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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 29 (Nuova Serie), ottobre 2015

Per una geografia storico-economica. La Francia (Parte seconda: dal 1700 al 1815)

Abstract

Come già nella prima parte dell'età moderna, anche nel XVIII secolo la Francia beneficiò d'un progressivo sviluppo della sua economia, alimentato sia dai pur limitati progressi della sua agricoltura, sia dalla diffusione delle attività manifatturiere, sia dall'espansione dei traffici commerciali. Nel contempo, tuttavia, andò facendosi sempre più grave la crisi finanziaria dello stato, la quale finì per determinare gli eventi politici che sfociarono nella Rivoluzione. A questo punto si aprì per la nazione un periodo di radicali riforme, che rinnovarono in profondità la sua struttura economico-sociale, in particolare abbattendo i privilegi feudali, determinando ampi passaggi di proprietà in ambito fondiario e affermando il principio della libertà d'iniziativa imprenditoriale.

coffee1. Il XVIII secolo

2. L'età rivoluzionaria e napoleonica

3. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

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1. Il XVIII secolo

•L'agricoltura

Nel precedente articolo si sono fatte discendere le trasformazioni subite dall'agricoltura francese nel corso dei secoli a fattori di ordine demografico. La ricostruzione che offre Garden (1980) dell'evoluzione di tale comparto nel corso del Settecento conferma una simile interpretazione, in quanto la riconduce alla forte crescita della popolazione che si ebbe allora. Tale crescita determinò un'ascesa della domanda e dei prezzi agricoli, la quale a sua volta stimolò la ricerca d'incrementi della produzione. In principio, tali incrementi vennero perseguiti soprattutto mediante l'espansione della superficie coltivata; tuttavia, essendo la Francia un paese già densamente popolato, le terre incolte ancora disponibili avevano estensione limitata e vennero pertanto rapidamente occupate. Dopo la metà del secolo questo processo espansivo andò così quasi del tutto arrestandosi. A quel punto lo sviluppo dell'agricoltura venne a dipendere fondamentalmente da processi di crescita intensiva anziché estensiva. Ciò fu ben compreso dai rappresentanti dei pubblici poteri, a livello sia nazionale che locale; essi difatti in questo periodo dimostrarono un forte interessamento nei riguardi dell'agricoltura, facendo nascere molte associazioni rivolte alla conoscenza dei suoi problemi e al perfezionamento dei metodi di coltivazione e di allevamento. I risultati di tali ricerche, tuttavia, non trovarono vaste applicazioni concrete, ma si tradussero soltanto in esperienze isolate, che nell'immediato non valsero da esempio alla generalità del ceto possidente. In compenso, proprio nel secondo Settecento si ebbe un'apprezzabile diffusione di due colture americane - il granturco e la patata - dalle rese elevate, la quale rese ugualmente possibile pervenire a un più intenso sfruttamento dei suoli agricoli.

Sempre Garden (1980) tratta anche delle trasformazioni che all'epoca interessarono i rapporti fra proprietari e comunità rurali. Questi divennero sempre più conflittuali, in quanto i possidenti aristocratici e i grandi imprenditori agricoli borghesi cercarono di riservarsi lo sfruttamento delle terre comunali, recintandole o limitando i diritti di pascolo e di raccolta che i coltivatori avevano su di esse. Questa ricerca d'un ampliamento dei propri possedimenti, manifestatasi già nel Seicento, aveva ora all'origine non più la necessità di compensare il calo dei prezzi agricoli, ma all'opposto la volontà di sfruttare l'ascesa della domanda e degli stessi prezzi. Questi tentativi ebbero comunque esiti assai variabili a seconda delle regioni, giacché vi furono delle località in cui le popolazioni rurali riuscirono a contrastare efficacemente le pretese dei grandi proprietari.

•Le altre attività

Il rafforzamento della presenza francese nel grande commercio oceanico, iniziato nel secolo XVII, proseguì anche in quello successivo. Scrive difatti Butel (1980)che nel corso del Settecento il commercio della Francia con le Americhe conobbe un grande incremento, in particolare grazie alla crescita delle importazioni da quella parte delle Antille che costituiva un possedimento francese. A questo sviluppo del commercio atlantico si accompagnò quello dei traffici con gli altri paesi europei; quest'ultimo, in larga misura, fu suscitato proprio dal primo, in quanto si fondò sulla riesportazione di prodotti coloniali quali zucchero, cotone e caffè.

Anche il commercio interno - secondo Borelli (2011) - conobbe un certo sviluppo, risentendo favorevolmente dell'impegno dello stato nel miglioramento della rete stradale. Cameron e Neal (2005) rilevano tuttavia che anche in questa fase, come già in passato, l'esistenza di numerose dogane interne ostacolò i trasferimenti di merci. Nella seconda metà del secolo, per la verità, alcuni primi ministri manifestarono l'intenzione di eliminare questo sistema daziario, ma l'elevato fabbisogno finanziario dello stato e l'opposizione degli esattori cui veniva appaltata la riscossione di tali imposte impedirono che da questi orientamenti derivassero azioni concrete.

Anche le attività manifatturiere continuarono a svilupparsi. La descrizione che fa Borelli (2011) di tale comparto pone in risalto i progressi conseguiti in tre ambiti: quello della cantieristica navale, che si giovò dello sviluppo dei traffici oceanici; quello delle produzioni tessili di tipo ordinario, realizzate da lavoranti rurali agli ordini di mercanti-imprenditori; e quello dei beni di lusso (tessili e di altro genere), prodotti in grossi opifici fondati e gestiti dal governo e da questo protetti tramite l'attribuzione di diritti di monopolio. Questo sviluppo quantitativo della produzione non fu tuttavia accompagnato da un altrettanto notevole progresso tecnologico. A tale proposito, Wilson (1975) rileva che, anche se nella Francia settecentesca venivano messe a punto numerose innovazioni tecniche, queste passavano dalla fase della concezione a quella dell'applicazione industriale molto più lentamente di quanto avvenisse in Gran Bretagna o addirittura finivano per trovare effettivo impiego non nella patria dei loro ideatori, bensì proprio in Gran Bretagna. L'autore spiega questa contraddizione col fatto che in Francia il concreto sfruttamento di tali innovazioni era scoraggiato dalle rigide regolamentazioni cui le autorità sottoponevano le attività imprenditoriali.

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2. L'età rivoluzionaria e napoleonica

•La crisi finanziaria della monarchia

La crescita dell'economia non impedì che nel corso del XVIII secolo lo stato francese venisse a trovarsi in difficoltà finanziarie sempre più gravi. Tali difficoltà sono ricondotte da Kemp (1992) per un verso ai privilegi fiscali della nobiltà e del clero, che impedivano allo stato di ricavare denaro proprio dalle componenti della società che più avrebbero potuto fornirne, e per l'altro alla crescita inarrestabile della spesa pubblica, di cui erano responsabili le ripetute guerre e l'elefantiasi burocratica ingenerata dalla vendita delle cariche pubbliche. Nel tentativo di trovare una soluzione alla crisi finanziaria, nel 1789 la monarchia decise di convocare gli Stati Generali, ossia il parlamento nazionale; ma questa decisione finì per provocare la sua caduta, in quanto i rappresentanti del terzo stato ben presto si ribellarono alla condizione di sudditanza nei confronti degli altri ordini sociali tradizionalmente loro imposta, proclamando di essere un corpo legislativo (cui fu dato il nome di Assemblea nazionale) e avviando il processo rivoluzionario che avrebbe mutato per sempre la storia del paese.

•L'economia dopo il 1789

Sempre secondo Kemp (1992), in ambito economico l'opera dei rivoluzionari consistette fondamentalmente nell'eliminazione degli impedimenti che sino ad allora avevano frenato l'ascesa della borghesia. La cancellazione dei privilegi feudali ed ecclesiastici consentì una più equa ripartizione del carico fiscale; la confisca e rivendita dei patrimoni del clero e dei nobili emigrati offrì ai detentori di capitali l'opportunità d'impossessarsi di ampie possidenze; l'abolizione delle corporazioni artigiane, delle norme disciplinanti l'attività manifatturiera e delle dogane interne rese più libera l'iniziativa imprenditoriale. Rimasero peraltro in vigore delle limitazioni agli scambi con l'estero; ma questi erano dei vincoli che favorivano gli operatori economici, in quanto proteggevano le produzioni nazionali dalla concorrenza straniera.

Questo orientamento complessivamente liberista, per la verità, venne abbandonato nel periodo della dittatura giacobina (ossia nel biennio 1793-94), la quale in particolare si distinse per le proprie ingerenze in ambito industriale e per la decisione d'imporre controlli sui prezzi. Tale ripensamento, tuttavia, fu solo momentaneo, risultando legato alle particolari circostanze di quel momento storico: esso difatti costituì una necessaria reazione agli eventi bellici sfavorevoli e al diffondersi del malcontento fra i ceti colpiti dal rincaro dei beni di prima necessità, che resero necessari un coinvolgimento diretto dello stato nella produzione di armamenti e un'azione di contenimento del costo della vita.

Malgrado le trasformazioni ora descritte, comunque, gli eventi rivoluzionari non procurarono soltanto dei benefici agli esponenti della borghesia. Henderson (1971), ad esempio, scrive che per molti versi l'economia francese risentì negativamente degli sconvolgimenti provocati dal crollo dell'ancien régime: fenomeni quali disorganizzazione del sistema amministrativo, la guerra civile e il disordine finanziario danneggiarono tutte le attività economiche. Anche le guerre che il regime repubblicano dovette combattere contro le altre nazioni europee ebbero pesanti ricadute: in particolare, la perdita delle Antille e gli attacchi portati alle navi francesi dalla Gran Bretagna determinarono il ritiro della Francia dal proficuo commercio oceanico. Peraltro, lo stesso autore sottolinea che i ripetuti conflitti procurarono anche dei benefici all'economia, facendo sorgere una domanda di armi e uniformi che stimolò la crescita di alcune industrie (quelle siderurgiche, meccaniche e tessili) e consentendo la conquista di nuovi territori (con conseguente acquisizione non soltanto di ricchi bottini, ma anche di risorse minerarie, impianti manifatturieri e flotte navali).

La Rivoluzione ebbe delle ricadute ambivalenti anche sulla condizione dei ceti popolari. Ancora Kemp (1992) rileva come l'Assemblea nazionale, allo scopo di tutelare gli imprenditori, avesse proibito le associazioni di operai: questi ultimi, pertanto, dopo il 1789 non videro migliorare la propria condizione giuridica. Stando allo stesso autore, la situazione dei contadini conobbe invece dei mutamenti positivi, dal momento che essi ottennero, in seguito alle rivolte cui diedero vita, la completa abolizione degli obblighi di natura feudale cui erano sottoposti; i più agiati fra di essi riuscirono inoltre ad approfittare in qualche misura delle vendite di terre nobiliari ed ecclesiastiche, ascendendo alla condizione di possidenti. Garden (1980), comunque, rileva che il più diffuso accesso alla terra da parte dei contadini non mutò radicalmente gli assetti proprietari delle campagne francesi, nelle quali perciò continuarono a contrapporsi una piccola minoranza di grandi possidenti (che da sola controllava quasi un terzo delle terre coltivabili) e un gran numero di proprietari-contadini, detentori di aziende spesso minuscole.

Anche il regime napoleonico operò in campo economico cercando di favorire gli interessi dell'emergente ceto imprenditoriale. Ciò risulta evidente qualora si consideri, come fa Henderson (1971), la tutela accordata alla proprietà privata nei codici da lui promulgati, oppure l'impulso dato al miglioramento della rete stradale; o ancora, come fa Kemp (1992), l'emanazione di leggi tese ad assicurare agli industriali una manodopera forzatamente disciplinata, perché non soltanto privata (come in epoca rivoluzionaria) della libertà di associazione, ma anche limitata in quella di contrattazione e di circolazione sul territorio. Anche una decisione presa per motivi eminentemente politici, quale fu il blocco continentale (ossia l'esclusione delle produzioni inglesi dal mercato francese), ebbe ricadute positive per gli operatori economici: scrive difatti Borelli (2011) che questa misura favorì lo sviluppo delle manifatture nazionali, in quanto assicurò loro una temporanea protezione dalla concorrenza di quelle d'oltremanica.

•La finanza pubblica dopo il 1789

I rivoluzionari dovettero affrontare il nodo del debito pubblico, il quale, già elevatissimo al momento della convocazione degli Stati Generali, successivamente conobbe un'ulteriore lievitazione, a causa della contrazione che subirono le entrate fiscali. Come spiega Mathiez (1950), l'Assemblea nazionale soppresse le antiche imposte per sostituirle con altre, funzionali a rendere più equa la ripartizione del prelievo fiscale: ad essere oggetto d'imposizione furono i patrimoni fondiari, nonché il reddito derivante dai fitti, dal commercio e dalle manifatture. L'esazione di tali nuove imposte risultò tuttavia difficoltosa, in quanto le municipalità incaricate della riscossione non erano preparate a svolgere i loro nuovi compiti. Assai più facile sarebbe stato riscuotere delle imposte sui consumi; ma il mantenimento di quelle cui l'antico regime aveva fatto ricorso non fu preso in considerazione, in ragione del fatto che esse gravavano in eguale misura su persone di diverso reddito. Si pensò allora di destinare al risanamento finanziario i proventi della vendita dei beni ecclesiastici confiscati; tuttavia, dal momento che questa non poteva essere compiuta in tempi brevi, si provvide nell'immediato a emettere dei buoni, detti assegnati, cui fu attribuita la funzione di mezzo di pagamento da impiegare per l'acquisto di tali beni. Prendendo questa decisione, l'Assemblea contava di poter entrare in possesso d'una somma equivalente al valore delle terre del clero assai prima di averle concretamente alienate. Inizialmente, però, i potenziali acquirenti mostrarono di non nutrire fiducia verso gli assegnati; cosicché l'Assemblea, per facilitarne il collocamento, pochi mesi dopo la loro creazione stabilì che essi avessero corso forzoso (ossia che i privati avessero diritto di usarli come mezzi di pagamento anche nelle loro transazioni con altri privati). Fu questo un provvedimento dalle pesanti ricadute negative, poiché in tal modo l'assegnato fu trasformato in una seconda valuta, la cui emissione comportò una forte e rapida dilatazione della massa monetaria complessivamente circolante. Tale dilatazione causò a sua volta una forte inflazione, con conseguente peggioramento delle condizioni di vita dei ceti popolari urbani, i quali scontarono l'incremento dei prezzi alimentari. Come spiegato poc'anzi, questa situazione determinò un forte malcontento popolare, che indusse il governo giacobino a porre in essere una misura d'emergenza quale l'introduzione di controlli sui prezzi.

Date le difficoltà del periodo rivoluzionario, non sorprende che Napoleone, una volta assunto il potere, si sia subito preoccupato di conferire basi più solide al sistema monetario e alle finanze pubbliche. Di ciò tratta diffusamente Kemp (1992), rammentando come nel gennaio del 1800 venisse istituita la Banca di Francia. Questa ebbe la forma d'una società privata, costituita dai maggiori banchieri parigini, ma operante in stretto rapporto col potere politico (nel 1805 si stabilì che il suo governatore fosse nominato dal governo). Compito dell'istituto fu quello di soddisfare il fabbisogno finanziario dello stato, concedendogli crediti. Al fine di mantenere sotto controllo la quantità di valuta circolante, fu inoltre riservato ad esso il diritto di stampare moneta. Sempre al fine di evitare fiammate inflazionistiche, nel 1803 si adottò poi una nuova valuta, la cui emissione doveva essere proporzionata alle riserve nazionali di argento. Il nuovo regime riformò pure il sistema fiscale, restituendo un ruolo importante alle imposte indirette e creando un apparato amministrativo in grado di assicurarne la riscossione. La combinazione fra tali riforme fiscali, la disponibilità dei crediti della banca nazionale e di altri istituti, l'imposizione di indennità di guerra ai governi sconfitti e lo sfruttamento economico dei territori conquistati fece sì che il bilancio pubblico si mantenesse in equilibrio, malgrado le campagne militari fossero causa di costi enormi, oltre che dei benefici appena citati.

•L'eredità della Rivoluzione

Le trasformazioni ingenerate nella società dalle riforme del periodo 1789-1815 furono troppo profonde perché potessero venire cancellate. A tale riguardo, Kemp (1992) scrive difatti che il restaurato regime borbonico, in larga misura, accettò i cambiamenti sopravvenuti: il passo principale che esso compì in direzione d'un ripristino della situazione prerivoluzionaria consistette nella reintroduzione di alcuni elementi del tradizionale ordinamento corporativo. Peraltro, persino questa limitato tentativo di ritorno al passato ebbe esito negativo, risultando inefficace oltre che assai impopolare. Ancora più significativo di questo tentativo fallimentare, comunque, è forse il fatto che il governo di Luigi XVIII non abbia neppure provato a porre in discussione il riassetto della proprietà fondiaria verificatosi a spese dell'aristocrazia: come ricorda Henderson (1971), esso si limitò a indennizzare tale ceto, offrendogli un compenso per le terre che aveva perduto. L'opera dei rivoluzionari e del regime napoleonico, pertanto, non risultò vanificata dalla loro sconfitta politica, ma poté trasmettere alla fase storica successiva un prezioso lascito, costituito dai più moderni rapporti sociali ed economici che essa aveva fatto sorgere.

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3. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

Per una geografia storico-economica. La Francia (Parte seconda). Percorso bibliografico nelle collezioni della Biblioteca. Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca.

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