Il Presidente: Discorsi

Incontro "Come vincere la sfida dell'immigrazione? Accoglienza, inclusione, lavoro: le riforme necessarie a partire dai Comuni e dal superamento della Bossi-Fini"

Intervento del Presidente del Senato, Pietro Grasso, nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani

20 Gennaio 2017

Cari colleghi e amici, cari Sindaci, Signore e Signori,
ho accolto davvero con molto piacere la proposta di Emma Bonino ed Enzo Bianco di ospitare in Senato questo incontro sui temi dell'immigrazione nel nostro Paese - accoglienza, inclusione, lavoro - visti attraverso la prospettiva del territorio, vale a dire alla luce delle esperienze delle amministrazioni locali. La materia, come tutti sappiamo, è molto complessa perché si intrecciano sfide geopolitiche, economiche, istituzionali, sociali, di sicurezza. Per questo credo sia necessario confrontarsi in momenti di riflessione come questo, perché il nostro primo sforzo è comprendere la realtà fuori dai falsi miti e superando demagogie, semplificazioni, luoghi comuni, steccati ideologici e pregiudizi politici. Le demagogie e i populismi si scontrano sempre con la necessità di dare risposte concrete, di governare le tante urgenze delle realtà che riguardano la quotidianità e la vita delle persone. In questo senso, credo che il contributo che possono dare i Sindaci, la prima linea dello Stato sul territorio, sia determinante perché misurarsi con i problemi concreti dal terreno dell'ideologia vuota riporta a quello dell'umanità, dei suoi bisogni e fragilità, da un lato, e al confronto con la legittima richiesta di sicurezza dei cittadini.

Prima di lasciarvi agli interessanti interventi del pomeriggio, vorrei proporre alcune brevi osservazioni. Io penso che per occuparsi davvero di migrazioni, bisogna per prima cosa abolire la parola "emergenza", che richiama l'idea di fatti passeggeri destinati a non durare nel tempo. Al contrario, sono coinvolti fenomeni strutturali complessi, come le destabilizzazioni in Medio Oriente, in Africa e nel Mediterraneo. Conflitti, violazioni dei diritti, povertà e assenza di prospettive hanno prodotto un universo di sessanta milioni di persone senza identità, senza volto e nazionalità, sballottati fra barconi, frontiere, manganelli, odio, campi profughi. Servono quindi strategie geopolitiche, coniugate ad appropriate misure organizzative e adeguate politiche legislative. Mi pare che questa forte necessità di visione complessiva del fenomeno sia presente nel lavoro del Presidente Gentiloni e del Ministro Minniti in queste poche settimane di governo. L'Unione è purtroppo rimasta sostanzialmente assente dal quadrante meridionale, paralizzata da egoismi e distratta dall'interesse sull'asse orientale, e si deve all'intenso lavoro italiano a Bruxelles il fatto che solo di recente nel lessico europeo sia finalmente entrata la parola "Africa" e si stia facendo strada progressivamente la consapevolezza della necessità di investire politicamente ed economicamente nei Paesi in difficoltà. Quanto al soccorso e all'accoglienza dei migranti, vorrei rispondere alla sostanziale indifferenza di alcuni Paesi europei e alla freddezza di altri, con le parole di Papa Francesco, che ha detto che l'Europa è "la patria dei diritti umani e chiunque vi metta piede.. deve poterlo sperimentare". Io ripeto di continuo, l'ho fatto più volte anche nelle sedi multilaterali europee, che l'accoglienza dei profughi non è un atto di liberalità, non è un gesto di generosità, una manifestazione di buon cuore: è un doppio dovere morale e giuridico: dovere di soccorrere chi è in difficoltà in mare e dovere di fornire a chi fugge da conflitti e da persecuzioni la protezione cui ha diritto in base alle norme internazionali. Uno dei problemi più urgenti è garantire ai richiedenti asilo un esame rapido delle loro istanze e a questo fine io considero importante rivedere i relativi procedimenti in modo da assicurare il riconoscimento dei diritti in modo più snello e veloce, come il governo si appresta a fare. Concordo anche con l'intento di abrogare il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato che costituisce un ostacolo alle misure amministrative e un appesantimento inutile del sistema giudiziario e carcerario senza aumentare né diritti né sicurezza.

In secondo luogo, a proposito di accoglienza, ho avuto modo di osservare in varie aree del Paese esperienze molto positive di impegno e interazione dei Comuni con le prefetture, le forze dell'ordine, le altre articolazioni territoriali del governo e le popolazioni. Penso che le pressioni cui il sistema è sottoposto (ad oggi 176.000 gli immigrati ospitati nelle varie strutture) e la contingenza economica richiedano la razionalizzazione delle risorse anche grazie alle buone prassi di accoglienza diffusa che saranno illustrate dai Sindaci: modelli che riescono a contemperare in modo trasparente gli interessi dei rifugiati, quelli delle comunità e quelli dei territori. In terzo luogo, io credo che il declino demografico del Paese e la determinante quota di ricchezza che in Italia è prodotta dagli immigrati debbano spingere la politica a riflettere con maggior attenzione sulle sfide dell'integrazione degli immigrati nel tessuto sociale, anche attraverso politiche lungimiranti sulla concessione dei diritti politici e di cittadinanza. Il Parlamento sta finalmente cominciando ad affrontare i problemi e in Senato sono stati calendarizzati per la prossima settimana due provvedimenti importanti: quello sulla protezione dei minori non accompagnati, un fenomeno gravissimo se si pensa che nel 2016 sono giunti in Italia 26.000 minori non accompagnati e altrettanti ne erano sbarcati fra il 2014 e il 2015, e quello in tema di cittadinanza.

Io penso che il nostro Paese abbia una responsabilità speciale di fronte a questa umanità dolente, una responsabilità che deriva da quello che siamo, da dove veniamo, dalla nostra storia millenaria. Credo che questa consapevolezza debba indurci a pensare i problemi (che sono tanti e di soluzione non certo semplice) diversamente, lavorando a un progetto di futuro nel quale la coesione sociale non si costruisce attorno alla religione, la nazionalità, la lingua o l'etnia, ma attorno alla solidarietà e alla capacità di ciascuno di impegnarsi per il bene comune. Vi auguro dunque buon lavoro e vi ringrazio.



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