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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 44 (Nuova Serie), aprile 2018

Per una geografia storico-economica. Il Portogallo (parte terza: dal 1926 a oggi)

Abstract

Nel trentennio successivo all'avvento della dittatura salazarista il Portogallo si trovò a più riprese in situazioni di stagnazione o di difficoltà economiche, scaturenti dall'arretratezza delle sue strutture produttive e dalle ricadute di eventi quali la grande crisi degli anni trenta e il secondo conflitto mondiale. Il periodo compreso fra gli anni sessanta e la fine del Novecento è stato invece segnato da un apprezzabile sviluppo industriale, favorito dall'integrazione del paese con le altre nazioni europee; anche in questa fase l'economia portoghese è rimasta tuttavia connotata da una fragilità di fondo, che l'ha resa particolarmente esposta alle crisi internazionali succedutesi dall'ultimo decennio del XX secolo in poi. Ciò vale anche per l'odierna crisi finanziaria globale, che vede il Portogallo - con la Spagna, la Grecia e l'Irlanda - tra i paesi maggiormente colpiti.

1. La dittatura salazarista

2. Dalla dittatura alla democrazia

3. Gli anni più recenti

4. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

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1. La dittatura salazarista

· La prima fase di vita del regime

L'esponente di maggior rilievo del regime dittatoriale portoghese fu Antonio Oliveira Salazar, professore universitario di economia che fu dapprima ministro delle finanze (con ampi poteri di controllo sugli altri dicasteri) e dal 1932 capo del governo. Dalla ricostruzione che danno Adinolfi (2007) e Serapiglia (2011)del primo ventennio di vita del regime si evince che l'ascesa di Salazar scaturì dalla necessità dei militari di garantirsi l'appoggio delle élites economiche nazionali, le quali si attendevano dal governo la stabilizzazione della moneta, la tutela delle attività produttive e finanziarie e la repressione del movimento operaio. Salazar intendeva muoversi proprio in questa direzione e sin dal momento del suo ingresso in politica aveva esposto i propri obiettivi alla stampa: conferendogli dei ruoli di grande responsabilità, pertanto, i responsabili del colpo di stato diedero prova di sposare anch'essi un simile programma.

Salazar affrontò il problema dell'inflazione bloccando i salari e adottando drastici provvedimenti di restrizione della spesa pubblica (quali la riduzione del personale statale e la limitazione delle politiche sociali). Per rilanciare l'economia provvide a ridurre le imposte ricadenti sulle imprese, a concedere alle medesime prestiti statali, a sostenere le banche in crisi e a realizzare infrastrutture utili ai commerci (strade, ferrovie e porti). Inoltre sottopose ogni aspetto della vita economica alla regolamentazione statale, in modo da limitare la concorrenza e forzare la concentrazione dell'apparato industriale: furono così disciplinati i prezzi al consumo, le importazioni, l'apertura di nuove imprese, l'ingrandimento di quelle esistenti, le quote di produzione delle imprese stesse e le loro quote di consumi di materie prime. Fu promossa altresì la formazione di cartelli di aziende. In campo agricolo Salazar badò soprattutto a tutelare i latifondisti, assicurando loro un basso costo del lavoro e la protezione del mercato dalle derrate estere. Furono istituiti monopoli e cartelli che eliminarono la concorrenza fra le industrie trasformatrici dei prodotti agricoli e il prezzo del pane venne ad essere imposto dal governo.

Il tentativo di sviluppare l'agricoltura attraverso il protezionismo risultò tuttavia fallimentare: nella seconda metà degli anni trenta si dovette infatti ricorrere a ingenti importazioni, per rimediare all'insufficienza della produzione alimentare interna. Invece il settore industriale, dopo essersi trovato nei primi anni trenta in serie difficoltà (riconducibili peraltro alla negativa congiuntura internazionale), dimostrò una buona capacità di ripresa e nella seconda metà del decennio poté beneficiare d'un certo sviluppo.

Un aspetto caratteristico del salazarismo fu rappresentato dalla volontà d'istituire un sistema corporativo analogo a quello fascista. Vennero infatti create delle organizzazioni deputate a rappresentare sia la forza lavoro che il padronato, le quali soppiantarono i tradizionali sindacati. A ciascuna di esse fu assicurato il monopolio della rappresentanza nell'ambito di un determinato settore. Negata ai lavoratori la possibilità di difendere i propri interessi tramite il conflitto sociale, ad essi non rimase che affidarsi al funzionamento delle corporazioni; queste però non furono poste in condizione di operare efficacemente. Del pari, se per un verso essi si videro riconoscere per legge una serie di tutele (settimana di 40 ore, contrattazione collettiva, salario minimo garantito), per l'altro non fu sottoposto a controllo l'effettivo riconoscimento delle medesime da parte delle imprese, le quali poterono così evitare di applicare questa normativa.

· Gli anni della seconda guerra mondiale

L'essersi mantenuto neutrale non evitò al Portogallo di risentire dello scoppio del secondo conflitto mondiale; delle ricadute di tale evento, tuttavia, sono state date letture molto differenti. Un'analisi dai toni fortemente negativi è quella di Adinolfi (2007). Spiega tale studioso che nel 1940 il governo inglese decise di sottoporre a stretto controllo il commercio da e per la penisola iberica, nell'intento di evitare che la Spagna e il Portogallo riesportassero verso la Germania merci fornite proprio dal Regno Unito. Nel caso del Portogallo, l'esercizio di questa sorveglianza venne facilitato dal fatto che tale paese, per il proprio commercio internazionale, dipendeva in larga misura da operatori inglesi. Ogni attività d'importazione e di esportazione venne così a dipendere dall'approvazione del consolato britannico, la quale era però concessa in misura assai limitata. Secondo l'autore, questa situazione danneggiò gravemente l'economia portoghese, non soltanto perché ridusse l'entità dei commerci, ma anche perché fece mancare all'industria materie prime quali il petrolio, il carbone e l'acciaio.

Una ricostruzione di segno diverso è data invece da Saraiva (2004). Questi rileva che negli anni della guerra alcuni operatori riuscirono a fare grandi profitti, rifornendo di materie prime entrambi i blocchi belligeranti: un fatto che induce a ritenere che il controllo esercitato dalla Gran Bretagna sulle esportazioni portoghesi non sia stato così stretto da privare del tutto l'imprenditoria locale della propria libertà d'azione.

La maggior parte della popolazione scontò comunque un peggioramento delle proprie condizioni di vita. Al riguardo, Adinolfi (2007) scrive che la limitazione delle importazioni rese difficoltoso addirittura il soddisfacimento delle esigenze alimentari di base, in quanto tra i beni di cui risultava insufficiente la produzione interna v'erano il grano e i fertilizzanti. Il governo tentò di contenere le ricadute del conflitto sulla disponibilità di cibo e sul suo costo applicando misure di controllo dei prezzi e del commercio transfrontaliero; ma queste vennero aggirate tramite il ricorso alle vendite sul mercato nero e al contrabbando verso la Spagna.

· Lo sviluppo economico del dopoguerra

Dopo la seconda guerra mondiale il Portogallo, al pari delle altre nazioni mediterranee, beneficiò d'un notevole sviluppo, che ridusse il divario sussistente fra la sua economia e quelle dei più avanzati paesi dell'Europa continentale. A tale sviluppo, tuttavia, l'agricoltura contribuì in misura limitatissima: scrive Saraiva (2004) che fra il 1956 e il 1971 il prodotto agricolo, calcolato a prezzi stabili, aumentò solo di poco, mentre quello industriale crebbe di oltre tre volte. A determinare la stagnazione del comparto agricolo furono il carattere arcaico delle strutture proprietarie e delle tecniche di coltivazione, nonché la miserevole condizione dei contadini, che indusse molti di loro ad abbandonare i campi per cercare lavoro nelle aree urbane o all'estero.

In compenso, a partire dalla fine degli anni cinquanta si ebbe un notevole rafforzamento dell'industria. Eichengreen (2009)individua nel ramo tessile e calzaturiero la componente più dinamica di tale comparto, sottolineando però che si ebbe pure una graduale affermazione di aziende impegnate in attività più impegnative dal punto di vista finanziario e tecnologico, quali la chimica e la produzione di macchinari. A dominare la scena rimase comunque un numero limitato di società: si trattava di grandi conglomerate sorte per iniziativa del regime, che in virtù delle proprie dimensioni e della loro condizione di proprietarie delle maggiori banche nazionali erano in grado di reperire con facilità i capitali necessari per investire ed espandersi. Ad assicurare loro una condizione di preminenza contribuì la normativa che subordinava all'approvazione del governo la creazione di nuove fabbriche e l'ingrandimento di quelle esistenti, la quale fu mantenuta in vigore anche in questa fase.

Oltre che sulla presenza d'un nucleo di imprese di grandi dimensioni e finanziariamente solide, il Portogallo poté contare su un altro fattore propizio allo sviluppo industriale: la disponibilità di manodopera abbondante e a basso costo. Infatti Eichengreen (2009) rileva che gli imprenditori portoghesi si giovarono dell'afflusso di forza lavoro dalle campagne (originato dalla volontà dei contadini di migliorare le proprie condizioni di vita) e della moderazione salariale (la quale discendeva dalla mancanza di libertà sindacali e dalla stessa abbondante offerta di manodopera). Il medesimo studioso sottolinea inoltre come il paese abbia tratto beneficio, a partire rispettivamente dal 1960 e dal 1962, della propria adesione all'EFTA (l'area di libero scambio comprendente anche la Gran Bretagna, l'Austria, la Svizzera e i paesi scandinavi) e al GATT (l'accordo sul commercio internazionale, promosso dagli USA e all'epoca già sottoscritto da altri paesi europei): le ridotte dimensioni del Portogallo rendevano infatti le sue possibilità di sviluppo economico dipendenti in notevole misura dalle esportazioni.

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2. Dalla dittatura alla democrazia

· La caduta del regime

La crescita economica, che il regime salazarista aveva lungamente perseguito, ebbe tuttavia un effetto destabilizzante per la stessa dittatura. Come spiega Saraiva (2004), la modernizzazione della società che scaturì dallo sviluppo rese nel tempo sempre meno tollerabili le restrizioni imposte ai diritti politici. Inoltre a partire dal 1961 il regime si impegnò in una difficile e costosa opera di repressione della guerriglia indipendentista sorta nelle sue colonie africane, la quale divenne - specie fra i giovani - un importante motivo di opposizione al regime. Il malcontento andò così sempre più montando, sino a sfociare, nel 1974, nel rovesciamento del governo di Marcelo Caetano (il quale alcuni anni prima aveva preso il posto di Salazar, divenuto invalido in seguito a un incidente) ad opera d'un movimento sorto in seno alle forze armate. La svolta politica fu immediata e gravida di ricadute anche sul piano economico: i governi provvisori in carica nel biennio che intercorse fra la rivoluzione e le prime elezioni parlamentari libere, infatti, realizzarono una riforma agraria e la nazionalizzazione di numerose imprese, concedendo inoltre l'indipendenza alle colonie.

· La crisi economica

Gli anni immediatamente successivi alla caduta del regime videro l'economia portoghese precipitare in una grave crisi. Ciò è ricondotto da Berend (2006) in parte al coinvolgimento del paese nella recessione globale del 1973-75, ma in parte anche alle scelte dei nuovi governanti. Difatti l'abbandono delle colonie determinò l'afflusso nella madrepatria di mezzo milione di profughi (con un conseguente incremento della popolazione nazionale pari all'8 per cento), proprio in un momento in cui le difficoltà degli altri paesi europei stavano facendo diminuire le possibilità di trovare lavoro all'estero. Questa combinazione fra l'immigrazione degli ex-coloni africani e il venir meno dell'emigrazione verso altre nazioni già sarebbe bastata a provocare un drastico incremento della disoccupazione; ma a tali fattori si aggiunse il calo della produzione industriale e degli investimenti, suscitato, oltre che dal rincaro del prezzo del petrolio, da quello del costo del lavoro. Quest'ultimo scaturì dalla ritrovata libertà sindacale, che rese possibile ai lavoratori l'ottenimento di cospicui rialzi salariali. Al pari della disoccupazione, anche l'inflazione subì un brusco aumento, in quanto la crescita dei costi di produzione si rifletté sui prezzi dei beni prodotti internamente e si ebbe anche un notevole incremento di quelli dei manufatti e generi alimentari d'importazione.

· Gli aiuti internazionali

Stando a quanto scrive ancora Berend (2006), il degrado dell'economia portoghese suscitò serie preoccupazioni presso i governi dell'Europa occidentale, giacché essi ritennero che ne sarebbe potuta derivare una destabilizzazione politica del paese, suscettibile di provocarne il passaggio nell'area d'influenza sovietica. Pertanto nel 1975 i paesi membri dell'EFTA offrirono al Portogallo una serie di aiuti, subordinati però all'instaurazione d'un regime politico pluralista e all'isolamento dei comunisti in sede sia politica che sindacale. Per la precisione, il paese si vide concedere l'eliminazione immediata delle tariffe doganali gravanti sulle sue esportazioni verso l'area EFTA, a fronte della possibilità di mantenere i propri dazi sulle merci d'importazione sino al 1985; e in più ottenne un prestito da destinare alla ristrutturazione dell'industria. Ulteriori soccorsi finanziari furono inoltre accordati dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Europea per gli Investimenti. Questi aiuti consentirono al paese di riprendersi dalla crisi, in quanto offrirono alle sue imprese la possibilità sia di effettuare nuovi investimenti, sia di guadagnare posizioni sui mercati esteri.

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3. Gli anni più recenti

· L'adesione alla Comunità Europea

Ulteriori impulsi alla crescita economica del paese provennero dall'adesione alla CEE, avvenuta nel 1986. Il Portogallo poté infatti beneficiare dei fondi che la Comunità Europea erogava in favore delle proprie aree meno sviluppate. Al riguardo, Tavares Pimenta (2011) evidenzia come le ingenti risorse poste a disposizione dei governi abbiano reso possibile la costruzione di infrastrutture utili all'economia (quali strade e ponti), lo sviluppo dei servizi sociali (consentendo la realizzazione di scuole e ospedali) e lo sviluppo di alcune attività economiche (grazie alle misure d'incentivazione finanziate tramite tali risorse). Lo stesso autore sottolinea però come l'ingresso nella CEE abbia causato il declino di molte attività tradizionali, in quanto la politica di contrasto delle sovrapproduzioni seguita dalla Comunità fece sì che agricoltori, pescatori e anche imprenditori di altri settori ricevessero sussidi per rimanere inattivi. Inoltre l'erogazione di incentivi alle imprese non sempre ebbe effetti positivi duraturi, in quanto vi furono operatori che badarono più ad assicurarsi nell'immediato la percezione di tali risorse che a dar vita a iniziative in grado di valorizzarle al meglio. Per queste ragioni l'afflusso di risorse comunitarie, più che ad ampliare le fila dell'imprenditoria nazionale e a consentirne un generale rafforzamento, valse a risollevare le condizioni del ristretto gruppo di grandi aziende che aveva dominato la scena economica all'epoca della dittatura. Queste difatti ricavarono grandi profitti dagli appalti per la realizzazione di opere pubbliche che furono resi possibili dall'incameramento dei fondi europei. Dopo il 1989 la maggiore imprenditoria portoghese ebbe poi l'opportunità di consolidare ulteriormente la propria posizione, in quanto fu allora condotta la privatizzazione delle banche e delle imprese che erano state nazionalizzate dopo la rivoluzione del 1974.

· Gli anni novanta e i primi anni duemila

Nel Portogallo degli anni ottanta, dunque, ad essere protagonista del processo di sviluppo è stato soltanto un ristretto nucleo di grandi aziende, mentre gli altri attori economici hanno offerto prestazioni meno brillanti o addirittura hanno sofferto un ridimensionamento del proprio ruolo. Si comprende pertanto come mai Tavares Pimenta (2011) concluda la sua ricostruzione sostenendo che lo sviluppo economico di quella fase poggiò su fondamenta piuttosto fragili. Questa debolezza di fondo dell'economia portoghese fu messa a nudo dalla recessione dei primi anni novanta, che su di essa si ripercosse in maniera particolarmente forte; e poi ancora dalla nuova crisi esplosa nel 2000, la quale era stata preceduta da una ripresa, che aveva però lasciati immutati i suoi problemi di base.

Negli anni successivi al 2000 la popolazione portoghese ha scontato il protrarsi della crisi ed anche il cattivo stato dei conti pubblici nazionali, che ha imposto ai governi di entrambi gli schieramenti succedutisi alla guida del paese di porre in essere pesanti tagli alla spesa pubblica (inclusa quella per l'educazione, la sanità e l'assistenza sociale). L'adozione dell'euro ha infatti vincolato tali governi al rispetto dei parametri di Maastricht, rendendo necessario il contenimento del disavanzo pubblico annuale entro il limite del 3 per cento del PIL.

Questa politica di compressione della spesa, per la verità, non si sarebbe resa necessaria - o quantomeno non nella misura in cui venne posta in essere - se il paese avesse potuto giovarsi d'una crescita economica più robusta (e quindi il governo avesse potuto contare su maggiori entrate fiscali). Il Portogallo degli anni 2000, tuttavia, ha sofferto per l'appunto d'una bassa crescita economica. Questa è ricondotta da Brancaccio e Passarella (2012) per un verso ad una stagnazione della produttività del lavoro (e quindi a una mancata evoluzione delle strutture produttive nazionali) e per l'altro alla crescita della competitività di prezzo dei manufatti tedeschi, che ha determinato un incremento delle importazioni dalla Germania (a scapito dei consumi di beni nazionali). In questa fase l'industria tedesca ha infatti tratto beneficio dalla compressione dei salari ch'è stata in grado di realizzare, la quale ha ridotto l'incidenza del costo del lavoro sui prezzi finali delle sue produzioni, nonché dall'adozione dell'euro, che ha fatto venir meno il condizionamento negativo rappresentato dal cambio sfavorevole fra il marco e le monete dei paesi mediterranei.

· L'impatto della crisi finanziaria globale

La perdita di competitività dell'industria nazionale costituiva un fattore suscettibile d'impoverire il Portogallo, in quanto era causa d'un ampliamento del deficit della sua bilancia commerciale; gli stessi Brancaccio e Passarella (2012), tuttavia, spiegano come per buona parte del decennio la fuoriuscita di ricchezza che si verificava attraverso i consumi sia stata compensata dall'afflusso di capitali esteri, che i principali operatori finanziari europei (tra cui le banche della stessa Germania) destinavano all'acquisto di titoli di debito pubblico. Anche questo fenomeno è almeno in parte riconducibile alla nascita della moneta unica, la quale per un verso ha accresciuto il grado d'integrazione fra i mercati finanziari europei, agevolando così gli investimenti transfrontalieri, e per l'altro ha consentito ai paesi mediterranei d'indebitarsi maggiormente senza contropartite sul piano della spesa per interessi sul debito stesso (giacché l'adozione d'una valuta più forte e stabile di quelle precedentemente in uso, rendendo meno rischioso investire nei loro titoli di stato, ha reso possibile offrire questi ultimi a rendimenti più bassi).

Il crescente indebitamento estero ha finito tuttavia per costituire un ulteriore fattore di debolezza. Come rammenta Bini Smaghi (2013), difatti, dopo il 2007 l'esplosione della crisi finanziaria globale ha indotto i grandi operatori finanziari a ritirarsi dai paesi giudicati più a rischio, perché economicamente più deboli. Il Portogallo, che alla vigilia della crisi era giunto ad avere un debito estero pari al 100 per cento del PIL, ha così subito un'enorme perdita di risorse, con gravi ripercussioni sulla sua economia e sullo stato dei propri conti pubblici. Un temporaneo sollievo è stato arrecato a questi ultimi dall'acquisto di titoli operato dal Fondo europeo per la stabilità finanziaria, creato nel 2010 proprio per fronteggiare le situazioni d'emergenza sorte nei paesi comunitari più in difficoltà; ma negli anni successivi il governo portoghese ha dovuto comunque impegnarsi in un'onerosa opera di risanamento, concretatasi nell'imposizione di nuovi sacrifici alla popolazione. Attualmente il Portogallo, stando a quanto riportato dalle più recenti cronache giornalistiche, è un paese in lenta ripresa, con investimenti ed esportazioni in crescita e disoccupazione in calo; ma sulla sua economia continuano a pesare le cattive condizioni del sistema bancario e l'elevato debito pubblico, ragion per cui la sua uscita dalla crisi appare ancora incerta e comunque non suscettibile di verificarsi in tempi brevi.

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4. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

Per una geografia storico-economica. Il Portogallo. Percorso bibliografico nelle collezioni della Biblioteca. Contiene la bibliografia completa di tutti i tre articoli di approfondimento pubblicati relativi al Portogallo. Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca.

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