Il Presidente: Discorsi

Convegno "La crisi, l'Italia e come prepararsi a ripartire"

12 Giugno 2009

Autorità, Signore e Signori,
ringrazio la presidente Federica Guidi e tutti i giovani imprenditori di Confindustria per l'invito.
Oggi voi che rappresentate la speranza del mondo produttivo avete deciso di guardare al "dopo la crisi", con lo "sguardo lungo" che deve sempre caratterizzare il bravo capitano d'impresa.
Proprio voi giovani imprenditori avete saputo spesso esporre, con lucidità ed altrettanta determinazione, tesi sempre interessanti.
Già nel corso del seminario del 2001 il vostro presidente di allora segnalò che la ragione etica è alla base del richiamo ad un sistema di regole globali.

Un'etica che, come sottolineava Luigi Einaudi, "è fondamentale al capitalismo, per far sì che esso non dia luogo ad una consorteria di pochi, ma si traduca in un effettivo motore di crescita e di miglioramento della qualità della vita per tutti".
Quelle considerazioni sono di straordinaria attualità.
Rispetto al secolo scorso, nel futuro prossimo dovremo tutti interpretare una realtà molto più complessa, variabile e multipolare.
Altrettanto certo è che nel mondo del "dopo la crisi" sarebbe deleterio per l'Italia affidarsi al protezionismo.
La comunità economica ha da sempre fondato le proprie fortune sull'apertura all'estero e deve continuare a farlo, come anche voi avete fermamente ribadito il 24 aprile scorso.

Occorre recuperare e insieme rilanciare un "modello europeo" di capitalismo sobrio, prudente, consapevole e sociale.
L'attenzione deve essere rivolta non solo ai temi del nostro Paese, ma anche al nuovo Parlamento di Strasburgo.
Perché l'Europa ha una funzione strategica non soltanto per le direttive europee che guidano il percorso di molte nostre leggi, ma perché ha assunto nel tempo una funzione sempre più rilevante.
A sua volta l'Europa non dovrà chiudersi nel conservatorismo ma aprirsi verso gli altri Paesi del mondo; così soltanto potrà acquisire maggiore forza sulla scena mondiale.
La crisi non porterà infatti indietro le lancette dell'orologio della globalizzazione.

Oggi sono più chiari i contorni quantitativi della crisi.
Viviamo una fase storica nella quale gli eventi si susseguono con ritmo incalzante e anche la ricerca di possibili soluzioni si rivela complessa, non essendo facile anche ad occhi esperti definire il quadro dei fattori in gioco e i relativi nessi di causalità.
Concordo pertanto con l'invito di Confindustria a "non abbassare la guardia".
La crisi non ha fatto altro che certificare che gli equilibri politici-economici del mondo stanno mutando più velocemente di quanto facciano le sedi e gli strumenti del coordinamento internazionale.

Su questo piano va riconosciuta la rilevanza della svolta nel metodo di contrasto adottato il 12 ottobre dello scorso anno, a Parigi, quando i governi e la politica "scesero in campo" per la ricerca di soluzioni e stabilirono di ricorrere all'intervento pubblico a sostegno del sistema finanziario.
La politica, una volta tanto, non è in ritardo.
In Italia, cominciano a manifestarsi i primi segnali di miglioramento.
In Italia la produzione industriale ad aprile ha fatto registrare un aumento dell'1,1% rispetto al mese precedente.
Dobbiamo però trovare una nuova missione per l'Italia nel mondo.
E' proprio in frangenti come questi che occorre programmare azioni e comportamenti in vista del "dopo la crisi", con strategie il più possibile mirate che escludano una logica di interventi contingenti ed emergenziali.
Vanno individuate linee di azione che siano il più possibile efficaci per il perseguimento dell'interesse del sistema-Paese, che tuttavia tengano conto delle disponibilità ridotte delle risorse pubbliche e della necessità di non aumentare la già elevata pressione fiscale.

Non possiamo e non dobbiamo riversare ulteriore debito pubblico sulle spalle delle future generazioni.
I governi di molti Paesi occidentali emetteranno infatti a breve elevati volumi di titoli pubblici, con crescenti pressioni sui mercati.
Più in prospettiva, un'Italia che invecchia porrà poi inesorabilmente a carico di una più ristretta platea di giovani in età di lavoro il crescente carico pensionistico delle generazioni più anziane.
L'innalzamento dell'età pensionabile in relazione all'allungamento della vita appare improcrastinabile per creare un giusto rapporto tra pensioni e costo della vita, ma ciò deve avvenire con l'accordo di tutte le parti.
Cosa fare dopo la crisi significa indagare le cause della lenta crescita italiana.
In Italia, come in altri paesi dell'occidente, l'antica ed esile struttura dello Stato liberale si è trasformata nei decenni in Stato sociale e poi in Stato assistenziale.

Il più delle volte ciò ha avuto conseguenze negative in termini di eccessiva espansione delle burocrazie pubbliche e di crescenti difficoltà per il sistema produttivo.
Pure in questo quadro difficile, tutti i dati confermano che il nostro Paese è riuscito negli anni ad adattarsi alle trasformazioni e ai mutamenti dell'economia internazionale; ha difeso la sua posizione competitiva, nonostante la crescita economica e demografica di paesi come Brasile, Russia, India, Cina.
Tutto ciò, però, in vista del "dopo", non basta più.
Le economie emergenti stanno infatti velocemente riducendo le differenze di cultura e di saperi tecnico-scientifici che le separavano dai paesi sviluppati dell'occidente.
E' necessario intensificare gli sforzi in sede comunitaria ed internazionali a tutela dei nostri marchi d'origine spesso imitati, copiati, contraffatti.
Occorre porre rimedio al basso livello di crescita della produttività totale e al problema strutturale di competitività del sistema produttivo nel suo complesso.

A frenare l'economia italiana sono infatti essenzialmente quattro fattori già evidenziati dalla Fondazione Edison: debito pubblico, divario Nord-Sud, deficit energetico e infrastrutturale, differenziale fiscale rispetto agli altri paesi. Inoltre la dimensione d'impresa in Italia è eccessivamente piccola.
A quelle "quattro D" io ne aggiungerei poi un'altra: si chiama Donne.
L'Italia è il Paese europeo con la percentuale più bassa di donne che lavorano: 47,2% rispetto alla media dell'UE del 59,1%.
La crisi certo ha spostato l'attenzione politica su altri problemi che all'apparenza sembrano più urgenti.
Eppure in questo settore basterebbero, per iniziare, pochi interventi; mi riferisco a nuove regole di organizzazione del lavoro, dei periodi e degli orari negli uffici pubblici, degli asili, delle scuole.
Anche la presenza femminile ai vertici delle aziende e della pubblica amministrazione è ridotta e questo fattore frena la nostra crescita.

Voi potreste essere ritenuti esenti da questo difetto avendo aumentato di recente la quota di "imprese rosa" ed avendo scelto due valentissime capitane d'azienda, Emma Marcegaglia e Federica Guidi, per dirigere la confederazione e i giovani imprenditori.
Occorre, poi, porre rimedio ai fattori di ritardo strutturale, con politiche di lungo respiro.
Nel vostro lavoro quotidiano questi ritardi vengono in parte contrastati dalla maggiore qualità dei beni prodotti dalle imprese italiane e dal potere di mercato che ne consegue.
Ne beneficia di conseguenza l'immagine il messaggio del made in Italy nel mondo.
Bisogna valorizzare i punti di forza dell'economia nazionale che consentono di guardare al futuro con un certo grado di ragionevole ottimismo.
Le imprese manifatturiere italiane hanno mostrato negli anni la capacità di reagire con energia e talento alle difficoltà.

Il nostro Paese continua ad evidenziare eccellenze in quei settori influenzati dal gusto del made in Italy, nonché, nei comparti di "nicchia", che da sempre hanno contraddistinto anche l'agricoltura e il terziario.
Ciò si spiega essenzialmente per via di quel patrimonio, unico al mondo di risorse ambientali e culturali che il Paese possiede: una ricchezza di intelligenza e di saperi che è la principale virtù e il "vero capitale" della nostra gente.
Su questa matrice fondamentale e forza dell'economia italiana, occorre puntare, con investimenti mirati e, soprattutto, consistenti, per continuare a misurarsi con scambi e traffici con altre aree del pianeta.
In molte parti d'Italia ho già incontrato numerose eccellenze produttive che non si rassegnano alla retorica del declino.
Sono aziende che guardano ai tempi lunghi, per le quali il nostro famoso "capitalismo familiare" è diventato un antidoto alla eccessiva attenzione ai risultati di breve termine.

L'immagine del nostro Paese nel mondo rimane saldamente associata al nostro stile di vita che è un vero o proprio "marchio di fabbrica".
Per ripartire occorre allora puntare sui nostri punti di forza: migliori strategie per consolidare la posizione competitiva del Paese sia nei settori tradizionali che nei nuovi mercati.
I nuovi motori di crescita devono essere l'innovazione tecnologica, il rilancio delle politiche infrastrutturali, la rinascita del nucleare e i prodotti per l'energia e l'ambiente; è utile una maggiore integrazione nell'economia mondiale dei Paesi emergenti.
Ed ancora le banche devono assumersi la propria responsabilità sostenendo le imprese che, a seguito della crisi, hanno dovuto ridurre i costi.
E' un loro preciso dovere.
Abbiamo assistito ad una contrazione dei prestiti alle PMI con meno di venti dipendenti; mi auguro che le banche possano ridare fiducia alle imprese meritevoli.

Per ripartire occorre puntare sulle PMI e su quelle giovani in particolare. Sono queste le realtà che negli ultimi anni hanno saputo rispondere alle sfide dei tempi, con il maggior grado di flessibilità e di adattamento.
Ma per farlo è necessario un impegno speciale dello Stato che non sia di corto respiro.
Giustamente ed orgogliosamente voi, proprio per questo, chiedete in primo luogo qualcosa di diverso: riduzione del carico fiscale che è tra i più elevati, semplificazione delle procedure, meritocrazia ed efficienza nella Pubblica Amministrazione per fare sì che la sua azione, quantomeno, non ostacoli le attività economiche.
Non sono più tollerabili tempi lunghi di pagamento dei crediti delle imprese da parte della Pubblica Amministrazione che generano l'inevitabile ricorso delle aziende al credito.
E' necessario allora che anche i pubblici poteri acquisiscano consapevolezza dell'obbligo di supportare al meglio il tessuto delle imprese. La loro azione, da fattore di debolezza, deve divenire fattore di forza.
Il Paese necessita infatti di una profonda azione di semplificazione, chiede efficienza ed efficacia dell'apparato pubblico, fa appello affinché si recuperi il merito dei problemi e si abbandoni l'ossessiva ricerca del formalismo ad ogni costo.
Per uscire dalla crisi, sarà pertanto di fondamentale importanza anche il sostegno alla formazione professionale e all'aggiornamento continuo delle imprese, in modo da consentire, alle giovani generazioni, di divenire imprenditrici di sé stesse, e dare continuità alle tradizioni produttive familiari, nel senso dell'innovazione.

In questi mesi, anche grazie al vostro stimolo, il Governo nazionale ha messo in campo una serie di strumenti che hanno contribuito decisamente a contrastare la fase negativa.
Mi riferisco all'aumento del fondo di garanzia per le PMI a 1,6 miliardi di euro.
Lo Stato sta intervenendo con l'accelerazione dei rimborsi dei crediti vantati nei confronti della PA; è intervenuto con gli incentivi per le rottamazioni di auto, mobili ed elettrodomestici, con l'aumento della soglia di compensazione di debiti e crediti con l'erario ad un milione di euro, con le agevolazioni alle concentrazioni di aziende, con 8 miliardi per la cassa integrazione guadagni.
E' stato dato sostegno ai lavoratori con ammortizzatori sociali che, se del caso, verranno aumentati, sono stati introdotti la carta acquisti per le famiglie numerose, il bonus luce e gas.
Nel settore della pubblica amministrazione, la legge n. 15 del 2009, la cosiddetta "legge Brunetta", si ripromette di raggiungere risultati di efficienza e meritocrazia.
Tutti ricordiamo il fermo invito di Confindustria a mettere in campo "soldi veri" per fronteggiare l'emergenza del credito e l'aumento della cassa integrazione.

Ma si può poi fare di più anche senza grandi sforzi finanziari da parte dell'erario. Molti strumenti dedicati alle piccole e medie imprese sono già pronti, occorre solo accelerarli e renderli operativi: mi riferisco all'azione della SACE come pure della cassa depositi e prestiti.
Saluto pertanto con soddisfazione la costituzione del gruppo di lavoro congiunto Bei-Abi-Confindustria.
Questo Accordo permetterà alle imprese italiane di poter accedere, con più facilità agli strumenti finanziari di cui la Banca europea investimenti dispone.
Il mio invito è pertanto quello di assumere un atteggiamento propositivo per cogliere quelle opportunità di cambiamento che la crisi nasconde, una nuova sinergia tra governo centrale e regioni per poter meglio individuare i punti strategici coordinati nel grande sviluppo del mezzogiorno e garantire la effettiva qualità della spesa.
Ciò è necessario soprattutto nel nuovo contesto del federalismo fiscale, una riforma che chiama lo Stato e gli enti territoriali a compiti nuovi e più complessi; che si ripromette di aumentare autonomia e responsabilità degli enti territoriali, pure nella salvaguardia delle aree meno fortunate del Paese.

Rinnovo pertanto al Governo e alle Regioni del Mezzogiorno l'appello già rivolto di recente a cooperare per la definizione di un concreto e responsabile Piano per il Mezzogiorno.
Colmare la distanza tra Nord e Sud è un impegno comune di tutte le forze politiche perché se il Sud si risolleva, se ne avvantaggia l'intera economia italiana.
Il Sud è l'area dove sono concentrate le maggiori risorse di manodopera e di voglia di riscatto non utilizzate.
Esso sta reagendo anche all'assedio costante della criminalità.
Poche settimane fa ho attaccato un messaggio sull'albero in ricordo di Falcone nel quale è scritto che la mafia è il male assoluto che schiaccia ogni forma di liberta.
Ma le forze dell'ordine, la magistratura e gli stessi siciliani la stanno sconfiggendo.
Occorre allora andare sempre avanti con coraggio e con fiducia. Il miglioramento dei meccanismi legislativi intesi a sottratte ai mafiosi le illecite ricchezze rimane pertanto una effettiva priorità per lo Stato.

Le dure cifre sulla disoccupazione e la distribuzione delle attività economiche sul territorio ci testimoniano ogni giorno la necessità di porre mano alle grandi riforme.
Sono sicuro che il vostro importante appello sia stato recepito dal governo come pure, però, dalle parti sociali e da tutte le forze politiche, nessuna esclusa.
Poiché l'Italia ha una crescita inferiore rispetto ai partners europei, le riforme sono divenute necessarie ed urgenti proprio per colmare questo divario e per evitare le conseguenze della crisi sui lavoratori.
Mi riferisco alle pensioni, agli ammortizzatori sociali, alla liberalizzazione dei servizi ed ancora alla giustizia, all'Università, all'eliminazione di tutti gli enti inutili.
Le Università in questo processo di innovazione devono acquisire un ruolo fondamentale per la formazione e la ricerca, puntando sulla qualità e sulla meritocrazia.
Occorre reperire fondi per la ricerca sia da parte del pubblico che del privato.
Tutti siamo chiamati a collaborare a questo obiettivo con grande coesione sociale per evitare conseguenze negative sulla vita dei lavoratori e delle imprese.

Il Governo valuterà ovviamente tempi e modi delle riforme che sono diversi da quelli dell'impresa.
Per questo motivo auspico sinceramente che si possa riprendere a breve, nella distinzione dei reciproci ruoli, un vero e proprio clima di collaborazione.
Lo intravedo nei lavori sulla riforma della contabilità pubblica che sarà in Aula la prossima settimana.
Sempre in Senato, in Commissione lavoro, si sta esaminando un testo unificato sul tema della partecipazione dei lavoratori nell'impresa.
In proposito ho salutato con particolare interesse la proposta della Presidente Marcegaglia di una democrazia economica all'interno delle aziende con la partecipazione dei lavoratori non solo alle attività produttive, ma anche agli utili, alle decisioni, agli indirizzi delle aziende ed al loro controllo.
E proprio sul tema dei lavoratori non posso esimermi dal parlare del problema della loro sicurezza nelle attività che svolgono che deve essere affrontato con prospettiva diversa: una vera e propria cultura della sicurezza che non è certamente quella affidata esclusivamente alle sanzioni.

I lavori sulle riforme di cui ho parlato sono certamente esempi positivi; ma vanno incoraggiati.
Il mio auspicio è che questo clima di coesione si possa ritrovare anche nelle successive occasioni di discussione sulle riforme del governo dell'economia come delle Istituzioni della Repubblica.
Riformare il Parlamento non significa depotenziarlo: rendere i suoi lavori più spediti e più razionali si può tradurre in maggiore autorevolezza e potere reale per quello che tutti noi convintamene consideriamo il nostro "tempio della democrazia".
Un Parlamento più celere è un Parlamento più forte. Così si modernizza il Paese.
Il nostro futuro economico dipende dallo stato di salute soprattutto delle sue piccole imprese; quelle giovani hanno una funzione che investe soprattutto il punto di vista sociale e sono quelle che possono e devono grandemente contribuire alla ripresa.

Le istituzioni della Repubblica devono innanzi tutto creare condizioni favorevoli alla nascita ed allo sviluppo di nuove imprese, in particolar modo di quelle innovative.
La nostra Patria è sempre stata una terra di grandi talenti, dove sono nati ed hanno operato geni che hanno fatto la storia dell'umanità.
Dobbiamo dunque rafforzare nel mondo l'immagine di un'Italia che produce, che crea, che esporta, che è orgogliosa della propria storia e delle proprie tradizioni e che, davanti alle difficoltà, sa reagire con determinazione.
In occasione della tragedia del sisma dell'Aquila, alle cui vittime rivolgo ancora un sentito pensiero, ho avuto prova di ciò constatando l'abnegazione di quanti si sono prodigati per evitare altre vittime e alleviare le sofferenze della popolazione.
Ho visto tanti piccoli imprenditori, spesso giovani, che chiedevano di essere messi in grado di ricominciare a lavorare, produrre, creare ricchezza.
Il terremoto ha evidenziato la capacità di reazione della nostra comunità e della sua classe dirigente che stanno mostrando grande senso di responsabilità e impegno concreto con la grande voglia di guardare avanti.
Anche l'azione di tutto lo Stato è protesa su quella emergenza.

Proprio quell'esempio dimostra come voi giovani imprenditori abbiate le capacità ed il coraggio di tenere testa alla sfida globale, nonostante le oggettive difficoltà di sistema e della congiuntura internazionale.
Si tratta dello stesso coraggio che vi ha condotti a sottoscrivere l'importante accordo interconfederale sulla contrattazione collettiva del 22 gennaio scorso anche senza la firma di una importante confederazione sindacale.
Avete fatto ciò nella consapevolezza di attuare una riforma necessaria sulla strada della crescita della produttività del lavoro.
Per questo il tema strategico del sostegno allo sviluppo del tessuto imprenditoriale giovanile è essenziale a garantire un degno futuro a tutto il Paese.
L'Italia dopo la crisi diventerà più forte; già si avvertono i primi segnali. Il ricorso alla cassa integrazione è stato ad oggi inferiore alle aspettative, i consumi hanno sostanzialmente tenuto, abbiamo assistito al recupero iniziale dei beni durevoli.

Occorre investire su un nuovo capitalismo liberale, giovane e dal volto umano.
Un capitalismo dove l'uomo deve essere un fine e mai un mezzo.
L'Italia deve essere modernizzata, occorrono riforme che aiutino le nostre imprese tutelando, così, l'occupazione.
Bisogna avere fiducia nel sistema Italia, crederci, lavorare e produrre.
Siamo un grande Paese, ce la faremo.
Usciremo a testa alta dalla crisi.
Le energie morali e materiali alle quali ogni giorno il nostro Paese attinge quotidianamente per la sua ripresa sono inesauribili, e rimarranno tali fintantoché si alimenteranno della vostra fede e del vostro entusiasmo giovanile.
Quella voglia di riuscire e di migliorare che ha sempre contrassegnato l'economia italiana dai tempi del miracolo economico.

E' proprio a voi giovani che, senza retorica, sin dal discorso di insediamento del 29 aprile dello scorso anno, intesi infatti dedicare il mio pensiero conclusivo.
Alle vostre energie rinnovo dunque la mia fiducia.
La crisi che ancora stiamo vivendo ci deve insegnare a guardare avanti con consapevole apertura, sicurezza, senza paura, senza protezionismi e nuove restrizioni, e con libertà e voglia di crescita.
Dovete ricostruire un'economia reale e finanziaria, nobilitare l'energia e il dinamismo; intravedere occasioni e opportunità che devono produrre ricchezze e benessere.
A voi rinnovo l'incoraggiamento a guardare alla politica e alla forza delle istituzioni spronandole, come avete fatto, a rispondere con sollecitudine alle vostre istanze: esse sono, in ultima analisi, le necessità del Paese.
A noi il compito di vegliare sul vostro futuro, perché esso è anche il nostro, sicuro di non potere essere deluso.
A voi giovani imprenditori la missione di essere custodi e divulgatori del nostro grande patrimonio di conoscenza, di ricerca, di operosità, di coraggio, di progettualità; quelle caratteristiche che ci rendono grandi nel mondo e fieri di essere Italiani.



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