Il Presidente: Articoli

Il dialogo può ripartire dal federalismo ma nessuno metta la sua bandierina

Intervista al quotidiano "La Stampa"

3 Luglio 2006

di Amedeo La Mattina

Il dialogo con l'opposizione può ripartire dal federalismo. «L'importante è che nessuno metta bandierine prima di sedersi attorno ad un tavolo». Franco Marini è nel salotto di casa in maniche di camicia. Appena rientrato da Copenaghen, dove ha partecipato a un incontro tra i presidenti dei Parlamenti dell'Ue, non ha voluto rinunciare ad una festa nel suo paese, in Abruzzo ovviamente. Poche ore di relax prima di tornare nella fossa dei leoni che per il governo è Palazzo Madama. E lui lì a guidare un'aula turbolenta dove la maggioranza ha solo qualche voto in più.
La seconda carica dello Stato è consapevole che l'Unione «rischia ogni volta che c'è una votazione». Marini però coltiva «la speranza che attorno alle grandi questioni che interessano gli italiani, funzionalità delle istituzioni e scelte di fondo per far ripartire l'economia, si possa creare un clima costruttivo e responsabile. Qualche segno si avverte nella maggioranza che dovrebbe cercare di allargare questi spiragli». Alla Cdl consiglia di non farsi illusione sulla possibilità di «disarticolare» questa maggioranza. Infine uno sguardo perplesso sulle difficoltà del Partito Democratico: «Ero convinto che "se farlo" fosse una questione superata. E' difficile tornare indietro».

Presidente, lei pensa che un dialogo tra maggioranza e opposizione si possa veramente aprire partendo dalle riforme?
«Guardi, parto da un dato: non è vero che c'è una crisi di partecipazione alla vita politica da parte degli italiani. Siamo un Paese in cui il cittadino ha un grande interesse per la politica. Al referendum hanno votato il 55% circa degli italiani, alle Politiche più dell'80%. Ecco, allora c'è una crisi di risposta, un ritardo delle forze politiche rispetto a un Paese che ha dato un forte segnale di vitalità e che chiede di essere governato. Non penso né a Bicamerali né a Costituenti. Il confronto va portato dentro il Parlamento con gli strumenti che ci dà il Parlamento. Ho paura che la ricerca dello strumento nuovo sia spesso legata all'incapacità di proposta politica».

Rimane il problema della volontà di un confronto tra maggioranza e opposizione.
«Intanto si può cominciare a indicare i punti. Dopo tante polemiche e la vittoria del "No" che è stata netta, dobbiamo ragionare seriamente sulla struttura federale dello Stato. Affrontare il discorso del federalismo significa anche non cancellare il problema del federalismo fiscale che la Lega ha sempre chiesto con forza. Ma con alle spalle il risultato del referendum, resta fermo che il principio di coesione dello Stato non può essere messo in discussione. Un altro punto è quello del Senato delle Autonomie: siamo rimasti a metà strada con formule ambigue. Terzo punto, la legge elettorale. I risultati negativi erano stati tutti previsti: lo squilibrio delle maggioranze tra una Camera e l'altra, e l'allontanamento del cittadino dal candidato. Lo strapotere dei partiti è stata la contraddizione più grande: le liste bloccate senza le preferenze hanno rotto il rapporto tra cittadino e parlamentare».

Propone un ritorno al maggioritario e ai collegi uninominali?
«Non entro nel merito delle proposte. Io sono per bipolarismo. Mi è capitato nel passato di partecipare a dibattiti dove quasi si dava per scontato che io fossi per il proporzionale: io sono per un sistema bipolare che consenta l'alternanza di gruppi dirigenti. Questo per me è il bene fondamentale, forse il primo, della democrazia».

Dialogare con l'Udc sembra possibile: Casini è pronto a svelenire il clima e a votare con la maggioranza quando ne condivide il merito dei provvedimenti. Ma con Berlusconi l'impresa è ardua: non le pare?
«Auspico il più ampio confronto in Parlamento, come mi pare sostenga Casini, e rifiuto la strada fallimentare delle riforme approvate a colpi di maggioranza. Ripeto: la straordinaria partecipazione dei nostri cittadini ci spinge in questa direzione».

Berlusconi non le sembra arroccato?
«Se guardo le posizioni ultime, almeno fino al referendum, mi pare che c'è stato un arroccamento forte, sbandierato. Spero che la Cdl si apra a un dialogo serio, almeno alle riforme che servono alla funzionalità delle nostre istituzioni e al superamento della situazione di stallo della nostra economia».

Il Senato finora è stato l'epicentro tellurico della maggioranza e il campo di battaglia ideale dell'opposizione: l'altro giorno si è toccati il massimo della tensione e un senatore della Cdl è arrivato a tirare il regolamento parlamentare verso i banchi del governo e della presidenza.
«C'è stato un episodio di rottura sull'interpretazione della possibilità di porre questioni pregiudiziali nel momento in cui mette la fiducia. E' stato un momento di tensione molto forte, ma io non lo drammatizzo. Le polemiche non mi interessano. Credo che sulle procedure ci siamo chiariti, non c'è nessuno interesse ad acuire le situazioni di conflitto. Al Senato le difficoltà ci sono e ci saranno: con la differenza di due voti di maggioranza, capisco che quello è il luogo dello scontro. La maggioranza rischia sempre, deve conquistarsi la sua posizione giorno per giorno. Ma se si avvia un dialogo costruttivo sulle riforme si possono creare rapporti più distesi. Vedo segnali di disponibilità al dialogo anche in queste ore sulle due grandi questioni che ho indicato. Il mio invito è che le forze politiche si confrontino seriamente».

Resta il fatto che la maggioranza ha bisogno delle crocerossine...
«Le crocerossine, in una condizione di difficoltà, sono delle figure preziose. Attenzione: è vero che questa è una maggioranza con un un ventaglio di posizioni ampio. Però è anche una maggioranza che è stata insieme per lunghi anni all'opposizione, che è stata capace di non farsi disarticolare. E' una coalizione che alla fine è stata caricata di una grande responsabilità, quella di governare. Nessuna delle forze, anche quelle più caratterizzate, può a cuor leggero andare a votare contro il governo. Anche sul rifinanziamento delle missioni all'estero, a mano a mano che ci avviciniamo al momento della verità, posizioni critiche mi sembrano più riflessive. Su una cosa vorrei essere chiaro: nessuno può fare miracoli in politica. I rapporti tra gruppi politici non dipendono da me; non sono io che debbo prendere l'iniziativa per migliorare i rapporti tra maggioranza e opposizione. L'attore non sono io, ma le forze politiche».

Un'altra nota dolente: il Partito Democratico sembra che si sia arenato nelle secche. Ha questa impressione pure lei?
«Per il ruolo che ricopro oggi, ho un ritegno a parlare di questo problema. Ma mi ha colpito un commento del professor Ceccanti. La domanda da rivolgere agli attori di questo processo politico è: siamo ancora al "se" o siamo al "come". Io ero convinto che il "se" fosse superato. Le difficoltà vengono dal fatto che in questo ultimo anno il dibattito attorno al Partito Democratico non ha mai toccato alti livelli di sincerità. Però, fino a quando ho avuto un ruolo nel partito, ricordo che sono stati fatti passi di sostanza che avevano superato il "se": si è fatta la lista unitaria per le Europee, sono stati formati i gruppi parlamentari unici dell'Ulivo. Sono due chiodi puntati sulla parete. Ora, è pur vero che quando uno si sta arrampicando, può fermarsi, ma scendere è difficile in montagna: è più facile andare avanti che tornare indietro. Che la discussione sul "come" debba essere impegnativa, non mi sorprende. Ma una brusca inversione di rotta sarebbe complicata. Si sono accese troppe speranze».

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