AFFARI COSTITUZIONALI (1ª)

GIOVEDÌ 27 LUGLIO 2000
565ª Seduta

Presidenza del Presidente
VILLONE

        Intervengono i sottosegretari di Stato per l’industria Passigli e per l’interno Lavagnini.

        La seduta inizia alle ore 8,40.


IN SEDE REFERENTE
(3236) Norme in materia di conflitti di interesse, approvato dalla Camera dei deputati in un testo risultante dall’unificazione dei disegni di legge d’iniziativa dei deputati Caparini ed altri; Veltri ed altri; Berlusconi ed altri; Piscitello ed altri
(236)
PASSIGLI ed altri. – Disciplina in materia di incompatibilità e di conflitto di interessi per i titolari di cariche di Governo
(4465)
CÒ ed altri. – Norme in materia di conflitti di interesse
(Seguito dell’esame congiunto dei disegni di legge nn. 3236 e 236, congiunzione con l’esame del disegno di legge n. 4465 e rinvio; esame del disegno di legge n. 4465, congiunzione con il seguito dell’esame congiunto dei disegni di legge nn. 3236 e 236 e rinvio)

        Si riprende l’esame sospeso nella seduta del 1º luglio 1999.
        La relatrice DENTAMARO descrive lo stato dell’esame dei provvedimenti in titolo, dando conto del disegno di legge n. 4465 la cui trattazione – non facendosi osservazioni – proseguirà dunque congiuntamente a quella delle altre iniziative. In particolare si sofferma sull’
iter del disegno di legge n. 3236, approvato con un voto sostanzialmente unanime dalla Camera dei deputati nell’aprile del 1998, sul quale il precedente relatore, il senatore Passigli, aveva riferito nella seduta del 27 maggio dello stesso anno. Successivamente si aprì un dibattito del quale ricorda gli interventi del sottosegretario Bettinelli e del senatore Elia. Come risulta dalla completa documentazione elaborata dal Servizio studi del Senato, i principali paesi occidentali sono dotati di organiche normative che regolamentano le situazioni di conflitto di interesse dei titolari di funzioni di governo. In Italia esiste solo la disciplina contenuta nelle leggi del 1953 e del 1957 relativa alle cause di incompatibilità e ineleggibilità dei componenti delle due Camere. Una disciplina dunque incompleta che non regolamenta le eventuali situazioni di incompatibilità, in cui possono incorrere altri titolari di cariche pubbliche. Da ciò l’opportunità di riprendere l’esame delle iniziative in titolo in questa fase finale della legislatura. Ai rilievi sull’inopportunità della ripresa dell’esame di tali iniziative replica osservando che questa legislatura è stata connotata da una costante attenzione al sistema delle regole, di cui i disegni di legge in esame costituiscono a suo avviso un tassello essenziale. Il problema del conflitto d’interesse, infatti, deve essere inteso come un problema di carattere generale e non come un tema da strumentalizzare. Queste iniziative, peraltro, non possono essere considerate come risposte a singoli problemi, come sembrano ipotizzare alcuni editoriali apparsi sulla stampa quotidiana degli ultimi giorni. Né, d’altro canto, si può ritenere che l’impossibilità di risolvere con gli strumenti previsti nel disegno di legge in titolo questi problemi renda comunque inutile l’intervento del legislatore. Si finirebbe per cadere nel paradosso evidenziato da taluno, secondo il quale solo l’ineleggibilità sarebbe un sistema effettivamente capace di risolvere alla radice il problema del conflitto d’interessi, ma al contempo si tratterebbe di una misura che verrebbe considerata odiosa da una parte consistente dell’elettorato. Non si può dunque avviare in tale ambito la soluzione di problemi che allo stato risiedono piuttosto nella sfera dell’etica pubblica, mentre potranno trovare rimedio nella progressiva evoluzione in senso liberale e pluralista del sistema economico italiano. Tenendo conto di questi limiti, ribadisce l’utilità di un intervento del legislatore che produca regole, in una materia tanto delicata, all’altezza di un paese moderno; regole sempre più necessarie nel contesto della progressiva globalizzazione del sistema economico. In proposito, ritiene che il testo trasmesso dall’altro ramo del Parlamento possa essere considerato un utile punto di partenza e auspica che sul medesimo possa aprirsi un confronto costruttivo, senza pregiudizi, che contribuisca a rafforzare la credibilità del paese a livello internazionale. Del resto un ampio consenso ha sorretto questa iniziativa, sin dalla sua prima elaborazione. Il testo approvato dalla Camera dei deputati, infatti, risulta dalla fusione di una pluralità di iniziative, una delle quali era stata promossa dal Governo Berlusconi. Si tratta di una iniziativa che cerca un punto di conciliazione tra le esigenze della democrazia politica e quelle della democrazia economica. In proposito chiarisce che non è pensabile far derivare dall’adozione della normativa sul conflitto d’interessi la soluzione dei problemi che investono il sistema economico italiano, rendendolo ancora non pienamente aperto alla libera concorrenza. Piuttosto è un’evoluzione in senso liberale e pluralista dell’economia italiana che potrà garantire una piena efficacia della normativa sul conflitto d’interessi. Regole analoghe a quelle oggetto dell’iniziativa in titolo, infatti, si rivelano perfettamente efficaci in sistemi da tempo caratterizzati da condizioni pienamente concorrenziali nella vita economica, come ad esempio il sistema statunitense. E tuttavia questa consapevolezza dell’insufficienza delle misure in oggetto non deve impedire al legislatore di intervenire, nella consapevolezza che il compimento del processo di liberalizzazione e di quello delle privatizzazioni potrà garantire le condizioni per una piena efficacia di tale normativa.
        Dopo queste considerazioni generali, la relatrice passa quindi ad illustrare una serie di puntuali rilievi sul testo trasmesso dall’altro ramo del Parlamento che, pur avendo un impianto apprezzabile, reca, a suo avviso, una serie di imperfezioni e superfetazioni che occorre eliminare.
        In primo luogo richiama la definizione dell’ambito soggettivo di applicazione della disciplina contenuta nell’articolo 1. In proposito ritiene meritevoli di una rivisitazione le disposizioni contenute nelle lettere
b) e c) del comma 3 che per molti versi paiono eccessive. Il combinato disposto degli articoli 1 e 2 è suscettibile inoltre di creare situazioni paradossali cui pongono rimedio gli emendamenti presentati dal precedente relatore (pubblicati in allegato al resoconto del 4 novembre 1998). Venendo quindi a considerare l’articolo 2, non risulta chiaro se la disciplina in esso contenuta innovi o meno la vigente normativa sulle incompatibilità parlamentari; tale disciplina è stata comunque oggetto di una pluralità di emendamenti, alcuni dei quali ampliano il novero delle incompatibilità, altri lo restringono. Ogni scelta in materia crede che debba essere rimessa a valutazioni di ragionevolezza e di opportunità; in proposito ritiene meritevole di attenzione l’ipotesi di estendere le condizioni di incompatibilità alle amministrazioni non statali (Presidenti di Regione e Sindaci di Comuni superiori a una certa dimensione). Rileva quindi un patente squilibrio nella disciplina a danno di alcune categorie, fra le quali cita i professionisti. L’esistenza di condizioni di incompatibilità per questi ultimi, ai sensi del comma 3 dell’articolo 7, conduce alla automatica revoca dall’ufficio. Nel caso invece di titolari di attività economiche rilevanti, si prevede solo l’obbligo di trasferimento delle stesse ad un trust, e non un obbligo di vendita né la decadenza dalla carica. Questa disparità, sulla quale avanza dubbi di legittimità costituzionale, deve essere a suo avviso attenuata ed è comunque oggetto di numerosi emendamenti che mirano a questo fine.
        Ricordato il contenuto dell’articolo 3, anch’esso oggetto di emendamenti presentati dal precedente relatore, passa a considerare l’articolo 4, osservando che l’Autorità garante ha uno spazio eccessivamente ristretto (solo 5 giorni) per procedere all’accertamento di situazioni di incompatibilità. Quanto all’articolo 5, richiama l’attenzione sulla formulazione utilizzata nel primo periodo del comma 2, che fa riferimento a tutte le attività economiche concernenti i mezzi privati di comunicazione e diffusione delle notizie e del pensiero. Si tratta di una nozione assai ampia, mentre nel resto della disciplina si fa un puntuale riferimento alla titolarità di attività concernenti i mezzi di comunicazione di massa.
        Dato conto del contenuto dell’articolo 6, si sofferma quindi puntualmente sull’articolo 7, che prevede il trasferimento delle attività economiche rilevanti ad un
trust. Questa disposizione reca un semplice rinvio alla disciplina contenuta nella Convenzione dell’Aja del 1985; una Convenzione cui non è stata data una puntuale attuazione nell’ordinamento giuridico italiano, oltre il semplice recepimento contenuto nell’ordine di esecuzione della Convenzione medesima. Occorre dunque verificare l’adeguatezza della disciplina in essa contenuta che, non sempre, a suo avviso, appare idonea per la soluzione delle questioni che il provvedimento in esame pone. Ad esempio, la Convenzione dell’Aja rende possibile al disponente di riservarsi alcuni poteri circa la gestione del patrimonio; poteri il cui ambito non è chiaramente circoscritto e che non sembrano comunque compatibili con i fini perseguiti nel provvedimento in esame. Similmente, questo prevede che la gestione sia esercitata nell’interesse del solo patrimonio amministrato, mentre la Convenzione dell’Aja contempla la possibilità di individuare un beneficiario diverso. Un’altra questione non risolta dalla formulazione dell’articolo 7 del testo approvato dall’altro ramo del Parlamento è quella del rapporto tra le decisioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e le decisioni dell’autorità politica; in particolare, ritiene non chiaro il combinato disposto dei commi 2 e 3 di tale articolo, che non precisano quale sia il soggetto titolare del potere di decidere circa la sussistenza di una situazione di incompatibilità. In proposito ricorda che un tema analogo fu oggetto dei lavori della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali che, proponendo una riformulazione dell’articolo 66 della Costituzione, convenne di affidare alla Corte costituzionale in seconda istanza la soluzione di eventuali controversie sulle deliberazioni delle due Camere in merito all’accertamento di condizioni di ineleggibilità ovvero di incompatibilità.
        Probabilmente anche la questione oggetto dei citati commi 2 e 3 dell’articolo 7 potrebbe essere risolta in modo soddisfacente solo attraverso una riforma costituzionale.
        Con riferimento all’articolo 8, osserva che la data prevista per la resa del conto da parte del gestore, non appare realistica; occorrerebbe a suo avviso un termine più ampio. Venendo quindi a considerare l’apparato sanzionatorio delineato nell’articolo 9, rileva un evidente squilibrio tra la fattispecie prevista nel comma 1 (che ritiene peraltro di difficile applicazione) e la conseguente sanzione, rispetto alla fattispecie definita nel comma 2 per la quale si prevede, a suo avviso, l’applicazione di una sanzione irrisoria a carico del solo gestore. Osserva inoltre che l’ultimo comma di tale articolo affida il potere di irrogare la sanzione al Presidente del Consiglio che potrebbe essere il titolare della gestione. Quanto all’articolo 10, crede che il problema del trattamento fiscale dei redditi derivante dalla gestione fiduciaria non venga limpidamente risolto, mentre reputa ingiusta la previsione contenuta nel secondo periodo del terzo comma, che rappresenta una deroga ingiustificata ad un principio dell’ordinamento tributario. Illustrato brevemente il contenuto degli articoli 11 e 12, richiama infine l’attenzione sull’articolo 13, osservando che il comma 6 prevede una riunione in conferenza della autorità di controllo e di garanzia che potrebbero non essere capaci di pervenire ad una deliberazione nel caso la conferenza consista nella riunione di due sole autorità.

        Sull’illustrazione della relatrice si apre quindi il dibattito.
        Il senatore SCHIFANI, riservandosi di intervenire più ampiamente dopo la sospensione estiva dei lavori, coglie l’occasione per lamentare il ritardo con il quale è stato ripreso l’esame del disegno di legge n. 3236 approvato con un ampio consenso dalla Camera dei deputati. Ritiene che il confronto potrà svilupparsi su questo testo, senza che ne venga stravolto l’impianto. Auspica quindi che l’esame in Commissione non venga influenzato dal dibattito che si sta svolgendo all’esterno del Parlamento, e che si possa quindi trovare un’intesa sulla base di un ampio consenso. Si riserva, infine, di approfondire taluni aspetti dell’adozione dell’istituto del
trust, per evitare che l’applicazione di una disciplina non ancora attuata nell’ordinamento italiano possa risolversi in un ingiustificato pregiudizio della situazione economica di rilevanti gruppi industriali nazionali.
        Il presidente VILLONE avverte che il dibattito proseguirà nella prima settimana dopo la sospensione dei lavori. Alla luce del tempo intercorso dalle ultime sedute dedicate all’esame dei provvedimenti in titolo avverte che proporrà, alla ripresa dei lavori, una breve riapertura del termine di presentazione degli emendamenti.
        La Commissione prende atto.
        Il seguito dell’esame congiunto è quindi rinviato.


IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO
Schema di decreto legislativo concernente il Testo unico in materia di ordinamento degli enti locali, a norma dell’articolo 31 della legge 3 agosto 1999, n. 265 (n. 699)
(Parere al Ministro per i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell’articolo 31 della legge 3 agosto 1999, n. 265. Seguito e conclusione dell’esame. Parere favorevole con osservazioni)

        Riprende l’esame, sospeso nella seduta di ieri.
        Il presidente VILLONE dà conto dello seguente schema di parere favorevole con osservazioni, predisposto dal relatore:
        «La Commissione, esaminato lo schema di decreto legislativo in titolo;

            visto il parere del Consiglio di Stato espresso nell’adunanza dell’8 giugno 2000;
            visto il parere della Conferenza Stato-città ed autonomie locali espresso nella seduta del 9 giugno 2000;
            preso atto della determinazione della Conferenza Stato-Regioni espressa nella seduta del 22 giugno 2000;
            visto il parere della conferenza unificata espresso nella seduta del 6 luglio 2000;
            richiamata la discussione nelle sedute del 28 giugno – 20 e 26 luglio 2000;
            visto il parere della I Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati del 19 luglio 2000 che si condivide per le parti non oggetto di specifica osservazione del presente parere;
            considerato che la delega conferita con l’articolo 31 della legge 3 agosto 1999 n. 265, ha obiettivamente limitato la possibilità di introdurre modifiche alla legislazione vigente anche quando derivanti da necessità di coordinamento di interpretazione. Sulla portata della delega conferita appaiono decisive le considerazioni derivanti dal riferimento nel primo comma alle «disposizioni legislative vigenti» e soprattutto dalla assenza di determinazione di principi e criteri direttivi, come richiamato dall’articolo 76 della Costituzione, per gli oggetti, per i quali si voleva innovare. A superare questa obiezione non è sufficiente fare riferimento al tempo concesso e al fatto che sullo schema di decreto legislativo si debba acquisire il parere delle competenti Commissioni Parlamentari. Il parere delle Commissioni Parlamentari non è un argomento per ampliare la delega, ma uno strumento di cooperazione e semmai di controllo sul corretto esercizio della delega.

        Resta, pertanto, aperta alla iniziativa legislativa diretta o delegata l’innovazione necessaria soprattutto per ridefinire il ruolo e le funzioni degli enti locali nel nuovo assetto delle istituzioni italiane, che si prefigura per l’appartenenza dell’Italia alla Unione Europea. All’impulso per l’innovazione normativa costituisce contributo l’espressione del presente.
        Considerato che il precetto dell’articolo 114 della Costituzione in relazione all’articolo 5 richiede in particolare valorizzazione e tutela dell’ente locale Comune escludendo ogni sua subordinazione alle altre articolazioni politiche ed amministrative.
        Considerato che malgrado i limiti della delega, l’approvazione del Testo Unico sia positiva per l’elemento di stabilità che rappresenta e per i vincoli al legislatore, che introduce (articoli 1 e 5), per evitare che innovazioni legislative successive riproducano una stratificazione di normative pregiudizievole per la stessa trasparenza, economicità ed efficacia dell’azione degli enti locali territoriali.
        Rilevato in particolare che dovrebbero essere riviste le norme relative alle ineleggibilità ed incompatibilità per adeguarle ad una mutata realtà economica e sociale affinché si tenga altresì conto della diversa dimensione degli enti, dei ruoli che influenzano la pubblica opinione e dei conflitti, anche potenziali, di interesse, superando visioni puramente formalistiche (si vedano ad esempio le conseguenze derivanti dall’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1980 o quelle derivanti dal passaggio delle USL alle ASL per impedimenti derivanti dall’appartenenza al Servizio sanitario nazionale)
esprime parere favorevole
        con le seguenti osservazioni:
            1. Art. 1. L’espressione del comma 2 per cui «le leggi regionali si conformano ai principi stabiliti dal presente Testo Unico» deve essere riformulata perché il testo Unico, in quanto tale, non stabilisce principi ed i principi da un lato si rispettano e dall’altro ad essi ci si può ispirare, ma non conformare. Sui rapporti tra leggi statali e leggi regionali si rinvia al parere della Conferenza Unificata del 6 luglio 2000 che si condivide nelle sue linee generali e sulle proposte puntuali sempre con i limiti derivanti dalle considerazioni svolte in premessa in relazione agli articoli 5 e 114 della Costituzione. In relazione al comma 4 si osserva che l’effetto abrogativo di norme statutarie in seguito all’entrata in vigore di nuove leggi non può derivare da una generica enunciazione di principi ma semmai da norme puntuali espressione di principi, che si vogliono introdurre. Le leggi che introducono norme di principio non possono che essere leggi generali della Repubblica
ex articolo 128 della Costituzione o leggi che espressamente modificano norme di tali leggi generali.
            2. Art. 3, in relazione agli articoli 5 e 114 della Costituzione non si può individuare un sistema regionale delle autonomie locali se non come ambito territoriale di coordinamento e di indirizzo per le funzioni delegate. Il complesso delle relazioni tra comuni e province da un lato e Regioni dall’altro deve essere visto nell’ambito della individuazione delle rispettive funzioni. Le funzioni di comuni e province sono, per altro, materia estranea al presente Testo unico per i limiti della delega conferita.
            3. Art. 5. Per i limiti posti dal comma 2 si rinvia alle considerazioni svolte in precedenza sulla nozione di principi fissati dal Testo unico. Per il resto si rimanda ai punti 1), 2) e 3) del parere della I Commissione della Camera dei Deputati.
            4. Art. 8. Si osserva che l’effettività della trasparenza dell’Amministrazione richiede che, in caso di inerzia nel consentire la visione degli atti o nel rilasciare copia degli stessi sia sanzionata da tempestivi interventi sostitutivi o dalla sostanziale gratuità dei ricorsi
ex articolo 25 della legge n. 241 del 1990.
            5. Art. 26. Le disposizione dei commi 1 e 7 vanno tra di loro coordinate come osservato nel parere della Conferenza unificata. In relazione agli articoli 5, comma 2 e 44 del Testo Unico ed ai principi in essi enunciati deve essere risolto il problema interpretativo del comma 2 in quanto il solo voto limitato non garantisce la presenza e la rappresentatività delle minoranze consiliari se non viene espressamente limitato ad un solo nome. Tale questione ha riflesso sulla formulazione dell’articolo 29, che dovrebbe escludere che lo stesso possa essere interpretato come possibilità di revoca delle rappresentanze che sono state già elette nel rispetto dei principi fissati dalla normativa sopra citata. Si richiamano altresì i punti 9) e 10) del parere della I Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati.
            6. Art. 48. La norma tiene conto del definitivo passaggio delle competenze gestionali ed amministrative in capo ai dirigenti. Sulla scorta del parere del 12 giugno 2000 del Consiglio di Stato si deve migliorare il raccordo tra competenze dirigenziali e degli organi politici-amministrativi nel senso enunciato dall’articolo 107 del Testo unico.
            7. Art. 58 comma 1. Riproduce l’articolo 15 della legge n. 55 del 1990, ma inserisce tra le cariche per cui sussistono le cause ostative indicate dall’articolo anche quelle di «amministratore componente delle aziende sanitarie locali e ospedaliere», perché all’epoca le Unità sanitarie locali dipendevano dai comuni, mentre ora, com’è noto, con il decreto legislativo di riforma sanitaria n. 502 del 1992 le aziende sanitarie locali dono divenute «persone giuridiche di diritto pubblico aventi natura di enti strumentali delle regioni». Occorrerebbe dunque eliminare tali cariche dal comma 1 dell’articolo 58, e, corrispondentemente, nell’articolo 55 del 1990 il riferimento ai «consiglieri regionali», inserire anche il riferimento a «amministratore e componente degli organi comunque denominati delle unità sanitarie locali».
            8. Artt. 60 (ineleggibilità) e 63 (incompatibilità). Il comma 1 numero 8) prevede l’ineleggibilità di direttori generali, amministrativi e sanitari delle ASL in ogni caso nel collegio elettorale in cui sia ricompreso in tutto o in parte il territorio dell’azienda sanitaria locale o ospedaliera presso cui abbiamo esercitato le proprie funzioni in un periodo compreso nei sei mesi antecedenti la candidatura. Tale disposizione è ripresa dall’articolo 3, comma 9, terzo periodo, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, che ha sostituito in modo esplicito l’articolo 2, comma 9, della legge n. 154 del 1981; così come sono contenute nel predetto comma 9 le altre norme dirette a disciplinare l’ineleggibilità di chi copre le predette cariche (il comma 2 dell’articolo 60 richiama di nuovo il comma 9). Un problema posto dal Consiglio di Stato nel suo parere riguarda l’esclusione dai destinatari delle norme sull’ineleggibilità di coloro che ricoprono cariche negli organi e strutture collegiali di supporto all’attività del direttore generale delle aziende ospedaliere e sanitarie (collegio sindacale e di direzione). La mancata previsione della ineleggibilità di questi soggetti non è giustificata – secondo il Consiglio di Stato – né dalla mutata situazione normativa e relativi cambiamenti di denominazione, né dal fatto che queste figure siamo contemplate nel predetto articolo 2 comma 9 della legge n. 154, ma non dal decreto legislativo n. 502 del 1992. Da segnalare che dall’articolo 60, comma 1, numero 2) non è più prevista l’ineleggibilità per i commissari di Governo. Si segnala inoltre l’anomalia della ineleggibilità dei componenti di organi di controllo (n. 5) in quanto non vi è alcun riferimento all’ambito territoriale in cui operano ed in relazione alla generale riduzione degli atti soggetti a controllo. Nell’articolo 63 n. 3) occorre precisare, sulla scorta della giurisprudenza consolidata, che l’attività deve avere la caratteristica della continuità. Nell’attesa delle innovazioni normative enunciate in premessa si ritiene che la incompatibilità di cui al n. 2) discendono da cariche formali e non si adattano, nel caso di persone giuridiche, all’azionista di controllo o di riferimento. Le ineleggibilità derivanti da litispendenza devono essere riviste alla luce dei principi costituzionali sanciti dagli articoli 24 e 113 nonché dall’articolo 51 della Costituzione.
            9. Art. 88 e norme seguenti. Dubbi genera anche la riproposizione nel Testo unico delle disposizioni relative al personale di tutte le amministrazioni pubbliche (in particolar modo il decreto legislativo n. 29 del 1993 e successive modificazioni) in quanto applicabili anche al personale degli enti locali. Tale ripetizione nella normativa generale (cfr. commi 7 e 8 dell’articolo 88), se pur dettata dalla comprensibile esigenza di accorpare tutta la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze degli enti locali in un unico contesto, pone il problema di una gemmazione novativa delle norme di origine. Sono evidenti i problemi che ciò porrebbe. In primo luogo i completamenti e le possibili inesattezze in caso di modifica della disciplina generale del decreto legislativo n. 29 per le correzioni da apporre alle analoghe norme del Testo unico. Inoltre, ove tali modifiche non fossero inserite, si potrebbe presentare il rischio di una scissione del regime del rapporto di lavoro pubblico in generale rispetto a quello degli Enti locali. Eventualità questa in contrasto proprio con la
ratio del nuovo statuto unitario del rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazioni che ha inteso dare il decreto n. 29 del 1993. La proposta formulata dal Consiglio di Stato suggerisce «l’eliminazione delle norme in toto ripetitive del Decreto Legislativo n. 29 del 1993 e successive modifiche», accompagnata dall’introduzione, all’inizio del Capo I, di una norma generale di rinvio mobile alla disciplina madre, capace di recepire per relationem le modifiche introdotte nel tempo anche attraverso lo strumento del Testo unico. Detto nuovo articolo dovrebbe riprodurre l’attuale riformulazione dell’ultimo comma dell’articolo 88.
            10. Art. 114. L’articolo riproduce la formulazione dell’articolo 23 della legge 142. Ovviamente si dovrà riformulare quando saranno approvate definitivamente le norme, già licenziate da questo ramo del Parlamento (AS 4014), sul riordino dei servizi locali. Questa considerazione si estende all’intero titolo V.
            11. Art. 116. Il comma 5 è materia estranea al Testo Unico e va espunta. I compiti e le funzioni degli organi regionali di controllo estranei all’articolo 130 della Costituzione sono materia di competenza di altre leggi regionali o nazionali.
            12. Art. 134. Nel secondo comma appare opportuno precisare se il decimo giorno decorre dall’inizio della pubblicazione ovvero, come appare più logico, dalla compiuta pubblicazione.
            13. In generale la normativa sui controlli, per i quali occorre distinguere tra interni ed esterni, va ripensata alla luce della competenza più limitata dei consigli, istituendo forme di controllo eventuale e successivo rispetto a quello preventivo e in particolare per quanto attiene al vizio di competenza e di contrasto con atti fondamentali del Consiglio. Il ruolo riconosciuto alle minoranze dagli articoli 3 e 44 non può essere vanificato di fatto dalle obiettive limitazioni, anche di ordine economico, all’accesso alla giustizia amministrativa. Il controllo consiliare, indipendentemente dai ruoli di maggioranza e di opposizione, ha un senso, se riferito alle deliberazioni di altri organi e non alle proprie.
        14. Art. 135-136-137. Si appalesa necessario individuare gli enti considerati dalle norme. L’espressione Ente Locale è generica e si riferisce anche ad Enti (per esempio la camera di Commercio o le IPAB) estranei al Testo unico.
            15. Art. 143. A fronte del chiaro dettato dell’articolo 40, comma 1 della legge n. 142 del 1990 come novellato dall’articolo 4 della legge 18 gennaio 1992 il testo attuale (ancorché rispettoso dalla legge n. 13 del 1991, che elenca gli atti tassativamente di competenza del Presidente della Repubblica) pone problemi di rispetto formale della delega conferita al governo.
            16. Art. 185 L’elenco di cui al quarto comma non esaurisce i casi in cui si deve pagare anche in assenza della preventiva emissione del relativo mandato di pagamento. Sarebbe opportuno inserire le parole «ed ogni pagamento imposto da specifiche disposizioni di legge».
            17. Art. 195. Nel comma 3 secondo periodo la formulazione, per altro conforme all’articolo 38 del decreto-legge n. 77 del 1995, intesa in senso formale, richiede ricostituzioni parziali e per somme a volte di piccola entità che appesantiscono inutilmente l’attività contabile e di tesoreria.
            18. Art. 201. La formulazione dell’articolo non tiene conto delle norme intervenute successivamente all’articolo 46 del decreto legislativo n. 504 del 1992. L’articolo 49 comma 9 della legge 27 dicembre 1997 n. 449 ha, per esempio, abrogato il comma 6 dell’articolo 46 del decreto legislativo 504 del 1992, che di contro appare ancora nel testo.
            19. Art. 203. La disposizione va coordinata con l’articolo 192 al Testo unico e pertanto occorre sostituire la parola «deliberazione» con la parola «determinazione» di ricorso.
            20. Art. 226. È opportuno prevedere a chi compete di presentare il conto alla sezione giurisdizionale della Corte dei Conti competente per l’esame.

            21. Art. 208. L’articolo che riproduce l’articolo 38 della legge n. 38 del 1999 di modifica del decreto legislativo 25 febbraio 1995 n. 77 non tiene conto dell’articolo 40 della legge 23 dicembre 1997 n. 448 così come integrato dall’articolo 47 comma 2 della legge 23 dicembre 1999 n. 488 e pertanto la Società Poste Italiane Spa è autorizzata all’esercizio del servizio di tesoreria».
        Su questo schema si apre quindi il dibattito.
        Il senatore PASTORE ribadisce le sue perplessità sull’articolo 62 dello schema in titolo che riproduce, con puntuale riferimento ai soli sindaci e presidenti delle province, una norma di carattere generale sulle condizioni di ineleggibilità e incompatibilità di deputati e senatori. Questa previsione, in assenza di un espresso rinvio alla normativa di riferimento, potrebbe ingenerare dubbi interpretativi e alimentare il rischio di un’evoluzione separata e non coordinata delle normative in un ambito particolarmente delicato.
        Il senatore ROTELLI illustra una serie di osservazioni allo schema il cui accoglimento considera essenziale per poter formulare un avviso favorevole sul medesimo. In primo luogo ribadisce la non correttezza del titolo dello schema in esame che fa un generico riferimento agli enti locali, mentre invece l’oggetto del provvedimento in esame è l’ordinamento dei comuni e delle provincie e delle loro forme associative. Dichiara quindi di non condividere l’espresso riferimento che nello schema di parere si fa al parere della corrispondente Commissione della Camera dei deputati, il quale riproduce sostanzialmente il parere reso dal Consiglio di Stato che ha, a suo avviso, un impianto marcatamente centralista. Ritiene poi improprio ritenere il parere delle Commissioni parlamentari uno «strumento di cooperazione»: si tratta invece di un mezzo di controllo sul corretto esercizio della delega. Valuta inoltre non necessario il riferimento all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, mentre reputa impropria l’espressione «tutela dell’ente locale». Con riferimento alle osservazioni relative all’articolo 1, rileva che l’articolo 128 della Costituzione non prevede che le leggi generali della Repubblica debbano fissare solo principi. Ribadisce quindi di considerare restrittiva l’interpretazione che è stata fornita alla delega che in sé non esclude la possibilità che al testo unico venga allegata una puntuale ricognizione delle funzioni che spettano agli enti locali. Manifesta quindi talune perplessità sulle formulazioni dei punti 11, 12 e 13 dello schema di parere del relatore. Quanto al punto 14 osserva che i rilievi in esso contenuti danno ragione della opportunità da lui evidenziata di modificare il titolo del testo unico. Si mostra invece soddisfatto per la considerazione che il relatore ha voluto dare a due suoi rilievi: l’improprietà della previsione contenuta nell’articolo 1 secondo la quale la legislazione regionale si deve conformare ai principi del testo unico; la incongruità della espressione «sistema regionale delle autonomie locali» contenuta nella rubrica dell’articolo 3 dello schema in titolo.

        L’apprezzamento di questi passaggi dello schema illustrato dal relatore non deve essere comunque inteso come un giudizio favorevole verso la normativa contenuta nello schema, che reputa fortemente datata e non coerente con i princìpi di autonomia degli enti locali sanciti dalla Costituzione.
        Il senatore TIRELLI si associa ai rilievi mossi dal senatore Schifani sulla formulazione dell’articolo 62, che potrebbe dare adito ad interpretazioni nel senso dell’attenuazione dell’obbligo di dimissioni dalle cariche di sindaco dei comuni di maggiori dimensioni e di presidente della provincia, 120 giorni prima dello svolgimento delle consultazioni elettorali, per coloro che abbiano deciso di accettare la candidatura a deputato o senatore.
        Il presidente VILLONE ritiene che la materia sia estranea al contenuto del provvedimento in titolo dal quale, dunque, non dovrebbero ricavarsi argomenti per una diversa interpretazione della normativa vigente.
        Interviene quindi il senatore ELIA il quale, con riferimento alle osservazioni alle norme dell’articolo 1 dello schema contenute nella proposta del relatore, ritiene che il testo unico possa enucleare principi dalle disposizioni vigenti, mentre occorre evitare che vengano elevate a rango di principi disposizioni di dettaglio. In proposito lamenta la tendenza dell’amministrazione a considerare principi previsioni normative puntuali, al solo fine di ridurre gli spazi di autonomia delle regioni e degli enti locali. Auspica quindi che, nella redazione del testo unico, vengano chiaramente distinte le disposizioni recanti principi dalle disposizioni recanti normative puntuali che non possono essere considerate in alcun modo princìpi.
         Condividendo tali rilievi il senatore ROTELLI ricorda di avere evidenziato, nel corso delle precedenti sedute, la improprietà della formulazione del comma 1 dell’articolo 1 dello schema che accomuna il riferimento ai «principi» con quello alle «disposizioni»
        Concorda con queste osservazioni il presidente VILLONE che propone alla Commissione di conferire mandato al relatore di redigere un parere favorevole con le osservazioni illustrate, integrate e corrette dai rilievi emersi nel corso del dibattito.
        Accertata la presenza del prescritto numero legale dei senatori la Commissione conferma mandato al relatore secondo la proposta avanzata dal Presidente.


        
La seduta termina alle ore 9,50.