Il Presidente: Discorsi

Commemorazione solenne in Aula di Oscar Luigi Scalfaro

Discorso pronunciato in Aula dal Presidente Schifani in apertura della commemorazione solenne di Oscar Luigi Scalfaro

8 Febbraio 2012

Signor Presidente della Repubblica, Onorevoli Colleghi, Autorità, Signore e Signori,
commemoriamo oggi la figura di Oscar Luigi Scalfaro, Presidente emerito della Repubblica, scomparso il 29 gennaio scorso.
In uno dei più memorabili discorsi del suo mandato presidenziale, rivolgendosi ad un'Italia scossa dalle stragi e dagli scandali, Scalfaro indicò la via del coraggio della verità: vent'anni dopo, coraggio e verità sono le chiavi di lettura per ripercorrere il suo autorevole cammino di uomo politico, di credente e di servitore delle Istituzioni.
Nato a Novara il 9 settembre del 1918, da madre piemontese e padre di origine calabrese, amava per questo definirsi "figlio dell'Unità d'Italia".
Iscrittosi giovanissimo alla Gioventù Italiana di Azione Cattolica, trovò in quella sede - e successivamente presso la Federazione degli Universitari Cattolici Italiani - un ambiente assai favorevole alla maturazione della sua solidissima fede ma anche, come ebbe modo più volte di ricordare, una palestra per la sua rigorosa concezione della laicità delle Istituzioni pubbliche, sulla scorta della riflessione dei grandi pensatori cattolici del periodo - da Sturzo a Maritain - a proposito dell'azione temporale del cristiano in una società pluralista.
Laureatosi in giurisprudenza presso l'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano - in quegli anni fucina di gran parte della futura classe dirigente cattolica, sotto la guida illuminata di padre Agostino Gemelli - entrò in Magistratura nel 1943, a soli venticinque anni, trovandosi ad esercitare le funzioni giurisdizionali nei mesi durissimi dell'occupazione nazista del Nord Italia.
Dopo la Liberazione, collaborò, dapprima come consulente giuridico e poi nella veste di Pubblico Ministero, con le Corti straordinarie di assise, istituite per giudicare i reati di collaborazione con le forze militari occupanti.
L'anno successivo lasciò la Magistratura per candidarsi alle elezioni per l'Assemblea costituente, nelle liste della Democrazia cristiana, ma l'esperienza di magistrato, sebbene molto breve, segnò tutta la sua lunga esistenza, al punto che egli ribadì più volte di sentire la toga "cucita sulla pelle".
In seno all'Assemblea, spese quindi le sue energie di giovane giurista, in particolare nella redazione degli articoli relativi all'organizzazione ed alle garanzie della Magistratura; ma la sua profonda sensibilità umana e politica portò il suo contributo ben oltre le valutazioni tecniche proprie dell'uomo di legge.
Così, quando l'Assemblea si trovò ad esaminare il disegno di legge del Governo sulla repressione delle attività fasciste, Scalfaro svolse un appassionato intervento in difesa di un approccio equilibrato al contrasto dei delitti politici, che alla necessità di tutelare le giovani Istituzioni democratiche affiancasse la consapevolezza dell'inopportunità di ogni eccesso repressivo, in particolare in relazione al ricorso alla pena di morte.
Nel ricordare la propria recente, dilaniante esperienza di magistrato nei tribunali straordinari, il giovanissimo Costituente giunse a riconoscere con chiarezza il "diritto" all'ostilità nei confronti dei poteri costituiti da parte dei familiari di chi cade, seppur legittimamente, vittima di una sentenza capitale: parole che evocano, implicitamente, il contrasto sofocleo fra nòmos ed èthos, fra la legge del sangue e quella della città, espressa dalla tragica vicenda di Antigone.
L'esperienza dell'Assemblea costituente fu con costanza evocata nel prosieguo dello straordinario cursus honorum di Oscar Luigi Scalfaro, alimentando una quotidiana, tenace azione di difesa della lettera e dello spirito della Costituzione in ogni ruolo istituzionale via via esercitato, fino al vertice delle Istituzioni repubblicane.
Confermato dal Corpo elettorale nell'ufficio di deputato per undici Legislature consecutive, più volte sottosegretario di Stato nella seconda e nella terza Legislatura, fu nominato per la prima volta Ministro, al dicastero dei trasporti, nel 1966, in occasione della formazione del terzo governo Moro, incarico che conserverà anche in tutte le successive compagini ministeriali fino al 1972.
Nella sesta Legislatura fu nominato Ministro della pubblica istruzione nel secondo governo guidato da Giulio Andreotti, fino al luglio del 1973.
Esauritasi quell'esperienza di governo, fu eletto Vice Presidente della Camera dei deputati, ruolo nel quale sarà confermato anche nelle due Legislature successive, fino al 1983.
Per tutta la durata della nona Legislatura, dal 1983 al 1987, Oscar Luigi Scalfaro fu chiamato a ricoprire il delicatissimo incarico di Ministro dell'interno, nei due governi guidati da Bettino Craxi e nel sesto governo Fanfani: in questa veste offrì un contributo decisivo ad una stagione di storici successi nella lotta alla criminalità organizzata, assicurando il massimo supporto logistico ed investigativo all'attività istruttoria coordinata da Giovanni Falcone, ed assicurando, nell'ambito delle proprie competenze, uno sforzo senza precedenti delle Autorità statali nella realizzazione e nella protezione dell'aula bunker di Palermo che ospitò, a partire dal 1986, il primo maxiprocesso contro la mafia.
L'esperienza e l'autorevolezza conseguite al vertice dell'Amministrazione dell'interno fu determinante nella successiva decima Legislatura, quando Scalfaro presiedette, con grande rigore e sensibilità istituzionale, la Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attuazione degli interventi per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori della Basilicata e della Campania colpiti dai terremoti del novembre 1980 e del febbraio 1981.
Nei quarantasei anni di ininterrotta appartenenza, per volontà degli elettori, alla Camera dei deputati, Oscar Luigi Scalfaro manifestò costantemente una ferrea convinzione della centralità istituzionale del Parlamento, in virtù del suo insostituibile ruolo democratico di "legittimo depositario della sovranità popolare, per libera delega del popolo italiano".
Questo convincimento, che emergeva in ogni suo atto - anche nell'esercizio dei diversi, importanti incarichi di governo ricoperti - lo portò ad ingaggiare appassionate battaglie in difesa del Parlamento, come testimoniato, ad esempio, dai disegni di legge costituzionale da lui a più riprese presentati al fine di valorizzare il ruolo delle Assemblee in occasione delle crisi di Governo.
La sua profonda deferenza nei confronti dell'Istituzione parlamentare trovò ampia voce quando, nella primavera del 1992, dopo essere stato eletto da appena un mese Presidente della Camera dei deputati, fu chiamato - in uno dei momenti più drammatici della storia della Repubblica - all'alto incarico di Capo dello Stato.
Nel suo discorso di insediamento, che egli stesso definì un "atto di devozione al Parlamento", dichiarò apertamente il suo profondo amore per questa Istituzione, considerata "il legittimo, doveroso, unico destinatario del dialogo" con il Presidente della Repubblica.
Suonano, oggi, particolarmente attuali le parole pronunciate da Scalfaro nel discorso che concludeva il suo primo anno da Presidente della Repubblica, nel 1992: "Occorre che il peso fiscale sia equamente distribuito, ma soprattutto occorre che ogni sperpero venga eliminato, che ogni spesa sia riveduta e che chi froda il fisco sia trattato come chi tradisce il proprio Paese".
Il suo mandato al vertice delle Istituzioni repubblicane coincise con una stagione particolarmente travagliata della nostra storia recente, con il durissimo attacco sferrato dalla mafia allo Stato, attraverso una sanguinosa catena di stragi; una preoccupante crisi economica, che rischiò di allontanare l'Italia dall'integrazione monetaria europea; la trasformazione epocale del sistema politico, con i tradizionali soggetti politici scossi dalla questione morale e dalle inchieste giudiziarie, e la crescente pressione dell'opinione pubblica, che trovò espressione, fra l'altro, nel referendum elettorale del 1993.
La complessità della sua azione, in un contesto politico in rapidissimo mutamento, trovò il pieno riconoscimento del suo successore, il Presidente Ciampi, che definì Scalfaro, nel suo discorso d'insediamento, il "Presidente dei tempi difficili".
Divenuto senatore di diritto, in qualità di Presidente emerito della Repubblica, entrò a far parte della nostra Assemblea: da questi banchi proseguì il suo magistero istituzionale e morale, rivolgendosi in particolare alle giovani generazioni nella sua appassionata battaglia per la difesa della Costituzione ed in favore di un sempre più deciso avanzamento nel processo d'integrazione europea.
Nell'aprile 2006, al principio della quindicesima Legislatura, presiedette la nostra Assemblea come senatore più anziano: in quell'occasione richiamò la sua esperienza nell'Assemblea costituente, a pochi mesi dal sessantesimo anniversario dalla sua elezione, ed esortò tutti i parlamentari a proseguire nel "solenne impegno di servire con fedeltà e onore la nostra Repubblica".
Sono certo, colleghi, di esprimere i vostri sentimenti concordi nel rivolgere all'amatissima figlia Marianna il commosso saluto del Senato.
Siamo orgogliosi di aver condiviso la nostra condizione di rappresentanti del popolo italiano con chi, come Oscar Luigi Scalfaro, ha voluto fare del coraggio della verità la sua bandiera, vivendo e testimoniando "sino in fondo" la sua vocazione di cristiano, di politico, di uomo di Stato.
Facciamo nostra, allora, quella certezza che fu, in qualche modo, il filo rosso del suo rivolgersi agli italiani durante gli anni della sua presidenza: "L'Italia risorgerà".
L'Italia risorge ogni giorno nell'azione dei suoi uomini migliori.


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