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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 10 (Nuova Serie), agosto 2012

Il diritto comune nella Biblioteca del Senato

facciataEmanuele Conte, autore del presente contributo, è professore ordinario di storia del diritto medievale e moderno presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Roma Tre.

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Per chi ha iniziato i propri studi di storia a Roma, una parte del fascino irresistibile dello studio è costituito dalla straordinaria rete di biblioteche che si trovano in città, incastonate nel suo antichissimo tessuto urbanistico. Prima fra tutte la Biblioteca Vaticana, evidentemente, con i suoi tesori indescrivibili, i suoi saloni ottocenteschi, le sue procedure rigide ma efficienti, l'incomparabile frequenza di studiosi provenienti da ogni angolo del mondo. E poi la Nazionale Vittorio Emanuele, che sopravvive e diviene più efficiente a dispetto delle crescenti difficoltà di finanziamento; e poi le biblioteche storiche del centro, nate per le esigenze di enti ecclesiastici o laici dell'Antico Regime e ancora testimoni degli interessi librari di secoli fa: la Casanatense, la Angelica, la Vallicelliana prime fra tutte. Quelle delle Università pubbliche ed ecclesiastiche: l'Alessandrina della Sapienza e le biblioteche dell'Università Lateranense e della Gregoriana. E poi, ancora, le biblioteche ricchissime ed efficienti degli Istituti stranieri a Roma, attente alla letteratura corrente, frequentate da un pubblico internazionale e gestite con criteri moderni ed efficienti.

Quando un laureando appassionato alla storia entra in questo circuito, conosce un mondo intrigante, fatto di piccole scoperte quotidiane, di ambienti diversi ma collegati, di utenti curiosi, talvolta eccentrici, sempre animati da una dedizione ammirevole. E' questo ambiente che può catturare la fantasia e l'entusiasmo di chi inizia a studiare, e per molti la passione che ne nasce è permanente: è un'infatuazione che dura tutta la vita.

Prima del trasferimento in Piazza della Minerva, nel 2003, la Biblioteca del Senato della Repubblica era un luogo mitico per gli studiosi di storia del diritto medievale. Ne conoscevano la straordinaria raccolta di statuti italiani grazie ai cataloghi che, pubblicati con regolarità, costituivano nei fatti un repertorio della produzione legislativa dei comuni italiani fra Medioevo ed età moderna. Ma l'accesso alla biblioteca vera e propria era difficile, e solo qualche racconto dei fortunati frequentatori riferiva della ricchezza del luogo.

Così, l'apertura fu un grande evento. Ricordo che lo comunicai immediatamente ai colleghi stranieri che convenivano periodicamente a Roma per seminari dottorali sul diritto medievale, e fu possibile in breve tempo organizzare le prime visite per conoscerne le sale e le collezioni.

L'apertura al pubblico è stato in effetti un momento importante: perché la biblioteca si è inserita subito nel ricchissimo tessuto bibliotecario della città, offrendo ai lettori un luogo di lavoro ben organizzato, ricco, e vicinissimo ad altre importantissime biblioteche. Prime fra tutte quella della Camera, che costituisce ormai quasi una sola unità con il Senato, e l'antica Casanatense, che da trecento anni ha sede nello stesso isolato del Palazzo della Minerva. Sicché fra biblioteche Parlamentari e l'antica Biblioteca dei Domenicani, l'isolato che si trova fra il Pantheon e Sant'Ignazio è uno dei territori più densamente popolati di libri che esistano al mondo.

Fin dall'apertura, la Biblioteca ha voluto caratterizzarsi come luogo di studio della storia del diritto. Naturale, visto che è annessa da sempre all'organo legislativo dello Stato Italiano. E poiché al tempo della costituzione dello Stato unitario italiano l'aspetto del diritto che pareva prevalente era la legislazione, fu appunto la legislazione il terreno su cui gli acquisti furono più intensi e sistematici. Così gli statuti comunali; così le raccolte legislative degli stati preunitari.

Durante il Novecento, però, la cultura giuridica ha maturato la convinzione che sia impossibile far coincidere il diritto con la legge. L'interpretazione dottrinale, l'applicazione giudiziaria, le mille intersezioni con la realtà storica impedivano di concentrare l'attenzione soltanto sulla legge. Così l'apertura al pubblico della Biblioteca ha coinciso con uno sforzo importante per ampliare le collezioni e prospettare al lettore un diritto complesso: fatto di leggi, certo, ma anche dell'immensa produzione di dottrina che fin dal Medioevo si era stratificata intorno alla legge.

Eppure non è facile entrare in possesso dei libri necessari per studiare le dottrine giuridiche del passato. Infatti il patrimonio dottrinale del diritto comune, che risale agli ultimi secoli del Medioevo, è approdato nei libri stampati già nel Quattrocento, quando in Europa si cominciarono a riempire gli scaffali di libri prodotti con la nuova rivoluzionaria tecnica inventata da Gutenberg. Così, la scienza del diritto prese a circolare molto più ampiamente, e moltissimi libri furono stampati e diffusi. Gran parte delle opere dei giuristi medievali sono ancora accessibili soltanto nella forma che esse ebbero nei primi secoli della stampa: perciò chi si interessa di storia del diritto deve lavorare con antichi libri stampati quattro o cinque secoli fa.

Negli anni Novanta del secolo scorso la Biblioteca del Senato ha cominciato ad arricchire la sua collezione di libri antichi, rivolgendosi con intelligenza a fondi già costituiti, collezioni di professori che avevano acquistato libri antichi sul mercato ancora accessibile degli anni Cinquanta e Sessanta. Dapprima ha acquisito la collezione di Filippo Vassalli, il grande giurista che compose il nostro Codice Civile e che aveva raccolto in casa le opere più importanti dei giuristi medievali e rinascimentali. Poi è riuscita a ottenere anche la collezione di Ennio Cortese.

Cortese è uno storico del diritto medievale ancora attivo, che ha cominciato i suoi studi subito dopo la seconda guerra mondiale, offrendo alcuni contributi assolutamente capitali alla conoscenza della logica dei giuristi medievali, delle loro opere, della loro mentalità, delle strutture degli istituti giuridici. La sua raccolta di libri antichi è straordinaria, perché contiene tutte le opere più importanti che bisogna avere a disposizione per capire le logiche di quel diritto antico, che spesso sono ancora alla base del ragionamento giuridico di oggi.

Ora la sua collezione si trova al primo piano della Biblioteca, accanto a quella di Vassalli: insieme, le due raccolte consentono di lavorare con i libri del diritto comune con una rapidità e una facilità che è impossibile trovare altrove. Per di più, anche i libri moderni, che contengono la critica storica e i sussidi di lavoro sono stati collocati allo stesso piano, nell'ampio salone, e rendono il lavoro ancora più agevole.

Così, nel giro di qualche anno, la Biblioteca si è inserita a pieno titolo nell'ammirevole rete delle biblioteche romane. Per chi fa storia del diritto il suo primo piano è diventato un luogo di elezione, di lavoro agevole e proficuo, di incontri interessanti. Può capitare, fra l'altro, di scambiare qualche idea con le bibliotecarie, che sono competenti, appassionate, attente. Aiutano chi studia a trovare i libri che cerca, sono pronte ad accogliere le proposte di acquisto di nuovi libri, amano i libri antichi ma conoscono le tecniche più moderne di ricerca. E può capitare di incontrare, al lavoro su una scrivania che gli è riservata, il professor Cortese in persona, ancora intento a studiare sui libri che furono suoi. Cosa può desiderare di più uno specialista del diritto comune medievale?

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