e 3-01108, preso spunto dall'evidente fallimento dell'operazione ONU in Somalia, dall'asprezza del dibattito di queste settimane e dalla indubbia gravità dei noti episodi rileva che sono fondati i sospetti di manipolazioni in danno della verità; manifesta altresì grande preoccupazione per confuse e perniciose critiche contro la composizione della commissione governativa presieduta dal professore Ettore Gallo, critiche, verso singoli componenti di essa, che hanno natura intollerabile e un sostrato culturale inaccettabile. Ribadisce, in via incidentale, la piena fiducia della sua parte politica ai componenti di tale commissione ed invita i colleghi a rimettere in discussione i modelli formativi delle Forze armate e auspica un sollecito esame in Commissione difesa dei contenuti da dare al nuovo modello di difesa.

Il senatore PORCARI interviene anche nella veste di secondo firmatario della interrogazione n. 3-01113, dichiarandosi tendenzialmente soddisfatto delle dichiarazioni del Ministro; teme però che vi sia da parte di taluni settori politici la strumentalizzazione di episodi - certo gravi ed esecrabili - che però non possono prestarsi a fungere da pretesto per iniziative destabilizzanti in danno del prestigio delle Forze Armate. Manifesta la sua più netta contrarietà alla idea di sciogliere la «Folgore» ed esprime stupore per l'iniziativa del Ministro di istituire ben due Commissioni per l'accertamento dei fatti, delle quali una composta da civili e l'altra composta da militari.

Il senatore MANCA interviene anche quale presentatore della interrogazione n. 3-01109 e si dichiara convinto che le asserite nefandezze commesse in Somalia costituiscono un insulto a chi rischia la vita ed a chi l'ha già persa. Bisogna, pertanto, scoprire i colpevoli, sia per rispetto a coloro che sono state vittime di simili soprusi, ma anche per rispetto verso coloro che servono la Patria con onore. Il Governo ha un compito molto delicato; dovrà essere in grado di capire la complessità della questione, accertare le responsabilità specifiche ed evitare che si proceda ad una insensata destabilizzazione delle Forze armate, come purtroppo si vorrebbe da alcune parti politiche.
La comunità militare, e non solo quella italiana, è chiamata a nuove e maggiori responsabilità, cui non possono non accompagnarsi concreti elementi di stimolo. Quanto ha appena detto non deve essere scambiato per una minimizzazione dell'accaduto. Tuttavia, la costituzione di una commissione mista potrebbe essere stata prematura ed inutile. Ne condivide solamente il valore simbolico e morale, ma una commissione d'inchiesta parlamentare potrebbe essere l'istituzione più autorevole per esprimere valutazioni al riguardo.
Ed a questo proposito va riconosciuto che sarebbe stato meglio aspettare l'esatta descrizione dei fatti dal Ministro della Difesa e, solo dopo averne appurato la veridicità, decidere se dar vita o meno ad una commissione d'inchiesta che approfondisca quanto prima rilevato.
Sotto la vigenza dell'attuale codice penale militare di pace il rischio maggiore è quello di non poter procedere perchè spesso il fatto non rientra nella casistica dei reati previsti. Applicare, invece, il codice militare di guerra in simili situazioni, consentirebbe ai giudici di uscire dall'impasse e, al tempo stesso, la previsione di pene più severe costituirebbe senz'altro un buon deterrente. Si augura, pertanto, che il governo prenda in seria considerazione un sostanziale riordinamento della giurisdizione penale militare.

Il senatore FORCIERI interviene anche quale cofirmatario della interrogazione n. 3-01107.
Condivide le iniziative del governo volte ad accertare in tempi brevi la verità dei fatti, al fine di tutelare il prestigio della parte sana delle Forze armate. Sottolinea che è necessario riflettere sulle cause profonde dei noti episodi di violenza, che certo non possono essere attribuiti alla generalità dei soggetti militari; tuttavia, tali episodi di violenza, al contempo, non possono essere passati sotto silenzio, bensì devono indurre alla riflessione. Il legislatore deve comprendere le ragioni più intime di ogni patologia e deve trarre spunto da essa per affrontare con energia i progetti di riforma delle strutture militari, a partire dai progetti sul Servizio civile nazionale. Si dichiara contrario ad una ulteriore crescita nel numero di organi d'indagine sui fatti somali, quale invece da taluno auspicata, e sottolinea la necessità di alimentare una crescita della cultura democratica all'interno delle Forze armate.

Il senatore DE GUIDI invita i colleghi ad analizzare i fatti nel modo più sereno possibile, senza alcuna passionalità e semplificazioni esasperate. Pertanto, auspica una sollecita individuazione dei responsabili e una rigorosa punizione di essi secondo le norme vigenti. Eppure, ritiene doveroso riflettere sull'istituzione Difesa e sulla sua collocazione all'interno della società civile: si impone, infatti, una rimeditazione culturale e il Parlamento non può tirarsi indietro rispetto a questo imperativo. Si dovrebbe, ad esempio, favorire l'apertura delle strutture militari alla presenza di civili, ad esempio nella fase di formazione dei quadri dirigenti delle Forze Armate.

Il senatore SEMENZATO - intervenendo anche quale primo firmatario delle interrogazioni n. 3-01079 e 3-01105 - reputa doveroso riflettere in grande stile sulle patologie presenti all'interno delle strutture militari formatesi, per la quasi totalità, nel clima della cosiddetta «guerra fredda» e, quindi, votate culturalmente alla conservazione degli equilibri esistenti. Reputa essere del tutto superato quel contesto storico e sottolinea, quindi, la necessità di rimeditare in toto il modello di formazione del soldato. Poichè il futuro modello di formazione è fortemente diverso dai canoni attuali di formazione delle truppe scelte dell'Esercito italiano, ne fa discendere la necessità di sciogliere quei Corpi, come ad esempio, la «Folgore», i cui parametri culturali sono manifestamente superati e non più condivisibili.
Da ultimo, rammentata l'iniziativa della sua parte politica, che aveva presentato un disegno di legge per istituire una Commissione bicamerale d'inchiesta sull'argomento, fa presente che da parte di qualche membro della commissione composta da militari vi è stata una inopportuna anticipazione dei risultati finali, minando quindi la credibilità dell'intera commissione.

Il senatore PELLICINI interviene anche quale presentatore della interrogazione n. 3-01113.
Reputa doveroso per il Parlamento, e specificamente per la Commissione difesa, riflettere costruttivamente sul proprio ruolo istituzionale, in altre parole, ritiene necessario - indipendentemente dalle indagini svolte dalla Commissione governativa e dalla magistratura - assumere iniziative autonome per l'accertamento della verità dei fatti: tali iniziative possono assumere la veste giuridica sia di un'inchiesta, che quella di un'indagine conoscitiva.
Condivide la tesi di chi auspica il delinearsi di un nuovo modello di difesa, ma a condizione di tutelare e rispettare i valori-base dei Corpi militari più prestigiosi, primo fra tutti quello dell'onore.

Il senatore AGOSTINI interviene anche quale presentatore della interrogazione n. 3-01085.
Mostra stupore per il contenuto delle foto, pubblicate incomprensibilmente a molti anni di distanza dai fatti, ma gli sembra essere un processo logico troppo affrettato quello di trarre spunto da tali scabrose immagini per costruire una serie di conclusioni generalizzate, aventi la finalità addirittura di rivedere l'intero apparato militare.
Esprime apprezzamento per la relazione odierna del Ministro e la più netta opposizione all'idea di sciogliere la brigata Folgore.

Il senatore UCCHIELLI interviene anche quale presentatore della interrogazione n. 3-01078.
Manifesta il suo pieno apprezzamento per la tempestività e per la qualità delle iniziative del Ministro per accertare la verità dei fatti in Somalia, e precisa che si riferisce in particolare alle due commissioni da lui insediate. Prende, poi, spunto da tali organismi e dall'esistenza di indagini della magistratura (civile e militare) per esprimere la sua netta contrarietà a qualsivoglia ulteriore organismo di indagine che si volesse istituire in Parlamento.
Il legislatore, viceversa, deve attivarsi studiando con pacatezza e approfondimento le riforme del sistema militare, in modo da favorire il processo di sintonizzazione del mondo militare con la società civile ed auspica, ad esempio, la introduzione dei presupposti organizzativi per permettere l'ingresso delle donne nelle Forze armate.

Il senatore MANFREDI - intervenendo anche quale cofirmatario della interrogazione n. 3-01112 - ritiene prematuro esprimere giudizi e valutazioni su fatti per i quali, attesa la loro delicatezza, il Governo ha insediato due commissioni che hanno solo da pochi giorni iniziato i loro lavori. Ravvisa elementi di contraddizione fra chi precipitosamente chiede lo scioglimento della «Folgore» e, contestualmente, ignora i necessari elementi di conoscenza, quali il numero dei soldati coinvolti nei riprovevoli episodi a tutti ormai noti.

Replica agli intervenuti il ministro ANDREATTA, il quale nota, in primo luogo, e con soddisfazione, che la Commissione difesa ha colto la volontà del Governo di accertare senza esitazioni la verità dei fatti. Ribadisce il suo turbamento per quelle foto che, purtroppo, incrinano l'immagine tradizionale - ed estremamente positiva - del soldato italiano, quando impegnato al di fuori dei confini nazionali. Ritiene di escludere che ufficiali italiani possano aver assistito a biechi e squallidi episodi di stupri senza aver bloccato tali violenze ed aver informato i suoi superiori. Non si sofferma sulle ragioni per cui solo ora le tristemente note fotografie sono state vendute ad un settimanale e difende, invece, i criteri adottati per la nomina dei componenti la commissione governativa e ribadisce che in tempi quanto mai brevi sottoporrà alla sovrana valutazione del Parlamento gli elementi che di fatto emergeranno.
Manifesta contrarietà all'idea di sciogliere la brigata Folgore, o anche solo singoli battaglioni di essa: molte sono le motivazioni del suo atteggiamento, ben ultima quella per cui ottimo è stato il rendimento di quella brigata in Bosnia ed ora in Albania.
Riconosce essere fondato il problema della formazione professionale del soldato italiano del futuro, per superare profili culturali ormai, in parte, superati.
Ritiene che la deterrenza militare debba, nonostante tutto, restare un'opzione tuttora valida e di ciò non si può non tener conto nel valutare il futuro delle nostre Forze armate e nel fissare i criteri per la definizione del nuovo modello di difesa. Tuttavia, ciò premesso, ribadisce la scelta di fondo del Governo italiano che antepone a tutto il monopolio della legge e dell'equità, disciplinato dalla vigilanza della comunità internazionale.
Da ultimo, manifesta la sua fiducia sulla cifra morale della generalità delle Forze armate e dissente da talune semplificazioni che sono in suo danno state operate negli ultimi giorni.

Il presidente GUALTIERI si dichiara solidale con il Ministro in relazione a talune incomprensioni, alimentate in questi giorni in suo danno. Ricorda comunque che il Parlamento ha il diritto di essere sempre e tempestivamente informato.

Stante l'assenza dei presentatori, le interrogazioni nn. 3-01084, 3-01094, 3-01106 e 3-01110 sono dichiarate decadute.

La seduta termina alle ore 17,40.