Il Presidente: Discorsi

San Francesco: il più italiano dei Santi. La nazione tra identità e pluralismo interreligioso e interculturale

Intervento del Presidente Schifani presso la sala Zuccari

2 Ottobre 2012

Eccellenze, Autorità, Signore e Signori,

ancora una volta il Senato ha l'onore di ospitare un incontro celebrativo dedicato al Santo più amato, al patrono della nostra nazione, Francesco, "il più italiano dei santi ", come recita il titolo di questa iniziativa e come lo definì Pio XII il 18 giugno del 1939 proclamandolo Patrono d'Italia insieme a Santa Caterina da Siena.

San Francesco è uno dei padri fondatori d'Italia. Lo abbiamo ricordato l'anno passato, in occasione del 150° anniversario dell'unità.
La sua fede ci ha sempre profondamente commosso, perché è umanità, amore di Dio, per il prossimo e per la natura. La sua vita è stata senso della carità cristiana, umiltà, capacità di perdono.

Il suo percorso testimonia infatti un coraggio e una forza eccezionali, una fede vigorosa, una indiscutibile capacità di rompere gli schemi consueti e tradizionali della religiosità del tempo, e di oltrepassare la sua essenza di "uomo del Medioevo" e cercare Dio in modi moderni e innovatori.

San Francesco è l'antesignano del cittadino italiano nel senso più nobile del termine, per il grande senso di appartenenza alla Patria. Non a caso nel titolo del convegno egli viene definito "il più italiano dei Santi".
Ma è anche l'uomo che va in cerca degli altri esseri umani, soprattutto se appartengono a religioni e culture diverse dalla sua, perché li sente e li riconosce come fratelli e sorelle, porta a loro il messaggio di Cristo, condivide l'anelito alla speranza, alla fede nella vita eterna.

San Francesco si fece povero per divenire portatore di uno straordinario messaggio, al di fuori di ogni individualismo ed egoismo, per realizzare il bene comune, e - insieme - il rispetto della dignità di ogni persona.
Un concetto moderno, che oggi possiamo liberamente riassumere nelle parole "comunità", "nazione", "patria".

La povertà da lui testimoniata fu allora una lezione di moralità pubblica e indicò una strada ancora oggi da percorrere fino in fondo, quella lavorare con passione, slancio, fiducia, al di fuori di ogni logica di contrapposizione e rivalità personale, per una comunità fondata su più solidi valori.
Una comunità capace di operare nella prospettiva di una duratura stabilità di rapporti, in grado di vincere la sfida dei tempi.
Su questo si deve costruire e fondare un senso di appartenenza alla nazione, una nazione nella quale nessuna istanza o ispirazione può sentirsi straniera.

Rispetto della dignità umana significa, infatti, anche riconoscimento del valore di ciascun individuo, e di ogni realtà territoriale, associativa, comunitaria, quale risorsa preziosa per la crescita dell'intera collettività.
Domandarsi oggi dove porti il suo messaggio significa ancora una volta interrogarsi sulle ragioni della convivenza; sulla necessità quotidiana di coniugare il cambiamento con il richiamo ai valori irrinunciabili della dignità personale e - al tempo stesso - del vivere civile.

Francesco invoca il diritto del singolo a difendere il benessere comune e a costruirne il fondamento sul coinvolgimento di ciascun individuo.
Al contempo, il suo messaggio di coraggio e di obbedienza si incarna oggi nella necessità di partecipazione: nessuno può sentirsi escluso dall'offrire il proprio contributo, con l'orgoglio di farlo senza protagonismo e senza ricompensa.

La partecipazione come servizio. Un servizio utile e umile. L'umiltà come valore.
Povertà, ma anche amore. L'amore di Francesco per tutte le creature di Dio e per gli uomini, a partire dai reietti.
Sono messaggi universali, che dal XIII secolo fino ad oggi mantengono la propria carica rivoluzionaria, attraversando ed influenzando epoche e regni.
È un linguaggio che parla a tutte le culture e tutte le religioni. Un orizzonte valido per chiunque, anche per i non credenti, che si riconoscano nella costruzione di un ordine sociale e di un umanesimo civile fondato sulla cultura del rispetto.
Infatti, oltre al profilo "interno", il dialogo e l'aiuto che Francesco ci offre si rivolge all'esterno. Fuori dalla comunità come microcosmo e, perfino, fuori dalla religione cattolica.

Il dialogo, rappresentato storicamente e plasticamente dall'incontro di Francesco con il Sultano, assume oggi un rilievo assoluto, universale, inizio e fine di qualsiasi visualizzazione del prossimo futuro.
Senza il valore del dialogo, tra le religioni e i popoli si afferma la violenza. Una violenza che è sotto gli occhi di tutti e che ancora oggi insanguina l'umanità.

Tommaso da Spalato racconta il sermone che Francesco fece a Bologna su "gli angeli, gli uomini e i demoni" con il quale piegò a consigli di pace molte famiglie signorili fra le quali era esploso un odio irriducibile sfociato in un terribile spargimento di sangue.
Francesco era un illetterato e non lo nascondeva.
Ma seppe ugualmente portare pace con il suo modo di porsi e di vivere, con il suo essere semplice, umile e mite. Umiltà, mitezza, ma anche coraggio. Un coraggio naturalmente offerto dalla consapevolezza della forza del proprio messaggio.
Perché il messaggio di San Francesco non era e non è effimero.
È un modo di comunicare che sa ancora ascoltare il silenzio, che non punta mai il dito, ma che indica un percorso, nel tentativo di farsi carico delle inquietudini e delle angosce della vita quotidiana attraverso un dialogo aperto, senza confini.

Francesco è il più italiano dei santi perché ha saputo sempre parlare al nostro Paese con le parole giuste in ogni momento della sua storia.
Oggi, in particolare, e non è certo la prima volta, lo fa con un invito ad esercitare il potere con sobrietà, rettitudine morale e giustizia.
Sapeva che le vere rivoluzioni si compiono nei cuori e, fedele all'invito del Crocifisso di San Damiano, operò per riparare e mai per distruggere.
Obbediente alle Istituzioni del suo tempo, si adoperò con amore e costanza per la conversione degli uomini chiamati ad esercitare l'autorità.

Possano la testimonianza di Francesco e il suo insegnamento essere anche per noi, oggi, più di una speranza, per l'avvenire dell'Italia.
Un avvenire che si può e si deve costruire insieme.

Il mio auspicio è che la ricerca di dialogo e lo spirito di pace che anima il francescanesimo possano affermarsi come esempio positivo per le istituzioni e per l'intera società civile del nostro Paese, che orgogliosamente ha in Francesco il suo patrono.



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