Il Presidente: Discorsi

Intervento nella Sala Consiliare della Provincia di Lecce

25 Giugno 2011

Signor Ministro, Autorità, Signore e Signori,

rivolgo un caloroso saluto a tutti e, in particolare ad alcuni giovani imprenditori pugliesi, risorsa insostituibile e vero e proprio motore dello sviluppo del nostro Mezzogiorno, oggi presenti.

Sento da sempre la responsabilità di contribuire a portare avanti un progetto, certamente ambizioso, che elimini l'insostenibile divario tra Nord e Sud dell'Italia. E' giunto il tempo di porre fine a differenze, conflittualità, disuguaglianze. E il sud possiede tutte le potenzialità per fare e fare bene. Parlare di questi temi in occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia significa anche ricordare che la partecipazione attiva del Sud al Risorgimento, e la sua importanza per il processo unitario furono accompagnate dai sacrifici dei meridionali che, in nome di un'unica Patria, seppero rinunciare a quelle istanze autonomistiche che pure sentivano profondamente. Nel ricordo di quel passato, con la scelta di andare avanti tutti insieme e uniti oggi a nessuno è consentito tornare indietro.

Essere uniti non significa accantonare le idee del federalismo; vuole dire che partendo proprio dal federalismo, dai percorsi virtuosi che la legge e i decreti varati in questa legislatura hanno voluto tracciare, si può fare tanto. Applicare i principi che governano questa fondamentale riforma, vuole dire fare decollare una parte della nostra Nazione - il Meridione - che non esito e definire piena di ricchezze, di potenzialità e di volontà produttiva. E' giunto il momento di cambiare, lo dobbiamo a chi vive in queste terre meridionali. E' giunto il momento di volere fare; non servono poteri straordinari, occorrono coraggio e volontà propositiva.

Scontiamo, purtroppo, nonostante i lunghi anni trascorsi, una situazione deficitaria al Sud, malgrado le leggi speciali, le numerose associazioni sorte a tutela dell'interesse del Meridione, le tante istituzioni nate per favorire lo sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno. Occorre allora un patto tra chi governa e chi vive in queste terre, un accordo che sia scevro da condizionamenti, da logiche clientelari e di raccomandazione che non possono e non devono appartenere né a chi ha il delicato e complesso ruolo di governare, né a chi vive nelle terre del Sud e vuole potere vedere assicurata un'esistenza serena ed esente da preoccupazioni economiche per sè e per i propri figli.

E' indispensabile accantonare legami corporativi di appartenenza e di etichetta e rompere favoritismi, nepotismi, per aprire ai giovani le porte dei veri valori e della crescita. Cambiare significa spalancare al nuovo, attraverso la cultura ed il riconoscimento della meritocrazia. Sappiamo tutti che i problemi più insistenti e dolorosi del nostro Mezzogiorno sono la disoccupazione, la povertà che comincia ad avvertirsi in modo sempre più consistente, la riduzione del livello di istruzione, l'aumento della vita media con il conseguente disagio degli anziani e la necessità di sostegno sociale e materiale per i non autosufficienti.

Siamo consapevoli che la mancanza di posti di lavoro al Sud induce sempre più spesso i giovani desiderosi di crescere, e di costruire un avvenire solido ad emigrare anche all'estero. Un panorama certamente non positivo che deve spronarci a cercare soluzioni idonee e risposte concrete e attuabili. Per superare le disuguaglianze è necessario uno sforzo della classe politica meridionale, del suo ceto imprenditoriale e di tutta la società. Il Sud è un'opportunità e può dare tanto.

Qualunque sarà il processo virtuoso, il Sud non dovrà mai smettere di affermare la legalità, contro ogni forma di criminalità diffusa e organizzata che distrugge la concorrenza e la crescita. Dovrà individuare nuovi modelli di efficienza burocratica ed istituzionale, nuovi meccanismi di utilizzo della spesa pubblica, attraverso rigorose scelte selettive che puntino su qualità e strategia e non sulla improduttiva capillarizzazione degli interventi. Non dovrà disperdere i finanziamenti europei ma impiegarli al meglio come strumento ed occasione di vero ed effettivo volano di sviluppo economico.

Nel 2011 rischiamo di perdere definitivamente sette miliardi di euro di fondi comunitari e se ciò avvenisse, dovremmo chiederci rigorosamente il perché e cosa si è fatto per evitare questo. E' giunto il momento in cui ciascuno si assuma le proprie responsabilità e non le scarichi su altri.

La competizione del Sud si basa su tre aspetti: quello economico, quello sociale, quello infrastrutturale. L'adeguamento, l'approntamento delle infrastrutture sono la chiave di sviluppo del Meridione. Non possiamo consentire che al Nord la rete delle ferrovie venga ulteriormente potenziata con l'alta velocità e con tempi di percorrenza del tratto Roma Milano in due ore e venti, mentre, il più veloce dei treni disponibili che coprono la distanza tra Palermo e Catania impiega 4 ore e 37 minuti. E' giunto il momento di dire basta.

Nessuno vuole fare naufragare i progetti del Nord, ma nessuno può permettersi di mortificare e di avvilire così il Meridione; la misura è colma.

Ma il Sud deve imparare a dire no a ogni forma di clientelismo, assistenzialismo e parassitismo. Ha cominciato a farlo, ma occorre fare di più.
Il Ministro Fitto ha presentato il Piano per il Sud che prevede di concentrare i fondi su alcune grandi aree di intervento con un coordinamento più incisivo tra enti nazionali e locali. Il Piano del Sud prevede anche la nuova linea veloce Palermo Catania. A questo punto noi politici abbiamo l'obbligo di fare sentire la nostra voce, di chiedere, di insistere finché la rete infrastrutturale, soprattutto quella dei servizi pubblici venga adeguata e che si faccia con grande urgenza.

L'Italia è un sistema, l'Europa è un sistema, appare sempre più chiaro che l'economia mondiale è un sistema, attardarsi a pensare in modo rivendicativo Nord contro Sud fa perdere tempo e risorse, rinvia decisioni importanti, antepone interessi elettorali agli interessi del Paese. I problemi si risolvono con equità e visione di lungo periodo. Si vince e si perde insieme, della mancata crescita perdono tutti. Serve, allora, un grande impegno per un Sud fortemente radicato in Europa, polo attrattore di capitali capaci di dare lavori qualificati ai tanti laureati del Sud.

Occorrono interventi che creino capacità imprenditoriali al Sud, sana e non esasperata mentalità competitiva, fiducia nelle proprie capacità e negli altri, confidando nella meritocrazia e non nel vecchio clientelismo.

Qualche anno fa, all'inizio della rivoluzione informatica, si parlò della Puglia come della California italiana: quella è la strada giusta, stimolare accanto alle Università, soprattutto scientifiche, una capacità nuova di integrazione studio e lavoro, ricerca e mercato, incentivare la nascita di start up dei servizi innovativi di mercato. Davanti a questi giovani che sono il vero motore dell'Italia noi politici abbiamo il dovere di circondarli e di proteggerli. Abbiamo il compito di fare sentire il nostro incoraggiamento.

In Italia è sempre più evidente uno scollamento tra la classe dirigente e la popolazione, e più si rafforza questo scollamento meno credibilità avranno i partiti. Bisogna recuperare, dobbiamo farcela. Dobbiamo adeguare la politica, cambiarla dal profondo; la politica deve essere una scelta di coraggio, di rischio, di passione e non di opportunismo. La politica non deve rinchiudersi nei palazzi o in miopi giochi di potere, ma deve pensare ai bisogni dei cittadini, ai bisogni dell'Italia.

Per fare questo occorrono Istituzioni autorevoli, i cittadini devono potersi fidare delle Istituzioni; fiducia che vuole dire riconoscere competenza, correttezza, volontà di adottare criteri equi e validi per tutti, volontà di premiare chi è veramente meritevole. La distanza che appare sempre più marcata tra politica ed elettori può e deve essere colmata attraverso un cambio di rotta che riconsegni ai cittadini l'apprezzamento ed il rispetto nei confronti di chi hanno eletto.

Il Paese ha bisogno di nuovi obiettivi, di nuove speranze. Tutti, maggioranza e opposizione, siamo chiamati, in questo momento non semplice, ad avere e dimostrare responsabilità. E lo dobbiamo fare anche adottando scelte che, senza cedere a fuorvianti demagogie, rispondano al comune sentire dei cittadini che reclamano il mondo della politica lontano da anacronistici ed inaccettabili privilegi. In sostanza: no a demagogia, sì a responsabile rivisitazione del costo della politica che ci ponga alla pari degli standard europei, perché l'Italia ormai è anche Europa.

Sui costi di funzionamento del Parlamento, il Senato, nella sua autonomia giuridica e finanziaria di carattere istituzionale, in questi ultimi anni ha adottato significative misure di riduzione delle spese e, se richiesto, sarà pronto a continuare a fare la sua parte.

Altrimenti si rischia di finire in un inevitabile cono d'ombra che certamente non giova alla nostra Italia. Troppe divisioni, troppi veleni, stanno inquinando i pozzi della buona politica. Chi ha la responsabilità di governare lo faccia con sempre maggiore determinazione. Bisogna avere il coraggio e la forza di fare le riforme che servono alla Nazione. Soltanto così sarà possibile continuare il percorso virtuoso della modernizzazione: alleggerire il fisco, combattere con giustizia le evasioni, ma senza provvedimenti che possono apparire ingiusti e mortificanti; dare nuovo ossigeno alle piccole e medie imprese e a tutti i centri produttivi, tutelare e dare nuova occupazione.

Servono interventi per fare decollare la crescita economica. Abbiamo prima di tutto il dovere morale di non uccidere le speranze dei giovani.
Il mercato del lavoro non offre sempre le giuste opportunità ai giovani; al Sud la disoccupazione giovanile è diventata una vera e propria emergenza e le famiglie sopportano il disagio di figli da mantenere anche oltre limiti ragionevoli di età.

Proprio qualche giorno fa un fatto drammatico ha sconvolto la Puglia: il suicidio di Pierpaolo Fagiano, giornalista precario, che con il suo gesto estremo ha denunciato il suo dramma esistenziale per l'intollerabile condizione di incertezza lavorativa e di mortificanti retribuzioni. Una precarietà, come ha denunciato il Presidente dell'Ordine Nazionale dei giornalisti, che "rubava i sogni e attentava alla sua passione per la verità da offrire ai cittadini". Tragedie così sconvolgenti non possono e non debbono più accadere.

Il Parlamento deve affrontare il problema e lo deve fare con assoluta priorità. Il precariato è un problema grave, sociale e politico che necessita di soluzioni. In Italia i precari sono un esercito, quasi 4 milioni, secondo il rapporto Cgia di Mestre, e il 50% è concentrato nelle regioni del Sud, con un aumento negli ultimi due anni del 4%. Precari della Pubblica Amministrazione, precari nelle scuole, interinali, lsu, co.co.pro. Tutte categorie di lavoratori che a fine mese possono contare su retribuzioni molto basse e certamente inadeguate. In percentuale sono nella maggior parte giovani. E' compito di chi amministra l'Italia dare certezze ai nostri giovani.

Se da un lato dobbiamo condannare ogni forma di protesta che non sia pacifica e corretta, è anche giunto il momento di affrontare in modo organico e definitivo la questione del precariato diffuso che crea una intollerabile difficoltà di vita. Il precariato non assicura un futuro stabile a chi vuole potere formare una famiglia, perché non garantisce la serenità di scelte economiche a lungo termine. Il precariato rischia di consegnare i nostri giovani del Meridione alla criminalità organizzata, e a forme di sfruttamento non diverse da quelle che da anni denunciamo sul caporalato per i lavori nel campo dell'agricoltura e dell'edilizia. Dobbiamo evitare l'equazione: flessibilità uguale precarietà. Vanno ripensate forme di tutela del lavoro stabile, rivisitando la legge sul precariato, perché la certezza di un lavoro dignitoso che consenta prospettive di ampio respiro è un preciso dovere, un obbligo che noi politici dobbiamo assumere.

Le Istituzioni devono farsi carico di una serie di interventi che consentano un'occupazione certa a quel prezioso capitale umano, fatto di ragazzi meritevoli, tenaci e desiderosi di fare, che dimostrano, con lo studio e l'impegno di essere all'altezza di realizzare il vero e autentico domani della nostra Italia. Soltanto così potremo dire di avere contribuito con la nostra azione politica a fare crescere la nostra Italia.



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