Il Presidente: Discorsi

Mostra fotografica sui 60 anni di Israele

7 Novembre 2008

Signor Ambasciatore, Onorevoli Colleghi, Signore e Signori,
Intervengo con vivo piacere all'inaugurazione di questa preziosa iniziativa, promossa dalla Federazione Italia-Israele e dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che celebra il sessantesimo anniversario della proclamazione dello Stato d'Israele.
L'esposizione, giunta a Roma dopo aver toccato Londra, Vienna, Budapest, New Delhi, Riga e Berlino, e qui volentieri ospitata dal Senato della Repubblica, si propone di raccontare, attraverso gli scatti di David Rubinger e Paul Goldman, momenti, vicende e personaggi della storia del giovane Stato.

Alcune delle fotografie esposte appartengono ormai all'immaginario collettivo, come quella - notissima - che ritrae un gruppo di soldati israeliani commossi ed orgogliosi per aver finalmente raggiunto, nel giugno del 1967, il Muro del Pianto.
Quegli stessi soldati che, come ci hanno raccontato le cronache della Guerra dei Sei Giorni, erano scesi in battaglia dopo aver scritto con il gesso, sui cofani delle loro camionette, le parole degli esiliati di Babilonia cantate nel Salmo 137: "Se io ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; resti la mia lingua attaccata al palato, se smetto per un istante di pensarti".

Nel corso della mia recente visita in Polonia, visitando il campo di Auschwitz-Birkenau, ho voluto esprimere , di fronte alle vestigia ancora intatte della Shoah, tutto il peso che ancora grava, per quell'orrore, sulla coscienza dell'Europa, affermando con forza che "siamo tutti israeliani".
Le mie parole sono apparse a qualcuno come una indebita confusione fra il popolo ebraico, colpito dall'Olocausto, e lo Stato d'Israele.
La mia intenzione, invece, era proprio quella di legare i due passaggi di quella terribile storia, denunciando la tendenza del residuo antisemitismo, che ancora alligna in alcuni settori - per fortuna minoritari - della società europea, a nascondersi dietro la maschera dell'antisionismo.

Un tragico paradosso disvela il legame tra i due volti dell'intolleranza antiebraica: negli anni '30 - come ha ricordato un grande autore israeliano nella sua autobiografia - sui muri delle città d'Europa si rincorreva la scritta: "Ebrei, andatevene in Palestina!"; oggi, su quegli stessi muri, può capitare di leggere: "Ebrei, via dalla Palestina!".
In questo l'antisionista si distingue da chi critica singoli aspetti della politica israeliana, dal non riconoscere allo Stato ebraico neppure il diritto di esistere.
Troppe voci ambigue si ascoltano ancora, tra gli intellettuali e sui mezzi di comunicazione, sulla legittimità dell'esistenza dello Stato di Israele.

Per fortuna, la grande maggioranza delle forze politiche è concorde nell'affermare la più ampia solidarietà ad Israele (i cui diritti di libertà e sicurezza non sono in discussione), il deciso ripudio di ogni violenza ed estremismo, e la massima apertura al dialogo e alla trattativa diplomatica, per chiudere definitivamente il doloroso capitolo del conflitto con i palestinesi.
L'Italia si è sempre impegnata, e continuerà a farlo con decisione, per sostenere ogni iniziativa che possa condurre questa difficile controversia alla soluzione definitiva.

Lo sviluppo delle relazioni mediterranee, in chiave multilaterale, costituisce a questo proposito una preziosa risorsa, ancora non del tutto esplorata.
Attraverso una nuova cooperazione tra i Paesi del Mediterraneo è possibile tornare a scommettere sullo sviluppo delle potenzialità commerciali e produttive dell'area, e sulla valorizzazione del suo straordinario patrimonio artistico e culturale.
Il Mediterraneo - rimasto relativamente al riparo dalle attuali turbolenze dei mercati finanziari - potrebbe offrire, nel prossimo futuro, grandi potenzialità di sviluppo e di attrazione degli investimenti mondiali, tornando ad essere, come è stato al tempo del suo splendore, il crocevia degli scambi fra il Nord e il Sud del mondo e fra l'Occidente e l'Oriente.

Sono questi i motivi per cui l'Italia sostiene con decisione l'iniziativa dell'Unione per il Mediterraneo, istituita con il vertice di Parigi dello scorso 13 luglio.
L'altro ieri è giunta la notizia della felice conclusione, a Marsiglia, delle trattative diplomatiche per la costituzione degli organi dell'Unione: nel documento finale sono presenti importanti riferimenti al processo di pace in Medio Oriente, che suscitano qualche speranza sul ruolo della cooperazione mediterranea nella soluzione del conflitto.
Sia lo Stato di Israele che l'Autorità Nazionale Palestinese, inoltre, sono entrati a far parte come membri aggiunti - insieme ad Italia, Grecia e Malta - del segretariato generale dell'Unione.

É la prima volta che le due parti si trovano a sedere insieme nell'organo politico di una organizzazione internazionale: auspichiamo che questa condivisione di ruoli possa costituire uno strumento di rafforzamento dei contatti bilaterali, utile ad acquisire, gradualmente, elementi di reciproca fiducia.
Accanto all'azione dell'Unione europea e degli organismi multilaterali, è indispensabile che la nuova Amministrazione degli Stati Uniti, forte della leadership che discende dalla recente consacrazione elettorale, possa impegnare tutto il suo peso politico, già a partire da gennaio, perché i negoziati tra le parti prendano nuovo vigore.

La radice della simpatia riscossa dall'epopea dello Stato d'Israele presso strati così ampi della società occidentale - seppure nella considerazione delle ragioni di entrambe le parti in conflitto - risiede nel suo essere, innegabilmente, una democrazia compiuta.
Anche nei momenti più difficili del conflitto, l'opportunità di compiere determinate azioni per la difesa dello Stato e dei suoi cittadini è stata discussa e contestata da ampi settori della società israeliana, ed in molti casi ha trovato un valido limite nella costante attività degli organi di garanzia.
L'attenta giurisprudenza della Corte Suprema ha saputo temperare l'eccezionalità di molte situazioni con l'esigenza che le ragioni del diritto prevalessero su quelle della forza.

Come ha affermato Ehud Barak, grande giurista israeliano ed ex presidente della Corte, "il destino della democrazia è di non vedere ogni soluzione come possibile. Alle volte la democrazia deve combattere con un braccio legato dietro alla schiena, ma anche così l'avrà vinta".
Il mio augurio è che - conseguita la pace agognata - l'eccezionalità della democrazia israeliana possa presto trasformarsi nell'ordinaria, vivace e serena dinamica di qualsiasi democrazia occidentale.
Essa potrà allora - come auspicato dai suoi fondatori nella dichiarazione d'indipendenza del 14 maggio 1948 - "tendere una mano di pace e buon vicinato" a tutti i popoli vicini, e cooperare con essi "al progresso di tutto il Medio Oriente".



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