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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 48 (Nuova Serie), dicembre 2018

Intervento di Lucio Russo

Per lo "Speciale" del 2018, dedicato al seminario svoltosi su impulso del Sen. Zavoli, già Presidente della Commissione per la Biblioteca e l'Archivio Storico, sul tema: Scienza e umanesimo, un'alleanza?, riportiamo in questo numero l'intervento di Lucio Russo, dopo quelli di Pietro Greco, di Mario Morcellini, di Giulio Giorello e di Lucia Votano.

Fisico e storico della scienza, dal 1984 tiene la cattedra di Calcolo delle probabilità all'Università degli studi di Roma Tor Vergata.

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Non credo che cultura scientifica e cultura umanistica siano due ambiti diversi che debbano allearsi, come suggerisce un po' il titolo di questo convegno. Forse a fianco di scienza e umanesimo si dovrebbe introdurre un terzo termine: la cultura tecnica. Non sono ambiti disgiunti, tra cui trovare forme di alleanza, ma parti, frammenti di una cultura sostanzialmente unitaria: questo punto mi sembra essenziale. In realtà, secondo me, non si possono coltivare in modo efficace studi umanistici ignorando completamente la scienza, e viceversa, anche se molti lo fanno.

Vorrei fare pochi esempi. Nello studio della storia è necessario non solo utilizzare a volte, come tutti sanno, i dati forniti da metodi ausiliari scientifici (ottenuti con strumenti informatici, fisici e chimici), ma spesso occorre entrare nel merito di questioni scientifiche e tecnologiche. Se, per esempio, si vuole capire perché l'Europa ha avuto un ruolo particolare per tre secoli, dominando il mondo, bisogna studiare la rivoluzione scientifica del Seicento, e non si può farlo veramente senza entrare nel merito del rapporto tra i risultati scientifici, le loro motivazioni e applicazioni tecnologiche e i loro rapporti con l'economia. Se si ignora tutto ciò, si ignora una parte importante della storia. Le stesse considerazioni valgono anche per la storia antica: non si può capire l'Ellenismo senza sapere nulla della scienza ellenistica; coloro che studiano l'Ellenismo trascurando la scienza, secondo me, ne trascurano un aspetto essenziale. Inoltre non si può fare filosofia senza occuparsi anche di filosofia della scienza, e non ci si può occupare di filosofia della scienza ignorando la scienza del proprio tempo, come sapevano tutti i filosofi fino a qualche tempo fa. Naturalmente è vero anche l'inverso: non si può avere una vera cultura scientifica ignorando la cultura umanistica e soprattutto quella storica e filosofica.

Si è parlato prima del basso livello della didattica scientifica in Italia e delle insufficienti conoscenze scientifiche degli studenti italiani: sono considerazioni giuste, ma io non insisterei troppo sulla particolarità italiana; credo che si tratti di un problema che riguarda tutto l'Occidente. Ricordo che qualche anno fa un rilevamento statistico valutò quanti quindicenni dei paesi OCSE sapevano perché il giorno si alterna con la notte; risultò che in tutti i paesi sviluppati la maggioranza non ne aveva idea; anche in Finlandia, la maggioranza dei ragazzi non sa perché a una certa ora venga la notte. Sono convinto che la didattica scientifica sia non solo insoddisfacente, ma drasticamente peggiorata negli ultimi decenni: si insegnano infatti sempre più risultati scientifici trascurando il rapporto tra la teoria che viene trasmessa e i problemi concreti che l'hanno motivata. Ciò è particolarmente vero per la matematica.

Si è già osservato come molti si vantino quasi di non saperla, ma in realtà quando a scuola si studiano, ad esempio, le divisioni dei polinomi nessuno capisce perché mai bisognerebbe dividere due polinomi; mancando il rapporto sia con la storia sia con le applicazioni, l'argomento è privato di ogni possibile motivazione. Mi sembra quindi comprensibile che molti degli studenti intelligenti si disinteressino alla matematica.

Considerazioni analoghe valgono per le altre materie scientifiche; propongo un esempio relativo alla chimica, alla quale accennava prima la professoressa Soldani. Se si confronta la didattica della chimica di cinquanta o sessanta anni fa (per esempio quella dei tempi del mio liceo) con quella attuale, si nota una grossa differenza. Consideriamo due concetti fondamentali della chimica: quelli di sostanza e di elemento. Quando ho studiato al liceo, mi hanno insegnato a distinguere una miscela da una sostanza chimica enumerandone molte differenze. Una volta assimilata questa differenza, si poteva capire anche la differenza tra un materiale eterogeneo, una sostanza pura, che può essere separata in componenti solo con metodi chimici, cioè con reazioni chimiche ma non con metodi fisici, e un elemento, che non può essere diviso in componenti neppure con metodi chimici. Una volta capito tutto ciò, si potevano studiare la legge delle proporzioni fisse e quella delle proporzioni definite, motivando l'ipotesi atomica. Studiando poi le reazioni chimiche tra gas, si motivava l'introduzione del concetto di molecola in base alle leggi volumetriche. Oggi nei libri di chimica sostanze ed elementi sono definiti in genere come corpi costituiti rispettivamente da molecole tutte uguali e da atomi tutti eguali; quasi mai viene detto come facciamo a sapere che esistono atomi e molecole.

Non so se sono riuscito a chiarire il punto: secondo me questo slittamento della didattica è importante, ma credo che pochi se ne rendano conto. Un esempio analogo: si insegna che la Terra gira intorno al Sole, ma non si dà alcuna idea di come facciamo a saperlo. Poi, in qualche altra parte dei manuali di fisica, si spiega la relatività del moto e quindi non si capisce perché non si possa dire che il Sole gira intorno alla Terra: se interessa solo il moto relativo non si capisce la differenza tra le due affermazioni. L'insegnamento scientifico diventa così autoritario. Ma il metodo autoritario è esattamente l'opposto del metodo scientifico.

Non c'è da meravigliarsi se molti (giustamente, secondo me) reagiscono con insofferenza e disinteresse a questo tipo di insegnamento. Se poi, come spesso accade, sono abissalmente ignoranti, finiscono con il rifiutare anche le affermazioni scientifiche più evidenti. Per esempio si moltiplicano i siti internet in cui si sostiene che l'affermazione che la Terra sia sferica è una bufala: in realtà, secondo questi signori, la Terra sarebbe piatta. Molti si scandalizzano del diffondersi di questo tipo di ignoranza, ma io credo che i 'terrapiattisti' abbiano un granello di ragione: voglio dire che hanno ragione a non fidarsi dell'affermazione che la Terra è tonda solo perché sono stati abituati da bambini a guardare mappamondi, oppure perché hanno visto foto della Terra viste dallo spazio fornite dalla NASA. Bisognerebbe spiegare come si è fatto a scoprire che la Terra è tonda, sulla base di osservazioni ripetibili. Si può in effetti anche sospettare (se si è abbastanza stupidi) di un complotto della NASA sulla forma della Terra, ma se si spiega come si era fatto nel V secolo a.C. a capire che la Terra è sferica, il dubbio del complotto della NASA non potrebbe certo sorgere: quando Parmenide aveva capito che la Terra è sferica, certamente la NASA non c'era.

In generale, se si volesse rendere più critico l'insegnamento scientifico, sarebbe essenziale motivare le teorie scientifiche, facendo capire il loro legame con i problemi concreti da cui sono sorte e con i fenomeni che debbono spiegare. Ciò significa correlare l'insegnamento scientifico all'insegnamento storico, cioè significa spiegare come si è costruita la scienza. Oltre a quello storico, bisognerebbe recuperare anche l'aspetto tecnico, dal momento che molti problemi sono stati risolti grazie a uno stimolo proveniente da un problema tecnico; spesso però questo aspetto viene nascosto, perché la teoria scientifica pura, avulsa dalle bassezze dei bisogni pratici, appare a molti più bella. Un esempio di questo fenomeno è fornito dalla scoperta, risalente al Settecento, che la Terra esiste non da 6.000 anni, come si era creduto fino ad allora contando l'età in cui i vari patriarchi biblici avevano avuto i figli, ma da milioni di anni. Anche se poi si è appurato che i tempi erano ben maggiori, fu comunque essenziale capire che la storia della Terra si era svolta in un tempo enormemente più vasto di quello della storia umana. Il contributo fondamentale a questa scoperta, che ha avuto un grande impatto sulla cultura generale, è venuto dai tecnici minerari, ma questo particolare in genere viene ignorato.

Un altro esempio: quando in meccanica razionale si spiegano gli assi principali d'inerzia, non si dice mai che Eulero, nel Settecento, li avevi introdotti per studiare il beccheggio e il rollio delle navi e in generale si tace sull'importanza della tecnica nautica per lo sviluppo della scienza fisica del Seicento e del Settecento. Messo a fuoco questo aspetto, diventa chiaro perché la scienza di quell'epoca si è sviluppata soprattutto in paesi che erano potenze navali, come l'Olanda, l'Inghilterra e la Francia. Se quindi la scienza si insegna seriamente non si può non collegarla alla storia, ma è importante correlarla anche alla filosofia, poiché ci si deve chiedere qual è il valore di verità delle affermazioni scientifiche e come mai siano scientifiche anche affermazioni tra loro contraddittorie (non è vero, infatti, che la meccanica classica non sia scientifica perché sarebbe stata sostituita dalla meccanica relativistica; sono scientifiche entrambe). Non si può quindi scindere l'insegnamento scientifico da ciò che oggi è considerato estraneo alla scienza.

Ora, cosa implica il discorso fatto finora sulla scuola? A questo proposito vorrei premettere un breve commento all'intervento della professoressa Soldani. Sono d'accordo su quasi tutto ciò che ha detto, tranne sulla sua affermazione che il liceo scientifico istituito con la riforma Gentile continuava senza modifiche quella che era stata la sezione fisico-matematica dell'Istituto Tecnico. Credo invece che l'insegnamento scientifico fosse stato decisamente superiore nella sezione fisico-matematica dell'istituto tecnico. Il liceo scientifico, a mio parere, è stato il prodotto peggiore della riforma Gentile perché ha abbassato nettamente il livello di competenze scientifiche fornito dalla scuola italiana.

Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento in tutta Europa le scuole erano divise in due categorie: da una parte il liceo, riservato agli studenti appartenenti ai ceti privilegiati, che dovevano continuare gli studi all'università, dall'altra le scuole tecniche per i ceti subalterni (con la parziale eccezione della nostra sezione fisico-matematica degli istituti tecnici, che consentiva l'accesso agli studi di ingegneria e alla facoltà di Scienze); per chi doveva essere avviato al lavoro senza compiere studi universitari vi erano poi anche scuole professionali a livelli ancora diversi. Ora questa situazione è venuta meno e per molti dei lavori, per i quali una volta era sufficiente un diploma, oggi è necessaria la laurea, triennale o magistrale. Probabilmente si tratta di una modifica positiva, perché assicura, per esempio, infermieri e maestri più preparati. Credo però che in questa nuova situazione, in cui gran parte degli studenti dovranno formarsi una preparazione professionale a livello universitario, bisognerebbe offrire percorsi della scuola secondaria non specialistici, ma che diano una formazione generale e polivalente di base.

Si potrebbe tornare in un certo senso, al liceo che c'era prima della Prima Guerra Mondiale, con la differenza di non riservarlo ai ceti privilegiati, ma di offrirlo a una vasta porzione degli studenti, cioè a tutti quelli che intendono specializzarsi all'università. In un liceo del genere naturalmente dovrebbe essere presente anche la cultura tecnica, anche per i motivi che ho detto prima. Quale ruolo potrebbe avervi la cultura classica? Su questo punto credo di non essere del tutto d'accordo con la professoressa Soldani. Occorre distinguere due cose molto diverse, che spesso si confondono: da una parte la cultura classica (soprattutto quella sviluppata in Grecia) e dall'altra la cultura oggi diffusa tra i classicisti. I classicisti di oggi in genere sanno molto poco di scienza, ma la scienza è nata in Grecia, è un prodotto della cultura classica, quindi non ha senso opporre la cultura classica alla cultura scientifica. Nella cultura classica è nata la scienza, la filosofia e tutti gli strumenti intellettuali con cui l'Europa ha costruito la cultura moderna. Credo quindi che la cultura classica possa avere ancora un ruolo importante in una scuola generale. Però bisognerebbe modificare profondamente diciamo il canone degli autori studiati: ad esempio, se invece di leggere soltanto Cicerone e Virgilio si leggesse anche Archimede, la cultura classica assumerebbe un aspetto molto diverso: sono convinto che molte nozioni di matematica si capiscano più profondamente leggendo Archimede che non leggendo manuali attuali.

Penso che andrebbe rivista l'idea di distinguere le scuole secondarie in tanti settori specialistici, lasciando la specializzazione soltanto alle scuole frequentate da chi prevede di non andare all'università. Esistono settori di grande valore estranei agli studi universitari: se un ragazzo vuole diventare liutaio (un'attività che rischia di sparire), non ha bisogno dell'università, ma di un lungo apprendistato. Per chi però pensa di acquisire una specializzazione all'università, anche di tipo tecnico, perché vuole occuparsi, per esempio, di biotecnologie, non è necessario (e a mio parere neppure utile) una scuola secondaria specialistica; è preferibile che la scuola secondaria gli dia una preparazione vasta e polivalente, anche perché le specializzazioni oggi cambiano con grande rapidità. Penso quindi che sarebbe importante reintrodurre un liceo generalista, non rivolto a chi ha già scelto una particolare specializzazione.

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