Il Presidente: Discorsi

Presentazione del libro "Organizzare l'altruismo"

25 Maggio 2010

Autorità, Signore e Signori,
saluto tutti i presenti.
Saluto gli autori del libro "Organizzare l'altruismo. Globalizzazione e welfare", i Senatori Tiziano Treu e Mauro Ceruti e mi complimento con loro per la qualità dell'opera, che ho letto con interesse.
I temi affrontati nel libro sono quotidianamente all'attenzione delle Istituzioni e dei cittadini: gli effetti della globalizzazione e le misure da intraprendere per affrontare la crisi che coinvolge il mondo intero, sono argomenti di stringente attualità.
La politica nazionale e sovranazionale, le Istituzioni europee, i Paesi oltreoceano si interrogano sulle misure da intraprendere, mentre la finanza e i mercati sono attraversati da tensioni che manifestano l'instabilità dell'economia globale.
Anche in Senato abbiamo affrontato e affronteremo - sia in Aula che in recenti dibattiti e presentazioni - i problemi derivanti dalla difficile congiuntura attuale, e l'eventuale modifica del welfare che ne dovrebbe derivare, con la ferma volontà di contribuire a tagliare i costi della politica.

I cosiddetti costi della politica non coincidono con i costi delle Istituzioni, ma senza alcun dubbio sia la Politica sia le Istituzioni devono contribuire in modo serio e significativo.
Servono immediate misure per eliminare servizi troppo costosi sia per il parlamentari, sia per i dipendenti. La sobrietà e il rigore sono da realizzare in modo concreto e credibile.
Non ci possono più essere scorciatoie.
Il libro che oggi viene presentato, redatto da un giurista-economista e da un filosofo, si sofferma sui cambiamenti economici, sociali, politici e anche antropologici che la globalizzazione ha portato con sé, con particolare riguardo alla società italiana, e si interroga offrendo interessanti spunti di riflessione sulle alternative per uscire dal tunnel.
In tal senso è illuminante il titolo, "Organizzare l'altruismo": l'altruismo come una soluzione che comunque deve essere "organizzata", "gestita".
I mutamenti sopravvenuti in pochi anni hanno modificato assetti che erano dati per acquisiti da secoli.

All'interno di essi ci sono ovviamente elementi positivi ma anche negativi e imprevedibili.
La "società digitale", l'avvento di una tecnologia sempre più evoluta, la crescita delle reti di comunicazione con la conseguenza di scambi di idee, conoscenze e beni sempre più ampi, l'urbanizzazione, le migrazioni, ma anche l'inquinamento e i danni ambientali, l'importanza crescente del mercato a detrimento degli individui, l'esasperarsi della competizione, la bolla finanziaria, la crisi economica mondiale, la paura del futuro...
Non a caso nel libro si parla di "fluidità, fragilità, transitorietà", per descrivere caratteristiche del momento attuale, e si sostiene che l'imperativo categorico " Sii responsabile" è l'unico immaginabile per restituire un'etica a questa fase storica.
Sembrano passati secoli dal crollo del Muro di Berlino, - ed era solo il 1989 - che ha fatto venir meno assetti consolidati dalla Seconda Guerra Mondiale, e cioè la logica dei due blocchi contrapposti.
I cambiamenti geopolitici hanno infatti condotto con straordinaria rapidità a scenari che pochi avevano saputo ipotizzare, e portato a una perdita di fiducia dei cittadini sia nello Stato che nell'avvenire; a uno spiccato ritorno agli individualismi e alla frammentazione; a un sempre maggior divario fra i ricchi e poveri anche a causa della progressiva riduzione del ceto medio..

Ma non ci sono solo aspetti negativi. In ogni fase della storia è insita una sfida, un risvolto positivo, una prospettiva. Basta saperla individuare.
Per comprendere quali siano le opportunità e quali le soluzioni, occorre partire innanzitutto dal significato delle parole. Bene hanno fatto in questo senso gli autori a soffermarsi sul valore del termine "globalizzazione".
Si legge infatti nel libro "il termine globalizzazione è sovraccarico di significati. Significa in primo luogo interdipendenza planetaria. E' infatti possibile che un evento locale, che avviene in un contesto ristretto e molto spesso persino marginale, amplifichi i suoi effetti fino a trasformare gli scenari globali."
Un'osservazione questa pienamente condivisibile: il legame fra locale e globale è diventato sempre più stretto, e ha come conseguenza una diminuzione di influenza degli Stati a favore delle entità sovranazionali ma anche, paradossalmente, dei particolarismi locali.
Non è un caso che si parli oggi di "Local and Global", accostando due termini agli antipodi, in un mondo in cui la libera circolazione di persone, merci, capitali, ma anche di idee e conoscenze ha dato luogo a una vera e propria rivoluzione.

Il risultato di questa rivoluzione è l' aumento delle "Reti", reti di individui, città, regioni, imprese, che sono intrecciate fra loro senza mediazioni possibili dello stato centrale; sua conseguenza è la fortissima interdipendenza reciproca di ogni sistema economico e sociale.
Dobbiamo quindi ripensare i compiti dello Stato, gli obiettivi della politica, le strutture della macchina amministrativa - statuale; ripensare, riformare, in fondo, la globalizzazione tutta.
Le radici della crisi economica non sono unicamente di tipo finanziario, ma hanno anche un legame con lo squilibrio che si è creato nella crescita e nella distribuzione della ricchezza, con il progressivo diminuire di quei vincoli sociali che avevano un ruolo di tutela fondamentale per i cittadini.
Su questo occorre lavorare, su questo occorre intervenire, per realizzare una vera economia sociale di mercato in cui si coniughi la crescita con l'efficienza e l'uguaglianza.

Proprio la settimana scorsa abbiamo ricordato in Senato Massimo D'Antona e la sua preziosa opera di giuslavorista.
Con grande lungimiranza D'Antona - che aveva lavorato con il Senatore Treu - sottolineava come si fosse data troppa importanza al mercato rispetto ai diritti sociali, contrariamente a quanto stabilito dalla nostra Costituzione.
D'Antona invitava a tornare alla centralità del lavoratore, a ripensare ad un "diritto del lavoro diverso" proiettato in un ordine sovranazionale; un nuovo Welfare, insomma.
Alcune regole sono obsolete: bisogna immaginare invece un nuovo ordine pubblico internazionale in cui si rapportino diversamente Stato, mercato e comunità e in cui l'Europa sappia rivestire un ruolo forte e univoco, che a volte stenta a trovare, per indicare con chiarezza una Governance più armoniosa di economia e società.
Proprio la nostra Costituzione racchiude i diritti dei lavoratori, diceva D'Antona. Ed è l'uguaglianza ad essere un obiettivo fondamentale da raggiungere, un'uguaglianza che, come sancisce l'articolo 3, deve essere sostanziale e consentire a tutti di partecipare alla vita economica e sociale del Paese.

Certo l'Italia ha resistito meglio di altri Paesi alla crisi, anche per la propensione al risparmio delle famiglie, alla forza delle piccole e medie imprese, alle cosiddette "solidarietà familiari e territoriali". Tutto questo ha certamente consentito di attenuare gli effetti negativi ma non è ancora sufficiente.
Come afferma Gianfranco Fabi nella sua recensione del libro sul Sole 24 Ore, è impossibile illudersi che tutto tornerà come prima, soltanto mettendo in moto un automatico "circolo virtuoso" capace di generare consumi, produzione, occupazione, ricchezza.
La crisi ha portato con sé effetti che necessitano un completo cambio di prospettiva.
Occorre pertanto agire, costruire quella che gli autori chiamano "la società della cura", in cui non ci siano solo legami strumentali fra welfare e economia, ma di "reciproca interazione".
Occorre restituire la fiducia alle giovani generazioni, investendo su scuola e formazione, fondamentali per sviluppare le capacità e le potenzialità dell'individuo e quindi il futuro della società.

Sono i giovani di oggi che domani amministreranno e governeranno le condizioni di benessere anche degli anziani. Senza solidarietà tra generazioni la crisi sfocia in forme gravi di instabilità sociale.
E' interessante guardare a modelli proposti da altri Paesi, quali quelli del Nord Europa, che postulano la "Flexicurity", un sistema in cui si coniughino flessibilità e sicurezza. Da noi c'è oggi abbastanza flessibilità, ma poca sicurezza.
In questo quadro, la sussidiarietà assume un ruolo rilevante. Una sussidiarietà che non è solo un "non intervento dello Stato" per lasciar spazio a altre organizzazioni pubbliche o private, né tanto meno un mero assistenzialismo.
Nella sua accezione sia orizzontale che verticale, la sussidarietà investe infatti una serie di attori - o stakeholders - pubblici e privati, che hanno un valore attivo e positivo. Essi possono, facendo leva su una vera e propria mobilitazione sociale, assicurare al Paese una crescita equilibrata e una reale etica del lavoro.
Credo che ci siano, nel libro e nelle parole di coloro che parleranno oggi, sufficienti spunti di dialogo e azione, in modo da poter finalmente restituire al Paese quella fiducia nel futuro che merita.

Un'attenta analisi del passato e del presente per riuscire ad individuare ogni strumento utile e necessario per affrontare il futuro, per pensare insieme ad una nuova economia capace di attenuare gli effetti della crisi, di ridurre considerevolmente il divario tra ceto ricco e ceto povero, idonea a sostenere il mercato del lavoro, privilegiando la meritocrazia, la capacità, le professionalità.
Occorre la sintonia e la collaborazione tra cittadini, forze sociali e forze politiche, serve senso di responsabilità di tutti, per guardare al domani con spirito di coesione e con la convinta consapevolezza che la realizzazione piena del principio di sussidiarietà può costituire il volano per la realizzazione di una nuova ed effettiva crescita economica.



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