DIFESA (4ª)

MARTEDÌ 14 MARZO 2000

215ª Seduta (pomeridiana)

Presidenza del Presidente
DI BENEDETTO

        Interviene il ministro della difesa Mattarella e il sottosegretario di Stato per lo stesso Dicastero Guerrini.

        La seduta inizia alle ore 14.


SULLA DISCUSSIONE DEL DISEGNO DI LEGGE DI DELEGA AL GOVERNO IN MATERIA DI RIORDINO DELL’ARMA DEI CARABINIERI, DEL CORPO FORESTALE DELLO STATO, DEL CORPO DELLA GUARDIA DI FINANZA E DELLA POLIZIA DI STATO (50-282-358-1181-1386-2793-ter-2958-3060-B)

        Il senatore PALOMBO rende noto che da indiscrezioni apparse su organi di stampa, vertenti sulle modalità e sui tempi di approvazione della delega per il riordino delle forze di polizia, risulterebbe una opposizione dello Stato Maggiore della Difesa e di quello dell’Esercito. Manifesta stupore per tale ricostruzione riportata da un settimanale a diffusione nazionale e si augura che essa sia destituita da ogni fondamento. Considerata la delicatezza della materia e per evitare strumentalizzazioni, come pure un blocco nell’iter del disegno di legge in titolo auspica che il Ministro fornisca i necessari chiarimenti.

        Il PRESIDENTE fa presente che la questione sollevata trova la sua collocazione naturale nella seduta di domani delle Commissioni congiunte Affari costituzionali e difesa.


        Il ministro MATTARELLA preannuncia una sua risposta al quesito posto dal senatore Palombo nella seduta di domani delle Commissioni riunite.


SULLA PUBBLICITÀ DEI LAVORI

        Il PRESIDENTE rende noto che è stata richiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo per assicurare ai sensi dell’articolo 33, comma 4, del Regolamento la speciale forma di pubblicità dei lavori ivi prevista per la presente seduta. In previsione di tale richiesta il Presidente del Senato aveva espresso il suo assenso.
        La Commissione delibera in questo senso e tale forma di pubblicità dei lavori è adottata per il prosieguo della seduta.


PROCEDURE INFORMATIVE

Comunicazioni del Ministro della Difesa in ordine alla partecipazione militare italiana alla forza multinazionale impegnata in Kosovo (KFOR)

Il ministro della Difesa MATTARELLA rileva in primo luogo che la presenza italiana nei Balcani è la più visibile testimonianza della coerente politica nazionale nel difendere in modo attivo i valori della pace, della stabilità, della sicurezza collettiva e del diritto dei popoli. Lo slogan, secondo il quale da «consumatrice di sicurezza» l’Italia è diventata «produttrice di sicurezza», sintetizza bene la crescente presenza dell’Italia a favore della pace sulla scena internazionale e ciò anche attraverso uno straordinario impegno delle nostre Forze armate. Grazie ad una nuova politica estera e di sicurezza, di presenza e di impegno, anche militare, è maturata una credibilità nuova nei confronti dell’Italia, sul suo ruolo nella gestione delle grandi crisi internazionali e sui modi per affrontarle, contrastarle e risolverle. L’interesse è di garantire la stabilità e la sicurezza delle relazioni internazionali. Per un Paese come l’Italia, essenzialmente manifatturiero e potenza commerciale, l’interesse nazionale coincide con la garanzia di un assetto internazionale più giusto, stabile e pacifico, aperto agli scambi commerciali ed alle interazioni economiche, senza instabilità o crisi che frenino i processi di sviluppo economico, politico e sociale. Solo l’avvio di un ciclo virtuoso di sane dinamiche di sviluppo nei Paesi caratterizzati da gravissime arretratezze politiche, sociali ed economiche e, per contro, da alti tassi demografici, può rappresentare una soluzione al problema dell’immigrazione incontrollata, anzi troppo controllata dalla criminalità organizzata.
        È primario interesse italiano che la regione balcanica evolva in un quadro di stabilità, sicurezza e democrazia nella prospettiva di un progressivo avvicinamento ed integrazione nelle istituzioni euro-atlantiche. La sicurezza di una regione così vicina è fondamentale per la stessa sicurezza dell’Italia, come dimostrano i ricorrenti episodi, anche di questi giorni, connessi con i traffici illegali e la criminalità organizzata trans-adriatica.
        È interesse di tutti, dunque, che la presenza italiana ed alleata aiuti a ricostruire in quelle regioni condizioni piene di stabilità e sicurezza.
        Il Governo ed il sistema-Italia si stanno adoperando attivamente in una prospettiva di rilancio economico della regione balcanica che il Patto di stabilità per il sud–est europeo sta configurando. Sul piano delle attività di cooperazione, dal 1996 ad oggi, sono stati effettuati nella regione balcanica interventi per oltre 300 miliardi, cui si aggiungono i circa 700 stanziati per la sola Albania dal 1997 ad oggi, dei quali oltre 300 già spesi.
        Lo sforzo dell’Italia nei Balcani non ha precedenti, in termini politico-diplomatici, oltre che militari e di cooperazione, nella storia della Penisola. In quella regione si esercitano responsabilità di primo piano motivate dalla vicinanza geografica e da una consuetudine di rapporti storici, economici e culturali. Si tratta di responsabilità che attengono alla stessa sicurezza dell’Italia ed a quella dell’Europa, cui noi ed i popoli di quella regione apparteniamo.
        Quello che si persegue, con i
partners europei ed atlantici, è un disegno impegnativo ed ambizioso: un disegno che comporta la ricerca perseverante, non priva qualche volta di incertezze, dei modi migliori per favorire ed accelerare i tempi della stabilizzazione democratica. Insomma, nei Balcani si promuove uno scenario di cambiamenti strutturali, i cui risultati potranno essere misurati soltanto in una prospettiva di lungo periodo.
        È in questo più ampio quadro dell’azione di politica estera, di sicurezza ed economica, che si inserisce l’impegno militare nel sud-est europeo e, più in particolare, in Kosovo. Di recente, sono state espresse preoccupazioni sulla situazione nella regione, e, in particolare, sulla presenza italiana nei Balcani.
        Il riaccendersi di scontri, di tensioni e violenze fra la popolazione kosovara-albanese e la minoranza serba nell’area di Kosovska Mitrovika, ha purtroppo riportato scene di intolleranza reciproca e di sedimentate contrapposizioni etniche che, forse, con troppa ingenuità e facile entusiasmo si era pensato fossero state sopite dopo l’intervento internazionale. Ci si dovrà invece abituare ad una presenza di lunga durata da parte della Comunità internazionale nel Kosovo, incluse le forze alleate, perché a similitudine di quanto accaduto in Bosnia, l’avvio di una stagione di reale pacificazione e convivenza configura un cammino complesso non percorribile senza un contributo militare esterno, a garanzia del rispetto del diritto e del funzionamento delle istituzioni politiche e amministrative locali.
        La presenza internazionale nella regione balcanica va così assumendo un profilo diverso rispetto a quello sviluppato all’inizio della missione, e in essa riveste crescente rilevanza lo svolgimento di compiti di controllo del territorio, di prevenzione di atti di violenza, di mantenimento dell’ordine pubblico, di repressione della illegalità diffusa e della criminalità organizzata. In questo contesto di stabilizzazione della presenza internazionale è sicuramente lecito e doveroso riflettere sulle finalità e sugli sbocchi politici delle missioni in corso, sulle loro prospettive, sulle scelte da fare, sulla condivisione di oneri e responsabilità fra i Paesi partecipanti.
        Il Ministro si sofferma, quindi, sulla vicenda del generale Mazzaroli, in merito alla quale ha già riferito il 29 febbraio alla Commissione Difesa della Camera.
        Il generale Mazzaroli ha maturato una esperienza di particolare significato come vice Comandante della KFOR e le sue valutazioni sulla questione kosovara, e su come gestirla, avrebbero certamente potuto trovare tempi e modi più giusti di riflessione e valorizzazione. Ma non è per le sue valutazioni di carattere generale che il generale Mazzaroli è stato anticipatamente sostituito nel suo incarico.
        Particolarmente grave ed inaccettabile nelle dichiarazioni del generale Mazzaroli sono stati invece i suoi giudizi fortemente critici su ruolo, funzioni, comportamento e quindi professionalità dei contingenti di alcuni dei nostri principali alleati. Con le critiche mosse al comportamento dei contingenti di alcuni dei principali alleati, il generale Mazzaroli ha indubbiamente generato una grave incrinatura nel rapporto di fiducia tra il suo ruolo di vice Comandante di KFOR, quindi una posizione vicaria di alta responsabilità, e le forze multinazionali che dal Comando di KFOR dipendono, ma anche tra lui stesso e gli alti Ufficiali che del Quartier Generale di KFOR fanno parte,
in primis il suo Comandante, il generale tedesco Reinhardt e gli altri ufficiali americani, francesi, spagnoli, inglesi e delle altre nazionalità che a lui sono subordinati nella catena di comando del Quartier Generale di KFOR.
        L’impegno e la presenza militare nei Balcani, di elevato profilo sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, comporta anche l’assunzione di crescenti responsabilità nell’ambito delle missioni NATO, in particolare nel quadro delle future rotazioni del Quartier Generale di KFOR. In tale contesto le dichiarazioni del generale Mazzaroli non solo rappresentano una inaccettabile caduta di giudizio e di stile, ma finiscono anche col ledere proprio quegli interessi in nome dei quali il generale Mazzaroli ha ritenuto di rilasciare l’intervista. Ritiene quindi che la decisione presa autonomamente dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, il generale Arpino, in pieno sintonia con il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il generale Cervoni, di sostituire anticipatamente il generale Mazzaroli nel suo incarico di vice Comandante di KFOR, avvertendo le Autorità militari alleate, sia stata una scelta giusta e tempestiva, e che pienamente condivide.
        La presenza italiana in Kosovo è rilevante e si coniuga con lo schieramento in Bosnia, nell’ambito di SFOR, ed in Albania, nell’ambito della Zona di Comunicazione Ovest (COMM-Z-W), che garantisce i collegamenti terrestri fra il Kosovo e l’Albania e, quindi, con le rotte di rifornimento marittimo. In Kosovo è in corso l’avvicendamento tra i reparti della Brigata «Ariete» e quelli della «Garibaldi», i cui militari al comando del generale Villani, ritornano dopo nove mesi in quel settore Ovest che avevano per primi raggiunto e reso sicuro nel giugno dello scorso anno. Attualmente il contributo a KFOR ammonta ad oltre 6.500 uomini, suddivisi tra il teatro kosovaro, propriamente detto, e le aree di sostegno logistico in Macedonia ed Albania. Un rilevante contributo addizionale è dato dal Genio ferrovieri che ha provveduto alle attività di ripristino dell’intera rete ferroviaria locale, ossatura portante, insieme ai ben più difficoltosi collegamenti stradali, della rete di trasporto locale. Anche il contributo dell’Aeronautica in territorio kosovaro è di tutto rilievo, in particolare con il potenziamento delle infrastrutture dell’aeroporto di Djakovica, posto al centro del settore italiano e punto di ingresso importante per le esigenze logistiche del contingente italiano e più in generale delle Forze di KFOR nel settore occidentale. Nei prossimi mesi, inoltre, si dovrà subentrare ai britannici nella gestione dell’aeroporto di Pristina e nel controllo dello spazio aereo sul Kosovo. Non meno significativo è il contributo della Marina, con l’oscuro, ma essenziale lavoro di rifornimento logistico via mare alle nostre forze schierate in teatro, ma anche con lo schieramento sul terreno dei Fanti di marina del Reggimento «San Marco». Precisa che nei prossimi giorni, 300 uomini del «San Marco» ritorneranno nuovamente in Kosovo quale parte significativa del rischieramento della Riserva Strategica di teatro per il rafforzamento di KFOR, richiesto dal generale Clark, a seguito delle crescenti tensioni nell’area settentrionale di Kosovska Mitrovica ed in quella sud-orientale confinante con la Valle di Presevo.


        Il senatore JACCHIA chiede di sapere se quel contingente sia da intendersi come aggiuntivo rispetto all’attuale consistenza delle forze italiane colà dispiegate.

        Il ministro MATTARELLA risponde affermativamente e soggiunge che i Carabinieri (la prossima quarta Forza armata) assolvono un ruolo centrale nell’ambito della Unità Multinazionale specializzata, la MSU, in Kosovo ed in Bosnia con oltre 600 uomini.

        L’esperienza dell’Arma dei Carabinieri e di altre forze di polizia a connotazione militare dei paesi alleati, si sta rivelando particolarmente preziosa per colmare il deficit di sicurezza nell’ordine pubblico, per combattere la criminalità organizzata e l’illegalità diffusa, in situazioni di alto rischio ambientale. Ancora pochi giorni fa, il generale Clark nel rappresentare l’esigenza di rafforzamento di KFOR, ha richiesto anche un potenziamento della MSU a guida italiana. Come si vede, quindi, il contributo delle Forze armate italiane è di primissimo livello sia per quantità che per qualità e diversificazione dei settori di impegno, con uno spettro di presenza e di partecipazione a 360 gradi, unica nel suo genere, che riscuote l’apprezzamento ed il consenso unanime di tutti i nostri alleati. Un consenso ed un apprezzamento che gli è stato ribadito dal collega britannico Hoon, incontrato ieri a Londra. È in questo contesto che si inserisce la prospettiva della probabile assegnazione ad un italiano del Comando della KFOR alla fine di quest’anno.
        In conclusione, la situazione in Kosovo e nell’intero sud-est europeo non si presta a rapide soluzioni o facili disimpegni. Al contrario, vi è un lavoro di lungo periodo da compiere, di ricostruzione politica, istituzionale, economica e sociale, che richiede tempo ed impegno da parte della Comunità internazionale. Sebbene ancora molto, forse il più, resti da fare, l’intervento militare dell’Alleanza si è dimostrato necessario e ha posto le premesse perché quel che resta da fare, cioè la ricostruzione civile della regione, possa essere fatto.
        Tuttavia, sono stati già conseguiti risultati di alta valenza etica ed umanitaria. Un anno fa, nel marzo del 99, quando le violenze più brutali imperversavano in Kosovo, era in atto una campagna di sistematica pulizia etnica e di espulsione di una intera popolazione dalle proprie terre, con oltre un milione di persone in marcia verso l’Albania e la Macedonia. Proprio in questi giorni sono riapparse sui mezzi di informazione le immagini di quella umanità dolente in cammino verso l’Albania e la Macedonia. Oggi i profughi sono tornati nelle loro terre, molti nelle loro case e se la violenza non è ancora debellata, è certamente stata contenuta, e di molto, rispetto ad un armo fa. Non sono risultati da poco; al contrario, sono risultati di cui la Comunità internazionale deve essere consapevole e fiera.
        Molto restava da fare anche in Bosnia, alla fine del 1996, dopo un anno dall’intervento NATO del Dicembre 1995. Ebbene oggi, a cinque anni di distanza, la Bosnia è un paese molto diverso. In Bosnia, si è avviato un processo positivo, anche se segnato da tempi lunghi, purché la Comunità internazionale non abbandoni o allenti il suo impegno. Lo stesso si potrà fare per la realtà kosovara che è suscettibile di evoluzione positiva verso un modello di pluralismo etnico e culturale, sorretto da forme di autogoverno ancora da definire, purché lo stesso e la presenza internazionali si mantengano e si intensifichino. Al cuore del problema del sud-est europeo sta lo sviluppo democratico della Serbia. Questo è il nodo focale del problema balcanico e rappresenta un passaggio obbligato per l’avvio di nuove politiche di pacificazione e sviluppo economico in tutta la regione. Occorre uno sviluppo democratico, inteso anche in senso culturale, che liberi la Serbia, le sue istituzioni e la società civile dai fantasmi del passato e da un nazionalismo anacronistico ed inaccettabile. Un’alternativa democratica all’attuale regime diviene un passaggio necessario per «portare» i Balcani in Europa. Quanto successo di recente in Croazia e le incoraggianti prospettive di rapido riavvicinamento di quel paese alle istituzioni Euro-Atlantiche, possono costituire un modello positivo anche per la Serbia.

         Si apre la discussione sulle dichiarazioni rese dal Ministro.

        Il senatore JACCHIA, espresso apprezzamento per la sollecitudine del Ministro nel riferire in Commissione e per quanto dichiarato sul generale Mazzaroli, chiede di approfondire la notizia circa l’invio di 300 uomini del San Marco e le relative conseguenze in termini politico-militari. In altre parole, chiede di sapere quale sia la posizione italiana nello scacchiere balcanico, se sia confermata quella elaborata in tempi recenti o se siano introdotte innovazioni alla luce dei recenti episodi di turbolenza di carattere etnico.


        Il ministro MATTARELLA precisa che l’uso del reggimento San Marco, già attestato in passato fra le forze in riserva, non incide sulla qualità dell’impegno italiano.


        Il senatore SEMENZATO prende spunto dalla notizia recentemente circolata sulla stampa e relativa all’utilizzo ingente (10 tonnellate) nei Balcani di uranio impoverito da parte delle Forze alleate sotto forma di polvere in proiettili sganciati. Paventa pertanto il rischio di contaminazione dei militari italiani e dei volontari colà impegnati e chiede di sapere, considerata la tossicità clinica, se il Governo italiano abbia predisposto tutte le necessarie misure per prevenire ogni rischio.


        Il senatore MANCA, ringraziato il ministro per l’attenzione verso la Commissione difesa, sottolinea l’esigenza di precisare – all’interno di una corretta ricostruzione del quadro internazionale – che il Governo italiano ha potuto operare proprio in forza del senso di responsabilità dell’opposizione parlamentare. Chiede di sapere se non ritenga insoddisfacente l’azione per arginare l’immigrazione clandestina, e, con riferimento alle dichiarazioni del generale Mazzaroli, chiede di sapere – condivise le critiche del ministro – se l’ufficiale fosse stato in grado di esplicitare in altro modo il suo disagio. Ribadisce l’apprezzamento per l’opera dell’MSU, che con l’essenziale partecipazione dei carabinieri costituisce e può costituire in futuro la punta di diamante dell’azione militare italiana all’estero. Da ultimo, auspica che venga espresso un apprezzamento formale in favore del personale militare che, con grande senso di abnegazione, tiene alto l’onore italiano all’estero.


        Il senatore PELLICINI domanda al Ministro di tratteggiare i confini dell’azione diplomatico-militare dell’Italia nei Balcani e di delineare i vantaggi che l’Italia ne dovrebbe trarre. Paventa il rischio di una politica estera priva di ritorni per l’Italia, pur così fortemente impegnata in aiuti molto generosi.


        Il senatore PALOMBO esprime una valutazione variegata nei confronti del generale Mazzaroli, certo non difendibile per le dichiarazioni rese da vice-comandante KFOR, ma coraggioso nel rinunciare a prospettive di carriera in omaggio ad un’idea. Chiede fermamente al Governo altrettanta coerenza di comportamento anche verso altri funzionari pubblici che, con la copertura di organizzazioni sindacali, esprimono in modo talora scomposto le loro opinioni.


        Il PRESIDENTE, per concomitanti impegni dell’Aula, sospende la discussione rinviandola ad altra seduta.


        
La seduta termina alle ore 15,10.