Il Presidente: Interventi in Assemblea e in occasioni istituzionali

Riforme istituzionali e riforme economiche

Intervento pronunciato alla cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico della Scuola di Polizia tributaria della Guardia di Finanza

23 Gennaio 2003

1. Un nesso

Il gentile invito che mi è stato rivolto e che ho accettato di buon grado prevede la libertà di scelta del tema. E io ho scelto il tema delle riforme. Non solo le riforme istituzionali, ma anche le riforme economiche. Più precisamente, cercherò di soffermare la mia e la vostra attenzione sul nesso fra i due tipi di riforme.

Questa scelta non deriva da una mia ubbia personale. Non deriva neppure dalla circostanza che ieri, in Senato, si è concluso un dibattito di due giorni sull''argomento, un dibattito che è stato approfondito, aperto, e anche ricco di suggestioni e volontà di incontro fra maggioranza e opposizione. Una strada si è aperta e sta ora alle forze politiche percorrerla o cospargerla di ostacoli.

Piuttosto, la scelta del tema deriva dalla convinzione - che è una tesi più volte studiata, teorizzata e difesa - che il nostro Paese sta lentamente uscendo da un assetto politico, si avvia a dare forma ad un altro, ma non ha ancora completato il cammino. E anche da un''altra convinzione - che corrisponde anch''essa ad una tesi diffusa - che il completamento di questa transizione è indispensabile per dare a tutto il sistema italiano, a cominciare dal sistema produttivo, una spinta, una ripresa, comunque un assetto più competitivo rispetto a quello dei nostri partner, che poi, nel mondo globalizzato, sono la maggior parte dei paesi.

In altri termini, la convinzione è che le mancate riforme o le riforme a metà hanno anche un costo economico.

Per illustrare il nesso fra le due riforme alle quali ho alluso, parto da un esempio. L''oggetto del lavoro degli ufficiali e degli agenti della Guadia di Finanza è analogo a quello dei medici. Entrambi gli oggetti sono dei mali: le diverse malattie, per i medici, i diversi tipi di crimini economici, finanziari, tributari, per la Guardia di Finanza. Se il medico è bravo e la terapia è nota e adeguata, la malattie curate scompaiono o regrediscono. Analogamente, se la Guardia di Finanza è efficiente e le indagini ben condotte, i crimini economici vengono colpiti e regrediscono. Ancora, se ci fossero una medicina preventiva o condizioni di vita tali da prevedere e prevenire l''insorgenza delle malattie, queste non esisterebbero. Analogamente, se non ci fossero persone che indulgono alla violazione delle leggi, i reati scomparirebbero. Nell''uno e nell''altro caso, medici e agenti della Guardia di Finanza si troverebbero disoccupati!

Per la medicina - che non a caso si fa sempre più preventiva - il problema è trovare queste condizioni di vita ottimali. Per la Guardia di Finanza, il problema è avere a disposizione strumenti legislativi che siano rispettati.

2. Regole e comportamenti

Continuiamo con l''analogia. È evidente che, così come una località insalubre favorisce l''emergenza e sviluppo delle malattie, un paese non ben ordinato, cioè un paese non rispettoso dell''etica e delle leggi, favorisce l''insorgenza di reati.

E' un dato naturale che gli uomini si ammalano. Così come è un dato naturale che gli uomini inclinano alla violazione delle regole. La natura non ci aiuta ed è inutile immaginare paradisi in terra. Ma se la natura non ci è benigna, la cultura ci aiuta, correggendola. Se tutti gli "stati di natura" sono uguali, gli "stati di cultura" sono invece diversi. Alcuni sono tali che l''insorgenza di malattie e reati è minore; altri sono invece fatti in modo che queste insorgenze non si riducono.

Per "stato di cultura" intendo un ordinamento, cioè un insieme di leggi, regole, norme, codici, istituzioni, istituti, condotte etiche, che governano la vita associata di un popolo. Come ho già detto, a differenza degli stati di natura, gli stati di cultura non sono uguali fra loro: sviluppano comportamenti di vita associata diversi. Ad esempio, è esperienza storica che una dittatura sviluppa comportamenti individuali e pubblici meno virtuosi di una democrazia. Nelle dittature, lo sapevano già gli antichi filosofi, ad esempio, c''è più corruzione personale e politica.

Nel mettere in luce questo dato, bisogna evitare un equivoco. Non bisogna pensare che, siccome esiste una corrispondenza fra regole e comportamenti, certe regole virtuose inducono comportamenti virtuosi. Questo è un sogno antico, ma un sogno sbagliato e spesso tragico.

La verità, almeno la verità da un punto di vista liberale, dice che la freccia deve essere invertita. Non sono le regole virtuose che fanno gli uomini virtuosi, ma sono gli uomini virtuosi che si dànno e rispettano regole virtuose. Sempre da un punto di vista liberale, le regole non servono per far diventare virtuosi gli uomini; piuttosto, servono per evitare che diventino viziosi, anzi, meno viziosi, cioè, per tornare all''analogia di prima, per evitare che ammalino con più frequenza o che commettano più reati.

Il problema allora non è quello di trovare regole migliori per creare uomini migliori. Il problema è quello di trovare regole che non li facciano diventare peggiori o che correggano i loro vizi e difetti quando essi insorgono.

Dico questo per aprirmi la strada ad un pensiero. Quando si sente dire che un paese (si dice spesso in modo ingeneroso dell''Italia), è più corrotto di altri, non si deve pensare che gli abitanti di quel paese sono naturaliter più corrotti o più corrompibili di altri, ma che lo diventano esattamente come gli altri, se non sono tenuti a freno da regole adeguate.

Ecco allora un nesso fra stato della etica pubblica e regole. Se si vuole che la prima migliori, occorre che le seconde siano ben congegnate. Il vizio etico è favorito da regole inappropriate mentre è penalizzato da buone regole. Ed ecco allora un altro nesso, fra comportamentri sociali e istituzioni pubbliche. Istituzioni non ben congegnate favoriscono la nascita di malanni sociali, politici, economici.

3. Istituzioni e riforme economiche

Con questa filosofia in testa, vengo ora più strettamente al mio tema. Tutti dicono che l''Italia ha bisogno di grandi riforme. Lasciamo perdere il "grandi". Certo è che, per tenere il passo con altri paesi nostri concorrenti sul mercato mondiale, ivi compreso il mercato mondiale delle condizioni di vita, abbiamo bisogno di riformare, rivedere o ripensare il welfare, le pensioni, il mercato del lavoro, le infrastrutture, i servizi pubblici, le reti di trasporto, la ricerca scientifica, l''università. Naturalmente, per fare queste riforme occorrono risorse. Ma prima delle risorse, occorrono un''analisi e una volontà politica corrispondente.

Per l''analisi, forse non occorre indagare ulteriormente. È già stata fatta tante volte dai competenti, in Italia e fuori, ed è quasi sempre convergente. Per la volontà politica, dipende dai governi: alcuni ce l''hanno, altri no, altri più, altri meno, come è normale.

Non entriamo su questo terreno politico. Facciamo perciò un caso ipotetico, un caso di scuola, come si dice. Supponiamo che un''analisi sia stata fatta, una diagnosi individuata, una volontà politica espressa, e si debba passare allo stadio delle misure, dei provvedimenti. Se si vuole un esempio concreto, consideriamo il caso del licenziamento non discriminatorio. E supponiamo che l''analisi abbia condotto alla conclusione che il risarcimento sia, almeno in certe circostanze, meglio del reintegro. Naturalmente, si può discutere se sia realmente meglio; ma supponiamo che così sia, come del resto avviene in vari paesi.

Come si estrinsecherà la volontà politica? Chi deciderà? Chi sarà responsabile della decisione presa? In quale sede sarà presa questa decisione? Nel Parlamento, nel Governo, in un "tavolo di concertazione"?

Si tratta, come si vede, di una questione istituzionale. E questa questione istituzionale mette in luce il nesso tra efficienza delle decisioni e istituzion, che è proprio il punto su cui richiamo l''attenzione. Un paese in cui la sede istituzionale della decisione fosse incerta o in cui la volontà politica dovesse essere mediata fra troppe sedi istituzionali rischierebbe di restare indietro rispetto ad un altro paese in cui invece la competenza istituzionale fosse ben definita. Se non altro, resterebbe indietro perché le decisioni sarebbero più lente o in ritardo.

Ciò che intendo dire è che spesso non basta la volontà politica né la maggioranza per realizzarla. Occorre in più una precisa definizione di competenze istituzionali.

Non prendo posizione per questa o quella misura in tema di questo o quel settore. Richiamo l''attenzione sul fatto che, per fare un riforma, soprattutto una riforma importante su qualunque settore, ad un governo, sia esso di centro sinistra o di centro destra, occorrono un programma, una volontà, una maggioranza coesa, e poi strumenti di cui avvalersi. Se questi strumenti non sono efficienti, tutto il resto conta, ma conta poco. E le riforme o non si fanno o non si fanno tempestivamente o non si fanno nella maniera desiderata da quelli stessi che le vogliono fare.

Ormai gli studi su questo punto abbondano. Uno del Fmi del febbraio del 2001 mette in luce le relazioni fra certi assetti delle istituzioni e certi sistemi elettorali, da un lato, e certi risultati economici, dall''altro.

4. Le ragioni delle riforme

Ecco qualche ragione in più per reclamare riforme istituzionali.

In primo luogo, dobbiamo evitare squilibri istituzionali, come quelli che rischiano di crearsi con le regioni ormai forti, da un lato, e i governi ancora strutturalmente deboli, dall''altro.

In secondo luogo, dobbiamo evitare squilibri o tensioni come quello che ogni volta rischia di crearsi fra governi e le componenti delle loro maggioranze di coalizione in Parlamento.

Poi dobbiamo evitare confini incerti fra le responsabilità delle varie istituzioni. Nel caso del federalismo, ad esempio, dobbiamo evitare che la Corte costituzionale, in assenza di leggi precise del legislatore, diventi essa stessa legislatore, da arbitro delle controversie qual è e deve rimanere.

Infine, dobbiamo evitare che l''intero assetto istituzionale pesi sul sistema economico.

È come la medicina preventiva. Se funziona, se le condizioni di vita che essa raccomanda sono adeguate, le malattie regrediscono. Analogamente, se le istituzioni sono ben congegnate, le volontà politiche diventano più responsabili e più efficienti e i problemi sociali ed economici si riducono o si risolvono.

Ho già fatto capire come la penso. Non credo all''Eldorado o al Paradiso terrestre. Non credo che certi stati di cultura risolvano mai definitivamente i nostri problemi economici, sociali e politici. Credo però che certe istituzioni creino situazioni migliori di altre. Se non altro su un punto, che è un punto di etica pubblica: con sistemi istituzionali efficienti, è più facile per i cittadini identificare chi è responsabile di che cosa e perciò chi deve essere punito o invece premiato. Il mio appello a tutte le forze politiche e anche a quelle economiche nasce in particolare da questa convinzione.

Per quanto riguarda la Guardia di Finanza, come vedete, sto cercando di farla lavorare di meno. Se l''etica pubblica migliora, certamente avrà meno da fare.



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