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Il Presidente: Discorsi

XXV Congresso della Federazione nazionale della stampa

Discorso pronunciato a Bari, al Teatro Piccinni in occasione del XXV Congresso della Federazione nazionale della stampa

Autorità,
signore, signori,
ho accolto volentieri l'invito rivoltomi dal presidente Franco Siddi e dal segretario nazionale Paolo Serventi Longhi a rivolgere un saluto a tutti voi all'apertura questo XXV congresso della Federazione Nazionale della Stampa che si svolge in un momento cruciale per la vostra categoria.
Auguro, dunque, un buon lavoro alle delegate e ai delegati e un forte incoraggiamento alla dirigenza che eleggerete al termine delle vostre assise che immagino, avendo una qualche esperienza, non difetterà in vivacità.

Il mio sarà un intervento breve.
Vengo subito al cuore di un problema che non può riguardare più solo i giornalisti. Mi riferisco al mancato rinnovo del contratto di lavoro.
Più volte, e in più occasioni, ho espresso l'auspicio per una conclusione positiva di una vertenza che si trascina ormai da troppo tempo.

Ora ripeto con forza questo appello.
Il diritto al rinnovo contrattuale è uno dei segni rilevanti di uno stato positivo dei rapporti sociali. Negarlo segna un decisivo arretramento delle dinamiche interne al mondo del lavoro.
Tuttavia, quanto emerso nel corso delle trattative che ha portato alla sottoscrizione del Protocollo sul Welfare, può far intravedere uno sbocco positivo se l'intesa raggiunta in quella circostanza tra la Fieg e la Fnsi fungesse da battistrada verso equilibri più avanzati utili al rinnovo del contratto.

Voi rappresentate la stampa italiana. Alla professione che quotidianamente esercitate viene assegnata una funzione fondamentale nella dialettica democratica. La libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione è un diritto di tutti sancito dalla Costituzione.
L'articolo 21 della nostra Carta oltre ad elevare l'informazione ad uno dei pilastri del patto fondativo richiama due elementi che ne rappresentano più di altri l'essenza: l'effettività del pluralismo delle fonti e la pubblicità degli assetti proprietari della stampa.

E' con questi elementi che dobbiamo continuamente confrontarci. Perché essi sono la chiave di volta per guardare con serenità soprattutto alle questioni non risolte del nostro presente.
E' nostro dovere dunque domandarci se gli attuali strumenti normativi rispondano - garantendoli - a quei principi che sono patrimonio di tutti, perché a quelli il legislatore deve ispirarsi.
Probabilmente se persistono situazioni conflittuali che impediscono, per esempio, ad una grande azienda come la Rai di espletare pienamente la sua funzione di servizio pubblico, dobbiamo allora approfondire la riflessione affinché la si ponga al riparo da contraccolpi mortificatori e la si renda operativa.

La via maestra è indicata dai principi contenuti nella nostra Costituzione. Principi che indirizzano al perseguimento dell'interesse comune, lontani quindi - a garanzia di tutti - da posizioni di parte.
La libertà della stampa è metro di misura della salute di ogni democrazia.

Vorrei ora - e concludo - affidarvi una riflessione che riguarda il rapporto tra politica e informazione.
Il ruolo dei media è fondamentale. Avvicinano il dibattito politico ad un numero sempre più vasto di persone. La televisione, in particolare, offre grandi opportunità. Ma siamo certi che stiamo andando nella giusta direzione nell'utilizzo di questi straordinari strumenti che concorrono alla dialettica democratica?

C'è chi sostiene che la comunicazione stia ormai prendendo il posto della politica.
Me lo sono chiesto molte volte.
La questione riguarda tutti: politici, giornalisti, editori e cittadini.
Quando la necessità di rincorrere i tempi sempre più stretti dei media impone un 'dire' comunque, nonostante l'elaborazione dei processi politici e degli stessi percorsi legislativi, abbiano gestazioni molto più lente, allora tutti noi politici ma anche i giornalisti dobbiamo chiederci se svolgiamo veramente la nostra funzione.

I primi verso il dovere dell'onestà perseguito nell'interesse comune i secondi verso la ricerca e il racconto dei fatti.
Gli effetti di questo modo di intendere l'informazione/ comunicazione politica sono quanto mai evidenti se ciò che appare rischia di contare più della sostanza.
Viene da chiedersi quale sia il ruolo dell'informazione.
Soprattutto quando le parole diventano incandescenti, quando la necessità della politica è quella di persuadere con messaggi semplici - figli più delle regole della propaganda ricondotta a marketing che dei contenuti delle posizioni - allora chi sono i veri padroni delle notizie?

La questione è senza dubbio complessa, come lo sono le dinamiche che la determinano.
E' necessaria, allora, una nuova stagione di responsabilità per tutti coloro che si trovano ad agire nello spazio dell'informazione.
Per la politica, che - nel gioco narcisista degli specchi riflettenti le immagini dei leader - troppo spesso misura l'efficienza delle proprie azioni sulla base dei passaggi televisivi e non sulla qualità delle scelte, producendo così una catena perversa di competizioni mediatiche.

Per i giornalisti, attori della più delicata funzione di promozione e diffusione della democrazia, che devono rammentare qualche volta di più le ragioni di un' Etica dell'informare, che è un'etica di responsabilità e di discernimento nella non facile distinzione tra questa funzione e quella della "comunicazione".
Per gli editori, che hanno la responsabilità grande di esercitare questo ruolo in una dimensione che non attiene solo il profilo dei profitti: cento altre attività, forse più remunerative possono essere svolte dal capitano d'impresa se l'obiettivo è solo quello del profitto, ma l'informazione è altra cosa ed implica scelte e comportamenti coerenti.
Per questo una riflessione è d'obbligo e sono convinto che ne discuterete nel vostro congresso.
Grazie, buon lavoro a tutti voi.

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