Il Presidente: Discorsi

Dal bullismo al crimine, riflessioni e proposte sulla punibilità del minore

5 Marzo 2009

Autorità, Signore e Signori,
sono lieto di prendere la parola su un argomento, quello dei giovani e del bullismo, che riveste grande attualità e rilevanza. E prendo atto con piacere che questo convegno sia stato organizzato dalla Caramella Buona Onlus, associazione che si confronta giornalmente con episodi di infanzia violata. Una realtà che turba profondamente le nostre coscienze, che ci invita a riflettere, che ci obbliga ad intervenire e con tempestività.

Troppo spesso assistiamo ad episodi di violenza nei confronti di minori, troppo spesso siamo costretti ad apprendere, non senza preoccupazione, che gli abusi vengono commessi anche e soprattutto all'interno delle mura domestiche. Qualunque miserabile atto di questo genere segna indelebilmente la loro giovane esistenza; questi deprecabili accadimenti, anche in presenza di interventi di sostegno idonei ad attenuare le conseguenze, sono, purtroppo, destinati a divenire ferite permanenti nel percorso di vita del bambino violato.

Ben vengano, quindi, associazioni come la Caramella buona con funzioni propositive, con concreti aiuti a favore della categoria più indifesa, con interventi anche e soprattutto di prevenzione. Le relazioni di oggi affronteranno un altro scottante tema, quello del bullismo. E' un fenomeno purtroppo in crescita tra i giovani e tra le giovani che, alla luce di quanto accade quotidianamente in Italia, assume sempre più rilievo e merita la massima attenzione.

I nostri giovani sono stati capaci di azioni inimmaginabili: dare fuoco ad un indiano che ancora, dopo un mese, lotta fra la vita e la morte e farlo per gioco, è un'azione che turba le nostre coscienze, perché quei ragazzi, fino a quando non avevano commesso quella terribile azione, erano considerati normali: andavano a scuola, avevano una famiglia, uscivano e si divertivano come qualunque altro, non avevano dato in precedenza segnali che lasciassero prevedere che sarebbero diventati autori di un tentato omicidio. Prima erano giovani normali con scuole normali e famiglie normali. Ma la normalità non ci salvaguarda da ciò che non vorremmo accadesse.

Alcuni giovani sono sempre più spesso autori di molestie e di violenze in ambienti scolastici ed evidenziano aggressività ed impulsività che rivolgono, utilizzando la forza fisica, contro i più deboli. E' di questi giorni la notizia che circa trentacinquemila alunni hanno avuto in pagella cinque in condotta; educatori, insegnanti, psicologi, concordano nell'interpretare questo voto anche come conseguenza di episodi di bullismo. Alla base di questo fenomeno ci sono interpretazioni sbagliate e fuorvianti dei valori della ribellione e scarsa, se non nessuna considerazione del valore dell'uomo, dell'inviolabilità della persona. E' la non percezione del senso dell'umanità.

Vivere in tribù incrementa gli istinti peggiori e infonde quel presunto "coraggio" che singolarmente non sarebbe neppure pensabile possedere. Violenze sessuali, comportamenti illegali in genere, racchiudono la volontà di annientare e umiliare chi viene considerato al pari di un oggetto. Il bullismo è violenza cerebrale, è libertà senza obblighi e doveri, è isolamento e noia, ma è soprattutto vuoto di ideali e mancanza di cultura.

Il bullismo e la violenza dei ragazzi sono diventati un problema di sicurezza e di ordine pubblico. Non possiamo preoccuparci della violenza che proviene dalla immigrazione e fare finta di non vedere la violenza che nasce nei nostri giovani italiani; sono due facce dello stesso problema e la risposta dello Stato deve essere unica, forte e severa. Tutto questo oltre a turbarci, ci obbliga a riflettere e a cercare di intervenire non perché animati da sentimenti di sdegno, ma perché guidati da senso di responsabilità.

I bambini, i giovani sono il nostro presente, ma sono anche il nostro futuro. Tutte le Istituzioni hanno l'obbligo di guardare a questa realtà; hanno il dovere di vigilare affinché nulla sia lasciato di intentato. Perché lo Stato, in un settore delicato e importante come questo, ha il preciso compito di intervenire sia in funzione di prevenzione, che in termini di rieducazione e, se necessario, di repressione.

La nostra legislazione è stata da tempo attenta ai problemi dei giovani sotto il profilo preventivo e repressivo. Il processo penale minorile ha funzioni educative attraverso l'intervento dei Servizi sociali e ministeriali. In Italia, a differenza di altri Paesi, i minori, se condannati, hanno il diritto di scontare la pena in strutture dedicate, non quindi carceri con sbarre e situazione di promiscuità con maggiorenni, ma luoghi che se bene organizzati, consentono di restituire alla società - e ci sono casi innumerevoli - piccoli uomini con specializzazioni lavorative per affrontare con serenità la vita e costruire un futuro.

Esistono per i giovani strutture che avviano al completamento degli studi; che educano all'intelligente occupazione del tempo libero, insegnando ad amare il teatro, il cinema, il gioco sano; che promuovono l'interazione nel sociale con altri giovani liberi. In Italia nelle case famiglia, personale specializzato insegna agli adolescenti a pensare prima di agire e ad agire rispettando parametri e valori che non avevano conosciuto nell'ambito familiare e che rappresentano una realtà nuova, un percorso inesplorato prima da interiorizzare, poi da scegliere con convincimento e seguire.

Anche nei riguardi dei minori di 14 anni la legislazione prevede utili percorsi: collocamento in comunità, affidamento ai servizi, prescrizioni ai genitori. Recentemente lo Stato è anche intervenuto per evitare che episodi di bullismo fossero istigati da maggiorenni; il pacchetto sicurezza, da poco approvato dal Senato prevede l'inasprimento delle pene per individui di età superiore ai diciotto anni che abbiano commesso reati in concorso con minorenni. E' certamente questo un rimedio che può costituire deterrente e freno alle illegalità.

Il nostro Stato possiede già rimedi giuridici, prevede già un sistema di sanzioni, ma ogni legislazione è perfettibile e le vicende che in questi ultimi mesi hanno visto alcuni ragazzi protagonisti, meritano delle risposte sul piano concreto, per contribuire a migliorare la situazione e dare ai cittadini quel senso di sicurezza che domandano e di cui hanno diritto. Anche se non ci sono certezze, forse potrebbe costituire un rimedio adeguato l'abbassamento dell'età della punibilità che pure molti Paesi hanno introdotto, perché oggi ragazzi di età superiore ai quattordici anni hanno acquisito una consapevolezza diversa rispetto a quella che possedevano minori della stessa età negli anni passati.

L'approfondimento di questa eventualità non deve certo essere dettato dall'emozione e dall'allarme che i ricorrenti episodi ai quali assistiamo potrebbero suggerire. Non dimentichiamo, però, che la nostra legislazione, per punire i minori di età compresa tra i 14 e i 18 anni, richiede un accertamento rigoroso da parte del giudice della loro capacità di intendere e di volere. Parliamo della capacità di discernere che prevede un rigoroso accertamento del grado di sviluppo della personalità e la necessità di valutare adeguatamente i motivi della volontà, il carattere morale, lo sviluppo intellettivo, la forza di carattere, l'attitudine a distinguere il bene dal male, l'onesto dal disonesto, il lecito dall'illecito.

Conosco la legislazione francese, alla quale oggi sarà dedicata particolare attenzione nel raffronto con la nostra. Riconosco che siamo in presenza di una legislazione attenta sia alla soluzione di problemi dell'infanzia che alla salvaguardia della sicurezza in generale e ogni intervento in questa direzione appare più che lodevole. Ma se anche si decidesse in Italia, come è avvenuto in Francia, di abbassare la soglia di punibilità, se anche si creassero confini tra misure educative e vere e proprie sanzioni al di sotto di una certa soglia di età, non va dimenticato che il minore, quando commette azioni illegali, non conosce in genere la legislazione e non smette di delinquere perché ha paura di essere, ad esempio, interdetto dai luoghi in cui ha commesso il reato.

La soluzione, quindi, più adeguata è la prevenzione. Ciò che dobbiamo riconoscere e stentiamo a farlo è che troppi adulti non sono stati capaci di trasmettere adeguatamente ai giovani quei valori di convivenza che consentono il vivere civile dei popoli. Parlo non di grandi valori, ma di quelli minimi dell'etica quotidiana che sono alla base di qualsiasi società e che la tutelano evitandone l'autodistruzione.

Ci sono genitori che spesso non conoscono abbastanza i propri figli, vorrebbero che comunicassero con loro, che manifestassero le loro esigenze. Ma i genitori devono continuamente insegnare ai figli cosa è la gravità e la responsabilità morale di un'azione. Devono intuire, immaginare in tempo le azioni dei propri figli e questo si ottiene non smettendo mai di osservarli, soprattutto nella tarda età adolescenziale, quando i giovani sembrano attratti da momenti di debolezza e compiacenza nei confronti degli amici più adulti.

Va ricostituito un rapporto intimo con i figli ai quali bisogna stare vicino e sui quali occorre un controllo costante, anche se, all'apparenza, può sembrare impossibile fare questo quando frequentano fuori casa amici non adeguati. I genitori non dovrebbero utilizzare con i figli forme camuffate di amicizia, perché i figli guardano ai genitori come modello di educatori da seguire. Gli adolescenti devono sapere confrontare i propri comportamenti con quelli del padre che devono stimare; in questo ovviamente, risiede la difficoltà.

I giovani devono sapere guadagnare la fiducia e la stima dei genitori e sentirli presenti anche quando sono lontani da loro, cercando di fare tesoro degli insegnamenti ricevuti. Si può fare se, alle spalle, padre e madre hanno operato in questa direzione.

Sono troppi i ragazzi che non distinguono più il reale dal virtuale; nei video giochi si eliminano i nemici perché questo è l'obiettivo da raggiungere. Il conseguente transfert nella realtà è che rischiano di non rendersi conto dell'irreversibilità della morte. La prevenzione deve essere affidata anche alle scuole, ai mezzi di informazione, questi ultimi attraverso un rigoroso controllo dei messaggi che inviano soprattutto nei tempi delle c.d. fasce protette. Ed è compito degli organi di vigilanza sorvegliare con continuità e con spirito critico, affinché segnali all'apparenza banali non siano in realtà veicolo di incitamento all'emulazione di fatti negativi.

La strada maestra è quella di tornare al linguaggio della cultura e dei valori attraverso azioni riabilitative ed educative. La scuola deve svolgere un ruolo di cerniera: gli insegnanti non dovrebbero limitarsi a impartire lezioni, devono continuare ad essere educatori, dialogando con gli alunni con il necessario rigore che deriva dalla propria funzione. Devono sapere osservare e intervenire, anche costruendo un dialogo con i ragazzi, ma chiedendo la collaborazione alle famiglie alle quali vanno tempestivamente segnalate situazioni di criticità. Gli insegnanti devono coinvolgere i genitori nell'individuazione ed attuazione dei percorsi formativi e sensibilizzarli affinché non deleghino il proprio ruolo ad altri: scuola, TV, computer, internet, video giochi. Devono continuare ad educare al rispetto degli altri e di sé stessi, devono contribuire a fare acquisire ai giovani i valori effettivi e universali.

Due osservatori, quello dei genitori e quello degli insegnanti che possono, ciascuno per la propria parte e competenza e dal confronto di entrambi, acquistare un valore decisivo; occorre una consonanza intelligente di genitori, insegnanti, media, all'interno della quale può collocarsi la politica. In questo senso ritengo che proposte possano essere fatte: ritengo utile il potenziamento delle comunità che ospitano minori, con adeguata preparazione del personale, tenendo presente che spesso alcuni minori sono portatori di problemi psichici e mancano ancora luoghi dove possano essere trattati in maniera consona.

Così come è avvenuto in Francia, può essere utile la costituzione a livello nazionale di organismi che analizzino il fenomeno del bullismo e forniscano, in sede propositiva, risposte o suggerimenti idonei a contrastarlo.

Non esistono percorsi risolutivi del problema; esistono la famiglia e la scuola che possono fare molto. Ma tutti noi, Istituzioni e cittadini comuni, siamo chiamati, con alto senso di responsabilità, ciascuno per le proprie competenze, a fare tutto quanto è utile e possibile, nel pieno convincimento che abbiamo il dovere e l'obbligo di contribuire a formare i giovani e il loro futuro.



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