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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 26 (Nuova Serie), aprile 2015

Laura Conti

Abstract

Ricordata dal Presidente della Repubblica nel suo recente intervento alla cerimonia di celebrazione della "Giornata Internazionale della Donna", Laura Conti è una figura che ha attraversato il secondo Novecento confrontandosi con il nazifascismo, l'inquinamento, il nucleare e il problema energetico attraverso la sua formazione di medico, scienziata, politica e, anche, scrittrice e divulgatrice. A partire dalla sua biografia, si passa a tracciare il percorso del suo agire che risulta tuttavia difficilmente riconducibile ad una sola categoria, restituendoci la figura di una donna poliedrica, animata da un'instancabile curiosità intellettuale sempre funzionale alla ricerca di soluzioni.

da giovane1. Una breve biografia

2. La scrittura come denuncia e divulgazione: dentro le opere

3. La politica e l'ecologia

4. Laura Conti in Parlamento

5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

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1. Una breve biografia

Nata ad Udine nel 1921, Laura Conti visse i primi anni a Trieste, da cui però la sua famiglia fu costretta a trasferirsi, come lei stessa racconta in un'intervista:

Mio padre non era molto politicizzato: era democratico e antifascista, ma venne picchiato più volte a causa di un fascista che aveva con lui debiti che non voleva pagare. Sicché fu costretto a scappare perdendo completamente la sua azienda commerciale.

(L. Conti, [Intervista], in Donna, privato e politico: storie personali di 21 donne del PCI, a cura di Erica Scroppo. Milano, Mazzotta 1979, p. 102)

La famiglia si spostò dapprima a Verona, poi definitivamente a Milano, che divenne così città d'elezione della giovane Laura, che qui frequentò le scuole e si iscrisse alla facoltà di Medicina. La scelta di una facoltà all'epoca poco usuale per una donna è dettata sia dall'interesse per le scienze della vita (non esisteva ancora una facoltà di scienze biologiche), sia dal fatto che la professione di medico rappresentava per la Conti "[...] una professione «di frontiera» che [...] costituiva una specie di isola felice, al riparo delle pressioni fasciste." (Ivi, p. 107)

Lo scoppio della guerra suscitò nell'animo di Laura Conti l'urgenza di agire: vi riuscì però solo dopo l'armistizio del 1943, quando entrò a far parte del Fronte della gioventù per l'indipendenza nazionale e per la libertà di Eugenio Curiel, con l'incarico di fare propaganda tra i militari. Il 4 luglio del 1944 venne però arrestata durante una riunione e il 7 settembre internata nel Campo di transito di Bolzano-Gries, in attesa di essere trasferita in Germania (cosa che in realtà non avverrà).

All'interno del campo partecipò, in rappresentanza del partito socialista con Ada Buffulini, al comitato clandestino di resistenza, il cui atto più clamoroso viene così descritto:

[...] scriviamo, collettivamente, un articolo sulla vita del lager, lo mandiamo al CLN di Bolzano, che lo inoltra. L'articolo ha un grande successo: viene pubblicato sull'Avanti! clandestino di Milano, dalla Libera stampa di Lugano, e viene trasmesso a Radio Londra: lo veniamo a sapere da una guardiana, che furibonda vuol sapere chi lo ha scritto, ma soprattutto, come abbiamo fatto a farlo arrivare a Londra. Non osa picchiarci, però: tanto la sgomenta questo misterioso potere che possediamo, di comunicare con Londra, noi internate!"

(Conti 1975, p. 123)

Tornata libera alla fine della guerra, si laureò in medicina nel 1949, specializzandosi in ortopedia in Austria. Stabilitasi definitivamente a Milano, affiancò ed intrecciò alla professione (traumatologa ed ortopedica presso l'INAIL e nei servizi di medicina scolastica) l'impegno politico (nel PSIUP e, dal 1951, nel PCI) e l'attività di divulgatrice e scrittrice.

Negli anni Sessanta, consigliere per il partito comunista alla Provincia di Milano, si occupò dei servizi psichiatrici e dell'assistenza alle "ragazze madri" proseguendo l'intensa attività di ricerca, di divulgazione (con incontri e dibattiti che terrà per tutta la sua vita) e di scrittura in diversi campi. In questi anni è segretaria della Casa della cultura di Milano.

Anche quando venne eletta consigliere per la Regione Lombardia, portò la sua competenza di medico alla segreteria della commissione sanità, ma nel medesimo tempo andò ampliando le sue conoscenze in materia di ecologia (si veda la testimonianza di Falco Siniscalco: "[...] Il Partito Comunista l'aveva destinata a far parte della Commissione ambiente e territorio della Regione e Laura sentì il bisogno di prepararsi per questa nuova incombenza. [...] Iniziarono così una serie di colloqui, dicevo io, di lezioni, insisteva Lei, sui principali temi dell'ecologia.", in: Laura Conti. Dalla Resistenza, all'Ambientalismo, al caso Seveso, a cura di Loredana Lucarini, Milano, Unicopli 1994, p. 63).

Dall'inizio degli anni Settanta fu vicina al centro "Medicina Democratica", fondato e diretto da Giulio Maccacaro: con l'incidente di Seveso del 10 luglio del 1976, che portò Laura Conti, in veste istituzionale e professionale, sui luoghi contaminati dalla fuoriuscita di diossina, si accentuò la sua ricerca nell'ambito dei collegamenti tra lavoro e diritto alla salute e, più in generale, tra economia e diritto all'ambiente che diede vita all'ambientalismo scientifico in Italia. Condusse una dura battaglia, anche dalle pagine della stampa, contro chi voleva minimizzare il disastro ed eludere responsabilità politiche e civili e pubblicò su Seveso un volume, una sorta di diario politico, (Visto da Seveso. L'evento straordinario e l'ordinaria amministrazione, 1977) ed un romanzo (Una lepre con la faccia di bambina, 1978). Di questi anni è anche il testo Che cos'è l'ecologia. Capitale, lavoro, ambiente (1977), divenuto fondamentale per l'ambientalismo italiano, e l'impegno nel dibattito sul nucleare.

All'inizio degli anni Ottanta fu tra i fondatori della Lega per l'Ambiente e Presidente del comitato scientifico della stessa: nel 1986 ricevette il premio "Minerva" per la ricerca scientifica e culturale, come pioniera delle battaglie ecologiste. Nel 1987 fu eletta alla Camera dei Deputati nel Collegio Firenze-Pistoia: componente della commissione Agricoltura, contribuì, tra le altre cose, all'elaborazione della legge 11 febbraio 1992 sulla caccia, che le costò anche un duro scontro con i colleghi e gli amici ambientalisti (nel corso dello stesso 1992, la Lega per l'Ambiente cambierà nome in Legambiente).

Laura Conti morì a Milano nel maggio del 1993. Diverse sezioni di Legambiente sono intitolate alla sua memoria, così come il premio ecologia Laura Conti per tesi di laurea dell'ecoistituto del Veneto Alexander Langer e un corso Euromediterraneo di giornalismo; di recente l'amministrazione comunale di Milano ha inciso il suo nome sul Famedio del Cimitero Monumentale.

Presso la Fondazione Micheletti di Brescia è conservato il suo archivio (si veda il numero monografico di Altronovecento, n. 8 del 2004, disponibile online all'indirizzo http://www.fondazionemicheletti.it/altronovecento/Default.aspx?id_articolo=8).

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2. La scrittura come denuncia e divulgazione: dentro le opere

Per tutta la vita Laura Conti portò avanti campagne di informazione sui temi dell'educazione sanitaria, sessuale e ambientale nelle scuole, nelle fabbriche, nelle biblioteche: la scrittura fu quindi per lei un naturale prolungamento di queste campagne. Diversi suoi articoli sono stati pubblicati su periodici e giornali, quali ad esempio: "Quarto Stato", "Problemi del Socialismo", "Rinascita", "L'Unità".

Molteplici sono stati gli argomenti di cui si è occupata nel corso della sua vita e dunque nei suoi scritti, che spaziano dai saggi bibliografici alle pubblicazioni per ragazzi, passando attraverso i tre romanzi; come ricorda anche Mario Spinella: "[...] la sua è stata una straordinaria curiosità intellettuale, una volontà di sapere molte cose, e di saperle bene, e quindi una capacità di lavoro, di impegno, di ricerca, di studio mai interrotta." (in: Laura Conti. Dalla Resistenza, all'Ambientalismo, al caso Seveso, cit., p. 69).

Negli anni Cinquanta si dedicò alla redazione del volume L'assistenza e la previdenza sociale: storia e problemi, pubblicato nel 1958 con la prefazione di Rodolfo Mondolfo: "[...] questo libro non è solo uno studio esauriente del problema, ma è anche una battaglia validamente combattuta per le sue soluzioni." (R. Mondolfo, Prefazione, in: Conti 1958, p. IX).

Successivamente si occupò, per l'Istituto Feltrinelli, della raccolta della stampa del Movimento di Liberazione Nazionale, pubblicando l'articolo La stampa clandestina della Resistenza in una raccolta documentaria ed il saggio bibliografico La Resistenza in Italia, 25 luglio 1943-25 aprile 1945 del 1961.

Degli anni Sessanta sono anche i primi due romanzi, Cecilia e le streghe (1963) e La condizione sperimentale (1965): Laura Conti affida alla narrativa due degli argomenti fondanti della propria esistenza, discostandosi dai consueti saggi e articoli scientifico-divulgativi, e lo farà di nuovo in occasione del disastro di Seveso (Una lepre con la faccia di bambina, 1978). La letteratura fornisce all'autrice una dimensione più libera per affrontare problemi e questioni complesse, in cui le esperienze reali dell'autrice vengono traslate nel mondo della finzione per poterne fare dei veri e propri paradigmi della condizione umana: una scelta, dunque, principalmente etica.

Così è per il suo primo romanzo, del quale lei stessa scrive: "Mi è piaciuto togliere l'ammalato alla concezione comune che di lui si ha, come di una persona senza più possibilità di vivere storia, di fare storia, ma solo di morire" (Laura Conti, Cecilia e le streghe, Torino, Einaudi 1963, sovraccoperta); il romanzo, come opera prima, vince il Premio Pozzale 1963. È la storia di un incontro, nella Milano semideserta di mezz'agosto, che impone alla narratrice, una dottoressa, una riflessione sulla pietà:

[...] la pietà è sempre, in tutti, una promessa non mantenuta. Ci si immagina di poter condividere, se non il destino di un altro, almeno la pena che questo destino suscita: e se non di poterla condividere, almeno di poterla comprendere; e si finisce poi con l'accorgersi che questo è impossibile. Si comincia con la simpatia che affratella, e si finisce con la compassione che umilia, che estrania. Che queste due parole, simpatia e compassione, mostrino a un filologo radici eguali, e analoga struttura, rivela soltanto quanto sono vicine le radici dei due sentimenti: vicine sì, ma tra di esse sta lo spartiacque che divide l'io dal mondo, il soggetto dagli oggetti. Questa è la storia di un indugio sullo spartiacque, di un lungo esitare tra la simpatia e la compassione, è la storia di una promessa e di una speranza, di una promessa non mantenuta, di una speranza non realizzata.

(Ivi, p. 36-37)

L'incontro capovolge inoltre la prospettiva della protagonista:

Certi aspetti della nostra città, che di solito [...] mi irritano e mi stancano, mi parvero affascinanti quando li guardai dal suo stesso punto di vista. Milano, che per me era stata sino allora una città artificiosa e violenta (schietta e mite solo quando si spoglia di se stessa nelle brevi ferie estive) mi apparve una roccaforte di sicurezza, una sfavillante riva di salvataggio, ricca di tutte le promesse per chi vi approdava: e questo, solo perché la guardavo con gli occhi di Cecilia. Dove io vedevo il traffico sconvolto e disordinato, e il gusto sfacciato e pacchiano dei cinema lussuosi, tutti specchi e velluti, e il gusto ambiguo e sofisticato delle morbide pasticcerie, e l'arrivismo smodato, e le frenetiche esteriorità e il vuoto sostanziale, e gli uomini come automi spaventati, delusi e spogli all'interno di sé, Cecilia mi spinse a vedere l'efficienza e l'ottimismo, la volontà decisa a tutto, trionfante su tutto.

[...] E accettavo i suoi punti di vista, e accettavo quel che lei mi regalava: un'immagine nuova di Milano, l'immagine sfolgorante di una città splendida nei suoi sforzi e superba nei suoi successi, invitta e trionfante. Una città in cui non è possibile, forse non è neppure permesso, morire a trent'anni.

(Ivi, p. 37-39)

Nel secondo romanzo l'autrice rievoca il periodo passato nel campo di transito di Bolzano-Gries attraverso una carrellata di personaggi che abitano il lager: "[...] al di là di questi personaggi, il tessuto narrativo fatto di riverberi e di echi compone piuttosto un personaggio collettivo di cui gli individui uno ad uno non sono che fasi, sembianze. Come tante tessere del mosaico, gli internati vivono singolarmente in una sfera circoscritta: la loro esistenza è un progressivo restringersi della libertà di scelta, una genealogia di condizionamenti, che diventa destino [...]" (Laura Conti, La condizione sperimentale, Milano, Mondadori 1965, risvolto di copertina). Ancora una volta la Conti affronta il problema della morte, questa volta in termini assoluti:

Un campo di concentramento è una condizione sperimentale; come per un grande esperimento di laboratorio, viene preparato un terreno sterile, spoglio di circostanze accessorie e incidentali, così che il fenomeno che vien sottoposto all'indagine possa svolgersi, per così dire, in tutta purezza: via i batteri, via i sentimenti [...]. In questa essenzialità così nuda e asettica, le condizioni di fondo vengono, per contro, estremizzate: il termine di confronto, la pietra di paragone, è sempre uguale e assoluta, è la morte. È con la morte che ogni sentimento, ogni interesse, ogni vocazione vengono confrontati: questa è l'intenzione con la quale il grande stabulario è stato costruito e organizzato.

(Ivi, p. 101-102)

La morte individuale perde di per sé importanza, se paragonata alla tragedia che circonda i personaggi:

La morte non può essere peggiore di questo silenzioso sapere, questo sapere che Regina è morta [...]. Il dolore non ha tempo né spazio, la morte di Regina e la morte di tutte le bambine ebree sono qui, dentro di me, nello spasimo del mio braccio sinistro che sale e arriva al cuore. Se un giorno, malgrado questo spasimo, dovessi uscire di qui, e qualcuno dovesse considerarmi "fortunato" perché i tedeschi non mi hanno incluso in un trasporto, e fatto varcare la soglia di una camera a gas, sarà la più atroce bestemmia ch'io abbia mai sentito. Ci sono quelli ai quali basta che un grido sia lontano, per non sentirlo; che la morte piombi nelle frontiere di un altro corpo, per non sentirla come la propria morte. Non sanno che si muore di ogni morte, che si viene uccisi di ogni uccisione.

Questa notte di lenta neve non è la notte del Campo, è la notte dell'Europa; questa partita perduta, le cui pedine abbandonate scompaiono a poco a poco sotto la neve, non siamo noi soli che l'abbiamo perduta, ma il mondo intero.

(Ivi, p. 126-127)

La permanenza in questa condizione del lager porta anche alla perdita di senso, all'incapacità di figurarsi un futuro:

Si aggira nella propria esistenza come in un ripostiglio ingombro di oggetti di cui non ricorda il significato [...]. La vita prosegue oltre i propri significati, trasformando un discorso sensato in un confuso balbettìo. [...] Guardava al futuro come al tempo in cui potrà riaprire il libro nel quale oggi non sa leggere, e i segni illeggibili si trasformeranno in un alfabeto limpido e significativo [...]. Perdendo quel futuro che le avrebbe reso decifrabile il passato, perde anche il passato, ne perde il senso e la cifra; quello che avrebbe potuto diventare un discorso coerente rimarrà un vociare indistinto, in una lingua straniera.

(Ivi, pp. 206-207).

La fuoriuscita di diossina dalla fabbrica dell'ICMESA di Meda, come abbiamo visto, porta Laura Conti sui luoghi contaminati. La volontà di raccontare la diossina, e quindi l'inquinamento, ai ragazzi sfocia nell'ultimo romanzo della Conti, così come lei stessa ci racconta:

Poiché abitualmente mi occupo di divulgazione scientifica per ragazzi, mi ero proposta di scrivere, per i dodicenni, un'opera di divulgazione scientifica sul problema di Seveso. [...] i ragazzi dell'area inquinata desideravano dal mondo adulto informazioni su quello che sovvertiva la loro vita, e furono messi sgarbatamente a tacere. Se vollero informazioni dovettero rubarle, origliando dietro le porte: gli adulti, infatti, avevano troppa paura di parlare della diossina per accettare di rispondere alle domande; e avevano paura, perché l'inquinamento metteva in crisi i loro valori.

(Marco, Sara e la nuvola, in Laura Conti, Una lepre con la faccia di bambina, Roma, Editori Riuniti, 1978, pp. 9-10)

Il racconto della nascita del romanzo ci dà inoltre la misura di una scrittrice che non trascura gli aspetti linguistici, e quindi storico-sociali:

La nuvola è caduta su un territorio culturalmente impoverito: caratteristica, questa, tutt'altro che esclusiva della Brianza. La povertà culturale dei miei piccoli protagonisti, Marco e Sara, si manifesta nel loro modo di esprimersi, che del resto è comune ai ragazzini dell'area metropolitana milanese, come li ho conosciuti nel mio lavoro di medico scolastico.

Più che un italiano dialettale, essi parlano quello che si potrebbe, in analogia con l'inglese, definire come un italiano «coloniale». È quasi un italiano da stranieri, luogo d'incontro di culture estranee l'una all'altra nel quale le caratteristiche grammaticali e sintattiche della lingua italiana vengono piallate fino a che la struttura del discorso si fa il più possibile elementare. [...]

Ho cercato di restituire un linguaggio che è capace di comunicare informazioni concrete, essenziali, non molto specificate, [...]. È un linguaggio di sottostima: sottostima le emozioni e gli stati d'animo, sottostima cioè l'uomo nei confronti degli oggetti che lo sopraffanno.

(Ivi, pp. 13-14)

Marco, adolescente brianzolo, racconta in prima persona - dunque dal suo punto di vista - gli avvenimenti seguiti all'incidente:

L'orto era pieno di piante di pomodori e di peperoni, pomodori grossi da insalata e piccoli da salsa, e peperoni di tutte le qualità, verdi e rossi e gialli, e anche i peperoncini rossi che pizzicano, e che i meridionali li mangiano, ma noi no perché bruciano la lingua. In un angolo c'era il pollaio, fatto di assi e cintato da una rete, il pollaio era vuoto e il recinto era vuoto, non c'erano le galline a beccare la terra. Nell'altro angolo c'erano le gabbie dei conigli, anche quelle erano aggiustate col filo di ferro e avevano le porticine penzolanti, e anche quelle erano vuote. C'era silenzio, era strano: non si sentivano le galline, non si sentivano cinguettare i passeri che gli rubano il grano e loro protestano, non c'erano più né polli né passeri. Non c'erano più nemmeno i piccioni, che di solito quando si fa cigolare la porticina volano via battendo le ali. Il pollaio e le gabbie dei conigli puzzavano come sempre, ma non c'erano le solite mosche che sempre ronzano in quell'orto sporco e disordinato. Era come guardare la tele quando il sonoro è guasto.

(Ivi, p. 26-27)

Centrale resta in ogni caso nella scrittura della Conti la divulgazione scientifica, come già ricordato: dagli anni Settanta pubblica diversi libri, spaziando dall'educazione sessuale e sanitaria (Sesso ed educazione, 1971; La salute, 1977; Il tormento e lo scudo. Un compromesso contro le donne, 1981), all'energia atomica (Il dominio sulla materia, 1973), alla biologia (Le origini della vita e La vita dei mari, 1975; La fotosintesi e la sua storia, 1991), solo per citarne alcuni.

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da vecchia3. La politica e l'ecologia

Iniziata, come accennato, con la Resistenza, attraverso i rapporti con Lelio Basso ed il Fronte della Gioventù di Eugenio Curiel, l'attività politica non ha soluzione di continuità: come ben sottolineato da Marco Martorelli, per Laura Conti "[...] impegno politico significava azione per cambiare il mondo: da questo punto di vista l'impegno sui temi ambientali è stato a tutti gli effetti un'estensione di questo suo modo di concepire la politica" (M. Martorelli, Una vita ben spesa, in: Chiara Certomà, Laura Conti. Alle radici dell'ecologia, Roma, Legambiente 2012, p. 159), così come, si potrebbe ben dire, la sua attività di divulgatrice.

L'appartenenza ad un partito o ad un gruppo non le ha mai impedito di elaborare un pensiero originale, a volte anche contro il partito (come nel caso delle prime battaglie contro il nucleare) o contro Legambiente e i Verdi (con le posizioni sulla caccia), come ricorda l'amico Virginio Bettini "[...] è stata una coltivatrice [...] nello scegliere la diversità dall'opinione condivisa. Stava sempre da un'altra parte in un'opinione comune condivisa da molti. E in questo spiazzava sempre i discorsi: non potevi mai sapere da che parte veniva la sua analisi e in che maniera si sarebbe accostata alla tua e se le due erano accostabili" (in: Laura Conti. Dalla Resistenza, all'Ambientalismo, al caso Seveso, cit., p. 18). Non bisogna dimenticare che la Conti entrò nel PCI come "lettrice", con il compito di commentare i testi marxisti (al cui studio, peraltro, era stata avviata da Lelio Basso) con i compagni della base; già nell'epilogo del suo primo libro possiamo cogliere la capacità di comprendere nel quadro analizzato una vasta rete di relazioni:

L'ipostasi del movimento socialista, il massimalistico trasferimento delle speranze, che si riscontrano nell'impostazione politica generale, sono chiaramente riconoscibili (come contropartita inevitabile delle impostazioni riformiste) anche in questo specifico tema della previdenza e assistenza sociale. Da una parte l'assunzione di obiettivi parziali, l'empirismo delle rivendicazioni generiche di "miglioramenti", dall'altra parte la sfiducia che si possa, prima di avere realizzato il socialismo, modificare qualitativamente l'orientamento dei dispositivi attuali di previdenza e di assistenza: e quindi di rinvio di ogni problema al giorno della presa del potere, la delega al domani dei compiti di oggi. Nulla di nuovo in questo: soltanto un'altra conferma del fatto che l'errore massimalista discende dalle medesime cause che provocano l'errore riformista. Se, delle possibilità di lotta esistenti in democrazia, non si fa altro uso che un uso riformista, si finisce col perdere fiducia nella democrazia stessa, e col negare ch'essa consenta la possibilità di un'effettiva azione in senso socialista. Si finisce una volta di più col tradurre in termini di sfiducia nelle circostanze oggettive quella che è invece riluttanza all'impegno più difficile, sfiducia in se stessi e nelle proprie capacità di modificare le circostanze: questo è il vero disarmo morale, che si consola nella prospettiva di un mutamento dall'esterno, o nell'apologia di modelli lontani.

(Conti 1958, pp. 218-219, corsivo nel testo)

Sebbene sia stato l'incidente di Seveso a portare alla ribalta l'attività politica di Laura Conti, che come abbiamo visto dedicò a questo argomento ben due pubblicazioni, le problematiche relative all'ambiente le erano ben presenti già da tempo, come dimostrano ad esempio le sue battaglie contro la legge Merli sulle acque (si veda a questo proposito M. Martorelli, Una vita ben spesa, in: Chiara Certomà, Laura Conti. Alle radici dell'ecologia, cit., p. 156).

Nel medesimo anno, il 1977, vengono pubblicati Che cos'è l'ecologia. Capitale, lavoro e ambiente e Visto da Seveso. L'evento straordinario e l'ordinaria amministrazione: in entrambi si può riscontrare "[...] la peculiarità del suo lavoro [...] di intrecciare la chiarezza della scienza con la passione della politica. A causa della sua doppia "cittadinanza", quella di scienziata e quella di rappresentante politica, da una parte Laura si sente coinvolta nei problemi che interessano il suo oggetto di studio e dall'altra è consapevole delle cause e delle implicazioni scientifiche dei problemi politici che affronta." (Chiara Certomà, Laura Conti. Alle radici dell'ecologia, cit., p. 29).

Ancora una volta, l'autrice comprende nel suo ragionamento, che è sempre, per lei, alla base e in funzione dell'azione, politica e scienza e in questo brano dà dimostrazione di un approccio moderno e del tutto attuale:

Salubrità dei processi, compatibilità fra i diversi usi delle risorse rinnovabili, durata delle risorse non rinnovabili: sono queste le tre preoccupazioni fondamentali dello studioso di ecologia, quando egli applica la propria scienza allo studio degli effetti delle attività umane. L'ecologia è infatti una scienza molto più vasta di quanto fanno apparire gli articoli di giornale che si occupano oggi della cappa di smog che è calata su una città, domani di una moría di pesci in un lago inquinato; la parola «ecologia» (da «oikos», in greco «casa», e da «logos», in greco «discorso») indica il discorso (lo studio) sulla casa degli organismi viventi, cioè sui rapporti tra gli organismi viventi e l'ambiente, considerando che per ciascun organismo l'ambiente è formato non solo di materia non vivente, come l'aria e l'acqua, bensì anche di tutti gli altri esseri viventi. Ogni essere vivente è, per gli altri, parte dell'ambiente.

[...] È opinione ormai diffusa, non solo tra i socialisti e i comunisti, che il potere politico debba indirizzare le attività umane, comprese le attività economiche, in modo tale che non vengano messe in circolazione sostanze velenose, in modo tale che l'acqua e l'aria possano venire impiegate non solo dall'industria, ma anche dall'agricoltura, e anzi non solo nelle attività produttive, ma anche per lo sport e il divertimento, e infine in modo che le generazioni future non debbano rimproverarci il nostro egoismo. Salubrità, compatibilità, durata. [...]

[...] Per degradare l'ambiente [...] è bastato un cieco meccanismo. Per ricostituire l'ambiente occorre una volontà. Una volontà basata sulle conoscenze scientifiche, e capace di esprimersi in atti politici ben coordinati.

(Conti 1977a, pp. 8-10)

Anche nel volume su Seveso, che è "narrazione critica e autocritica di quei fatti e provvedimenti" (Conti 1977b, p. 9) cui l'autrice si è maggiormente interessata, non viene mai perso di vista l'ambiente (come d'altronde accade nel romanzo dedicato a Seveso di cui ci siamo occupati nel paragrafo precedente), sia esso naturale, socio-economico o culturale:

Cominciavo a rendermi conto che "ambiente" non è solo l'insieme di acqua, aria, terra: che non si può considerare l'uomo nel suo rapporto con la natura se non lo si considera anche nel suo rapporto con gli oggetti che fabbrica o con le piante che coltiva. Considerare "i sevesini" non aveva senso se non si consideravano anche gli orti dietro le case e le araucarie davanti alle case [...].

Che rapporto possa esserci tra l'uomo e il territorio non lo rivela l'operaio, soldato di ventura del capitale. Non lo rivela nemmeno il contadino, perché il contadino può trasformarsi in pioniere, e dove ci sono zolle sotto i suoi piedi e un corso d'acqua là è la sua patria, magari solitaria. Lo rivela anche l'artigiano di tipo brianzolo, un artigiano che realizza una divisione del lavoro con gli altri artigiani, io faccio le parti in legno, tu le parti metalliche, lui le parti in cuoio, e l'oggetto - il salotto per gli sposi - è il prodotto non di una bottega ma di un territorio, di un rapporto fra momenti lavorativi insediati l'uno accanto all'altro, in una curiosa dialettica di integrazione e competizione.

(Ivi, p. 85)

La Conti non dimentica di valutare anche l'ambiente sociale, e la psicologia che lo sorregge:

[...] da quando mi occupo di questioni ecologiche - e cioè da alcuni anni ormai - mi sono accorta che il problema dei rifiuti ha una valenza emotiva, psicologica, nel senso che le comunità che nel proprio territorio vedono scaricarsi i rifiuti di altre comunità provano spesso un senso di mortificazione e di ostilità. So che non è razionale, ma le comunità, proprio come gli individui, hanno una loro psicologia che non fa spazio solo al ragionamento. Nel caso di Seveso, poi, bisognava rendersi conto che si trattava di una comunità già "insultata": aveva percepito non solo come un danno, ma anche come un insulto, il fatto di essere stata investita da una nube tossica sprigionatasi da una fabbrica situata nel territorio di un'altra città, di Meda; aveva già subito come insulti le scritte "Zona inquinata" sui cartelli, e la cancellazione del nome "Seveso" dalla segnaletica stradale. Era dunque una comunità mortificata, e aveva ragione quella ragazza sevesina che era andata a una manifestazione con un cartello che diceva: "SEVESO - FRAGILE - MANEGGIARE CON CURA".

(Ivi, p. 134)

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4. Laura Conti in Parlamento

Sebbene si fosse ritirata dal lavoro di medico nel 1984, continuando però a dedicarsi a dibattiti, conferenze, campagne di informazione, corsi per le università verdi e ad un'intensa attività di documentazione e di studio, nel 1987 viene eletta alla Camera dei Deputati entrando a far parte della Commissione Agricoltura. Da deputata firma proposte di legge in materia di ambiente, di pari opportunità, di agricoltura, di istruzione, e diversi atti di indirizzo e controllo.

Gli interventi in Assemblea sono 2; nel 1987 interviene sulla proposta di legge per i referendum, in particolare su quello relativo al nucleare:

Nella richiesta di referendum si manifesta anche, al di là dei contenuti di merito, un proprio e diffuso disagio per lo snaturamento che la nostra democrazia ha subito nei suoi quarant'anni di vita; uno snaturamento che proprio in tema di grandi scelte energetiche a me pare manifestarsi con netta evidenza. [...]

Si è venuto strutturando, cioè, un sistema di potere che anche in tema energetico, cioè in uno dei temi chiave della società complessa, allontana sempre più la facoltà decisionale non solo dal sovrano, che è il popolo, ma anche dal delegato del sovrano, che è il Parlamento, o quanto meno rende mediato e indiretto l'esercizio da parte del Parlamento delle proprie prerogative. Dunque, questo particolare referendum ha una fisionomia singolarmente significativa, perché, quando il popolo propone di sottoporre a referendum abrogativo la legge n. 8 del 1983, esso non solo difende le proprie prerogative, ma difende anche le prerogative dello stesso Parlamento ed il loro esercizio diretto.

(Camera dei Deputati. Assemblea, Resoconto stenografico. X legislatura, 11° seduta, 6 agosto 1987, p. 1212)

Il secondo intervento della deputata Laura Conti è sul tema della fauna selvatica e della caccia, nel 1990, per l'approvazione di una legge che, come abbiamo visto, fu motivo di scontro con gli amici di Legambiente e gli ambientalisti in generale:

Vi sono aspetti dei nostri compiti di legislatori nei quali i conti con il problema del rapporto tra legge ed etica li dobbiamo fare. È un problema così difficile che, lo confesso, mi turba, in quanto non riesco a dargli una impostazione generale soddisfacente. [...]

Noi, come sempre abbiamo sostenuto, intendiamo conservare la caccia ovviamente cercando di regolarla in maniera compatibile con l'ambiente, anzi con la sua riqualificazione.

Abbiamo dunque una visione del nostro ruolo coincidente con quella della maggioranza degli italiani. Gli italiani si sposano con l'intenzione di non divorziare e fanno l'amore con l'intenzione di non andare incontro a gravidanze indesiderate e di non abortire, ma laicamente hanno voluto consentire pubblicamente libertà alle quali magari privatamente rinunciano.

I sondaggi sulla caccia hanno dimostrato che anche in questo campo il nostro popolo è laico: in maggioranza è contrario alla caccia come scelta personale e privata, ma come scelta pubblica è favorevole ad una legge saggiamente moderatrice ed è in questa direzione che noi abbiamo lavorato.

(Camera dei Deputati. Assemblea, Resoconto stenografico. X legislatura, 472° seduta, 23 maggio 1990, pp. 60416-7)

Nell'ultimo volume pubblicato in vita, dedicato proprio a questa esperienza parlamentare, con tutto quello che ha provocato anche nella sua vita privata, la Conti ci lascia un monito:

L'esperienza che ho vissuta nel partecipare intensamente all'elaborazione di un progetto di riforma della caccia ha alcuni aspetti che potranno interessare, domani, gli studiosi della «storia minore» del nostro paese; ma altri aspetti si proiettano direttamente sul futuro, e con una certa rilevanza: sono gli aspetti che concernono la visione del rapporto uomo/ambiente, e le condizioni di sostenibilità delle attività umane; ma anche gli aspetti che concernono una certa propensione allo schematismo ideologico da parte di molti dirigenti politici e la gravità inattesa, a volte paradossale, delle conseguenze che possono derivarne. Anche se davvero stiamo per entrare nella seconda Repubblica, e quale che essa possa essere, l'errata visione del rapporto uomo/ambiente e gli ideologismi costituiranno sempre gravi pericoli. Perciò mi sono decisa a raccogliere, in questo piccolo libro, le riflessioni che sono venuta facendo, in mezzo alle grandi burrasche del 1990, sul problema circoscritto e «minore »del quale mi ero fatta carico. Anche il buco della serratura è circoscritto: ma a volte permette di vedere cose molto interessanti.

(Conti 1992, p. XII-XIII)

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5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

Nell'articolo sono citati per esteso solo i testi non compresi nel percorso bibliografico.

Laura Conti. Percorso bibliografico nelle collezioni del Polo Bibliotecario Parlamentare.

Si suggerisce inoltre la ricerca nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche delle due biblioteche.

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