Il Presidente: Discorsi

Una giovane Costituzione

14 Aprile 2010

Signor Presidente della Repubblica, Signor Presidente della Camera, Autorità, Signore e Signori,
Ringrazio il Ministro Meloni per avermi invitato ad aprire questa iniziativa che cade in un momento particolarmente significativo del nostro dibattito pubblico.
A più di sessanta anni dalla sua approvazione, la nostra Carta costituzionale mostra tutta la sua vitalità: è, come avete ben scritto nel titolo di questa vostra iniziativa, "una Costituzione giovane". Giovane e vitale nella sua prima parte, che raccoglie quell'insieme di principi e di valori sui quali si è costruita e sviluppata l'Italia repubblicana dopo le tragedie del Secondo conflitto mondiale.
Un'Italia giovane quella uscita dal secondo dopoguerra, piena di energie nonostante le distruzioni, che seppe ricostruire e progredire fino a trasformarsi in una delle principali economie europee e poi mondiali.

E tutto ciò nonostante le contrapposizioni generate dalla guerra fredda condizionassero più degli altri il nostro Paese, attraversando e dividendo talvolta anche drammaticamente, il panorama politico.
Il sistema di regole fissato nella nostra Carta costituzionale garantì in quel contesto non facile l'equilibrio necessario e permise di ricomporre in un quadro sostenibile tensioni altrimenti dilanianti.
Fu proprio la scelta dell'equilibrio, la volontà di garantire un contrappeso, una giusta ponderazione delle iniziative legislative e di governo, a condizionare in modo decisivo alla Costituente il dibattito sul bicameralismo.
L'opzione bicamerale dunque apparve subito, sin dall'inizio dei lavori della Costituente, come un obiettivo, un postulato, un fine essenziale, un valore da salvaguardare.
La questione su cui si aprì un grande dibattito fu allora quella della composizione del Senato.

Il dibattito mostrò tutte le difficoltà di costruire tipi di rappresentanza diversi da quella politica.
Tale prospettiva non rappresentò un semplice compromesso. Fu piuttosto una scelta che voleva profondamente marcare la discontinuità tra l'assetto statutario e quello repubblicano.
Nel modellare un sistema di bicameralismo perfetto si introdussero poche differenze tra le due Camere, alcune delle quali - penso alla durata dei mandati - scomparvero ben presto.
Rimase non sviluppato il principio della elezione a base regionale e così la distinzione più marcata tra le due Camere finì per essere quella dell'elettorato attivo e dell'elettorato passivo.
Questa distinzione si è addirittura ulteriormente ampliata nel momento in cui venne fissato in diciotto anni il compimento della maggiore età.
Emerse dunque complessivamente la scelta di creare una Camera che proprio nell'anzianità, dei suoi componenti come degli elettori, trovava un carattere distintivo.

In tutta la lunga stagione di quella che è stata chiamata la Prima Repubblica, caratterizzata dal regime pluripartitico, da un sistema elettorale rigidamente proporzionalistico e da metodi di lavoro sostanzialmente consociativi, il Senato si è distinto effettivamente dalla Camera come un organo di riflessione, e di ponderazione delle scelte.
Nel cursus honorum dei partiti di allora lo scranno di senatore veniva affidato a politici sotto ogni aspetto "anziani", di lungo corso, che avevano ricoperto incarichi a livello locale, alla Camera e al Governo.
Profondamente diversa invece è l'esperienza che si è avviata sotto il segno del sistema maggioritario, a partire dalle elezioni del 1994.
Paradossalmente, per effetto dei diversi sistemi elettorali delle due Camere ma anche per la differenza dei due corpi elettorali dovuta alla diversa soglia anagrafica, in più di una occasione (nel 1994 e nel 2006) è stato il Senato ad essere la camera politicamente più movimentata, rovesciando la tradizionale visione che lo voleva soprattutto camera di riflessione.
Così oggi, a Costituzione e legge elettorale vigenti, quello del diverso elettorato passivo ha finito per divenire un limite per la funzionalità del Senato e dell'intero Parlamento più che una risorsa, come l'avevano immaginato i costituenti.
L'omogeneizzazione dunque dei due corpi elettorali è una misura opportuna, su cui , non a caso, vi è un consenso ampio e trasversale.

Oggi, di fronte ad un Paese che a causa delle sue tendenze demografiche sta invecchiando, che vede nel crescente astensionismo giovanile una insidia alla saldezza stessa delle sue istituzioni, il problema principale è piuttosto quello di aprire e rafforzare la legittimazione democratica, di spronare il coinvolgimento della parte più giovane e attiva della nostra popolazione, di proporre nuove e più efficaci politiche a tutela della famiglia, della maternità e della natalità.
In questo quadro l'equiparazione dei due elettorati, far votare i diciottenni anche al Senato e ridurre per entrambe le Camere la soglia dell'elettorato passivo, rappresenta un contributo potenzialmente di grande rilievo.
Possiamo dunque dare per acquisita la consapevolezza che non può essere l'età uno degli elementi distintivi del Senato.
E' l'altro aspetto, solo abbozzato dai costituenti, quello sui cui si deve lavorare. Quello di un più efficace radicamento territoriale, innanzitutto regionale.
Su questo aspetto il dibattito che si svolse nell 'Assemblea costituente credo possa continuare a fornire elementi essenziali di riflessione.
Si discusse allora in profondità su come e in che modo dare un'adeguata rappresentanza alle entità territoriali.

Quel dibattito evidenziò tutta la difficoltà di costruire un efficace sistema di secondo grado.
Ecco perché la formula della derivazione popolare diretta del Senato non fu un mero compromesso, ma una soluzione coerente con la scelta del Costituente di garantire una legittimazione democratica forte a tutta l'istituzione parlamentare.
Certo oggi di fronte a una società sempre più complessa e ad una maggiore articolazione dei livelli di governo (da quello locale a quello europeo), appare generalmente condivisa la opportunità di elaborare una riforma del bicameralismo che assicuri una più efficace capacità rappresentativa e una semplificazione delle procedure.
Come pure condivisa è la necessità di ridurre il numero complessivo dei parlamentari.
Su questi essenziali principi nell'Aula del nostro Senato si è registrata un'ampia convergenza, in un alto e proficuo dibattito che si è svolto il 2 dicembre scorso.

Quel confronto come anche il dibattito che si sta sviluppando in questi giorni conferma quanto sia attuale il problema di porre mano alle riforme costituzionali, di cui l'abbassamento dell'elettorato attivo e di quello passivo per il Senato dovranno essere elementi qualificanti.
Il nostro compito oggi - è questo l'invito che autorevolmente Lei, Signor Presidente, non stanca di rivolgerci - è quello di non disperdere l'occasione di una legislatura che può e deve portare a compimento, nel modo più ampio e condiviso, il processo riformatore dell'Ordinamento della nostra Repubblica.
Soltanto con il compimento di questo processo potrà realizzarsi quel salto di qualità che consentirà al nostro Paese di competere in effettiva posizione di parità con i più grandi Stati europei e continentali.
Ma le riforme devono essere supportate da un'azione politica autorevole, credibile e devono essere connotate dal raggiungimento di una larga maggioranza che non può e non deve essere soltanto quella delle forze politiche che sono attualmente al Governo.
La mancata condivisione, il non raggiungimento di un felice equilibrio tra tutte le forze politiche rischierebbe, infatti, di fare naufragare qualunque progetto , come è accaduto nelle passate legislature .

Due sono i problemi da affrontare: il problema del metodo e quello, soltanto temporalmente secondo al primo, del merito.
Ben vengano progetti da tutte le forze politiche sui quali dovrà essere effettuata un'attenta analisi, dovrà esserci confronto, dialogo, eventualmente anche acceso, purchè alla fine del percorso si raggiunga un risultato che sia, se possibile, la giusta mediazione tra diversi punti di vista, che offra al nostro Paese un prodotto di vera qualità, capace di ridare slancio e snellezza all'intero sistema parlamentare e che sia idoneo a risolvere i problemi sociali ed economici degli italiani.
Il dibattito del 2 dicembre al Senato si è concluso con una generale condivisione di questo metodo. Nelle mozioni che sono state da tutti votate si è con chiarezza affermata la necessità di giungere , e cito, alla "approvazione di un testo condiviso dalla più ampia maggioranza parlamentare".
E io mi considero fin d'ora garante del metodo "inclusivo" approvato in Senato all'unanimità.
E' il Parlamento la sede naturale di questo confronto che dovrà coinvolgere le forze politiche chiamate ad approfondire ogni elemento con grande competenza, ma anche e soprattutto con esemplare senso di responsabilità, avendo quale unico e fondamentale obiettivo le reali ed effettive esigenze della nostra Italia.

Ed è indispensabile non avere fretta: modifiche così delicate che richiedono ponderazione, equilibrio, scelte complesse mal si conciliano con idee di accelerazione dei tempi.
Come lei ha ben segnalato nei giorni scorsi , Signor Presidente, bisogna uscire " dalle anticipazioni e dalle approssimazioni", ma aprire un confronto costruttivo e impegnativo.
Quanto poi al merito della riforma io credo che quel di cui noi abbiamo bisogno sia, come felicemente disse Giovanni Spadolini, "un bicameralismo paritario e non più un bicameralismo perfetto". Il necessario aggiornamento del nostro sistema bicamerale deve infatti conservare l'essenza della scelta voluta dai costituenti.
Non una Camera di serie A e l'altra di serie B; entrambi i rami del Parlamento dovranno avere pari dignità costituzionale nei ruoli e nelle competenze a ciascuno assegnati.
La riforma del titolo V della parte seconda della nostra Costituzione certo ci impone di sviluppare e rafforzare la capacità del Senato di rappresentare le realtà regionali, che è iscritta già oggi nel testo della Costituzione.
E tuttavia dobbiamo essere consapevoli di quanto sia impervio e possibile fonte di complicazioni per il funzionamento della forma di governo percorrere la via di escludere il Senato dal circuito fiduciario, come anche quella di introdurre meccanismi elettorali che rendano difficile la formazione di una stabile maggioranza politica in quel ramo del Parlamento.

Certamente il Senato potrà essere federale, ma il Governo deve essere condizionato dalle sue decisioni.
Ho sentito parlare di questione di governabilità, io stesso ho ipotizzato in termini generali il voto di censura, a seguito del quale il Governo è obbligato ad ottenere una nuova fiducia dalla Camera.
Certo è che la maggioranza del Senato non può che essere una maggioranza politica.
Va approfondita seriamente l'esigenza di una elezione contestuale dei due rami del Parlamento; esigenza che rappresenta oggettivamente un elemento di chiarezza e di stabilità dei rapporti istituzionali.
Riformare il bicameralismo per sottrazione significa fallire ogni riforma costituzionale.
In questa prospettiva si potrebbe ipotizzare l'attribuzione di nuove responsabilità da affidare in via esclusiva al Senato passando così ad una forma di Bicameralismo in cui le funzioni delle due Assemblee siano differenziate per ambiti di competenza, ma conservino la medesima legittimità democratica e lo stesso rilievo costituzionale.
Ad un Senato che rappresenti lo snodo tra sussidiarietà e unità nazionale, potrebbero, ad esempio, essere riconosciuti poteri di scelta dei componenti di tutti gli organismi di controllo, comprese le Autorità indipendenti, che si dovrebbero affiancare a poteri di decisione in via definitiva su provvedimenti legislativi che riguardino specifiche materie.
Se ad ogni nomina venisse accompagnato un esame approfondito e pubblico - anche attraverso audizioni dirette, sul modello statunitense ed europeo - delle candidature, il Senato diventerebbe il luogo istituzionale perché i giovani e tutti i cittadini si sentono garantiti dai principi cardine della trasparenza e del merito.

Si crede nelle Istituzioni se queste assolvono le loro funzioni entro i binari della responsabilità, della trasparenza e del giusto riconoscimento delle competenze individuali.
Penso - confortato dal consenso di molti colleghi Senatori - ad un Senato che sia una Camera dell'Europa e delle Regioni". Ciò rappresenterebbe un salto di qualità ed un aggiornamento della nostra Costituzione coerente con le più profonde aspirazioni di chi quella Costituzione sessant'anni fa volle e scrisse.
Un Senato dell'Europa e delle Regioni serve a superare le differenze tra il nord e il sud del Paese, a rafforzare l'unità nazionale facendosi portatore delle necessità e delle esigenze di ogni singolo territorio consentendo alle regioni di essere efficacemente rappresentate nel cuore della rappresentanza politica nazionale.
Questo Senato controllerebbe l'Europa e l'Europa troppe volte mistificata nella realtà dei territori entrerebbe nel cuore dell'architettura costituzionale, proiettando le istanze locali nella logica di un bene più grande: il bene di una comunità capace di proporsi come fattore di coesione, stabilità e crescita.
Sono tutte riflessioni che certamente saranno affrontate nelle sedi competenti.
Snellire la dinamica di rapporto tra Governo e Parlamento, semplificare le procedure sono obiettivo che tutti ci proponiamo di raggiungere per adeguare il nostro sistema alle nuove e sempre più pressanti esigenze dei tempi.

Ma dobbiamo farlo insieme e con ponderazione.
Credo che sia giunto il momento del dialogo generoso e fattivo e della ricerca della più ampia condivisione.
Ce lo chiedono i cittadini e in particolare i nostri giovani. Dobbiamo sentirlo come un dovere e come un debito nei loro confronti.



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