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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 27 (Nuova Serie), giugno 2015

Rita Levi Montalcini

fotoProseguiamo la panoramica dedicata ai senatori a vita, dedicandoci a uno dei più luminosi esempi dell'aver "illustrato la Patria per altissimi meriti", come recita l'art. 59 c2 della Costituzione, la neuroscienziata Rita Levi Montalcini.

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1. L'infanzia e gli studi

2. Le leggi razziali e la guerra

3. L'esperienza americana e la scoperta del Nerve Growth Factor

4. Il ritorno in Italia

5. Gli ultimi lunghi anni

6. Senatrice a vita

7. Biblioteche del vecchio e del nuovo mondo

8. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

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1. L'infanzia e gli studi

Dopo Gino, nato nel 1902, e Anna, nata nel 1904, nella casa torinese di Adamo Levi, ingegnere elettrotecnico, e Adele Montalcini, pittrice, il 22 aprile 1909 nacquero le due gemelle Paola e Rita. Biovulari, come ricorda la stessa Rita nella sua autobiografia, Elogio dell'imperfezione (1999, 5a ediz., p. 21; tutte le citazioni a seguire sono tratte dal medesimo volume), e pertanto diverse nell'aspetto fisico (Paola somigliante al padre, Rita alla nonna materna), nel carattere (Paola estroversa, Rita rifuggente dal contatto umano) e nelle predisposizioni (Paola fin da piccola versata per l'arte, come la mamma e il fratello Gino) ma cionondimeno legate da sempre da un "patto d'alleanza" (p. 23) che le avrebbe unite fino alla scomparsa di Paola nel 2000.

Di origine ebrea sefardita, la famiglia non era praticante: "se te lo chiedono - le disse il padre - devi rispondere che sei una libera pensatrice" (p. 28) e Rita bambina stroncò sul nascere il tentativo di conversione operato dalla cattolicissima governante sarda Cincirla (pp. 28-29).

Dopo le scuole elementari, le tre figlie furono avviate per decisione paterna al liceo femminile, che precludeva l'accesso all'università, essendo destinate a un futuro di mogli e madri.

Spaesata, alla fine del liceo, non sentendosi tagliata per il ruolo che l'attendeva, subalterno all'uomo, Rita trascorse tre anni dedicandosi a letture consigliate dalla sorella maggiore e continuando a rifuggire dallo sport e dalle amicizie.

La morte per tumore della governante Giovanna, unita a fantasie infantili da crocerossina, fece uscire Rita dall'indeterminatezza: avrebbe fatto il medico, con il consenso per nulla entusiasta del padre. Affrontò privatamente gli studi di latino, greco e matematica, si diplomò con successo e nell'autunno del 1930 s'iscrisse alla facoltà di medicina; nel biennio le fu compagno di studi Renato Dulbecco.

Dal secondo anno divenne interna all'Istituto di anatomia, scelto non per la materia ma per la straordinarietà del professor Giuseppe Levi, grande scienziato e fiero antifascista. Dopo poco entusiasmanti esordi nelle preparazioni istologiche, le fu assegnato lo studio dei tessuti in vitro, in particolare il tessuto nervoso, tecnica che avrebbe ripreso circa vent'anni dopo, per studiare il fattore di crescita dei nervi.

Dell'avvento del fascismo e del crescente antisemitismo la Montalcini parla nella sua autobiografia con fermezza e serenità: ricorda l'episodio che coinvolse il figlio del professor Levi, intercettato con opuscoli antifascisti (p. 101), l'acquiescenza tragicamente ripagata di Ettore Ovazza (pp. 104-105), il suicidio dell'editore Formiggini (p. 105).

Nel 1936 si laureò e scelse la specializzazione in neurologia e psichiatria, assieme al suo discreto corteggiatore Germano Rondolini. La proposta di matrimonio si scontrò con il decreto-legge del 17 novembre 1938 n. 1728 che tra l'altro proibiva i matrimoni misti, "motivo di disperazione per lui e di inconfessato sollievo per me" (p. 89); malgrado l'affetto, infatti, per Rita si faceva sempre più netta la contrarietà al matrimonio.

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2. Le leggi razziali e la guerra

Le leggi razziali ebbero un impatto anche sugli studi di Rita, che, non potendo più frequentare l'università, nel marzo del 1939 si trasferì a Bruxelles per continuare gli studi di neurologia. Vi rimase fino a dicembre, quando, in conseguenza dell'inizio della seconda guerra mondiale, decise di rientrare in Italia, dedicandosi per qualche mese all'attività clandestina di medico per la povera gente. Poi, sollecitata dall'amico e collega Visintini, attrezzò un piccolo laboratorio nella sua stanza da letto per continuare a studiare struttura e funzionamento del cervello degli embrioni di pollo. Vi si dedicò dall'entrata in guerra dell'Italia fino all'autunno del 1942, mentre gli insulti e le minacce agli ebrei ancora non si traducevano in vera persecuzione. Il professor Levi, rocambolescamente rientrato in Italia, si associò allo studio. Nell'autunno 1943, con l'inizio dei bombardamenti su Torino, la famiglia si trasferì nell'Astigiano e qui continuarono gli esperimenti, pur nella penuria di uova di gallina, per studiare i processi differenziativi del sistema nervoso nelle fasi embrionali dello sviluppo. Con l'8 settembre, dopo un fallito tentativo di espatriare verso la Svizzera, la famiglia si mosse verso sud e trovò ospitalità a Firenze fino alla fine della guerra. Impossibilitata a riprendere l'attività presso la clinica neurologica, Rita si dedicò con la gemella Paola alla fabbricazione di carte d'identità false per gli amici ebrei. Con l'arrivo degli alleati ed il recupero della propria identità, Rita operò come medico della Croce Rossa a servizio degli sfollati, nel necessario duplice ruolo di medico e infermiera (pp. 138-139), confrontandosi con le conseguenze della denutrizione e di una disastrosa epidemia intestinale che solo pochi mesi dopo sarebbe stato possibile debellare con l'arrivo anche in Italia degli antibiotici. Il senso d'impotenza e la mancanza del necessario distacco fecero decidere Rita a non esercitare mai più la professione. Così come la consapevolezza della mancanza non di coraggio ma di presenza di spirito le avevano fatto capire di essere inadeguata alla lotta partigiana.

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3. L'esperienza americana e la scoperta del Nerve Growth Factor

Mentre Torino veniva ricostruita, più difficile era superare lo stato di depressione subentrato all'allentamento del pericolo e della connessa eccitazione. La studiosa riprese le ricerche ancora una volta nell'Istituto di anatomia diretto da Levi, ma con molti dubbi sulle prospettive di giungere a risultati soddisfacenti. Una scossa fu l'invito giunto dagli Stati Uniti per continuare lì i suoi esperimenti di neuroembriologia. Così, nel settembre del 1947 s'imbarcò con l'amico Dulbecco per l'America, l'uno diretto all'Università di Bloomington, l'altra verso la Washington University di St. Louis, dove sarebbe rimasta quasi ininterrottamente per trent'anni. Una delle prime immagini del campus che la Montalcini riporta nel suo libro sono gli assistenti che facevano lezione all'aperto, in quel tiepido inizio di autunno, con gli studenti seduti sull'erba e le studentesse che ascoltavano lavorando a maglia, il che, se da un lato "sottolineava in modo piacevole la mancanza di formalismi dei sistemi didattici americani, [...] metteva in rilievo la disparità di ruolo dei sessi risvegliando la mia profonda antipatia per questa attività così profondamente femminile" (p. 152).

al microscopioPer anni la scienziata si applicò allo studio dei meccanismi che presiedono allo sviluppo e alla differenziazione delle cellule nervose motorie e sensitive, confrontandosi con colleghi della sua e di altre università. Un risultato importante fu conseguito nel 1950, con la scoperta che cellule tumorali di topo innestate negli embrioni di pollo, superando le barriere prima ritenute impermeabili delle tonache dei vasi venosi, "rilasciavano un fattore umorale che stimolava selettivamente la differenziazione delle cellule nervose e la produzione di un numero di fibre nervose eccedente il fabbisogno dell'organismo" (p. 190). Negli anni successivi, in stretta collaborazione con il neurobiologo Stanley Cohen, sostituendo ai tumori una frazione proteica estratta dal veleno di serpente e poi l'estratto delle ghiandole salivari del topo e verificando il medesimo effetto, la scienziata comprese che la prerogativa di rilasciare quello che ormai chiamava il Nerve Growth Factor (NGF), e che rivelava una natura proteica, non era esclusiva dei tumori ma anche dei tessuti normali. Con il tempo e gli studi successivi si sarebbe compreso che l'alterazione o la carenza o la distruzione per condizioni morbose di quella proteina, in grado di far crescere in poche ore fasci di fibre nervose su cellule su cui veniva innestata, induceva disfunzioni nervose ancor oggi incurabili, che colpiscono non solo il sistema nervoso periferico ma anche quello centrale. La sfida era ed è tuttora riportare ordine nei circuiti neuronali alterati da fattori invalidanti, grazie al NGF, ormai di sintesi e non più estratto da cellule maligne o saliva di serpenti.

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4. Il ritorno in Italia

Dopo un quindicennio di studi intensissimi, Rita maturò il desiderio di riavvicinarsi alla famiglia ed all'Italia, anche per istituirvi un'unità di ricerca, senza compromettere la sua posizione di professore ordinario alla Washington University. Si organizzò per svolgere il corso semestrale di neurobiologia a St. Louis e poi trascorrere tre mesi l'anno in Italia; scelse Roma e, ospitata dall'istituto Superiore di Sanità, creò la sua unità, che nel 1969 assunse il nome di Laboratorio di Biologia Cellulare, divenendo organo ufficiale del CNR.

Il laboratorio ebbe vita difficile, fra pressioni varie nonché, soprattutto, il disinteresse del CNR per la neurobiologia, proprio in anni in cui all'estero ci si iniziava ad occupare dell'NGF. Inoltre, l'individualismo dei ricercatori, incapaci di lavorare in team e gli opinabili criteri egualitari applicati per lo sviluppo di carriera suggerivano quasi di desistere dall'impresa (p. 260). Ma, grazie a validi collaboratori, l'attività continuò e la scienziata, ritiratasi ufficialmente per raggiunti limiti di età nel 1979, continuò a lavorare presso il laboratorio con la passione di sempre. Passione che fu premiata nel dicembre 1986 dall'attribuzione, pudicamente raccontata (p. 266) del premio Nobel per la medicina, condiviso con il compagno di ricerche di tanti anni Stanley Cohen.

Gli esperimenti successivi, ormai non solo del gruppo della Montalcini, avrebbero evidenziato il ruolo della molecola NGF non soltanto nel sistema nervoso centrale e periferico ma anche in quello endocrino e immunitario, cioè nei tre sistemi preposti all'omeostasi dell'organismo, concepiti come unico network, nel quale il NGF "circola senza limitazioni di organo o strutture" (p. 294).

L'autobiografia, nell'avanzare del racconto, diventa sempre più una biografia del NGF, di cui la scienziata si dichiara appunto "biografa, che ha avuto il privilegio di portarlo alla conoscenza della comunità scientifica" (p. 296). Riportiamo la considerazione finale, in cui si riverbera tutta la modestia della scienziata: dello sviluppo tortuoso e non programmato delle successive scoperte relative all'NGF la scienziata conclude che esso "avvalora il concetto che l'imperfezione e non la perfezione sono alla base dell'operato umano" (p. 299).

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5. Gli ultimi lunghi anni

La vita della Montalcini fu ancora consacrata alla ricerca: fino al 1989 fu Guest Professor nel Laboratorio da lei creato e dall'89 al '95 collaborò con l'Istituto di neurobiologia del CNR. La progressiva cecità non impedì alla Professoressa né di ricoprire incarichi prestigiosi (presidente dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana dal 1993 al 1998 e membro di vari illustri consessi, dai Lincei alla Royal Society all'Accademia Pontificia delle Scienze) né di impegnarsi con slancio sempre maggiore nel campo sociale.

Nel 1995 creò la Fondazione Rita Levi-Montalcini Onlus, che tuttora opera nel suo nome, con lo scopo di aiutare le giovani donne dei paesi dell'Africa, sostenendone l'istruzione a tutti i livelli.

Nel 1999 fu nominata Ambasciatrice di Buona Volontà della FAO (v. pp. 3, 5, 24 del pdf).

Nel 2001, a novantadue anni, fondò l'Istituto Europeo di Ricerca sul Cervello (European Brain Research Institute - EBRI), finalizzato a studiare le basi biologiche delle funzioni superiori del cervello, le relazioni tra mente e cervello e i meccanismi della memoria, per individuare strategie terapeutiche per le malattie neurodegenerative. Malgrado le vicissitudini giudiziarie ed il commissariamento, l'Istituto continua la sua meritoria attività nel nome della scienziata.

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in Senato6. Senatrice a vita

Nel 2001 anche il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi volle omaggiare la grandezza della scienziata, nominandola senatrice a vita. Membro del gruppo Misto nelle Legislature XIV, XV e XVI, fece parte delle Commissioni Giustizia (nella XIV), Istruzione (nella XV e XVI), Sanità (nella XVI) e della Commissione straordinaria per la tutela e promozione dei diritti umani (nella XIV e XVI).

Il suo primo intervento in Aula fu a sostegno della concessione di un contributo al Centro Internazionale Eugenio Montale e non molti altri furono gli interventi fatti e gli atti presentati, nelle varie sedi.

Tuttavia, i disegni di legge e gli atti di sindacato ispettivo che cofirmò sono perfettamente in linea con i suoi interessi culturali e professionali e con il suo credo morale. Ne ricordiamo alcuni: il disegno di legge S1317 della XIV legislatura, sull'introduzione del reato di tortura; la mozione 1-00263 (XIV) per l'inserimento nel trattato della Costituzione europea di una norma che sancisse il ripudio della guerra; la mozione 1-00264 (XVI) per un'economia low-carbon; gli attualissimi ddl S1076 (XV), sulle cause d'incandidabilità alle elezioni politiche, e la mozione 1-00267 (XVI), per contrastare la corruzione; il ddl S10 (XVI) sul testamento biologico, dal contrastato e incompiuto iter legislativo.

Suo malgrado fu protagonista della seduta pomeridiana del 25 ottobre 2007, in occasione del disegno di legge S1819, collegato alla legge finanziaria 2008. La discussione, che vide la Senatrice oggetto di violenti attacchi, verteva sull'emendamento 31.7, poi respinto, volto a destinare alla Fondazione San Raffaele di Milano il contributo economico dapprima previsto per l'EBRI. Con molta eleganza la Senatrice, per la quale dai banchi dell'opposizione si parlò anche di voto di scambio, sfilò la scheda dal dispositivo di voto e prese la parola semplicemente per dirsi "grata a tutti coloro che si rendono conto di quanto stiamo facendo per la scienza, che mai è stata così utilmente portata avanti" (p.112 del resoconto stenografico).

Il 22 aprile 2009 l'Assemblea rendeva omaggio al centesimo compleanno della scienziata.

Il giorno seguente, nell'ambito delle iniziative attuate dal Centro d'Informazione-Libreria del Senato per celebrare la Giornata mondiale del libro, la Senatrice incontrò due scolaresche, rispondendo alle domande degli studenti (si veda la galleria fotografica).

La sua laboriosa esistenza si spegneva il 30 dicembre 2012, a 103 anni. In Senato veniva allestita la camera ardente e il 16 gennaio 2013 si teneva la commemorazione in Aula. Le sue ceneri riposano nella tomba di famiglia, nel campo israelitico del Cimitero monumentale di Torino.

Aveva consapevolmente rinunciato a farsi una famiglia ma ebbe certo una vita piena e non volta soltanto alla scienza: amò la letteratura e la musica classica ad un livello di notevole raffinatezza (Bach e i prebachiani, gli italiani del Seicento e la musica liturgica più antica (p. 224 dell'autobiografia); coltivò amicizie profonde; si concesse gite (le escursioni fluviali sul Mississippi) e viaggi (l'Ecuador e il Perù) ogni volta che poté. Fu anche un'abile automobilista, che, dopo la traumatica prima esperienza di guida con una vecchia Ford a St. Louis (pp. 227-228), non ebbe mai più un incidente, "neppure nel traffico caotico di Roma" (ibid.). Fu testimonial pubblicitario, devolvendo il compenso in beneficenza. Addirittura, fu "quasi" autrice di testi per i Jalisse, che trassero ispirazione per l'album Linguaggio universale dal volume L'istruzione: chiave dello sviluppo, sull'istruzione delle donne africane, curato dalla collaboratrice di tanti anni Giuseppina Tripodi.

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7. Biblioteche del vecchio e del nuovo mondo

Come biblioteca ci piace concludere il nostro articolo trascrivendo quanto la scienziata racconta alle pagine 90-92 dell'autobiografia, mettendo a confronto, ma senza esprimere giudizio alcuno, l'austera biblioteca dell'Istituto di anatomia dell'Università di Torino con la biblioteca del Dipartimento di biologia di St. Louis.

«Altre amicizie si stabilirono tra me e i compagni di studio negli anni universitari: Nacquero nelle stanze dell'Istituto anatomico dov'eravamo interni o nella grande biblioteca, vanto dell'Istituto e soprattutto del professore, che vi passava lunghe ore. Ne era consentito l'ingresso soltanto agli assistenti e agli interni, ma neppure a loro era resa comoda e facile la consultazione dei libri. I periodici, che attualmente affluiscono a valanghe nelle biblioteche scientifiche, allora erano non più di una decina. Quelli degli anni precedentierano rilegati in volumi, e le opere di autori della metà del secolo scorso occupavano i giganteschi scaffali in legno massiccio che arrivavano sino al soffitto ed erano protetti dalla polvere da grandi sportelli a vetro.

Per consultare i libri, scritti la maggior parte in tedesco (la lingua più usata dai biologi fino agli anni Venti), era necessario arrampicarsi su una traballante scaletta a pioli. Non era permesso prendere in prestito i volumi; dovevamo quindi consultarli sui grandi tavoli disposti nel mezzo delle sale e poi riporli immediatamente negli scaffali. Nelle fredde giornate invernali la temperatura della biblioteca era tenuta sui dodici gradi per limitare la durata delle consultazioni "dei fanatici della scienza", come Levi definiva gli studenti più zelanti e diligenti, e soprattutto per scoraggiare gli "sfaticati" o "impiastri", che riteneva non avessero alcuna attitudine o interesse scientifico e sfruttassero la biblioteca come stanza di ritrovo e di pettegolezzi. Guai a chi lasciava il soprabito o altri oggetti personali sui tavoli. Ricordo una terribile sfuriata di levi che, entrando all'improvviso, s'imbatté in uno sciagurato che aveva usato uno dei tavoli a questo scopo. Con voce tonante il professore gli ricordò che la biblioteca non era una taverna. Cappello, cappotto e borsa, con il loro disgraziato possessore, presero precipitosamente la fuga dal luogo sacro che avevano profanato, seguiti da un'occhiata di disprezzo del maestro.

Mi venne in mente questo episodio quando entrai per la prima volta, molti anni dopo, nella library del Dipartimento di biologia della Washington University. Era pieno di studenti in maniche di camicia. Molti, sdraiati sulle poltrone, per lo più con i piedi scalzi sui tavolini, leggevano le riviste masticando chewing-gum o, stanchi della lettura, erano immersi in profondi sonni con la testa appoggiata sui fascicoli o sui quaderni di appunti».

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8. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

Rita Levi Montalcini. Percorso bibliografico nelle collezioni della Biblioteca. Si suggerisce inoltre la ricerca nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca.

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