Il Presidente: Discorsi

Il Parlamento Italiano tra passato e futuro

27 Ottobre 2009

Autorità, Signore e Signori,
d
esidero portare il mio saluto e l'augurio di buon lavoro agli illustri Colleghi e studiosi che partecipano a questo seminario: è un'occasione preziosa, a cinquant'anni dal primo numero della "Rassegna", per una rinnovata riflessione sui recenti sviluppi del nostro sistema costituzionale e sul ruolo dell'Istituzione parlamentare.
Viviamo in una fase storica di grandi cambiamenti politici, economici, sociali, culturali.
Sappiamo bene che nei sistemi politici contemporanei il consenso dei cittadini non si fonda più su un'astratta adesione ideologica, ma sulla reale capacità delle Istituzioni rappresentative di dare risposte adeguate e tempestive alle questioni più pressanti di ordine economico e sociale.
La rinuncia alle ideologie non può, però, diventare assenza di idee o vuoto di ideali.

Superare le ideologie non significa abbandonare la ricerca dei valori.
Sono i valori il faro della politica, il senso di una comune appartenenza a una storia che tutti dobbiamo sentire nostra.
Per essere all'altezza di tale sfida anche il Parlamento deve ammodernarsi, aggiornando organizzazione e procedure.
Dobbiamo riprendere il cammino intrapreso non limitandoci alla sola sfera dei regolamenti parlamentari, ma concordando quelle innovazioni della seconda parte della Costituzione che valgano a migliorare la funzionalità del sistema.

Vi sono stati almeno due momenti in cui si è cercata una sintesi virtuosa delle iniziative di revisione della Costituzione: l'esperienza della Bicamerale e il tentativo della passata legislatura della cosiddetta bozza Violante.
Rispetto a quelle esperienze che non si sono concluse positivamente, dobbiamo imparare una lezione di umiltà e di pragmatismo.
Esistono questioni di eguale dignità e urgenza, ma allo stesso tempo non possiamo più condizionare l'intesa sulla riforma della Costituzione alla riforma della giustizia, o viceversa.

Per riformare tanto la Costituzione quanto la giustizia, non servono pregiudiziali astratte; serve confronto, rispetto e anche dialogo.
Il dialogo non deve essere una parola vuota o rischiosa per chi, quando la usa, viene accusato di tradimento del proprio schieramento.
Il dialogo è la pedagogia della rinascita e del riscatto per le Istituzioni e l'intero Paese.

La prima riforma praticabile e davvero auspicabile è quella del bicameralismo.
Va subito sgombrato il campo da un equivoco: il Senato non teme alcun declassamento, perché sa di non essere per nulla una camera morente, né decadente.
Tutti noi dobbiamo invece rifuggire dall'idea di risolvere la revisione costituzionale sotto facili etichette.

Dobbiamo chiarire cosa significa concretamente "Camera delle Autonomie". Non possiamo farne una formula vuota, né un lancio mediatico.
Rispetto alla Bicamerale e alla bozza Violante molte cose sono cambiate.
Dobbiamo essere consapevoli che lasciare indietro le lancette dell'orologio a un tempo passato rischia di portare a riforme lacunose e non durature, perennemente provvisorie.

Alludo innanzitutto ad una esigenza avvertita in modo sempre più marcato dai cittadini: trovare momenti di raccordo tra la dimensione istituzionale più ampia - quella europea e quella nazionale - e la dimensione rappresentativa più vicina alle realtà locali - regioni, province, comuni.
Serve ragionare sul passaggio, che già Giovanni Spadolini delineava, dal bicameralismo perfetto, al bicameralismo paritario.

Bicameralismo paritario e non perfetto significa permettere ad entrambe le Camere di potersi esprimere, accettando il principio che in caso di modifiche apportate in un ramo del Parlamento, l'altro ramo possa decidere in via definitiva.

Ferme alcune materie - leggi costituzionali, leggi elettorali, diritti inviolabili e libertà costituzionali - per le quali dovrebbe ragionevolmente conservarsi una competenza piena e perfetta di Senato e Camera, la proposta di lasciare alla sola Camera dei Deputati l'ultima parola sulle modifiche apportate dal Senato sui disegni di legge ordinari mi pare un punto di partenza serio dal quale riallacciare il confronto.
Ma dobbiamo avere il coraggio di andare oltre, di fare entrare una parola nuova nella nostra Costituzione e nelle nostre Istituzioni, la parola Europa.

I richiami presenti nel testo vigente infatti non rappresentano ancora quel salto di qualità che l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona suggerisce.
Un "Senato dell'Europa e delle Regioni" potrebbe avere l'ultima parola sulla materia comunitaria, ad esempio nelle procedure di impugnazione e indirizzo previste dal Trattato e significativamente riconosciute ad entrambi i rami del Parlamento.

Il Senato potrebbe diventare il punto di raccordo e saldatura tra sussidiarietà e solidarietà, tra Istituzioni comunitarie, nazionali, regionali e locali.
Il suo ruolo di cerniera tra chi vive nel concreto i problemi emergenti e le Istituzioni più ampie sarebbe a tutti evidente se a fronte del rafforzamento della Camera come luogo della legislazione, si accrescessero, in quantità e qualità, le competenze esclusive del Senato per le materie di controllo e garanzia: nomina dei componenti delle Autorità indipendenti, della stessa Corte Costituzionale, poteri di inchiesta e indagine sul modello statunitense, poteri di indirizzo anche nei confronti del Governo sulle materie di propria specifica competenza.
Un Senato dell'Europa e delle regioni, eletto direttamente dai cittadini, sarebbe tutto dentro la cornice unitaria dello Stato, e allo stesso tempo rappresenterebbe un punto avanzato di federalismo vero, a vantaggio dell'intero Paese.

Lungo questa prospettiva lasciare alla sola Camera l'espressione della fiducia al Governo non rappresenterebbe un vulnus, proprio qualora si ipotizzasse che anche a fronte di un voto di censura del Senato, la stessa Camera dovrebbe nuovamente accordare la fiducia all'esecutivo.
Le mie riflessioni sono ovviamente solo spunti di un'analisi che spetta ad altri approfondire, ma l'approdo verso un bicameralismo paritario mi sembra possa essere da tutti noi raccolto come ricerca di una innovazione ragionevole e seria dell'architettura costituzionale.

Come per la riforma del bicameralismo, anche per la riforma della giustizia occorre trovare punti di convergenza tra i diversi schieramenti.
Le linee guida sono state già tracciate a partire dalle idee condivise nel 1997.
Il testo condiviso prevedeva una sostanziale separazione delle carriere con un concorso interno per consentire ai magistrati il passaggio dalle funzioni requirenti alle giudicanti; contemplava una modifica strutturale del Consiglio Superiore della Magistratura diviso in due sezioni, una per i PM, l'altra per i giudici e con una specifica commissione, la Corte di Giustizia della Magistratura, per l'esercizio dell'azione disciplinare.
Era, infine, stabilita una diversa composizione di togati e laici con l'aumento del numero di questi ultimi.

Anche per la Corte Costituzionale erano contemplate modifiche con l'aumento della rappresentanza dei giudici eletti dal Parlamento e con una variazione del numero da quindici a venti giudici.
Partiamo da questo progetto comune e proseguiamo superando le pregiudiziali politiche, per dare al Paese un messaggio di unità di intenti e di concordia.

Bisogna fare presto: i progetti, le proposte, le idee da vagliare vanno rivisti intorno a un tavolo comune con l'unico fine di modernizzare il Paese e rendere così un utile servizio ai cittadini.
Questo significa occuparsi in modo concreto e non astratto dei cittadini, di tutti gli italiani.
I valori in gioco sono alti e rilevanti e attengono alla sfera dell'uomo, della sua libertà, della sua stessa vita quotidiana; riguardano la famiglia, la società.
E non sono inconciliabili le esigenze di unità con la celerità delle decisioni, se da parte di tutti gli schieramenti, dico tutti, ci sarà volontà e vera intenzione di fare.
La nuova legge sulle intercettazioni, il nuovo codice penale, le nuove regole di speditezza nella celebrazione dei processi civili, la riforma dell'ordine forense - per creare avvocati qualificati che possano contribuire al funzionamento della giustizia - sono le vere priorità.

Un Paese che spende in tema di giustizia tanto quanto altri paesi europei quali Svezia, Germania e Olanda e non riesce a raggiungere gli stessi livelli di efficienza, deve sapere creare le condizioni per fornire ai cittadini le stesse garanzie.
Parità di risultati tra italiani e cittadini d'Europa in termini di efficienza e di speditezza delle risposte giudiziarie, significa anche allinearsi all'Europa e potere competere con i Paesi che ne fanno parte in condizione di reale eguaglianza.

In tema di crisi internazionale, la nostra economia registra segnali di ripresa, stanno arrivando i primi frutti del lavoro svolto.
E' importante il rigore, ma è altrettanto basilare dare respiro alle nostre aziende con un fisco più leggero, a misura di crisi, per difendere i posti di lavoro e la produttività dell'economia italiana.
In questo momento servono coesione e determinazione.
Bisogna lavorare tutti insieme, Governo, maggioranza e, auspico, anche opposizione avendo quale unico fine comune il bene del nostro Paese.
Mi auguro si apra una nuova pagina di dialogo sereno, anche alla luce del fatto che il partito di maggioranza relativa dell'opposizione si è democraticamente dotato di una nuova leadership.

Dalla politica può e deve venire un messaggio di riconciliazione.
Tutti dobbiamo recuperare un linguaggio civile, un vocabolario fondato sul rispetto reciproco.
Non possiamo avere paura di confrontarci per non incorrere nelle accuse di chi vuole sabotare ogni forma di dialogo e convergenza.
L'autorevolezza e la credibilità di tutte le Istituzioni è un patrimonio per il Paese, la speranza per il suo futuro.
Abbandoniamo un'agenda politica scritta solo contro qualcuno e raccogliamo insieme la sfida di un lavoro comune per il bene di tutti.

Vi ringrazio



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