Il Presidente: Articoli

Tra passato e presente

Intervista a "Conquiste del Lavoro", quotidiano della Cisl fondato nel 1948 da Giulio Pastore

14 Ottobre 2006

di Stefano Fedele

«Se qualcuno mi chiederà: cosa hai fatto nella vita? Io risponderò: il sindacalista, non ho dubbi». Una battuta che sintetizza una vita, e la passione di una vita; l'ha pronunciata il Presidente del Senato Franco Marini, un'esistenza spesa tra sindacato e politica, durante la presentazione di Franco Marini sindacalista, un dvd curato da Ivo Camerini e pubblicato dalle Edizioni Flaei, che raccoglie oltre trecento tra articoli, discorsi, interviste, fotografie e filmati inerenti al periodo in cui egli ha ricoperto la carica di Segretario generale della Cisl, dal 1985 al 1991. Una fase delicata: per la storia del Paese, schiacciato tra fine del comunismo e fine della prima Repubblica; e per la storia del sindacato, appena reduce dal referendum del giugno 1985 sulla scala mobile, promosso dalla Cgil. Quel referendum testimonia quanto furono difficili per i sindacati gli anni Ottanta; l'operato di Marini mirò a riconquistare la loro centralità nella vita sociale e politica del Paese, con particolare attenzione ai temi dell'autonomia, della ricostruzione dell'unità tra le confederazioni e della concertazione tra le parti sociali.

Giorgio Benvenuto, all'epoca Segretario generale della Uil, ha ricordato la coerenza di Marini, che ha lottato per la separazione tra incarichi politici e sindacali, indispensabile per ridare al sindacato libertà e autonomia di azione politica. Azione che, nella sua ottica, fu indirizzata alla costruzione di una vera cultura riformista, attenta ma non ripiegata unicamente sulle battaglie contrattuali, calate nel più ampio scenario del Paese per comprenderne e misurarne le ricadute sul piano economico e sociale. Come ha affermato Giulio Sapelli nel suo intervento, «la figura di Franco Marini spicca come una delle personalità centrali di un periodo quanto mai tormentato e travagliato che potè essere superato solo grazie all'equilibrio e alla tenacia di persone come lui».

Su concertazione e riformismo, ma pure sull'attualità politica, abbiamo posto alcune domande al Presidente del Senato a margine della presentazione.

Questo dvd lo vive come un omaggio personale e come un capitolo di storia sindacale ormai chiuso, o ritiene che l'esperienza di quegli anni sia ancora vitale, con un contenuto progettuale utile per il sindacato anche oggi?
«Farei un torto agli amici della Flaei e a quanti si sono adoperati per radunare i materiali e realizzare il dvd se negassi di aver vissuto momenti di profonda emozione e di autentica riconoscenza nell'assistere alla sua proiezione. E non sarei nemmeno tanto sincero. Detto questo, considero il lavoro, tra l'altro così ben realizzato e miscelato, come una parte di quella storia collettiva che è il sindacato e, in particolare, la Cisl, anche se organizzato attorno alla mia esperienza personale di sindacalista. No, non è un capitolo chiuso. In primo luogo perché il presente ha sempre radici e ragioni nel passato: è la storia dell'umanità. In secondo luogo perché ritrovo nella vicenda della Cisl un motivo costante, ora come allora: il riformismo. Diciamo così: oggi è più facile resistere ad una pressione massimalista o antagonista rispetto agli anni sessanta, settanta. Un po' perché quella strategia è nettamente minoritaria ed un altro po' perché allora, proprio la Cisl, agì con determinazione nel contrastare la tentazione della guerra continua, la tendenza a mutare la rivendicazione sindacale in conflitto politico e così facendo contribuì alla maturazione di una cultura sindacale svincolata dalla politica e dalle sue logiche e appartenenze. In questo senso leggo una continuità positiva considerando quegli anni un'esperienza vitale "hic et nunc"».

C'è una cosa che il sindacalista Marini avrebbe voluto fare in quegli anni, ma non è stato possibile realizzare?
«In genere, a domande simili si risponde sostenendo che sono molte le cose che vorremmo aver realizzato ma non è stato possibile. A volte è retorica. A volte no. Se scavo nella memoria trovo tante idee non sviluppate, occasioni rinviate, opportunità non colte appieno. Ma questa è la vita e penso che non sia saggio guardarsi dietro con animo segnato dal rammarico. Esiste comunque qualcosa che avverto come un impegno assolto, nonostante tutto, non completamente: costruire le condizioni perché il mercato del lavoro non si dimostrasse così iniquo verso i giovani in così tanta parte offesi ancora prima che vessati dalla precarizzazione. Oggi questo è il problema più grave col quale si misura la nostra società perché riguarda la dignità e la speranza, la dignità per il presente e la speranza per il futuro: se ad una ragazza, ad un ragazzo togli l'opportunità anche di immaginare il proprio futuro allora crei una ferita difficilmente sanabile non solo in quelle persone ma nell'intera comunità perché quei giovani sono il domani, sono il progresso, sono la fiducia, sono la fantasia, sono il sostegno per quanti oggi si trovano nel pieno delle forze e della maturità ma che domani potrebbero non farcela più da soli. Mortificare i sogni dei giovani, il loro desiderio di mettere su famiglia, generare figli, vivere una vita dignitosa e serena fa male alla società intera, la impoverisce, l'intristisce e la rende meno capace di reggere l'urto e la concorrenza di altre società. Avremmo dovuto avere, anni fa, più consapevolezza e più determinazione su questo terreno».

Il capitalismo e il mercato del lavoro oggi mutano rapidamente e non sembrano assumere una fisionomia stabile. Il sindacato allora è costretto a uno sforzo di comprensione maggiore rispetto a trenta o quarant'anni fa quando, nell'epoca dell'industrialismo fordista, c'erano delle priorità di ordine politico e di lotta contrattuale abbastanza ben definite. Perciò, in uno scenario così ambiguo, quali indicherebbe oggi come le nuove sfide del sindacato, sia nell'ottica dell'individuazione di modelli interpretativi all'altezza dei fenomeni economici e sociali, che in quella dell'azione concreta?
«E' stato giustamente affermato che i primi passi del terzo millennio non corrispondono ad un'epoca di mutamenti ma ad un mutamento d'epoca. Qualcuno ha costruito paralleli con il tempo della rivoluzione industriale; altri, andando più dietro, con l'era aperta dalle scoperte geografiche e segnatamente dalla scoperta dell'America. Tutto ciò ci dà la misura della complessità della novità dentro cui le nostre società si muovono. E' bene aver sempre presente questa realtà per almeno due ragioni: per evitare un eccesso di innamoramento rispetto a ricette tornate utili fino a oggi (anzi, ieri) e per contrastare un sentimento di impotenza e di inadeguatezza che può sorgere in tutti i soggetti collettivi, e quindi anche il sindacato, rispetto alla condizione così tanto mutata rispetto solo a dieci/venti anni fa. Una caratteristica di questa situazione è, appunto, come suggerito dalla stessa domanda, l'instabilità dei processi sociali ed economici che, ad esempio, possono nel volgere solo di qualche anno determinare improvvise esplosioni di consumi di particolari prodotti e altrettanto repentini abbandoni di trend produttivi che parevano destinati a solide prospettive. La rivoluzione della globalizzazione e l'ingresso prepotente sulla scena planetaria di nazioni e "continenti" come Cina e India stanno modificando in profondità perfino l'idea e la struttura normativa degli Stati nazionali e tutto ciò non può non pesare sulle regole che essi si danno per organizzare la propria vita interna e le relazioni tra i soggetti sociali e produttivi. Questo ci deve essere ben chiaro. Ma vuol dire mutare la "ragione sociale" del sindacato? Certo che no. Significa invece, a mio parere, compiere uno sforzo ulteriore di comprensione, direi di "visione" di quanto si sta muovendo e di quanto potrebbe accadere prossimamente in forza delle rivoluzioni oggi in atto, e attrezzare politiche adeguate che abbiano (continuino ad avere) di mira la promozione e la difesa del lavoro perché oggi come ieri senza un'occupazione non c'è possibilità di vita degna e serena.»

Nel suo intervento alla presentazione del dvd, lei ha ribadito l'importanza della concertazione, rivendicandola come uno dei frutti più fecondi del suo segretariato. Lei pensa che, anche alla luce dei primi atti inerenti al mercato del lavoro e alle liberalizzazioni, il governo di centrosinistra si stia effettivamente muovendo nella direzione della concertazione e del dialogo tra le parti sociali?
«Comincio dalla seconda parte della domanda e la risposta è sì: lo si è visto anche nella lunga vigilia della preparazione della legge finanziaria. Mi pare che il governo abbia compreso l'importanza e la necessità della concertazione con le parti sociali che, sia chiaro, non può e non deve significare che esso rinuncia alla decisione a cui è chiamato per dovere costituzionale. Gli atti del governo poi possono non essere graditi alle parti sociali che, nel caso, useranno i mezzi e gli strumenti a loro disposizione per manifestare dissenso e provare a modificare quegli atti, perché questa è la regola democratica ma sono convinto che la concertazione abbia aiutato, e aiuti sempre, nella ricerca di soluzioni che siano il più possibile condivise. La concertazione è, nel campo delle relazioni tra governo e parti sociali, il corrispettivo di un'esigenza che è ben più vasta a mio modo di vedere ed è il dialogo ovvero la paziente fatica di parlarsi, capirsi, di avvicinare punti di vista e convincimenti, oggi così necessaria nelle società moderne segnate dalla complessità e dalla cosiddetta "liquidità" ovvero da quella condizione prevalente di frammentazione e scomposizione dei "ceti" così tanto indagata dai sociologi e dai ricercatori sociali. Proprio perché questa è la dimensione attuale delle nostre società, di tutte, non solo di quella italiana, proprio perché la velocità dei mutamenti impedisce di realizzare uno "scatto", un fermo-immagine che resista più di qualche stagione occorre che le istituzioni e i soggetti sociali compiano uno sforzo ulteriore per capire e capirsi».

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