Il Presidente: Discorsi

Incontro con gli studenti della Scuola di giornalismo Radio Televisivo di Perugia

6 Novembre 2009

Presidente Cruciani, cari studenti,
ringrazio la Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia per l'invito rivoltomi, invito graditissimo.
Ringrazio gli uomini che la dirigono e che le danno linfa e sapienza e ringrazio voi allievi, che sarete linfa e sapienza del giornalismo di domani.
E' proprio così, caro presidente Cruciani, e la ringrazio per averlo detto: io sono un amico di questa scuola così come lo sono di chi come lei, come voi, esercita nella società una della professioni più complesse, una professione che non soltanto è un servizio, ma è anche strumento di democrazia e di crescita civile.
Prima di entrare nel merito di taluni argomenti e archiviata la sofferta soluzione del rinnovo del vostro contratto su cui ho voluto più volte far sentire la mia voce, desidero manifestarvi la condivisione dell'aspettativa sulla riforma dell'accesso alla professione.
Sebbene i principi che reggono ope legis la vostra attività siano saldi e irrinunciabili, condivido la necessità da voi espressa di aggiornare la materia.
E vi assicuro che quando la Presidenza del Senato sarà chiamata ad attivarsi sul disegno di legge relativo, vi sarà dedicata la massima attenzione.

L'esercizio di qualunque lavoro deve vedere corrispondere le norme che lo disciplinano con le esigenze della contemporaneità e dalla vostra legge del 1963 molto è mutato nella società italiana e nel mondo. Nessun dubbio, quindi, sulla utilità della riforma.
Ora permettetemi qualche riflessione.
E prendo spunto, carissimi giovani, dalle parole di saluto rivoltemi poco fa dal vostro presidente quando ha affermato: "chi vuole un giorno potrà schierarsi da una parte o dall'altra, questo attiene alle scelte personali".
Non trascurate questo concetto, non consideratelo ovvio.
Questa non sarebbe una scuola di libertà se queste parole rimanessero mera enunciazione, astratto proposito.
A nessun uomo, infatti, può essere limitata la visione delle cose, il pensiero. E l'uomo deve volerlo, deve coltivare questo obiettivo.
Pascal affermò che il pensiero è l'unica proprietà non espropriabile e, proprio per questo indiscutibile principio, ritengo che se ne debba enunciare un altro: accanto alla libertà di scelta è doverosa la sua evidenza.
Non perché la scelta di stare da una parte debba caratterizzare una notizia, sappiamo bene che sarebbe gravissimo, ma perché, invece, caratterizza il commento.
Un'opinione, anche se pregevole, e non deve essere confusa con un fatto.

Nell'attività giornalistica, accanto al racconto dei fatti con l'obiettivo di farli conoscere (è ciò che chiamiamo informazione) esiste il racconto delle idee, con l'intento di farle partecipare all'agorà delle riflessioni e per quanto possibile con l'intento di riuscire a farle condividere, metterle in comune.
E' ciò che chiamiamo comunicazione.
Comunicare è anch'esso un aspetto nobile della vostra professione, presuppone sapienza, senso di responsabilità, buona fede,equilibrio.
In Italia spesso i maestri di giornalismo sono stati e sono anche maestri della comunicazione delle idee. Questo è un patrimonio nazionale di cui andare orgogliosi.
Informazione e comunicazione dunque, la prima con l'unica militanza della verità; la seconda con l'unica militanza della buona fede.
In nome di queste due bandiere, alcuni uomini e donne hanno scelto di guardare in faccia anche realtà terribili e raccontarle; hanno scelto di essere giornalisti di frontiera, fino in fondo. E tra questi, alcuni hanno perso la vita.
Chi ha raccontato le mafie, chi ha raccontato le guerre. Non gli saremo mai grati abbastanza. Uomini normali, che non hanno scelto di morire.

Ma la verità è una parola a volte violenta e di ciò sono stati consapevoli, così come lo sono altri, più fortunati di loro, che ogni giorno, in buona fede, in radio, in televisione o sui giornali raccontano la verità.
Il mio rapporto con il mondo del giornalismo, sia radiotelevisivo che della carta stampata è iniziato con la mia attività politica, nel 1996.
Ma è divenuto vera "convivenza" quando sono stato eletto capogruppo di Forza Italia al Senato.
E si è trasformato nuovamente, proprio come è cambiato il mio ruolo di oggi, super partes.
Ho parlato di convivenza e non ritengo di avere espresso un paradosso; da tempo, ormai, la politica e i mass-media si muovono su binari paralleli e questa fenomenologia è veramente assai complessa.
La politica si esprime soprattutto per mezzo della parola, filtrata dal tempo di meditazione delle risposte e "gridata", a volte smisuratamente, da un titolo.
Quello dei titoli sui giornali è un problema che i direttori dei giornali e i cronisti affrontano ogni giorno. Il titolo è l'uncino che mira ad agganciare l'attenzione e quindi la lettura.
Non sempre il titolo è "laico", proprio perché, per nascita, è mirato alla "chiamata" del lettore. Non c'è da stupirsene, ma è anche dalla capacità di coniugare "chiamata del lettore" e "verità di sintesi" che si misura l'importanza di un giornale, importanza che nasce anche dalla sua affidabilità.

Io ho convissuto con le interviste, con i servizi di politica, con i titoli.
Ho soprattutto convissuto e continuo a farlo con i giornalisti.
Il cronista è un compagno di viaggio del politico, con cui condivide molti aspetti della giornata: vere vite parallele.
Questa comunione talvolta inverte i ruoli. Talvolta l'iniziativa politica viene suscitata, generata da una iniziativa giornalistica. E nessuno può negare quanto la politica talvolta moduli la propria attività in base alle aspettative create dai mass-media.
Non vi sembri negativo, solo raramente lo è. Infatti giornali e telegiornali spesso fungono da voce della base, dei cittadini e quindi vediamo bene quanto la loro funzione maieutica sia preziosa per la qualità della democrazia.
Certo, la democrazia necessita di strumenti di garanzia. Su tutti svetta il pluralismo dell'informazione che è certezza di trasparenza, che è rispetto delle varie sensibilità dei cittadini, delle loro idee, delle loro culture.
Il pluralismo, non soltanto formale, non soltanto numerico, ma soprattutto di sostanza e cioè di reale rappresentatività delle diversità, è un valore sacro quanto e come un principio e per tutelarlo dobbiamo ritenerci tutti veramente militanti.
E' doveroso vigilare ogni giorno affinché non si sottragga a chi ascolta la risorsa di una informazione completa e esauriente.

Pluralismo significa garanzia di spazi per tutte le opinioni; ma vuole dire anche che ciascuno dovrà potere esprimere il proprio punto di vista senza pretendere che gli si riconosca l'infallibilità.
Pluralismo significa che nello stesso contesto sia data la possibilità di espressione alla pluralità delle voci in modo che nella stessa realtà tutte le posizioni abbiano uno spazio equilibrato e proporzionale.
Non sempre ciò avviene e penso ad episodi anche recenti di talk show politici.
Trasmissioni attraverso le quali vengono imbastiti processi a senso unico con evidente faziosità e manipolazione della verità, non rendono un buon servizio all'etica del giornalismo.
Etica che deve sempre coniugare dovere di cronaca ma anche equilibrio e imparzialità.
Vero è che a volte il Garante per la comunicazione interviene e sanziona, ma ciò non basta a ripristinare la verità violata, perché a volte possono essere interventi non immediati e, in quanto tali, non riparatori di una dignità calpestata.
Sul fronte del giornalismo politico, specialmente radiotelevisivo e in particolare di taluni salotti di discussione, constatiamo purtroppo che non sempre il pluralismo è rispettato con rigore.
Questa vostra bellissima professione, vi chiede di scegliere se essere turisti della verità o viaggiatori della verità. Il turista sa tutto del suo viaggio, quando partire, dove andare giorno dopo giorno, che cosa troverà. Il viaggiatore no, sa soltanto quando partire e quale territorio dovrà raggiungere. Non sa a cosa andrà incontro, quale risultato di esperienza e di conoscenza porterà a casa.

E voi giornalisti credo che non possiate che iscrivervi a questa categoria di professionisti: non turisti, ma viaggiatori della verità.
Una verità non predeterminata come è la meta per il turista, ma un traguardo che sia il frutto di una libera attività di conoscenza, di analisi e di ricerca della notizia.
Qualche considerazione su un tema quanto mai attuale.
Riservatezza e informazione sono una coppia inseparabile e inscindibile.
Possiamo dargli altri nomi, possiamo definirli dignità della persona e diritto di cronaca.
Comunque, costituiscono il bilanciamento tra vitalità e rispetto dei diritti costituzionali e valori socialmente rilevanti.
Sappiamo che l'utilità dell'informazione è commisurata sia all'interesse collettivo che alla verità dei fatti che racconta, ed anche alla corretta diffusione degli eventi.
Ma il dovere di verità richiede da una parte l'accertamento scrupoloso della realtà, e dall'altra l'esposizione e la valutazione dei fatti, senza eccessi e insinuazioni.
Il ruolo della stampa come strumento essenziale di libertà viene esaltato dalla libertà di informazione e di critica, con l'unico limite costituito dal rispetto dei valori della buona fede e della lealtà.
E' un cardine del sistema democratico garantito dalla Costituzione.

Quindi è indispensabile non soltanto essere, ma anche apparire corretti nell'osservanza di questi doveri.
Dare testimonianza di questa correttezza.
E le regole deontologiche, il loro rispetto, sono il cardine di garanzia dell'autonomia della professione oltre che scudo per eventuali attacchi.
Le regole della vostra deontologia garantiscono il diritto di ogni cittadino ad un'informazione corretta, completa, obiettiva, imparziale, equilibrata. Rendono il ruolo della stampa strumento essenziale di libertà.
Certo, la ricerca spasmodica di suscitare l'interesse del lettore, mette a rischio i principi deontologici; ecco perché è doveroso, nel dare una notizia, bandire affermazioni che interferiscano sull'equilibrio tra tutela dell'individuo e libertà di informare in nome dell'interesse della collettività.
In questo ambito deve collocarsi il dibattito sulle intercettazioni. Come ricorderete ho desiderato un più ampio tempo di analisi del problema, ciò al fine di accrescere gli elementi di riflessione e quindi la disponibilità al dialogo.
Permangono due questioni di grande rilievo: il rapporto tra informazione e cittadini e la garanzia del rispetto del diritto alla riservatezza.
La democrazia indica quali unici limiti quelli della libertà autoregolata, i limiti che preservano la libertà degli altri.
E legiferare su questi temi fondamentali come la libertà di parola e di informazione richiede una decisione ampiamente condivisa.

Ecco perché da tempo sollecito tutte le forze politiche a un'intesa tra maggioranza e opposizione sui limiti alla pubblicazione delle intercettazioni.
E le differenze che intercorrono tra gli schieramenti politici non sembrano certo incolmabili.
Ribadisco, quindi, l'auspicio alla disponibilità ad ascoltare e a parlarsi ricercando l'intesa, tra maggioranza e opposizione.
L'ipotesi di legge sulle intercettazioni mira in primo luogo e doverosamente a tutelare i cittadini e parimenti non dovrà sacrificare e ledere il diritto a un'informazione corretta, completa, senza preconcetti e timori.
Ritengo importante e assolutamente necessario che, in ossequio al principio della tutela della privacy, sia vietata la pubblicazione di fatti anche personali ininfluenti e funzionalmente non utili al processo.
Occorre, infatti, evitare un'indiscriminata pubblicazione delle conversazioni intercettate che creano gravi e ingiusti danni alla vita privata di ciascuno.
Non posso non parlare della libertà di stampa che è un bene prezioso e irrinunciabile, da preservare e garantire sempre, perché architrave di ogni vera democrazia.
Criticare e dissentire è una fondamentale garanzia di libertà che nella nostra Repubblica c'è sempre stata e sarà sempre conservata, nel solco del dettato costituzionale.

Viviamo in un Paese libero e proprio per questo possiamo serenamente sostenere che in Italia c'è completa libertà di stampa.
E' tuttavia evidente che ciascuno deve fare buon uso di questo diritto, evitando le offese che mortificano l'individuo nella sua dignità e onorabilità.
E lo deve fare anche non indugiando su circostanze della vita privata, con atteggiamenti persistenti, denigratori ed eccessivi.
Da tempo sostengo con convinzione questo principio, ritenendo che il diritto alla privacy di qualunque cittadino, sia privato che pubblico, costituisca un valore fondamentale ed inviolabile dell'architettura della nostra democrazia.
La deontologia professionale deve tenere sempre presente il rispetto della persona e dell'etica.
Deve sapere valutare anche il rischio di creare con l'informazione una sofferenza oltre ogni umana sopportazione.
La pubblicazione e lo stillicidio di curiosità particolari, non essenziali alla notizia, che si protraggono per lungo tempo, non giovano alla sana informazione.
Questo vale per i soggetti pubblici, e a maggiore ragione per i comuni cittadini e per chi, dopo avere rivestito cariche pubbliche, ha scelto di lasciarle per potere tornare all'anonimato.
Il diritto di informazione, l'obbligo di informazione trova il giusto limite nel dovere di sapere fermarsi: c'è e ci deve essere una moratoria di sobrietà e di pudore.

Anche l'opinione pubblica è orientata in tale senso; lo dimostra lo strepitoso e inaspettato successo di pubblico e di ascolto dello sceneggiato sul libro di Collodi, preferito ad un talk show che scruta con eccessiva curiosità la sfera intima di alcune persone.
Questa non è limitazione del diritto di informazione, è rispetto della vita dell'uomo, significa riempire di contenuti la parola "etica".
Desidero ora, nel congedarmi da voi, rileggere un passaggio del discorso che Giovanni Paolo II tenne in occasione del Giubileo dei giornalisti. E' un passaggio laico, anche se sono le parole di un Papa.
Il Santo Padre così dichiarava: "Con la sua vastissima e diretta influenza sulla pubblica opinione, il giornalismo non può essere guidato solo dalle forze economiche, dai profitti e dagli interessi di parte.
Deve essere invece sentito come un compito in certo senso "sacro", svolto nella consapevolezza che i potenti mezzi di comunicazione vi vengono affidati per il bene di tutti, e in particolare per il bene delle fasce più deboli della società: dai
bambini ai poveri, dai malati alle persone emarginate e discriminate.
Non si può scrivere o trasmettere solo in funzione del grado di ascolto, a discapito di servizi veramente formativi.
Non si può nemmeno fare appello indiscriminato al diritto di informazione, senza tener conto di altri diritti della persona.
Nessuna libertà, inclusa la libertà di espressione, è assoluta: essa trova infatti, il suo limite nel dovere di rispettare la dignità e la legittima libertà degli altri.
Nessuna cosa, per quanto affascinante, può essere scritta, realizzata e trasmessa a danno della verità: penso qui non solo alla verità dei fatti che voi riportate, ma anche alla "verità dell'uomo", alla dignità della persona umana in tutte le sue dimensioni".
Sono parole che non richiedono alcun commento e che lascio alla vostra riflessione.
Vi auguro di completare al meglio i vostri studi e di realizzare il vostro domani facendo tesoro degli insegnamenti che in questa prestigiosa scuola vi vengono dati.
Grazie ancora perché mi considerate vostro amico.
Lo sono e continuerò ad esserlo.
Buon lavoro.




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