Il Presidente: Discorsi

Anniversario della Festa Nazionale del Tricolore

7 Gennaio 2010

Signor Presidente della Regione,
Signor Presidente dell'Amministrazione provinciale,
Signor Sindaco,
Cittadine e cittadini di Reggio Emilia,
desidero innanzitutto esprimere un sentito e non formale ringraziamento al Sindaco per l'invito a partecipare al 213° anniversario della Festa Nazionale del Tricolore, evento di straordinario rilievo che unisce indistintamente tutti noi italiani.
Il 7 gennaio 1797, nella splendida Sala del Tricolore che ho appena visitato, i rappresentanti di quattro città si federarono, fondando istituzioni libere, repubblicane.
Si diedero una Costituzione - tra le più belle del triennio giacobino - e proclamarono il nostro Tricolore, bandiera della loro unità.
Ed è sotto questi colori che i nostri padri, nei decenni successivi, si batterono per l'unità del Paese.

Sotto questa bandiera si compirono le gesta del Risorgimento.
Nei moti del 1848 questo vessillo sventolò, come simbolo di riscatto, nelle strade della mia Palermo come in quelle di Venezia e di Roma, a sigillo di un destino comune, di una battaglia per il rinnovamento della Patria e per la conquista della libertà.
La Festa del Tricolore che oggi celebriamo è dunque l'occasione per ricordare la nostra storia che vede dall'energia delle vostre città - le città della Repubblica Cispadana - e poi delle così diverse realtà e tradizioni regionali e locali del nostro Paese, nascere una aspirazione all'Unità della Nazione nel segno - ed è questa l'originalità del nostro Risorgimento - della libertà, dei diritti dell'uomo e dei cittadini, delle libere istituzioni a partire da quelle rappresentative.
E mentre ci accingiamo fra un anno a celebrare il 150° anniversario dell'Unità della Nazione, una conquista che nella storia del secolo tormentato che si è concluso è stata messa a dura prova, ma sempre senza successo, dalle follie del regime totalitario e del terrorismo, il nostro pensiero va a due date ormai lontane, il 27 dicembre 1947 e l'1 gennaio 1948, che segnano la nascita e l'entrata in vigore della Carta Costituzionale.

La nascita della nostra bandiera è, infatti, indissolubilmente legata al momento in cui il vessillo tornò a rappresentare l'intero Paese e l'art. 12 della Costituzione attesta che il tricolore è la bandiera della nostra Repubblica.
La Costituzione, ancora oggi un'opera giuridica di grande valore, permeata da grande saggezza politica che nella prima parte, quella sulle libertà individuali, sui doveri e sui diritti soggettivi, conserva tutta la sua attualità: il diritto al lavoro, la laicità dello Stato, la pari dignità tra donne e uomini, le libertà personali, quelle di religione e di culto.
Libertà di cui a volte ci accorgiamo in modo svogliato, quasi con indifferenza, mentre altri Paesi del mondo ce le invidiano perché sono il bene più prezioso di cui disponiamo, in quanto la nostra Costituzione - nel solco di intuizioni morali millenarie - pone al centro la persona umana: ed è questa l'essenza della democrazia, negata, invece, dalle dittature.
Costituzione della quale fanno anche parte quei doveri, molti di ispirazione mazziniana, senza l'adempimento dei quali non può esistere alcuna comunità civile.
Sono i "doveri inderogabili", definiti genericamente di solidarietà politica, economica e sociale ed ancora il dovere della difesa della patria, il dovere tributario, il dovere di fedeltà alla Repubblica.

Sono valori, questi, che ci rendono più forti e coesi grazie ai principi vitali così radicati nella nostra società e nel nostro popolo.
Oggi, di fronte a inconsulti e gravissimi gesti di aggressione, dobbiamo una volta di più fare appello a queste positive energie.
Ogni contrasto politico e istituzionale deve essere ricondotto entro limiti di civile confronto, mentre occorre senza esitazioni impedire che rinascano forme di violenza che l'Italia in un passato non lontano ha già conosciuto, pagato e vinto grazie a quei grandi valori, ricordati dal Presidente Napolitano, di solidarietà umana, coesione sociale e unità nazionale.
L'interesse del Paese impone oggi di affrontare problemi seri e complessi di ordine economico e sociale.
Sono problemi che richiedono un rinnovato appello a quello spirito unitario che ha visto l'Italia coesa ritrovarsi, a settembre, commossa, di fronte ai nostri caduti in Afghanistan.

Allora, in quel giorno triste, abbiamo constatato quanto la nostra bandiera sia un simbolo vivo ed attuale; l'abbiamo tutti vista esposta alle finestre delle abitazioni delle nostre città e, a Roma, nel cammino che portava alla Basilica di S. Paolo, ove si svolsero le esequie dei caduti di Kabul.
L'impegno dei nostri militari nel mondo a difesa della pace è il segno visibile di un comune destino e di un rinnovato slancio di coesione nazionale.
E siamo orgogliosi che il nostri tricolore nato qui sventoli in terre lontane come simbolo e bastione indiscusso di libertà.
Da questa città di Reggio Emilia, patria del Tricolore, vada da tutti gli italiani un pensiero grato ai nostri militari e ai loro familiari, nella consapevolezza degli ulteriori impegni che abbiamo assunto nei giorni scorsi con i nostri alleati, nel segno di quegli ideali di democrazia e di quei valori che nutrono la storia nazionale.

Una storia che si intreccia, oggi più che mai, con quella dell'Europa che è, per noi italiani, "una seconda Patria".
Per libera scelta del Parlamento sugli edifici pubblici italiani sventolano, fianco a fianco, le due bandiere: quella europea e il nostro Tricolore, simbolo di due storie, di due identità che si sono intersecate in modo indissolubile.
Il Parlamento italiano con voto unanime ha ratificato il Trattato di Lisbona, finalmente entrato in vigore.
Ma la profonda crisi finanziaria ed economica esplosa nel 2008 e gli sviluppi preoccupanti della situazione internazionale stanno ponendo oggi all'Europa sfide cruciali.
All'Italia spetta dare un contributo fattivo per vincere queste nuove prove, nel segno della sua storia e dell'insegnamento europeista dei nostri padri fondatori, Alcide De Gasperi, Luigi Einaudi, Altiero Spinelli.
Il giorno successivo all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il due dicembre, per una felice coincidenza, si è svolto nell'Aula che ho l'onore di presiedere un dibattito alto, un confronto costruttivo, sulle riforme costituzionali.

Maggioranza e opposizione, con spirito di leale collaborazione, si sono ritrovate insieme nella necessità di avviare un confronto parlamentare sulle riforme, per giungere "alla necessaria approvazione di un testo condiviso dalla più ampia maggioranza parlamentare".
Sulla riduzione del numero dei parlamentari, sul superamento del bicameralismo perfetto e sul rafforzamento dei poteri del Governo, come anche delle funzioni del Parlamento in una coerente ed equilibrata revisione del nostro assetto costituzionale, si è registrato un ampio e prezioso consenso.
Il nostro Paese è uno tra quelli che statisticamente presenta un maggior numero di parlamentari con conseguente aggravio dei relativi costi pubblici e la predisposizione di onerosi apparati logistici e burocratici che assicurino l'attività dei parlamentari predetti.
Troppo lunghi sono ormai i tempi del processo legislativo legato al sistema della doppia lettura che se in passato, nel solco del parere dei padri costituenti, assicurava massimo controllo nella qualità della legislazione ed un maggiore coinvolgimento della democrazia parlamentare, oggi appare inadeguato alla luce della nuova assunzione di responsabilità legislativa delle regioni che rivendicano, per parte loro, una camera di rappresentanza dei loro interessi.

Ed inoltre anche le nuove e esigenze del Paese chiedono al Governo scelte rapide e incisive.
Anche i poteri del premier da eleggere a suffragio diretto da parte dei cittadini e quindi dotato di forte legittimazione istituzionale e popolare, vanno rivisitati nella logica di una più efficace ed incisiva capacità di attuazione del proprio programma e di controllo dell'azione dell'attività dei singoli ministri, sino alla possibilità estrema di una loro revoca.
Ma tutto ciò, mantenendo saldo un principio di garanzie che riaffermi il giusto equilibrio nel rapporto tra premier e Parlamento.
E', inoltre, fortemente avvertita dai cittadini l'esigenza della costituzionalizzazione di quel principio fondamentale secondo il quale i Governi li scelgono gli elettori e non il palazzo con i suoi trasformismi.
Si tratta, per fortuna, di un principio già contenuto in quel sistema di regole condivise degli italiani definito Costituzione reale, cioè regole vincolanti sotto il profilo etico e comportamentale nella politica, anche se non ancora consacrate in un precetto costituzionale ufficiale.

Il rapporto tra la maggioranza elettorale e le Istituzioni che la rappresentano è il principio fondante di nuovi valori costituzionali non scritti.
E per evitare qualunque forma di trasformismo, ricordo come le precedenti proposte di modifica della Costituzione prevedessero apposite norme antiribaltone, quali il potere di scioglimento del premier o la sfiducia costruttiva.
Ma comunque, è indubbio che oggi, anche senza la ufficializzazione di sanzioni contro forme di trasformismo, la nuova democrazia maggioritaria, che nel nostro Paese è stata introdotta da sistemi elettorali comunali, provinciali, regionali e nazionali, ripudia ogni comportamento politico che tradisca il principio di corrispondenza tra la volontà del corpo elettorale e la costituzione di esecutivi che ne siano l'espressione.
Venendo meno questa corrispondenza, infatti, la politica darebbe il peggio di se stessa, assisteremmo ad una degenerazione del sistema delle regole ed alla gestione del potere visto non come esercizio di una delega dei cittadini, ma come atto di arroganza e spregiudicatezza di singoli.
La scelta dei cittadini va, infatti, rispettata fino in fondo, senza ambiguità ed incertezze.

Come ho già detto in più occasioni, infatti, quando va in crisi la tenuta di una maggioranza elettorale, l'unica via trasparente e democratica è costituita dal ritorno alle urne e giammai dalla ricerca di alchimie governative illegittime perché non fondate sul consenso popolare.
Devo dire, per fortuna, che in questi ultimi anni sono state rare le formazioni di Governi di palazzo, anche perché poi pesantemente sanzionate dagli elettori, non appena a questi era stata restituita la possibilità nell'esercizio del diritto di voto.
L'invito con il quale ci ha recentemente spronato con il suo messaggio di fine anno il Presidente Napolitano deve ora tradursi in una vera volontà riformatrice.
Troppe volte i tentativi di riforma, pur partendo da necessità condivise, si sono infranti per veti incrociati.
Il confronto sulle riforme, come è stato detto autorevolmente in Senato, deve essere invece tenuto al riparo da queste contingenze quotidiane, dobbiamo evitare che il Parlamento sia condizionato dai richiami dell'antipolitica che si rinnovano purtroppo ogni giorno.

Serve invece sobrietà e attenzione, serve quella cura che si deve a un oggetto prezioso, ma anche fragile.
Dobbiamo ridefinire, con un metodo condiviso, un sistema di regole, consapevoli però della necessità oramai ineludibile che s'impone di dare una forma costituzionale nuova ed ambiziosa all'evoluzione della società e dei rapporti tra cittadini e politica, tanto mutati rispetto a quelli di sessant'anni fa.
Lo dobbiamo fare con spirito aperto, senza condizionamenti ideologici, superando lo storico vizio della reciproca delegittimazione.
E lo dobbiamo fare con urgenza; nuove e temibili sfide incalzano e chiedono risposte tempestive e autorevoli alla politica e alle istituzioni.
La crisi economica e finanziaria si vince cogliendo appieno le opportunità della ripresa.
Per produrre ricchezza e sviluppo non bastano il capitale economico e il capitale umano: occorre anche il capitale sociale fatto di coesione comunitaria, di valori condivisi, di fiducia reciproca sulla base del comune sentire, di comprensione delle nuove dinamiche immigratorie e dei problemi che queste pongono.
Dobbiamo tutti impegnarci per il progresso della nostra comunità e delle future generazioni e per il superamento della storica divisione tra Nord e Sud.

Incalzanti e sempre temibili sono le sfide della criminalità, di quelle organizzazioni mafiose che tanto condizionano in particolare lo sviluppo delle regioni del nostro Mezzogiorno.
Con allarme guardiamo a quanto successo nei giorni scorsi nell'altra Reggio, Reggio Calabria, ma anche qui ci dà fiducia la risposta dello Stato, che mostra ogni giorno di più di poter contare sull'azione efficace e congiunta della magistratura e delle forze dell'ordine, cui in questo momento va la nostra massima solidarietà e vicinanza.
Certo, come ha ricordato il Presidente Napolitano in occasione del suo insediamento, i problemi della legalità e moralità collettiva si presentano ancora aperti, "mentre sono purtroppo, rimaste critiche le condizioni dell'amministrazione della giustizia ".
E qui continuiamo a scontare le troppe tensioni che circondano ancora i rapporti tra la politica e la giustizia che richiedono riforme coraggiose nel segno della leale collaborazione.
Spirito costruttivo e leale collaborazione permisero, giusto dieci anni fa, l'approvazione con un voto quasi unanime della revisione dell'articolo 111 della Costituzione la cui compiuta attuazione, soprattutto sotto il profilo della durata ragionevole dei processi, non ha trovato ancora auspicabile definizione.

Sono certo che il Parlamento saprà riproporre quel clima costruttivo.
Da tempo ho richiamato alla necessità di riforme condivise.
Da tempo ho fatto appello affinché il confronto tra le parti si instauri in un clima di serenità e di misura, in cui vengano banditi toni aspri e forme di eccessiva contrapposizione che non giovano al Paese e che anzi possono alimentare focolai di violenza e degenerare in comportamenti ostili.
Con speranza rilevo che i miei appelli - e quelli di altre autorevoli figure istituzionali - negli ultimi tempi sembrano essere stati recepiti e intravedo spiragli positivi che preannunciano il tanto auspicato dialogo costruttivo per contribuire a fare crescere la vita, l'economia e le speranze dei nostri connazionali.
Gli italiani hanno bisogno di andare avanti con serenità ed è compito di tutti noi contribuire alla realizzazione di ogni loro legittima aspirazione; è compito della politica essere al servizio della comunità con spirito di autentica lealtà, che è non soltanto dovere morale, ma che significa coerenza e correttezza nei confronti del mandato elettorale ricevuto.
Il Parlamento, le forze politiche devono quindi esercitare il proprio ruolo; la maggioranza portando avanti il programma per il quale ha ricevuto il consenso elettorale; l'opposizione svolgendo il proprio doveroso diritto di critica.

Senza questi presupposti cadono i principi di una corretta democrazia.
Signor Presidente della Regione,
Signor Presidente dell'Amministrazione provinciale,
Signor Sindaco,
Cittadine e cittadini di Reggio Emilia,
l'anno che si sta per aprire sarà, per il nostro Paese, cruciale.
Alle sfide guardiamo con ottimismo, consapevoli delle energie morali e dell'operosità dei nostri cittadini.
Sarà il 2010, come ha ricordato il Santo Padre, più o meno buono nella misura in cui ciascuno, secondo le proprie responsabilità, saprà operare.
Il Parlamento ed il Governo faranno la loro parte nell'affrontare i seri e complessi problemi che abbiamo di fronte, innanzitutto quelli economici e sociali, con un'attenzione particolare alla difficile situazione occupazionale.
Senza farsi condizionare dalla spirale di polemiche, di tensioni ed anche purtroppo di violenza che vuole drammatizzare la vita pubblica del Paese, ma che non può e non deve intaccare l'attività dei Governi che godono della fiducia della maggioranza del Parlamento, fondandosi sul consenso ottenuto dagli elettori.

Abbiamo tutti un obbligo morale, quello di costruire un'Italia che sappia essere all'altezza delle aspettative di voi giovani, che sappia accogliervi nel mondo del lavoro e darvi fiducia nel futuro.
Voi studenti, che oggi siete presenti così numerosi, siete la nostra speranza del domani.
A noi il compito di spianarvi la strada affinché possiate realizzarvi e vivere senza preoccupazioni e superare ogni difficoltà.
A voi che ci rappresenterete in un prossimo domani, rivolgo il mio forte sentimento di amicizia, con la convinta certezza che il vostro impegno sempre maggiore di energie, di talenti e qualità, in ogni momento della vostra vita, contribuirà a fare grande il nostro Paese.
Con questo auspicio, con fiducia, speranza e sereno convincimento, celebriamo dunque oggi questa giornata di unità e di memoria condivisa.
Viva il Tricolore, viva l'Italia, viva la Repubblica.



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