Il Presidente: Discorsi

"La memoria e l'immagine: 16 ottobre 1943 cosi vicino cosi lontano"

Intervento del Presidente del Senato Renato Schifani in Sala Zuccari

11 Ottobre 2011

Autorità, Signore e Signori, cari amici,
Anche quest'anno ho voluto aderire alla richiesta della Senatrice Amati, che saluto insieme agli altri relatori Giacomo Moscati, Nicola Zingaretti e Adachiara Zevi.
"La memoria e l'immagine" che il Senato organizza insieme all'Osservatorio della fotografia della Provincia di Roma, si svolge oggi alla presenza di una rappresentanza della Comunità ebraica, di giovani, di professori e dirigenti scolastici delle scuole di Roma e Provincia.
La commovente esposizione fotografica relativa alla messa in opera delle Pietre d'inciampo dell'artista tedesco Gunter Demnig tocca il cuore di ciascuno di noi.

Dolorosamente scolpito è - così come sulle pietre - il ricordo di quella drammatica giornata, quel 16 ottobre 1943, in cui più di 1000 ebrei romani furono portati via dalle loro case e avviati alla deportazione forzata. Solo 15 uomini e una donna fecero ritorno.
Voglio salutare Pietro Terracina e Alberta Levi Temin, che sono qui oggi, così come lo erano lo scorso anno. Un uomo e una donna che sono riusciti a sopravvivere - l'uno nel lager di Auschwitz, l'altra, come narra ella stessa, sfuggendo miracolosamente alla deportazione - e a rendere con la loro presenza una testimonianza concreta e imperitura di quell'orrore, di quei tragici giorni.
La memoria e l'immagine, sono fondamentali per perpetuare il ricordo di ciò che è stato ed evitare che si ripeta. Legate indissolubilmente, sono inscindibili l'una dall'altra.

Ricordare, infatti, non vuole significare solamente conservare la memoria; ricordare è anche non nascondere la verità, non fare finta di non capire, di non sapere, di non sentire.
Importante, in questo senso, è l'intuizione di Gunter Demnig, che ha voluto iniziare un percorso di consapevolezza proprio partendo da una immagine volutamente simbolica anche nella dicitura: quella, appunto, di "pietre di inciampo".
Mi ha colpito che questa idea sia nata nella mente dell'artista in seguito ad un episodio a cui egli stesso aveva assistito, e cioè l'ennesimo tentativo di rimuovere, di negare la tragedia della deportazione che vide protagonisti dell'immane tragedia ebrei, oppositori politici, zingari, militari, omosessuali, rom.

E' nata così l'iniziativa dell'artista, che diviene ricordo ma anche monito, affinché nessuno neghi di sapere.
Più di 22.000 pietre sono state installate in molti Paesi europei in cui agì la barbarie nazista deportando degli innocenti inermi. In Italia le prime 30 "pietre di inciampo" sono state messe all'inizio del 2010. Queste piccole targhette di ottone su un "sanpietrino", che portano incisi nomi dei deportati, date di nascita e morte, luogo di deportazione, sono state collocate di fronte alle case di quanti furono brutalmente strappati ai loro luoghi di vita, alla stessa vita.
Un simbolo forte che invita alla riflessione. La partecipazione attiva di tanti giovani delle scuole romane che hanno fotografato le "pietre di inciampo", ci conforta, perché è conferma che i nostri ragazzi comprendono e sanno, vedono e imparano, e soprattutto hanno il coraggio di ricordare a sé stessi e al mondo intero che simili tragedie non devono mai più accadere.

Purtroppo diverse forme anche se ambigue e mascherate di razzismo e antisemitismo sono ancora presenti - seppur in ambiti specifici - nel nostro tempo e nelle nostre evolute società. L'antipatia per "la diversità", l'odio razziale, la xenofobia avvelenano l'aria e turbano le coscienze, determinando a volte episodi di violenza inaccettabile.

Occorre pertanto conoscere la storia, conoscere il passato, senza il quale non esiste né presente né futuro.
Quando alcune pietre messe due anni fa davanti alla casa di Piero Terracina sono state sporcate di vernice nera, gli studenti dell'Istituto Rossellini hanno detto ai loro professori : " Avete visto, hanno sporcato le nostre pietre?": una giusta appropriazione della memoria e una dimostrazione di volontà di difenderla.
Le pietre di inciampo siamo noi stessi se abbiamo il coraggio di vivere ogni giorno la verità profonda di un'umanità aperta alla giustizia, alla responsabilità, alla solidarietà, alla fratellanza.

Voglio rendere omaggio ad una illustre esponente della comunità ebraica di Roma e una grande italiana, Tullia Zevi, recentemente scomparsa, la cui figlia Adachiara è oggi qui ed ha promosso il progetto delle "pietre di inciampo" in Italia.
Tullia Zevi è stata una donna straordinaria, capace di attraversare con coraggio, dignità, fermezza le vicissitudini degli anni della guerra e di dare grande prova di sé negli anni difficili del dopo guerra.
Nata nel 1919 a Milano da una famiglia della buona borghesia ebraica, aveva studiato Filosofia all'Università di Milano ma era stata costretta a trasferirsi all'estero con la sua famiglia, quando furono promulgate le leggi razziali. Visse dunque in Francia prima e negli Stati Uniti poi. A New York iniziò la sua professione, quella di giornalista, proprio in nome della volontà di "vedere e raccontare agli altri".
Per più di trent'anni ella lavorò come corrispondente del giornale israeliano Maariv, e fu prima Vice Presidente poi Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche. Nel 1992 l'allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro le conferì il titolo di Cavaliere di Gran Croce e nel 1994 ricevette il Premio Nazionale Cultura della Pace. Scrisse poi nel 2007 "Ti racconto la mia storia. Dialogo fra nonna e nipote sull'ebraismo" insieme appunto alla nipote.

"Bisogna ricordare che insieme ai sei milioni di ebrei, sono morti anche centinaia di migliaia di zingari, di omosessuali, di intellettuali e di oppositori politici del regime nazista, sia religiosi sia laici. Ci si deve rendere conto di cosa rappresenta la presa di potere di un regime dittatoriale, e si deve arrivare a conservare questa democrazia che con tanta fatica abbiamo riconquistato": questa una significativa frase contenuta nella biografia.

A noi tutti, a voi giovani soprattutto, il compito di perpetuare la memoria con i fatti, allontanando gli spettri di un passato che è stato fonte di sofferenza e di dolore con l'impegno solenne di operare concretamente per un futuro fondato sulla pace, sulla convivenza, sull'accettazione di ogni diversità di credo, di ideali, di razza, per una vera convivenza democratica.



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