Il Presidente: Articoli

Basta con l'Italia dei veti

Intervista al quotidiano «Il Messaggero»

29 Giugno 2007

di Marco Conti

Una ventata di salutare entusiasmo che «ha messo fine al dibattito asfittico delle scorse settimane». Un benvenuto più caloroso a Walter Veltroni il presidente del Senato Franco Marini, difficilmente lo potrebbe dare. «Uno scossone» - lo definisce il presidente del Senato - che, «come ha efficacemente riassunto Dario Franceschini, toglie un po' di polvere alla politica», ma anche una sfida difficile, perché costruire un partito riformista, con il programma esposto al Lingotto, non sarà facile, «perché il consenso dentro alla nostra alleanza su questi temi è tutt'altro che scontato».

Presidente Marini, con Veltroni il centrosinistra ha risolto tutti i problemi?
«Un risultato lo ha sicuramente ottenuto ed è la fine della fase di depressione che si toccava con mano dovunque. Al Lingotto si è prodotta una scossa, non si vedono più facce scure, certe della sconfitta, ma si avverte la reazione di chi ha nuova fiducia ed è pronto a combattere».

Quindi il segretario del Pd c'è già, forse anche il candidato premier, non serve attendere ottobre?
«Al passo. Per ora abbiamo un candidato. Occorre attendere l'appuntamento del 14 ottobre, ma non c'è dubbio che è già cambiato il clima. Andiamo verso un segretario e un vertice forte. Fortunatamente abbiamo messo alle nostre spalle il dibattito asfittico delle settimane scorse. Avere a disposizione due personalità, come Veltroni e Franceschini, è stato uno scossone di cui c'era assoluta necessità».

C'è bisogno anche del "buonismo" veltroniano?
«Molti non conoscono bene Veltroni. Dalle parti mie, attorno al Gran Sasso, si direbbe che gira coperto dalla pelle dell'agnello. Basta però che gli sposti la pelle da agnello e le zanne le vedi. Una volta ha morso pure me».

Quando?
«Nel '99, quando volevo la presidenza della Repubblica per la Jervolino».

E' vero che lei e D'Alema siete stati i king-maker della scesa in campo di Veltroni?
«Questa è una vecchia favoletta per gonzi. Il guaio è che nella politica italiana di gonzi ce ne sono troppi».

Che cosa l'ha convinta di più nel discorso di Veltroni?
«Lo dico senza enfasi, in quelle parole ho trovato elementi di novità, di freschezza e quella chiarezza comunicativa che quasi tutti riconoscono a Veltroni. Ho rintracciato un convincente sforzo strategico. Ci sono le priorità che deve avere una forza riformista coraggiosa e battagliera. Sviluppo, lotta alla precarietà, difesa dell'ambiente, formazione e sicurezza, si raccordano in un filo strategico che a me piace chiamare come un patto tra le generazioni. Veltroni ha ribadito con grande coraggio che in un momento di grandi cambiamenti, come l'attuale, c'è bisogno di un collegamento e di un patto tra le vecchie e le nuove generazioni».

Un patto che però sconta la difficoltà del centrosinistra a trovare l'accordo su pensioni e riforma dello scalone.
«Non voglio entrare nei contenuti di una trattativa previdenziale delicatissima che mi pare non si stia concludendo nei tempi auspicati. Dico che rendere un tabù immodificabile la norma che attualmente manda in pensione a 57 anni di età, con 35 di contribuzione, è un errore. Specie se guardiamo alla pesantezza del nostro debito pubblico e alle tutele che potremmo dare ai nostri giovani nel lavoro e al momento della loro uscita dal lavoro».

Pensa che i richiami di Bruxelles al debito pubblico possano pesare?
«Credo che in questa trattativa, che spero si chiuda positivamente, è importante valutare ciò che rammenta il presidente della Banca Europea e leader dei cristiano democratici lussemburghesi Junker, grande amico dell'Italia. State attenti, ci dice, voi avete beneficiato dell'ingresso nell'euro rispetto ai problemi posti dal vostro debito, ma la Banca Europea è condizionata dal grande deficit italiano, senza questo avremmo potuto fare una politica monetaria più aperta, in grado di favorire una crescita maggiore dell'intera Europa. Ebbene io credo che il coraggio deve tener conto delle parole di Juncker e conservare la barra diritta nell'interesse generale».

La legge Biagi va cambiata?
«II dilagare di forme di lavoro precario, che a mio giudizio supera le oggettive esigenze del sistema economico italiano, va combattuto. E' un tema sentitissimo dai giovani. Questo non vuol dire mettere in discussione le forme di sana e contrattata flessibilità che la globalizzazione, la competizione impone anche ai sindacati nel loro rapporto con l'impresa. Io sono stato sempre contrario alla cancellazione della legge Biagi, ma ritocchi e aggiustamenti si possono fare. Flessibilità va bene, ma la patologica durata di questa precarietà e il danno che fa nell'animo, prima ancora che nei rapporti economici di nostri tanti giovani, dimostra che questo è un tema centrale».

Infrastrutture e ambiente, Veltroni su questi punti ha parlato chiaro contro l'Italia dei "no". Che ne pensa?
«Condivido ciò che ha detto. Per esempio, se si parla di ambiente e di energia, mi chiedo però come fa un Paese a rimanere esclusivamente aggrappato a due condotte di gas, una che passa sotto al Mediterraneo e una che viene dalle steppe asiatiche e subire il ricatto di minoranze che impediscono la realizzazione di rigassificatori o l'introduzione di centrali a carbone. sapendo che le nuove tecnologie hanno abbassato di molto i rischi d'inquinamento. Se si parla di trasporti, mi chiedo come fa l'Italia a rimanere fuori dalle grandi reti infrastrutturali europee. I giovani si difendono con lo sviluppo e non con posizioni irrazionali. Ecco, quando sento Veltroni parlare in questo modo di ambiente, formazione, lotta alla precarietà, vedo un disegno che mette in relazione le esigenze delle generazioni inserite, con quelle dei nostri giovani».

Lo scossone che ha dato Veltroni non rischia nel tempo di ripercuotersi anche sul governo Prodi?
«Questo è un rischio che non vedo. Anzi, è proprio il contrario, perché in campo ci sono due partiti che hanno fatto due congressi di scioglimento e sono nella terra di nessuno. Stanno amministrando un passaggio inusuale e difficilissimo, se le forze di questi due partiti e della società civile perdono fiducia nella realizzabilità dell'idea, allora il governo in carica - espressione di queste forze - deve preoccuparsi. Se invece il progetto del Pd riprende fiato e diventa forte e condiviso, il governo non può che trarne beneficio».

Veltroni si è anche espresso a favore di candidature alternative alla sua. E' d'accordo o teme la nascita di correnti dentro il Pd?
«Ormai io sto fuori dalla politica attiva e quindi sono lontano dalla discussione sugli strumenti. Dico però che non vedo nessun problema. Vedrei con simpatia liste che concorrano, purché abbiano una connotazione politica comprensibile. Sono favorevole al confronto, anche forte, tra candidati. Penso che l'opinione pubblica lo vedrebbe con simpatia».

Il ministro Fioroni rivendica il contributo dei cattolici nella costruzione del Pd. Pensa possano esserci problemi di ruolo per coloro che provengono dalla Margherita?
«I nostri compagni di strada sono gli eredi delle grandi socialdemocrazie europee, una volta fallito nell'89 il ramo comunista. Nel '95. io e Bianco che guidavamo il Ppi, facemmo la scelta strategica di essere alleati dei Ds. Dentro il Pd continua questa esperienza: liberaldemocratici, ambientalisti, cattolici come noi e socialdemocratici che vengono dalla storia del Pci, possono costruire un progetto comune assieme, per una forza riformista più larga senza personalismi e frammentazioni. Ormai sono dieci anni che si lavora assieme».

E i cattolici?
«Non ci potrebbe essere in Italia un grande partito riformista senza i cattolici. Quando si tratta di questioni economiche o sociali vedo, nell'area del Pd, crescere una forte omogeneità, quando si toccano temi eticamente sensibili, è accaduto anche nella Margherita, ci sarà una discussione aperta e franca, ma il rispetto che ci deve essere tra militanti dello stesso partito aiuterà a trovare soluzioni».

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