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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 35 (Nuova Serie), ottobre 2016

Carlo Alberto Salustri (Trilussa)

Abstract

Poeta di Roma, Trilussa avvicina il dialetto romano alla lingua italiana, nel momento in cui la città diventa capitale dell'Italia unita. La reinvenzione delle Favole porta ben oltre i confini di Roma il messaggio universale del poeta, che, purtroppo alla soglia della morte, riceverà la nomina di Senatore a vita della Repubblica. Partendo da una breve ricostruzione biografica proporremo, come di consueto in questa rubrica, una scelta di testi.

foto1. Vita e poesia

2. Trilussa e la politica

3. La nomina a Senatore a vita e la morte

4. Dentro le opere

5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

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1. Vita e poesia

Nonostante la fama di uno dei più conosciuti "poeti di Roma" le notizie biografiche sono per lo più consegnate ad una serie di aneddoti. A partire dall'anno di nascita del poeta: indicato nel 1873 da Emilio Cecchi nella voce dell'Enciclopedia Italiana (compilata nel 1937), ma smentita da successive pubblicazioni che riportano, riproducendo una copia dell'atto di nascita, il 26 ottobre del 1871.

Rimasto solo con la madre in tenera età, Carlo Alberto Salustri cresce tra via del Babuino e Piazza di Pietra, nel palazzo del marchese Ermenegildo Del Cinque, suo padrino di battesimo. Non si applica molto negli studi, prima presso il collegio Poli e successivamente all'Angelo Mai: lascia senza conseguire alcun titolo. Nel 1887 pubblica il suo primo sonetto nel "Rugantino", giornale in dialetto romanesco diretto da Giggi Zanazzo, utilizzando il nome d'arte Trilussa, anagramma delle sillabe del suo cognome, probabilmente nato dall'indugio sui libri scolastici (così Jannattoni 1957, p. 34-36). Inizia così una collaborazione con il periodico, su cui pubblica, tra le altre cose, dei madrigali dedicati alle più belle ragazze della Capitale. Il successo dei madrigali è suggellato dalla pubblicazione del primo volume di Trilussa: Stelle de Roma. Versi romaneschi, edito da Cerroni e Solaro nel 1889 con la prefazione ed un glossario del prof. Francesco Sabatini, cultore del folclore e del dialetto romano. Con Sabatini pubblicò nei successivi due anni i lunari Er Mago de Bborgo, con illustrazioni di Silhouette. Le collaborazioni si estendono a diversi giornali romani, fino all'approdo al "Don Chisciotte di Roma" di cui diventa redattore nel 1893: oltre a scritti in prosa e in versi, è corrispondente, cronista e a volte anche disegnatore, ma soprattutto è su questo giornale che pubblica le prime favole, genere che consacra definitivamente Trilussa come poeta satirico di Roma. Nel 1895, con la pubblicazione dei Quaranta sonetti romaneschi comincia la più che ventennale collaborazione con l'editore Voghera; Trilussa collabora ora anche con "Il Messaggero" e, nei primi anni del nuovo secolo, con "Il Travaso delle idee", in cui Trilussa, sotto lo pseudonimo di Maria Tegami, commenta fatti di cronaca e di politica (il successo fu tale che l'editore pubblicò il volume Maria Tegami intima nel 1903). Frequenta, molto richiesto, i salotti romani e partecipa, insieme ad altri poeti dialettali, a diverse tournée in Italia, con grande successo di pubblico. Nel 1901 escono per Voghera le Favole Romanesche e Caffé concerto, raccolta di sonetti. Appassionato di teatro, scrive macchiette per Maldacea e Petrolini, attori comici del tempo, il monologo La vispa Teresa (ideale continuazione della poesia di Salier), testi per il teatro dei burattini (nel 1927 costruì un teatrino battezzato "Baracca delle favole"), testi per la pubblicità e persino una sceneggiatura per un film (Il romanzo di un cane povero, nel 1914). Nel 1912 muore la madre, nella casa di Trastevere in cui si erano trasferiti insieme: dopo vari cambiamenti di abitazione, si stabilisce nello studio di via Maria Adelaide fino alla morte. Nel 1922 comincia la pubblicazione delle sue opere per l'editore Mondadori.

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2. Trilussa e la politica

La vita di Trilussa scorre dunque tra la scrittura, in versi e in prosa, e la frequentazione dei luoghi centrali della vita della neocapitale: non è un assiduo dei circoli culturali, ma è presente in diversi ambienti e cerimonie, incontrando una molteplicità di persone, da D'Annunzio a Marconi, dal Re ai personaggi politici, sempre passando per i vetturini e gli uomini del popolo, cui sembra leggesse i suoi versi per sondarne l'efficacia.

Nato all'indomani della breccia di Porta Pia, crebbe nella nuova capitale dell'Italia unita, in cui si trasferirono uffici e competenze da Torino e Firenze, insieme alla piccola borghesia, che ritroviamo puntualmente nella sua opera, così come la difficile e contraddittoria convivenza con il potere papale (ce ne offre una descrizione Matilde Serao: si veda l'articolo pubblicato in questa stessa rubrica nel n. 32, nuova serie di MinervaWeb).

[...] Trilussa s'adagiò nell'aura pacifica del «tutto compiuto», lesse Stecchetti, cantò le «stelle» popolari e aristocratiche, riprese l'almanacco del Finardi, e sferzò con strofe di velluto (servendosi spesso di favole «rimodernate») la borghesia che, dopo la «breccia», cominciava ad innestarsi - facendola da padrone - nei gangli vitali del nuovo ordine costituito. Celebre per la statura, oltre che per i suoi versi, [...] divenne egli stesso una mèta turistico-letteraria [...].

Perciò hanno errato e continuano ad errare coloro che vedono nel devoto omaggio tributato dalla folla a Trilussa, gli effetti di una supervalutazione della sua opera poetica, perché l'esistenza stessa di questo favolista, costituì di per sé una gustosa opera d'arte, e, lui vivente, la testimonianza viva di un'epoca perduta e rimpianta, e ormai riflessa per sempre in una produzione vernacola nella quale la vera locuzione dialettale è stata ridotta a tale semplicità, da potersi agevolmente sovrapporle, in trasparenza, la versione italiana. Non ultima ragione di una popolarità che ha oltrepassato le mura di Roma e talvolta varcato i confini dell'Italia.

(Jannattoni 1956, p. 122)

Le collaborazioni con i vari giornali rispecchiano quella commistione tra giornalismo e letteratura caratteristica della seconda metà dell'Ottocento (si veda a questo proposito l'articolo inaugurale di questa rubrica), e la vita politica era immancabilmente oggetto di questa scrittura, tanto più se si considera il fatto che il giovane Trilussa fu, fino al 1897, segretario particolare del deputato marchese Raffaele Cappelli (Jannattoni 1957, p. 102): dunque Trilussa poté entrare nei palazzi e vedere dal vivo i luoghi e i personaggi della politica.

Raccontandosi in un'intervista sul "Corriere dei piccoli", egli stesso testimonia e interpreta la cifra della sua fantasia e, in fondo, dei suoi interessi fin da ragazzo:

Ero in quarta elementare; il maestro ci aveva dato questo tema: «Descrivete ciò che avete osservato nella via venendo da casa a scuola.» Io avevo osservato, fra l'altro, un uomo il quale, fermo sul marciapiede, tirando o allentando un filo invisibile, faceva ballare due marionette di legno, che lottavano fra di loro. Descrissi l'affascinante spettacolo ed ebbi l'audacia di aggiungervi alcune considerazioni filosofiche. Si era in tempo di elezioni politiche e paragonai le due marionette ai due candidati del quarto collegio. Concludevo notando come, anche nelle lotte politiche, c'è sempre un filo invisibile che fa muovere i combattenti tenendo desto l'interesse della folla. Il maestro ne fu favorevolmente impressionato e mi diede un bel nove. Così posso dire che in quelle elezioni riportai nove voti! Molto precoce? Ma no. Era l'epoca in cui tante cose che dovevano essere serie facevano ridere e anche un ragazzo poteva afferrarne tutta la comicità.

(Walter Vaccari, Quando Trilussa si chiamava Carluccio, "Corriere dei piccoli", Milano, 7 luglio 1935, p. 2)

Pacifista negli anni della prima guerra mondiale, come testimoniato soprattutto dalla raccolta Lupi e agnelli del 1919, Trilussa non si iscrisse a nessun partito politico: durante il fascismo continuò - seppure anche lui soggetto al vaglio della censura - a pubblicare favole e poesie e, a chi lo avrebbe poi indicato come antifascista, rispondeva che in realtà lui era semplicemente stato un non fascista.

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3. La nomina a Senatore a vita

Il primo dicembre 1950 il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi nomina, insieme a Pietro Canonica, Gaetano De Sanctis e Pasquale Jannaccone come annunciato il giorno stesso in Aula (Senato della Repubblica. Assemblea, Resoconto stenografico. I Legislatura, 545° Seduta (pom.), 1 dicembre 1950, p. 21253-21254), Carlo Alberto Salustri, in arte Trilussa, "a vita senatore della Repubblica per avere illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo letterario e artistico". Come ben nota Maria Teresa Russo nell'intervento al convegno organizzato dall'Istituto di Studi Romani nel 1973, Trilussa senatore (in Studi trilussiani 1977, pp. 225-226), ben pochi sono gli scrittori ad essere nominati senatori, prima dal Re e poi dal Presidente della Repubblica, per i soli meriti artistico-letterari: in realtà si possono considerare solo Alessandro Manzoni (si veda l'articolo, in questa stessa rubrica, sul n. 8, n.s. di MinervaWeb) e Giovanni Verga per il Senato del Regno prima di Trilussa, che sarà poi seguito da Eugenio Montale nel 1967 (si veda l'articolo, in questa stessa rubrica, sul n. 11, n.s. di MinervaWeb), da Eduardo De Filippo nel 1981 e da Mario Luzi nel 2004 (si veda l'articolo, in questa stessa rubrica, sul n. 30, n.s. di MinervaWeb) per il Senato della Repubblica.

Fin dall'elezione del Presidente Einaudi l'Associazione fra i Romani, coadiuvata dall'azione del quotidiano romano "Il Tempo", promosse una campagna per la nomina di Trilussa al laticlavio: tra gli altri motivi, molto probabilmente, ci fu anche quello di garantire una sicurezza economica al poeta che, ormai anziano e di salute malferma, non riusciva più ad assicurarsi, come aveva sempre fatto, i mezzi di sostentamento unicamente attraverso i proventi della propria attività letteraria (si veda a questo proposito M.T. Russo, Trilussa..., cit., p. 232-234).

Trilussa non varcò mai la soglia di Palazzo Madama, gli fu assegnato di collaborare ai lavori della IV Commissione permanente (Difesa), ma morì il 21 dicembre 1950, appena 20 giorni dopo la nomina: in aula, quello stesso giorno, presero la parola diversi senatori, che sottolinearono l'universalità e l'indipendenza dell'arte di Trilussa, definita dal senatore Roberto Lucifero "politica":

Trilussa ebbe funzione politica [...], come critico, perché il satiro è critico, della vita politica di oltre mezzo secolo del suo Paese. In questo egli fu voce dello spirito romano nel senso antico della parola, voce dello spirito italico; [...] e venne qui per nomina dall'alto su richiesta dal basso, perché a Roma ci fu una petizione al Presidente della Repubblica, che chiedeva che Trilussa venisse al Senato [...].

Oggi egli se n'è andato e lascia la fierezza dell'uomo, come ha ricordato l'onorevole Orlando, che fu sempre spirito libero ed indipendente, che, per usare le sue parole, non aveva mai fatto «l'ovo de giornata», il quale aveva sempre trovato modo di dire le cose più dure e più amare senza far piangere, ma facendo sorridere, e che ha compiuto ancora, nel momento in cui si parlava di lui morto, il miracolo che per la prima volta durante una commemorazione, si sorridesse in questo Senato e si ridesse anche [...].

(Senato della Repubblica. Assemblea, Resoconto stenografico. I Legislatura, 556° Seduta (pom.), 21 dicembre 1950, p. 21650)

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4. Dentro le opere

Cresciuto nella Roma cosiddetta "umbertina", fucina di costruttori e di monumenti, Trilussa ci restituisce la sua "Terza Roma", con l'immagine di Montecitorio sullo sfondo.

LA TERZA ROMA

Parla Checco er benzinaro

I

La terza Roma nun s'intenne mica

che da Romolo in qua ce so' tre Rome:

naturarmente je se dà 'sto nome

pe' potella distingue da l'antica.

De Roma nostra, Dio la benedica,

nun ce n'è che una sola: ma, siccome

fu rimpastata, je successe come

succede co' la crosta e la mollica.

Infatti, sur più bello d'un lavoro,

te ritrovi l'Impero giù in cantina

con una strada che va dritta ar Foro:

e scopri che, presempio, la finestra

indove s'affacciava Messalina

corrisponne a 'na chiavica maestra.

II

Er tempo, che lavora co' la lima,

con una mano scrive e l'antra scassa,

e succede ch'er postero sfracassa

quello che l'antenato ha fatto prima.

Così vedrai che fra mill'anni e passa

rifaranno la stessa pantomima,

e tutto quello ch'oggi sta più in cima

sarà guardato come Roma bassa.

E forse un cicerone der tremila

dirà a un ingrese: - Vede, monsiù mio,

quer Cammerone co' li posti in fila?

Laggiù, un tempo, se parlava troppo,

e mó se sente solo er gnavolìo

de li gatti ch'aspetteno er malloppo.

(Trilussa 1975, p. 694-695)

Ritroviamo nella poesia di Trilussa lo specchio del trasformismo e quell'antiparlamentarismo accennato sopra, anche in occasione della concessione del suffragio universale maschile:

Suffraggio universale

Un'Aquila diceva: - Dar momento

che adesso c'è er suffraggio universale,

bisognerà che puro l'animale

ciabbia un rappresentante ar Parlamento;

dato l'allargamento, o prima o poi,

doppo le donne lo daranno a noi.

Ma allora chi faremo deputato?

Quale sarà la bestia indipennente

che rappresenti più direttamente

la classe animalesca de lo Stato?

e a l'occasione esterni er su' pensiero

senza leccà le zampe ar Ministero?

Per conto mio, la sola che sia degna

de bazzicà la Cammera e conosca

l'idee de l'onorevoli è la Mosca

perché vola, s'intrufola, s'ingegna,

e in fatto de partiti, sia chi sia,

passa sopra a qualunque porcheria!

(Ivi, p. 438)

Indicativa della sua condotta di "non fascista" durante il ventennio la poesia Er pensiero

Er pensiero

Qualunque sia pensiero me viè in mente,

prima de dillo, aspetto e, grazzi'a Dio,

finché rimane ner cervello mio

nun c'è nessuno che me pò di' gnente.

Ma s'opro bocca e je do fiato, addio!

L'idea, se nun confinfera a la gente,

me pò fa' nasce quarche inconveniente

e allora er responsabbile so' io.

Per questo, ner risponne a quarche amico

che vorrebbe sapé come la penso,

peso e misuro tutto quer che dico.

E metto tra er pensiero e la parola

la guardia doganale der bon senso

che me sequestra er contrabbando in gola.

(Ivi, p. 679)

Perché, in fondo, nel mondo non è mai tutto bianco o tutto nero, e la verità è sempre nascosta sotto mille travestimenti, come ci dice questa storia:

La Verità

La Verità, che stava in fonno ar pozzo,

una vorta strillò: - Correte, gente,

ché l'acqua m'è arivata ar gargarozzo! -

La folla corse subbito

co' le corde e le scale: ma un Pretozzo

trovò ch'era un affare sconveniente.

- Prima de falla uscì, - dice - bisogna

che je mettemo quarche cosa addosso

perché senza camicia è 'na vergogna!

Coprimola un po' tutti: io, come prete,

je posso da' er treppizzi; ar resto poi

ce penserete voi...

- M'associo volentieri a la proposta:

- disse un Ministro ch'approvò l'idea -

pe' conto mio je cedo la livrea

che Dio lo sa l'inchini che me costa;

ma ormai solo la giacca

è l'abito ch'attacca... -

Bastò la mossa: ognuno,

chi più chi meno, je buttò una cosa

pe' vedé de coprilla un po' per uno;

e er pozzo in un baleno se riempì:

da la camicia bianca d'una spósa

a la corvatta rossa d'un tribbuno,

da un fracche aristocratico a un cheppì.

Passata 'na mezz'ora,

la Verità, che s'era già vestita,

s'arrampicò a la corda e sortì fòra;

sortì fòra e cantò: - Fior de cicuta,

ner modo che m'avete combinata

purtroppo nun sarò riconosciuta!

(Ivi, p. 350-351)

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5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

Nell'articolo sono citati per esteso solo i testi non compresi nel percorso bibliografico.

Trilussa. Percorso bibliografico nelle collezioni del Polo Bibliotecario Parlamentare.

Si suggerisce inoltre la ricerca nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche delle due biblioteche.

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