Il Presidente: Articoli

«Partito democratico in un anno»

Intervista pubblicata dal quotidiano «Corriere della Sera».

14 Marzo 2007

di Francesco Verderami

«Il tempo è scaduto, è il tempo della scelta». Il presidente del Senato sta parlando del Partito democratico, sta chiedendo che dalle assise dei Ds e della Margherita arrivi «un'accelerazione, imposta da una realtà politica italiana troppo frammentata». Basta questo accenno per far capire che Franco Marini non sta ragionando solo sul futuro soggetto riformista, e la seconda carica dello Stato diventa più esplicita quando spiega che «il tempo è scaduto» anche per l'attuale sistema, «che va cambiato perché vive ormai da parecchi anni in bilico, e senza una capacità di guida forte della società».

E' chiaro dunque che il suo pensiero è giocato su un doppio registro. Da un lato infatti Marini sprona la Quercia e i Dl a far sì che i congressi di aprile siano «il momento decisivo per la nascita del Pd. Allora bisognerà decidere. E presa la decisione, dovrà subito iniziare la fase costituente. Il processo di maturazione c'è stato, è durato dieci anni». Dall'altro lato, se è vero che «il nuovo soggetto servirà a far fronte al cambiamento della società italiana», «bisognerà garantire risposte nuove dinnanzi agli squilibri sociali, dare certezze ai giovani preoccupati dal precariato, lanciare idee più chiare sulla redistribuzione della ricchezza e sul superamento delle incrostazioni corporative che bloccano la nostra società. Insomma, ci sarà bisogno di scelte fuori dall'ordinario, altrimenti l'Italia resterà ferma in una realtà politica impantanata».

E pensa che il Pd sarà la soluzione dei problemi?
«Intanto potrà mettere in moto un meccanismo di ristrutturazione anche nell'altro schieramento, per rendere il sistema più efficace e governabile. Bisognerà avere il coraggio di scommettere, perché al più presto, entro un anno, si realizzi il progetto. Se del caso pagando qualche prezzo. Perché non si fanno grandi operazioni politiche senza pagar dazio. Noi non dobbiamo costruire un movimento, nè abbiamo bisogno di rifare un nuovo, indistinto cartello di alleanze. Noi abbiamo necessità di un partito, che non potrà assorbire tutto il centrosinistra ma che dovrà essere in grado di orientare. Poi si faranno le alleanze con chi è possibile farle».

Cosa vuol dire?
«Finora gli schieramenti sono stati costruiti per battere lo schieramento avverso più che per governare. Non svelo un segreto se dico che anche l'alleanza con cui mi sono candidato ha redatto un enorme documento programmatico, ma non è riuscita a sciogliere certi nodi. Alcune contraddizioni sono rimaste. E questo è un limite. Il Pd dovrà essere un partito aperto ma omogeneo al proprio interno, capace di costruire programmi di governo».

Quando parla di «prezzi da pagare» si riferisce al rischio di scissione nei Ds?
«Le scissioni dispiacciono, spero che nel Pd vengano tutti. Ma che a sinistra del soggetto riformista si identifichi un'area con cui poter costruire alleanze efficaci, non mi pare un dramma. D'altronde un'area a sinistra c'è, e lo ritengo un fatto positivo se sarà più caratterizzata, capace di dialogare e di costruire in futuro un'alleanza seria per governare».

Questo vuol dire che il futuro Pd potrebbe guardare anche ad altri tipi di alleanze, magari con un'area di centro?
«Quando si ristrutturerà il sistema politico, con un Pd ormai affermato, l'arco delle possibili alleanze naturalmente sarà più largo. Abbiamo deciso di essere alleati con chi sta alla nostra sinistra, sebbene siano evidenti dei limiti nell'azione di governo. Penso sia naturale continuare il dialogo, ma non è possibile precostituire da ora il futuro».

L'accelerazione verso il Pd serve anche per evitare che un'eventuale crisi di governo travolga il progetto?
«Non vedo nessun automatismo tra le due questioni. Certo, una crisi di governo non aiuterebbe un progetto così importante, mentre la sua tenuta sarebbe una garanzia per uno sviluppo ordinato del processo».

Questo processo porterà Prodi alla guida del partito, o visto che Prodi è premier sarà opportuno che un altro si impegni al suo posto?
«Prodi è il leader del centro-sinistra che guida il governo. Proprio per questo saranno altri a dover gestire la fase di costruzione del partito. Poi si vedrà, e tra i possibili leader ci sarà anche Prodi».

Senta, con Rutelli come va? Si dice che i rapporti tra voi si siano ultimamente raffreddati...
Per due dirigenti che hanno militato e militano nello stesso partito ci dev'essere sempre l'accordo. Poi, come in ogni famiglia, ci sono alti e bassi».

Nella Dc i doppi incarichi non hanno mai portato bene: prima Fanfani, poi De Mita, ne hanno pagato le conseguenze. Rischia anche Rutelli?
«Portare avanti per lungo tempo incarichi di grosso peso e di grande impegno può essere gravoso. Ma osservando dall'esterno la vita del partito da cui provengo, ho visto che c'è stata la saggezza di mettere al coordinamento della Margherita, dunque a tempo pieno, un dirigente come Soro che sta lavorando con impegno e serietà».

In Francia è vigilia di presidenziali: farà il tifo per il centrista Bayrou nella corsa all'Eliseo?
Da parlamentare europeo ho avuto modo di conoscerlo bene. So che è un politico capace, espressione di una Francia profonda che avverte, se non il fastidio, il peso di una semplificazione dello scontro politico tra conservatori e socialisti che non risponde più alla complessità di quel Paese. Proprio per questo lo vedo molto competitivo, in grado di ottenere un ottimo risultato. Ovviamente spero che vinca».

Peccato che i Ds, con cui dovrete fare il Pd, sostengano la socialista Royal...
«È del tutto naturale che facendo parte della famiglia socialista facciano il tifo per lei».

Ma questa differenziazione tra voi e i Ds ripropone l'eterno dilemma: dove siederà nell'Europarlamento il Pd? Finirà tra i banchi dei socialisti, come annuncia il capogruppo Schulz?
«Mettiamo da parte le spigolosità di Schulz, che non sempre sono gradevoli. E diciamo anche che non è un'offesa stare tra i socialdemocratici europei. Non lo sarebbe in linea di principio nemmeno per me. Io dico però che ha ragione Prodi quando spiega che questo problema va risolto dopo, quando insieme stabiliremo quale sarà la collocazione più rispondente alla natura del Pd».

Parisi sostiene che il nuovo soggetto, così come si sta costruendo, è a rischio perché «manca la politica» e tutto sembra ruotare attorno ad «accordi di vertice».
«Riconosco a una personalità come Parisi un impegno che non è mai venuto meno sulla costruzione del Pd. È un uomo volitivo, caratterizzato magari da alti e bassi di umore. Però - ne sono certo - non farà mancare il suo apporto alla realizzazione del progetto».

Perché fare ora la legge elettorale, visto che mancano ancora quattro anni alla scadenza della legislatura?
«Considero la riforma elettorale una priorità perché va corretto lo squilibrio che l'attuale sistema ha provocato nelle due Camere, e perché va restituito al cittadino il diritto di scegliere il proprio candidato. Inoltre, poiché in questa legislatura nessuno può prevedere l'evolversi della situazione, e se tra uno, due, tre anni ci sarà una stabilizzazione o un'accelerazione verso le urne, da presidente del Senato mi preoccupa il fatto che l'attuale meccanismo di voto resti in vigore. Questo è un rischio troppo grande per il Paese. Bisogna eliminare il rischio, tenendo presente che la Costituzione non prevede l'automatico ritorno alle urne dopo il varo della nuova legge elettorale».

A proposito di rischi: riferendosi alla proposta di maggioranze variabili formulata dal ministro Amato, lei ha paventato il timore che la «variabilità finisca per toccare il governo».
«In genere si parla di maggioranze variabili quando uno la maggioranza ce l'ha, e può pensare di allargarla in una direzione o nell'altra. Ma al Senato il centro-sinistra dispone di una maggioranza risicata. In questa situazione non ha senso parlare di maggioranze variabili, sono impraticabili. Piuttosto su temi di interesse nazionale ci possono essere convergenze tra maggioranza e opposizione, ed è una cosa nobile, che io auspico».

A forza di raccogliere complimenti come presidente del Senato, non pensa che verrà invitato a cambiar palazzo? Magari palazzo Chigi...
«Due cose. La prima è che palazzo Chigi è occupato, e per me ben occupato. La seconda è che il politico che si fa lusingare dai complimenti è perlomeno un ingenuo, per non usare una parola che renderebbe meglio l'idea».

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