Il Presidente: Discorsi

Convegno "Laicità tra storia e futuro. Nuove frontiere"

13 Ottobre 2009

Autorità, Signore e Signori,

all'interno del dibattito politico e degli stessi partiti assistiamo al riemergere, in modo deciso e per molti aspetti inedito, della questione della laicità.
Merito dell'incontro di oggi è quello di aver voluto proporre un confronto su un tema che ha contraddistinto la storia del nostro Paese e rispetto al quale sarebbe miope considerarsi solo spettatori.
A quanti hanno promosso questa iniziativa va il mio personale ringraziamento e l'augurio di buon lavoro.

La parola laicità non assume un significato univoco e privo di contrasti. Talvolta viene intesa come sinonimo di separatismo: una sorta di rivendicazione di autonomia della politica rispetto al dibattito più ampio che caratterizza la storia e la tradizione sociale, culturale, civile del nostro Paese.
Altre volte, si parla di laicità in chiave critica, ossia si vuole marcare la distinzione tra laicità e laicismo, quest'ultimo inteso come emarginazione, ostilità o indifferenza rispetto all'istanza religiosa da parte dello Stato.
In questa visione, ogni sensibilità religiosa sarebbe sa relegare alla sola dimensione privata ed esclusiva della vita individuale di ciascuno.

Si parla infine di laicità in una accezione positiva, per riaffermare invece come il fatto religioso non sia staccato dal contesto civile, storico e culturale che caratterizza la società e la vita delle istituzioni, ma sia fattore propulsivo e dinamico della fondamentale relazione tra autorità e libertà.

La tradizione del nostro Paese è nel segno di una "laicità rispettosa", che non ha mai considerato il fatto religioso in termini ostili o antagonistici, ma entro il doppio binario della "distinzione" dei ruoli e della "collaborazione" tra le diverse istituzioni.
Appare sterile e fuorviante voler oggi alzare ulteriori steccati all'insegna della distinzione tra laici e credenti.

In politica anche il credente è laico ed il non credente non può, solo per questo, apparire più laico di altri.
Negare questa elementare evidenza significa cadere nel paradosso di chi, in modo del tutto irragionevole, considera il credente in quanto tale, sempre e comunque, un clericale.
Assistiamo, anche in tempi recenti, al tentativo di attribuire patenti di vera laicità solo a chi si ritiene più coraggioso nel distaccarsi da valutazioni che sembrano ispirarsi ad una tradizione religiosa.

Ispirarsi ad una storia di pensiero o ad una riflessione che ha radici religiose non può diventare una forma nuova di discriminazione.
Il tentativo di imporre una laicità spigolosa, fatta di rivendicazioni e poco incline alla ricerca di soluzioni condivise, è destinato a ricreare contrapposizioni fine a se stesse, dove l'identità non la determinano i contenuti, ma solo le etichettature.

Serve, invece, una laicità del confronto, del dialogo, del rispetto, della sintesi.
Non può la laicità apparire formula vuota priva di ogni contenuto concreto; va riempita di contenuti, e non può tradursi in una forma di ostilità, in una minaccia di esclusione per chi la pensa diversamente dalla maggioranza interna ad un movimento politico.
Anche il credente in politica è chiamato a rispettare fino in fondo il criterio della laicità.

Per il credente la laicità è lo strumento che gli consente di dare motivazioni ragionevoli, fondate sul perseguimento del bene comune, anche laddove egli agisce perché ispirato dalla ricerca di un fondamento, di un ideale, di una esperienza del tutto personali.

In politica, il credente è chiamato a dare ragione delle proprie scelte non da una posizione inferiore, ma a testa alta, con gli strumenti del confronto che una laicità rispettosa sa chiedere e pretendere da tutti indistintamente.
Questa è la strada che fa della ragione pubblica non uno strumento di esclusione di chi la pensa in modo diverso, ma una forma di linguaggio accessibile a tutti i cittadini.

Questo è il vero patriottismo costituzionale.
In questa prospettiva, mi sembrano davvero di grande attualità le parole che Benedetto XVI ha pronunciato all'Eliseo il 12 settembre 2008:
"E' fondamentale, da una parte, insistere sulla distinzione tra l'ambito politico e quello religioso al fine di tutelare sia la libertà religiosa dei cittadini che la responsabilità dello Stato verso di essi e, dall'altra parte, prendere una più chiara coscienza della funzione insostituibile della religione per la formazione delle coscienze e del contributo che essa può apportare, insieme ad altre istanze, alla creazione di un consenso etico di fondo nella società".
Una forma di sana laicità non può essere anti-religiosa, ostile, indifferente, ma positiva.

La religione rappresenta quindi un elemento di identità culturale e non può in alcun modo essere considerata solo un fenomeno di culto.
Soprattutto per temi sensibili quali l'inizio e la fine della vita, la libertà di coscienza non può apparire come una benevola concessione rispetto alla linea maggioritaria di un partito.

La libertà di coscienza è un diritto che vale per tutti, credenti e non credenti.
I partiti in quanto tali possono essere chiamati ad esprimere con chiarezza la loro posizione, che è atto di responsabilità dovuto all'intero Paese e ai propri elettori.
Sarebbe un tradimento della laicità intesa come reciprocità pretendere o dare lezioni di laicità da una parte o dall'altra.

La moralità non può diventare un'occasione per non richiesti moralismi.
E' invece fondamentale accettare che il confronto sia sempre nel merito dei contenuti e le ragioni che si offrono ai propri interlocutori altre non siano che quelle di una ragionevolezza fondata sul dialogo e sul rispetto reciproco.

La vera laicità non è infatti conflittuale, né ideologica, ma aperta e ragionevole.
In un contesto di comune e reciproco rispetto nessuno può ergersi a maestro dell'altro, ma può invece autorevolmente proporsi come testimone sincero e onesto di una vita vissuta.

Vi ringrazio.



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