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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 52 (Nuova Serie), agosto 2019

Libri in guerra: editoria e letture per i soldati nel primo Novecento / Loretta De Franceschi

«Mi trovo cò miei alpini verso i 3.000 metri, cominciamo a far la vita degli eschimesi e non ho libri da prestare ai miei bravi soldati per aiutarli a trascorrere le lunghe ore di attesa. Non potrebbe la Federazione venirmi in aiuto? Siamo tutti sitibondi! Di carta stampata!». Inviata nel novembre del 1915 da un punto sommerso del fronte, imminente l'isolamento invernale, in fuga il senso dell'uomo, da cui la guerra allontana, questa richiesta accorata di un sottotenente giungeva a Ettore Fabietti, allora coordinatore a Milano della Federazione italiana delle biblioteche popolari (FIBP).

Sostenitore, in una società ancora largamente analfabeta, di una diffusione democratica della cultura, e, per questo, promotore delle prime biblioteche 'pubbliche' in Italia, Fabietti era anche membro eminente di uno dei più attivi 'Comitati per i libri ai soldati', sorti rapidi e spontanei in seno a molte biblioteche del nord, per provvedere di piccole e organiche raccolte viaggianti i soldati feriti negli ospedali o i reparti dislocati al confine e nelle trincee, espressione, sul versante della parola, di quel 'fronte interno' mobilitato con energie pratiche e morali al sostegno e all'assistenza per la causa nazionale e risposta alla sete di informazione e di comunicazione, al bisogno di riempire di familiarità la distanza e il distacco di quanti erano esposti quotidianamente all'atrocità del conflitto. È appunto negli archivi della Biblioteca nazionale Braidense, sede e cuore del Comitato milanese, che quell'appello, lanciato da un contesto di precarietà e di morte, trasmesso in una 'rete' ricettiva, raccolto e posto in essere da un'organizzazione solidale e consapevole, ora, esaudito, riposa (Lettera di Fabietti da Milano, 30 novembre 1915, in Biblioteca nazionale Braidense, MR-AG cart. 466: Opera dei Libri ai Soldati. Corrispondenza riservata).

Il fenomeno dei Comitati rappresenta una risposta al problema, pratico e intellettuale, del reperimento e della distribuzione di letture adeguate e sufficienti ai combattenti, collocandosi, per così dire, nel tratto conclusivo, ma decisivo, della catena del provvedere. Rappresenta la risposta organizzata principale e più diffusa del mondo laico, ma non fu l'unica: altre e differenti ne fiorirono per impulso ecclesiastico (tra le più note e fortunate, le Case del Soldato istituite, sotto il controllo dell'Intendenza generale dell'Esercito, dal cappellano militare don Giovanni Minozzi e grazie ai finanziamenti della YMCA-Young Men's Christian Association), per iniziativa di componenti diverse della società civile (per es. l'azione autonoma di editori, quali il modenese Angelo Formiggini) o per diretto intervento statale (i rilevanti contributi dell'INBS-Istituto nazionale per le biblioteche dei soldati, diretto da Ildegarde Occella Trinchero, e quelli del Ministero dell'Istruzione, nell'opera del delegato speciale Adolfo Orvieto).

Si tratta, come si intravede, di una grande molteplicità di soggetti che operano talvolta in conflitto ideologico tra loro (è il caso delle denunce di Giulio Coggiola, direttore della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia e del relativo pionieristico Comitato, o di Francesco Carta, direttore della Braidense di Milano, nei riguardi del boicottaggio operato da suore e cappellani in servizio presso gli ospedali rispetto ad alcune tipologie di libri offerti, e degli interventi censori apparsi su vari organi di stampa cattolici rispetto ai criteri applicati dai Comitati laici nella selezione libraria).

Più spesso, però, lavorano in fitta e febbrile collaborazione pratica e organizzativa (dei Comitati tra loro, di questi con associazioni ed enti pubblici e privati esterni, tra cui la Croce Rossa, i Giovani esploratori e gli Scouts italiani, i Ministeri dell'Istruzione e della Guerra, gli Istituti di Igiene, l'INBS e la FBPI, le scuole, gli editori e i giornali, nonché politici e mecenati e, per prima, la società civile nel suo complesso chiamata tutta a donare) canali e vettori diversificati di una articolatissima rete di fornitura, raccolta, movimentazione e scambio di materiali fino allo smistamento ordinato in lotti coerenti presso le strutture ricettive stesse, i destinatari ultimi, rappresentati da ospedali, reparti mobilitati, depositi al fronte e campi di prigionia.

Oltre alla vista complessità delle azioni organizzative legate a reperimento e trasmissione, un aspetto delicato delle procedure era rappresentato dalle politiche di selezione del materiale da offrire in lettura e dai criteri di formazione di quelle che venivano comunemente chiamate «bibliotechine», che dovevano essere consone ai destinatari per tipologie bibliografiche e non fattizie, ma organiche e coerenti, per composizione interna. Questo nodo progettuale, che emerge insistentemente nelle relazioni ufficiali e negli scritti divulgativi, fu, come accennato, elemento di conflitto tra mondo laico e ambienti religiosi e di più problematica gestione da parte del primo, vista la natura post-ordinata delle raccolte, frutto per lo più di donazioni spontanee non sempre consapevoli dell'opportunità del dono rispetto ai suoi scopi.

In generale, comunque, come emerge chiaramente dalle relazioni periodiche, a livello di ogni coordinamento si esercitò una vigile considerazione delle condizioni del ricevente (fisiche e psicologiche, rispetto alla situazione presente, e, in origine, culturali), delle necessità legate alla propaganda, ma anche delle opportunità educative che la variegata compagine dell'esercito mobilitato in guerra, quasi una «grande scuola popolare» (Ildegarde Occella Trinchero), offriva in vista della costruzione del cittadino futuro dell'Italia postbellica. Da qui l'attenzione alla scelta di «letture buone e sane», che informassero, a tratti distraessero e dilettassero, sempre motivassero rispetto al momento e, contemporaneamente, promuovessero, nonostante tutto, lo sviluppo morale e intellettuale. Così selezionati, letteratura amena (anche in veste periodica, come i molto ambiti Il romanzo mensile del soldato, edito da Nardini di Firenze, e Il romanzo Quattrini, dell'omonimo editore fiorentino), romanzi di viaggi e di avventura, testi storici e carte geografiche, biografie edificanti, giornali e riviste illustrate e manuali tecnici (primi fra tutti, quelli di medicina e igiene di guerra, ma anche vari sulla conduzione dei più distanti mezzi di trasporto, dall'automobile all'aeroplano) dall'altro lato, vangeli, vite di santi e catechismi, testi di apologetica ed etica cristiana, prendevano la strada degli ospedali o del fronte in pacchi o in cassettine appositamente fabbricate, a gruppi di 50-100 pezzi, allegato un piccolo catalogo che servisse da guida al lettore nella scelta del suo compagno.

Se a valle della catena ci sono i distributori, a monte di questa ci sono i libri e i giornali, i produttori e gli autori. La guerra impresse il suo marchio anche ai contenuti e alla forma delle pubblicazioni, in risposta all'urgenza diffusa di conoscere, capire e interpretare la realtà in atto, alla necessità di incitare e di sostenere, al dovere di documentare nel presente e per la consegna dell'esperienza, quanto più integra, al futuro.

Le case editrici nel nord Italia (in particolare, Treves a Milano e Bemporad a Firenze, come anche molte di matrice ecclesiastica) dispiegarono grandi energie progettuali e produttive per l'informazione e la giustificazione degli eventi in corso, sforzo che si espresse più peculiarmente in un proliferare di collane speciali, dedicate, ciascuna offrendo approcci e prospettive diverse, ai fatti e ai dilemmi attuali. Realizzate per lo più nella veste di opuscoli economici di piccolo formato, furono concepite come strumenti agili per la rapida diffusione di posizioni politiche e intellettuali, di notizie, di analisi e di risposte, illuminando l'opinione pubblica sui temi più dibattuti del momento (neutralità, interventismo e irredentismo), su interrogativi di natura storica e militare (le origini del conflitto e lo scacchiere geopolitico), su norme di comportamento pratico (la manualistica medica e assistenziale) e sulle vicende belliche (oltre a testi di analisi evenemenziale, anche vari testi memorialistici e diaristici, molti di mano femminile, nonché raccolte di cronache dei corrispondenti di guerra), muovendo il sentimento comune attraverso la propaganda (caratteristica della produzione laica come anche, paradossalmente, di quella religiosa, prendeva forma nelle più varie tipologie documentarie, dal materiale grafico, agli scritti parenetici e motivazionali, dalle cartoline illustrate ai romanzi in cui la guerra è presentata nei suoi aspetti edificanti), ottenendo, infine, la collaborazione dei più noti intellettuali, politici e giornalisti in veste di autori. È una produzione destinata alla popolazione civile e agli uomini in guerra, inclusi quanti, a diverso titolo, ne avevano cura: una parte rilevante delle pubblicazioni di matrice religioso-assistenziale, ad esempio, riflette l'assillo di offrire strumenti idonei per il lavoro pratico e spirituale dei cappellani militari, il sostegno ai quali fu al centro di molte opere di don Giovanni Semeria e trova una nuova voce nel giornale Il prete da campo.

Quest'ultimo riferimento introduce un altro fenomeno macroscopico della produzione editoriale e della comunicazione di guerra: l'esplosione della stampa quotidiana e periodica. La stagione della prima guerra mondiale vide, in particolare, una grande fioritura degli 'illustrati' (da La Domenica del Corriere a L'illustrazione Italiana a La lettura), molto ambiti dai soldati e «più potente ruota dell'ingranaggio» degli invii (Adolfo Orvieto), in quanto strumenti di comunicazione e di svago efficaci, a ragione del tasso nazionale di analfabetismo ancora molto alto agli inizi del Novecento.

La catena contingente della produzione, della raccolta e della distribuzione di letture non esaurisce, tuttavia, quanto fatto scaturire attorno al libro dalla guerra. C'è, difatti, un 'oltre' che emerge distintamente già durante il conflitto per continuare poi nel periodo post-bellico: è un'attività subito urgente e consapevole di composizione e di protezione della memoria. Ad opera di editori (Piero Barbèra, presidente dell'ATLI-Associazione dei tipografi e librai italiani), di bibliotecari (Giuseppe Fumagalli, direttore della Biblioteca universitaria di Bologna, per la Biblioteca della sua università e per conto della LASI- Library of American studies in Italy di Roma; Augusto Trabucchi, responsabile dell'Archivio della Guerra presso il Museo del Risorgimento di Milano; la Biblioteca della Camera dei Deputati, probabilmente per cura di Giacomo Perticone), di uomini di cultura e giornalisti (Alberto Emanuele Lumbroso, il già citato Perticone, Giuseppe Prezzolini) e di militari (gli ufficiali Barengo e Blatto) furono redatte e aggiornate bibliografie che censivano quanto di segnalabile per i compilatori era stato prodotto relativamente al conflitto, spesso sviluppando nuovi e speciali ordinamenti sistematici o orientando con laboriose descrizioni annotate e ragionate.

Oltre ciò, alcune istituzioni avviarono con lungimiranza progetti di raccolta del patrimonio bibliografico sulla guerra, tra cui si segnala, per ampiezza documentaria (comprensiva non solo del materiale monografico o seriale, ma anche fonti 'minori', quali testi e canzoni popolari, fotografie, cartoline illustrate, manifesti e letteratura murale) e per rigore di sistemazione, che lo rendono unico, quello realizzato dal Fumagalli per la Biblioteca universitaria di Bologna. Tutte queste iniziative, pur nate dall'urgenza, hanno predisposto strumenti imprescindibili e fondamentali all'uomo moderno.

Se lungo queste linee si sono declinati il 'mentre' e l''oltre', cosa riguardo al 'prima'? L'esperienza dei Comitati, come quella delle Case del Soldato, si aprì e si chiuse con la guerra: risposte spontanee, benché controllate, a uno stato emergenziale, hanno tutte come limite naturale e necessario l'assenza di preordinazione. Ma la diffusione della pratica della lettura tra i militari si era posta come problema e come programma già nell'Italia pre-bellica e, tipicamente, con scopi istruttivi ed educativi, sperimentando l'esercito come una scuola allargata e inclusiva di ogni ceto sociale e considerando il libro strumento privilegiato di alfabetizzazione e acculturazione. Tale processo fu promosso e condotto sia da enti pubblici (per l'Esercito, l'INBS, diretto da Ildegarde Occella Trinchero), sia da enti allora privati (per la Marina Militare, la Sezione fiorentina della Lega navale italiana), tramite lo sviluppo di piattaforme riconosciute a livello ministeriale. Tali piattaforme consistevano nell'impianto di biblioteche gestite da personale competente presso i reparti, le basi navali o le navi stesse, gestite sulla base di regolamenti e fisicamente allestite sulla scorta di cataloghi speciali e in aggiornamento, sensibili alle esigenze generali e specifiche delle diverse componenti militari (si veda, ad esempio, la più ricca presenza di letteratura d'avventura e di viaggi nei cataloghi per la Marina) stilati dagli stessi enti di controllo e con funzione di guide per la politica degli acquisti.

Diffusa in forma massiva, sfidando l'alto livello di analfabetismo e condizionandone in modo irreversibile le sorti nel dopoguerra, durante il primo conflitto mondiale la parola scritta non solo giocò un ruolo chiave tra le forme di guerra non guerreggiata, ma fu anche straordinario e difficile banco di prova per l'intraprendenza, la competenza organizzativa, la predisposizione alla condivisione di progetti e risultati, infine, l'attitudine alla solidarietà e al servizio, dei soggetti che ne gestivano, in forme diverse, il flusso.

È quanto il volume di Loretta De Franceschi, Libri in guerra: editoria e letture per i soldati nel primo Novecento, in due parti (parte 1. Cataloghi di libri e produzione editoriale; parte 2. Comitati per i libri ai soldati) e con prefazione di Alberto Petrucciani, uscito quest'anno per l'editore Mimesis nella collana "Libricolae", mette in chiara luce, offrendo uno studio in profondità degli scopi e dei meccanismi che animarono e regolarono le varie iniziative di lettura per i soldati, fondandolo su una ricerca estesa delle fonti dirette, molto diverse per tipologia e per soggetti produttori e in larga misura archiviali e talvolta sommerse, presentate in ampi e significativi stralci. Questo rende il volume non solo solida analisi ma anche tributo testimoniale.

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