Il Presidente: Discorsi

40° anniversario dello Statuto dei lavoratori

20 Maggio 2010

Onorevoli colleghi,
quarant'anni or sono si compiva con la promulgazione da parte del Capo dello Stato Giuseppe Saragat l'iter parlamentare della legge n. 300, a tutti nota sotto il nome di "Statuto dei lavoratori".
In una difficile stagione politica, segnata da aspri conflitti sociali, dai primi segnali del terrorismo e dal rallentamento della crescita economica, Governo e Parlamento seppero porre mano con decisione all'attuazione di una parte rilevante di quegli ambiziosi obiettivi di tutela del lavoro "in tutte le sue forme e realizzazioni" e di promozione dei diritti sociali e delle libertà sindacali, racchiusi nei Principi fondamentali e nel Titolo III della Costituzione.
Dal mondo del lavoro e dalle rappresentanze sindacali emergeva con forza l'esigenza di adeguare i rapporti produttivi ai valori costituzionali, considerando il lavoro non alla stregua di una merce da scambiare, ma quale strumento privilegiato per "lo sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese", secondo la disposizione dell'articolo 3 della nostra Costituzione.

La questione di una disciplina legislativa dei rapporti sindacali e dei diritti dei lavoratori all'interno delle aziende, dopo alcuni tentativi falliti nel corso delle precedenti Legislature, assunse un ruolo centrale nel programma concordato fra le forze politiche per sostenere la formazione del primo Governo Rumor.
Nel chiedere la fiducia al Parlamento, nel dicembre del 1968, il Presidente del Consiglio dichiarò che il Governo considerava prioritario l'impegno di definire, attraverso una legge, una compiuta tutela dei lavoratori all'interno delle aziende, in grado di assicurare "dignità, libertà e sicurezza nei luoghi di lavoro".
Alla responsabilità di Ministro del lavoro era stato chiamato l'esponente socialista Giacomo Brodolini, la cui figura si staglia nelle vicende che condussero all'approvazione dello Statuto con i tratti di un vero e proprio eroismo politico e civile.
Egli, consapevole di avere la sorte segnata da un gravissimo male, accettò egualmente l'incarico ministeriale in nome di questo obiettivo ambizioso, e dedicò alla sua realizzazione gli ultimi mesi della sua esistenza, consumando in esso ogni residua energia.

Gettate le basi della riforma in uno storico discorso tenuto nella città di Avola, Brodolini riuscì, dopo mesi di febbrile attività - della quale anche i suoi più stretti collaboratori ignorarono fino in fondo l'oscura, terribile ragione - a condurre a termine i lavori di redazione, compiuti da una Commissione presieduta da Gino Giugni. Vinte le ultime resistenze di settori delle forze politiche di maggioranza e delle parti sociali, egli portò lo Statuto all'approvazione del Consiglio dei Ministri ed alla conseguente presentazione del disegno di legge governativo presso il Senato.
Era il 20 giugno 1969. Giacomo Brodolini morirà a Zurigo venti giorni dopo, senza poter seguire l'iter parlamentare del disegno di legge, che sarà condotto all'approvazione delle due Camere dal suo successore Carlo Donat-Cattin.
Come affermò Francesco De Martino nel ricordare, venti anni dopo, la figura del suo compagno di partito, l'azione di Giacomo Brodolini e l'approvazione dello Statuto dei lavoratori costituiscono la più chiara dimostrazione che "se c'è una volontà politica, se vi sono degli uomini impegnati" che credono in ciò che vogliono realizzare, non è affatto vero che "il regime parlamentare sia lento e inefficiente".

L'approvazione delle Camere consentì, per la prima volta nel nostro Paese, l'entrata in vigore di un sistema normativo volto a tutelare la libertà e la dignità del lavoratore e la libertà sindacale nei luoghi di lavoro.
Tra le conquiste più significative, la legge ribadisce nel Titolo I, dedicato alla tutela della libertà e della dignità del lavoratore, il riconoscimento della libertà di manifestazione del pensiero anche all'interno dei luoghi di lavoro, introducendo il divieto per il datore di lavoro di indagare sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, in particolare nel momento dell'assunzione, quando è massima la debolezza della parte lavoratrice all'interno del rapporto.
I Titoli successivi del disegno di legge, nel disciplinare l'attività dei sindacati all'interno dei luoghi di lavoro, realizzano l'intento di aprire le porte delle aziende alla presenza stabile delle rappresentanze sociali, esercitando (come affermò in seguito Gino Giugni) una vera e propria "azione promozionale" del ruolo del sindacato, per incanalare il conflitto sociale all'interno di forme organizzate in grado di gestire e risolvere le vertenze tra datori e prestatori di lavoro.

L'approvazione dello Statuto dei lavoratori, e la sua successiva attuazione, costituiscono una delle più alte realizzazioni del riformismo politico del secolo scorso.
Sulla necessità di conservare e rendere più efficaci le conquiste dello Statuto, di fronte ad un assetto delle relazioni industriali e ad una composizione dello scenario produttivo e del mercato del lavoro in continua evoluzione, si sono misurati, nel corso dei decenni, alcuni fra i più acuti spiriti riformatori del nostro tempo.
Essi seppero condurre le forze politiche e le parti sociali lungo un difficile cammino di ponderate e sofferte riforme, che la mano assassina del terrorismo ha voluto, in più di un'occasione, macchiare di sangue, mostrando purtroppo, nel solco doloroso della sua azione delirante, la chiarezza criminale nell'identificare in queste persone e in queste dinamiche politiche e sociali il cuore della modernizzazione del nostro Paese.
Penso, in particolare, al grave attentato patito da Gino Giugni, colpevole agli occhi dei terroristi del contributo determinante reso al protocollo d'intesa del 1983 sulla scala mobile, nonché della sua costante opera di riflessione e proposta giuridica in materia di evoluzione del mercato del lavoro e di aggiornamento delle sue tutele.

Ma soprattutto penso all'assassinio di Massimo D'Antona, studioso attento dell'istituto della reintegrazione nel posto di lavoro e pioniere della modernizzazione del pubblico impiego, e di Marco Biagi, portatore del sogno interrotto di una società attiva, nella quale le esigenze produttive potessero finalmente convivere con la qualità della vita personale e familiare del lavoratore e, quindi, con quel pieno sviluppo della persona umana che la Costituzione pone tra gli obiettivi principali dell'azione dei pubblici poteri.
Penso a tanti altri sindacalisti, lavoratori, studiosi colpiti da questa violenza criminale, che l'unità delle forze politiche e sociali del Paese ha saputo sconfiggere.
Non è questa la sede per interrogarsi sull'attualità delle singole parti di cui si compone lo Statuto dei lavoratori, e sulla sua idoneità a perseguire - nel mondo di oggi - gli alti obiettivi di tutela e di sviluppo umano e sociale che si posero i suoi autori.

È certo indispensabile che le forze politiche e sociali si interroghino sui passi necessari per giungere, sulla scorta del pensiero di Marco Biagi, da uno Statuto dei lavoratori ad un Statuto dei "lavori", al fine di estendere la garanzia a tutte quelle forme di prestazione lavorativa sconosciute al Legislatore del 1970, ma divenute ormai preponderanti nell'attuale contesto produttivo, affinché sia assicurata una tutela piena del lavoro "in tutte le sue forme e realizzazioni", come impone la Costituzione.
Lo dobbiamo - come sottolinea il costante monito del Capo dello Stato - a tutti quei cittadini in preda alle diverse forme di precarietà del lavoro che, sotto i colpi della crisi economica, troppo spesso vivono in drammatiche precarietà esistenziali.
Essi si aspettano dalle Istituzioni di una Repubblica fondata sul lavoro una risposta decisa e forte almeno quanto quella data, quarant'anni fa, dai nostri predecessori, il cui ricordo è presente oggi in quest'Aula.



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