Il Presidente: Articoli

La stabilità del Governo infrastruttura della crescita

Intervista al quotidiano "Il Sole 24 Ore"

6 Aprile 2008

di Alberto Orioli

«La stabilità di Governo è il valore da perseguire con il voto. E' la vera infrastruttura politica indispensabile per assicurare al Paese la crescita e lo sviluppo». Franco Marini è in campagna elettorale e quando va alle manifestazioni sta sul palco come socio-fondatore del Pd e lo rivendica («le ipocrisie non mi piacciono»), ma di fronte alle analisi pessimiste del Fondo monetario e degli osservatori dell'economia, in realtà, non smette i panni istituzionali di presidente del Senato e pone in primo piano «le grandi responsabilità della politica che non è stata, in questi anni, al livello dei problemi del Paese».

Cosa deve fare la politica?
«Riformarsi per evitare, tra l'altro, che le sue inefficienze siano causa anche di quelle dell'intero settore pubblico centrale e periferico. E' evidente il limite della politica che ci ha fatto precipitare verso le elezioni senza modificare prima una legge elettorale che, in privato, tutti giudicano mostruosa ma che in pubblico non hanno avuto il coraggio o la forza di affrontare. E' una legge mostruosa e anche scarsamente democratica laddove impedisce la scelta degli eletti. Per non parlare del paradosso dei due diversi premi di maggioranza: si arriva al risultato di avere maggiore instabilità quando invece i premi dovrebbero servire proprio a stabilizzare i Governi».

Riforme, stabilità. Ma come si fa con il Senato ancora una volta in bilico per effetto della legge elettorale?
«Questo è un problema serissimo. E resterà aperto anche dopo. Per questo propongo che si faccia subito la riforma elettorale e auspico che maggioranza e opposizione, comunque, affrontino il tema e lo risolvano rapidamente alla ripresa della legislatura. Sarà un capitale accantonato per il miglioramento della democrazia nel nostro Paese. E soprattutto per garantire la stabilità che è il bene più prezioso in questo momento».

Lei ha già tentato una volta di accantonare quel capitale. Come è andata?
«Aveva ragione il presidente della Repubblica quando, consapevole della necessità di difendere la stabilità delle istituzioni, ha tentato di far nascere un Governo per la prima volta funzionale al solo cambiamento della legge elettorale. Nelle consultazioni io ero chiaro: riforma a partire da una bozza largamente condivisa, poi a giugno si vota».

Ma non è bastato anche se lo chiedevano a gran voce anche le parti sociali.
«Sono stato criticato per avere allargato le consultazioni alle parti sociali. Ma è stato utile una volta di più per capire che, all'unanimità, le forze produttive del Paese sollecitavano la riforma. Del resto io sapevo bene cosa pensassero ed ero convinto che la loro pressione sarebbe stata utile per arrivare a una soluzione positiva. Ma non è bastato».

Cosa ha spinto la Cdl a chiedere il voto?
«Non credo la protervia. Dopo due anni di fallite spallate quando la Cdl ha raggiunto il risultato ha fatto una scelta solo psicologica, non razionale. In ogni caso un errore».

Berlusconi secondo lei si è pentito?
«Non so cosa pensi in cuor suo Berlusconi. Ma dalle parole che gli sento dire in questi giorni non mi pare sia particolarmente tranquillo sull'esito del voto, soprattutto al Senato. Se poi si è un po' pentito sarebbe anche un fatto positivo».

Come si sente a tornare tribuno dopo due anni di rigoroso bon ton istituzionale?
«E' evidente che parlare di bon ton durante la campagna elettorale è un non senso. Tuttavia, in partenza avevo un relativo imbarazzo: dopo due anni di esperienza al Senato, durante i quali ho cercato di esercitare i doveri del ruolo sforzandomi di essere super partes nel governo di un'aula difficilissima, tornare alla battaglia politica diretta mi sembrava strano. Però debbo dire che mai una scelta istituzionale fu soprattutto una scelta politica perché, se non fossi stato realmente sopra le parti, avrei sbattuto rapidamente contro un muro. Invece non ho sbattutto io e la maggioranza non è saltata in aula a Palazzo Madama, ma per effetto di una scelta interna alla coalizione dell'Unione».

Non crede che la politica debba anche eliminare il sospetto nei cittadini che alcune regole sono solo "furbate" come quella sui rimborsi elettorali che premiano anche formazioni da zero vigola senza alcuna speranza di arrivare in Parlamento?
«Tutto quello che aiuta a eliminare la frammentazione è benvenuto. Delle regole sui rimborsi elettorali se ne dovrà parlare, così come di quelle sui regolamenti per la costituzione dei gruppi. Per il resto voglio sottolineare la scelta del Partito democratico - alla quale ho contribuito - che ha certamente ridotto la frammentazione politica e oggi pone agli elettori una scelta chiara su un programma certo, legato ai bisogni reali delle persone, su un Governo credibile senza più mediazioni ossessive come accadeva con l'Unione».

Berlusconi dice che se vincerà avrà contro tutte le istituzioni, dal Quirinale alla Consulta. Che ne pensa?
«Sono affermazioni sbagliate, non condivisibili. Tuttavia c'è da dire che il presidente Berlusconi è in campagna elettorale: si tratta di propaganda. Dopo le elezioni verrà il tempo della razionalità».

Veniamo ai temi dell'economia, rischiamo la recessione?
«Nessuno può trascurare il fatto che l'Italia da 10 anni cresce meno dei Paesi europei. Non possimo fare finta che questo non condizioni tutto quello che dobbiamo fare: il rilancio del Mezzogiorno per dare un vero assetto unitario al Paese; la spinta a investire più risorse pubbliche nella ricerca visto che spendiamo la metà di Germania o Gran Bretagna; la necessità di potenziare la sicurezza soprattutto in alcune regioni dove non è garantita la fruizione libera e positiva del proprio territorio; l'esigenza di aumentare l'occupazione femminile che oggi è al 46% contro il 59% dell'Europa».

Manca il tema della flessibilità.
«Non sarò certo io a spaventarmi della parola flessibilità: la usavo, con prudenza data l'epoca, da sindacalista già negli anni 70. E' chiaro che occorre riflettere anche sul rapporto tra la flessibilità necessaria e l'abuso di forme di precariato. Che secondo me è un problema grave e anche le imprese lo devono capire. Ho sempre pensato che il contributo di Marco Biagi è stato importante, ci ha reso più europei, ci ha fornito un prezioso lavoro di impostazione su cui ancora è possibile intervenire».

Torniamo al tema centrale: sarà recessione?
«Devo sottolineare che soltanto durante il Governo Prodi l'Italia è cresciuta a ritmi davvero europei e ha saputo addirittura abbattere di due punti il debito pubblico, un risultato eccezionale. Oggi guardo con grande ammirazione i risultati eccezionali delle nostre piccole e medie imprese che, con grandi sforzi e grande talento, riescono a stare sui mercati mondiali, anche su quelli più difficili. Sfruttano l'idea della qualità delle produzioni italiane che è vincente; l'export ha dato e continua a dare un contributo molto significativo alla crescita italiana. Tuttavia non possiamo pensare che il miracolo duri in eterno, soprattutto se la politica non fa quel passo verso la stabilità e la modernizzazione di cui parlavo prima. Del resto anche i principali santuari del pensiero liberista hanno abbandonato quel certo pensiero estremista che considerava l'azione dello Stato solo come un impedimento. Mi pare che oggi l'azione pubblica è stata rivalutata e fanno scuola addirittura i salvataggi tipo Northern Rock in Gran Bretagna e Bear Stearns in Usa».

Veniamo all'Alitalia. E parliamone da ex sindacalista: il sindacato ha sbagliato?
«Hanno sbagliato tutti, anche i sindacati. Non ci sono proposte alternative vere, operative. E la situazione è drammatica: lo sanno per primi i lavoratori Alitalia. Credo che l'offerta Air France sia meglio del fallimento che considererei un colpo all'immagine del Paese in un momento in cui l'Italia ha già subito parecchi rovesci nell'immagine internazionale. I sindacati stessi dovrebbero avere grande interesse a recuperare il dialogo con i francesi. Scorciatoie non ce ne sono. Del resto vedo il rischio che tra gli stessi dipendenti della Magliana si possa arrivare al rifiuto del sindacato, cosa che non mi piace mai. Anche a me, da sindacalista, sono capitate esperienze dure simile a questa ma la strada migliore resta sempre la razionalità della trattativa e del dialogo».

Si torna a parlare di scala mobile per le pensioni se non addirittura per i salari.
«Non credo agli automatismi. Ne abbiamo tanto discusso anche con grandi lotte nel passato. Resta il fatto, però, che è preoccupante il calo del potere d'acquisto delle pensioni e dei salari. Su questo bisogna intervenire: credo ci sia lo spazio per azioni pubbliche che possano far aumentare la domanda. E il prossimo Governo non potrà trascurarle».

Critiche comode
«Singolare questo vostro mondo della comunicazione e dell'informazione». Il presidente Franco Marini sorride. Una campagna elettorale sotto tono, un po' noiosa come dicono certi autorevoli commentatori? «Vedo una valutazione contraddittoria: nella fase della contrapposizione che porta anche alla passione delle urla ci dicono che dobbiamo essere più seri e stare ai contenuti che interessano davvero i cittadini. Quando ci si occupa dei problemi della gente annunciando, giorno dopo giorno, quello che si vuole fare se si andrà al Governo, scatta l'accusa di essere mosci, noiosi e ci chiedono di essere più vivaci. Un po' troppo comodo, no?»

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