DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa dei senatori ASCIUTTI, BEVILACQUA, RONCONI, TONIOLLI, MARRI e
PACE
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 24 NOVEMBRE 1999
Legge quadro sul riordino dei cicli scolastici
ONOREVOLI SENATORI. - Ai sistemi formativi dei Paesi piú
sviluppati sono rivolte domande sempre piú esigenti e complesse. Ad
essi é richiesto di provvedere a: formare i cittadini; preparare al
lavoro; far accedere all'istruzione superiore l'intera popolazione e non
soltanto una minoranza privilegiata, favorendo in tutti i modi l'uguaglianza
delle opportunità e la mobilità sociale verso l'alto; formare
le classi dirigenti; fornire impulso allo sviluppo economico; conferire
all'educazione i caratteri di un'attività che dura tutta una vita.
Nei Paesi membri dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico (OCSE), i Ministri dell'educazione riunitisi a Parigi nel 1996
hanno chiesto di monitorare gli sviluppi delle politiche scolastiche dei
Paesi membri, al fine di poter individuare piú chiaramente i
progressi in questo campo. Ma se é relativamente facile descrivere
l'espansione dei sistemi scolastici evidenziando gli accresciuti tassi di
scolarità, assai piú difficile é stabilire se simili
investimenti riescano a sortire gli effetti desiderati.
I milioni di giovani in piú che frequentano le aule scolastiche ed
universitarie, per un numero piú elevato di anni, riescono ad
affrontare con una migliore preparazione l'ingresso nel mondo degli adulti e
del lavoro?
E le condizioni in cui quest'ingresso si realizza sono tali da motivare
il protrarsi della propria educazione per l'intero arco della vita?
In realtà le opinioni pubbliche, i governi e gli operatori del
settore sono consapevoli dell'inadeguatezza della maggior parte dei modelli
formativi tuttora operanti e le ragioni di tale consapevolezza sono ormai
ben note.
Istituzioni, organizzazioni, culture pedagogiche sono state create e si
sono sviluppate all'interno di un modello produttivo, economico e sociale
pervasivo, che si suole designare come "fordista" e di un modello di stato,
che si suole designare come Welfare state.
Tempo di vita e tempo di lavoro, età della formazione ed età
del lavoro, ruoli dirigenti e ruoli esecutivi, contenuti formativi
professionalizzanti, tutto era scandito secondo gerarchie e cadenze stabili
e prevedibili.
Questo insieme apparentemente ordinato sta ora crollando a causa degli
enormi e rapidi mutamenti a livello produttivo, economico e sociale indotti
dalla globalizzazione e per effetto delle trasformazioni profonde cui il
Welfare state é stato costretto. Questi mutamenti hanno
sconvolto ruoli, contenuti, tempi, rapporti tra le generazioni. A questa
trasformazione il sistema formativo ha risposto con la propria
rigidità e immutabilità, per non dire che non ha affatto
risposto.
Da qui una domanda che va alla radice del problema: a cosa serve dunque
la scuola?
Il brusco propagarsi della società dell'informazione nel mondo ha
scatenato una bufera di cambiamenti rispetto ai quali le reazioni sono
tuttora contraddittorie.
Il nostro Paese, insieme all'Europa, é stato colto alla
sprovvista: ci troviamo di fronte ad un continente in evidente squilibrio,
che presenta i sintomi di un lento e difficoltoso adattamento la cui
risoluzione sarebbe la riconversione delle mentalità europee per la
quale sarebbe richiesto un tempo troppo lungo. Il continente americano e le
economie emergenti del Pacifico non hanno al contrario perso tempo ad
assumere quel protagonismo che gli europei hanno avuto per secoli, ma che
ora stentano sempre piú a mantenere.
É in fase di incubazione una nuova geopolitica della conoscenza e
dell'informazione, con conseguenze rivoluzionarie sugli assetti mondiali
dell'influenza e del potere.
Non restano comunque dubbi sul fatto che il primo posto sarà
riservato a coloro che avranno saputo dare libero corso all'intelligenza,
alla creatività e allo spirito d'iniziativa e, quindi, le giuste
risposte alle nuove domande del sistema in evoluzione.
Il sapere e la conoscenza non sottostanno a frontiere politiche o
amministrative ed é per questo che la globalizzazione appare come un
rischio enorme per gli europei: puó equivalere al declino della loro
influenza nel mondo.
Il sistema scolastico italiano non si salva in questa condizione generale
di crisi e vi partecipa secondo le proprie specifiche caratteristiche e per
proprie specifiche cause, sia sotto il profilo della qualità dei
risultati sia sotto quello della quantità.
Per quanto riguarda l'aspetto qualitativo é difficile fare un
confronto con gli altri Paesi poichè nei rapporti OCSE degli ultimi
anni mancano i dati italiani. A differenza degli altri Paesi, non abbiamo
ancora un servizio nazionale di valutazione in grado di effettuare questo
tipo di analisi.
In ogni caso desta preoccupazione il dislivello rilevato nei risultati
degli studenti in matematica e nelle scienze. Ad un estremo della scala,
piú di tre quarti dei ragazzi giapponesi e coreani che frequentano la
terza media ottengono in matematica voti che si collocano al di sopra della
media OCSE. All'altro estremo, persino alcuni fra i ragazzi che fanno parte
del 25 per cento degli studenti migliori del Portogallo non riescono ad
eguagliare tali medie. E non si puó non considerare che le
prestazioni degli studenti piú brillanti in matematica e nelle
scienze rappresentano la premessa di una possibile partecipazione di quel
Paese alla squadra dalla quale emergeranno i matematici, gli ingegneri e gli
scienziati di domani.
Per contro, un'elevata quota di studenti che realizzano un profitto
scadente deve ingenerare la preoccupazione che una notevole proporzione di
futuri cittadini contribuenti ed elettori non sarà in grado di
comprendere, come dovrebbe, concetti e formulare giudizi informati
all'interno del mondo d'oggi.
Considerazioni di questa natura rendono necessario in modo impellente un
impegno di tipo nuovo nelle politiche scolastiche pubbliche dei governi: non
piú il puro controllo delle risorse e dei contenuti dell'istruzione,
bensí l'attenzione puntata sui risultati.
Dal punto di vista della quantità, invece, la scuola italiana
"disperde" al livello del diploma circa il 50 per cento della generazione in
età, mentre al livello della laurea circa il 90 per cento.
Al fenomeno della dispersione si deve aggiungere quello dell'evasione
dell'obbligo, soprattutto al Sud, e quello della fuga dal post-obbligo,
soprattutto al Nord. Queste medie collocano il nostro Paese molto al di
sotto della media OCSE.
Parlando poi dei nostri diretti partner e concorrenti
economici - USA, Germania, Gran Bretagna e Francia - constatiamo ad esempio
che se la media OCSE é del 70 per cento dei diplomati e in Germania
raggiunge il 90 per cento, la produttività della nostra scuola
é certamente molto bassa.
Le cause di tale dispersione scolastica si possono ricondurre alla
rigidità dei percorsi scolastici, al centralismo
politico-amministrativo, alla dominante cultura pedagogica, fondata sulla
centralità dell'insegnare anzichè su quella dell'apprendere.
Le cause dell'evasione e soprattutto della fuga si devono, per quanto
riguarda il Nord, alla spinta delle famiglie verso il lavoro subito e ad
ogni costo, per quanto riguarda il Sud a condizioni di povertà
economica e deprivazione culturale.
Il crescente tasso di scolarizzazione rende piú oneroso l'impegno
finanziario a carico dei governi e delle famiglie che prendono parte al
finanziamento dell'istruzione; tale costo aggiuntivo é tanto maggiore
in quanto gli studi successivi alla scuola dell'obbligo, ormai generalizzati
in tutti i Paesi, prevedono costi per studente solitamente molto superiori a
quelli delle scuole elementari e medie.
Nonostante questa situazione non si é tuttavia verificato un
aumento nelle spese di investimento dei governi in relazione al prodotto
interno lordo, in quanto si é contestualmente verificata la
diminuzione di alunni nella scuola dell'obbligo per il calo demografico.
Tuttavia, anche relativamente a questo aspetto, cioé quello delle
risorse, sono molto istruttivi e chiarificatori i confronti internazionali.
Infatti, le risorse investite in Italia sono in linea con quelle degli altri
Paesi: circa 80 miliardi all'anno con i seguenti costi per singolo alunno
nei diversi ordini di scuola:
scuola materna: lire 4.900.031;
scuola elementare: lire 6.602.304;
scuola media: lire 7.720.711;
scuola secondaria superiore: lire 7.322.919;
tutti i livelli di istruzione, comprese le spese non distribuite: lire
7.322.372.
(Fonte: elaborazione Ufficio Sistan del Ministero della Pubblica
Istruzione su dati del Ministero del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica, del Ministero della pubblica istruzione e
dell'ISTAT-1997).
Ma risulta anomalo il loro impiego dal momento che tali risorse sono
destinate per il 95 per cento a stipendi, contro il 70 per cento della media
OCSE. Si comprende pertanto da questi dati che la scuola italiana non fa
investimenti e che occorre in modo improcrastinabile un mutamento radicale.
Non bisogna dimenticare d'altra parte che, per essere funzionali, i
sistemi scolastici hanno bisogno soprattutto di insegnanti molto qualificati
e motivati.
Gli indicatori internazionali dell'istruzione mostrano che i paesi OCSE
investono una consistente quantità di risorse umane nell'educazione.
Il nostro Paese presenta tuttavia un notevole esubero: un docente ogni 10
allievi, mentre la media OCSE é di un docente ogni 17 alunni. Docenti
che sono poco e mal pagati tanto da generare un appiattimento inaccettabile.
La causa principale di questa situazione va cercata nei contenuti delle
politiche sindacali fin qui proposte da una classe politica complice: in
quel circolo vizioso che da decenni si alimenta attraverso le azioni
sindacali, la demagogia studentesca, l'assistenzialismo.
In ogni caso nessuna riforma potrà funzionare se non si ripensa lo
stato giuridico del personale docente e dirigente.
Complessivamente, dunque, la risposta alle sfide della globalizzazione
richiede una seria e ponderata ridefinizione dei fini che la società
attribuisce ai sistemi formativi.
Dal nostro punto di vista ció che appare di primaria importanza
per un sistema formativo é l'apprendimento della libertà
intesa come assunzione di responsabilità, fare scoperte, costruire
attivamente la propria identità attiva e creatrice. Occorre quindi
una pedagogia della scelta. In secondo luogo viene l'apprendimento della
complessità: cioé ridurre, filtrare, connettere, comprendere
la logica, governare. Non basta accumulare indefinitamente le conoscenze.
Occorre una pedagogia fondata sulle nuove scienze cognitive. In terzo luogo,
l'apprendimento della relazione che significa cooperare, comunicare,
ascoltare. Occorre una pedagogia della relazione.
Questi fini non sono realizzati nell'attuale sistema formativo,
perchè non sono ancora stati proposti come tali. Nè,
d'altronde, é possibile realizzarli all'interno delle attuali
istituzioni formative, proprio perchè sono mezzi per altri fini. Le
istituzioni formative continuano ad essere ispirate a logiche gerarchiche,
all'accumulo indefinito di conoscenze, all'ascolto passivo. Si continua a
formare alla cittadinanza e al lavoro per una società civile e
un'economia che stanno scomparendo.
É evidente che esiste un legame assai stretto tra la cultura
nazionale e la cultura pedagogica del Paese: la prima non ha ancora
elaborato le sfide della globalizzazione, la seconda é perció
arretrata.
Quali siano le riforme necessarie si evince dalle analisi che sono state
appena fatte circa le ragioni della crisi. Occorre rovesciare la filosofia
formativa della scuola fondata sull'unicità del percorso formativo e
sul primato assoluto della funzione docente. Al centro del processo
formativo deve stare il soggetto che apprende e si forma, nella concretezza
della sua condizione sociale, culturale, ambientale.
La scuola deve prevedere, per questo, in ogni suo grado, larghi margini
di opzione, deve articolare l'onnicomprensività, deve adottare "la
pedagogia del successo", valorizzando attitudini e interessi. Occorre
pertanto una nuova strutturazione dell'apparato formativo, che preveda un
minimo comune denominatore di strumenti culturali, sufficiente per muoversi
nella società contemporanea, e una pluralità di percorsi
flessibili e di curricoli ai quali i giovani possano accedere
consapevolmente. Dunque: un nuovo ordine dei cicli, una ridefinizione dei
programmi, nuove tecniche di apprendimento e di insegnamento, ma prima
ancora un nuovo assetto istituzionale e amministrativo sia del sistema
nazionale dell'istruzione sia di singoli istituti scolastici.
Altro punto qualificante di una vera riforma del sistema scolastico
resta, dal nostro punto di vista, l'abolizione del valore legale del titolo
di studio che inevitabilmente sposta l'attenzione dalla certificazione
burocratica alle reali competenze acquisite dagli alunni nei singoli
istituti.
Oggi in Italia, in materia di istruzione, tutto é ingessato
perchè, con il valore legale del titolo di studio, l'offerta é
unica in tutto il Paese e per tutti i destinatari: quella decisa e
pianificata da parte del Ministero della pubblica istruzione.
Al contrario, solamente il pluralismo dell'offerta formativa permette una
risposta corretta alla domanda e alla libertà di scelta degli aventi
diritto. Inoltre ne esce rafforzato il compito della Repubblica che é
quello di dettare le norme generali sull'istruzione statale e non statale,
pubblica e privata; ne esce rafforzato parimenti il compito dello Stato che
é quello di tutelare i cittadini facendo osservare le norme.
Le scuole di Stato, finalmente autonome dall'ente che le istituisce, sono
chiamate, d'ora in avanti, a progettare l'offerta in risposta alla domanda,
non in attuazione della pianificazione del Ministro, ma in base alla
committenza sociale, visto che le risorse provengono, attraverso
l'imposizione, dai privati cittadini.
In questo modo esisteranno scuole secondo modelli autonomi, cioé
un pluralismo di scuole con il relativo pluralismo dell'offerta e la
responsabilità dei risultati. Allo Stato competerà la
valutazione degli stessi.
Il presente disegno di legge si prefigge l'obiettivo di ridisegnare il
nuovo sistema scolastico che dovrà ad un tempo potenziare e rinnovare
la dimensione culturale, professionale e nazionale degli studenti e favorire
il radicamento locale della scuola, proprio di uno Stato federale.
Centralità dello studente e competitività dell'intero
sistema scolastico sono le due direttrici di fondo di una strategia
scolastica globale che indichiamo come necessità prioritaria del
nostro Paese.
La scuola deve dunque porre al centro della propria azione la "persona".
Si istruisce per educare. Per questo la scuola deve partire da un progetto
intenzionalmente rivolto alla promozione totale della persona. La scuola non
puó ridursi ad un luogo di accumulo delle conoscenze, ma deve offrire
"significati".
É inoltre importante che la scuola recuperi il posto e il ruolo
che dovrebbe avere nel contesto attuale in rapporto alle altre istanze
educative, prima fra tutte la famiglia che é titolare del
diritto-dovere dell'istruzione dei propri figli. La scuola non deve essere,
insomma, un'istituzione totalizzante, ma, al contrario, deve dialogare con
tutte le realtà, interagendo con esse.
Vanno rivisti e aggiornati i programmi di studio, che dovranno fare
riferimento a pochi e approfonditi saperi, evitando il sovraccarico
quantitativo di informazione. Va recuperato un modello culturale che eviti
il pericolo rappresentato da un sistema sommatorio di un sapere
illusoriamente enciclopedico.
Un'attenzione particolare va data al rapporto della scuola con il mondo
del lavoro; tale rapporto deve divenire organico e sinergico. É tempo
che nasca anche nel nostro Paese un sistema duale della formazione che
riabiliti e valorizzi adeguatamente la formazione professionale.
Sulla base degli orientamenti espressi, proponiamo una riforma dei cicli
scolastici che comprende:
la scuola dell'infanzia (anni 3-6);
la scuola di primo ciclo (anni 6-11);
la scuola di secondo ciclo (anni 11-15);
la scuola di terzo ciclo (anni 15-18/19).
L'obbligo scolastico é previsto dai sei ai quindici anni e
interessa in modo differenziato ed articolato i primi due cicli scolastici.
La scuola dell'infanzia rimane fuori dall'obbligo perchè noi
riteniamo che almeno fino a sei anni debba essere privilegiato il rapporto
con la famiglia e la sua libera scelta.
La scuola di base si articola in cinque anni di istruzione elementare
piú due anni di consolidamento nella scuola di secondo ciclo.
La scuola dell'obbligo si concluderà con un secondo biennio di
indirizzo nella scuola di secondo ciclo. La scuola secondaria, composta da
un triennio, mantiene la propria specificità di indirizzo e la
caratteristica di scuola di approfondimento culturale. Il corso di studi si
conclude a diciotto o diciannove anni a seconda del tipo di area scelta.
Dopo il diciottesimo-diciannovesimo anno si apre un ventaglio di offerte
formative, della durata piú o meno lunga, da spendere
nell'università, nelle Accademie, nei Conservatori, nell'istruzione
post-secondaria o nei corsi di formazione professionale di livello
superiore.
Parallelamente alla scuola secondaria si dà vita ad un secondo
canale di formazione, quello della formazione professionale, di pari
dignità rispetto al canale dell'istruzione.
L'obiettivo prioritario di questo disegno di legge é quello di
consentire il passaggio: dalla centralità delle discipline alla
centralità dell'alunno; dalla centralità della scuola alla
centralità del territorio; dalla centralità delle nozioni alla
centralità della cultura come approccio ai problemi della vita e come
palestra di libertà; dalla centralità della burocrazia alla
centralità dell'efficienza e dell'efficacia del sistema, attraverso
una pari dignità tra i gradi scolastici e tra questi e i soggetti
statali e non statali coinvolti nel sistema formativo.
Rispetto alla formazione professionale non possiamo fare a meno di
evidenziare che il modello italiano é rimasto l'unico in Europa che
non si é posto in sintonia con lo sviluppo industriale e con le nuove
logiche della società complessa in cui viviamo. Per tali motivi la
formazione professionale é rimasta, nel nostro sistema scolastico,
isolata, in una posizione subalterna e di emarginazione, sino a porsi come
alternativa finale di ripiego rispetto a fenomeni che purtroppo
caratterizzano negativamente il nostro sistema scolastico (evasione,
dispersione, insuccessi).
L'idea che l'istruzione e la formazione professionale siano qualcosa che
sta "al servizio di" o che sono "strumentali a", cioé qualcosa di
subalterno, di inferiore, di sottoposto, di subordinato, é radicata
storicamente. Intendiamo dire che é parte della storia del sistema
scolastico italiano. Il sistema scolastico secondario, infatti, é
nato piú di cento anni fa in maniera dicotomica, cioé con una
netta divaricazione tra l'istruzione classica e l'istruzione tecnica. La
spaccatura tra i due ordini di scuola fu aspramente criticata fin
dall'inizio. Ma rimase nell'ordinamento e permane tuttora nella percezione
comune anche degli uomini di cultura. Sul gradino superiore stanno i licei.
Su quelli inferiori stanno prima gli istituti tecnici e poi, via, via, gli
istituti professionali e la formazione professionale. Una vera e propria
gerarchia, non solo, e non tanto di prestigio, ma soprattutto di natura, di
essenza, di qualità. Nel nostro Paese, insomma, la formazione
professionale é stata percepita come percorso di pari dignità
culturale e pedagogica rispetto a quello scolastico solo da coloro che
l'hanno vissuta (enti, docenti, studenti, famiglia). Di questa concezione
paritaria, invece, non c'é traccia nei documenti legislativi in
vigore, nè nelle proposte di riforma del "Governo Prodi". La
formazione professionale sembra ridotta a schiava della scuola nel documento
governativo sul riordino dei cicli scolastici e a serva del lavoro nel
pacchetto che contiene le norme in materia di promozione dell'occupazione.
Si tratta, in entrambi i casi, di visioni riduttive e fortemente
penalizzanti della formazione professionale.
L'ipotesi della formazione professionale, cosí come si evince
dalla nostra proposta, al contrario, raccoglie le indicazioni OCSE per
creare un sistema nel quale: vi sia meno separazione, nei singoli programmi,
tra le forme di insegnamento a impostazione generale e quelle orientate
all'avviamento a specifici settori professionali; il fatto di seguire un
indirizzo di studi non impedisca di seguirne un altro; una volta compiuta la
transizione al lavoro, le persone si vedano offrire possibilità di
riprendere gli studi a tempo pieno, nonchè di seguire percorsi di
istruzione e formazione permanente a tempo parziale; i certificati e i
diplomi siano trasferibili da un particolare contesto del sistema scolastico
ad un altro, esistano meccanismi di finanziamento che, facilitando l'accesso
da parte di categorie svantaggiate, consentano loro di non interrompere
l'istruzione e la formazione.
Il sistema proposto é, per questo, duale nel senso di una
effettiva compenetrazione ed interazione tra i due aspetti (culturale e
professionale) ed é innovativo nel senso che, per la prima volta, nel
ridisegnare la scuola italiana, si pongono sullo stesso piano lo studio e il
lavoro.
Il presente disegno di legge si compone di 10 articoli.
L'articolo 1 propone l'articolazione scolastica che va dalla scuola
dell'infanzia (dai 3 ai 6 anni) e prosegue con la previsione di tre cicli
scolastici. L'obbligo scolastico é previsto in nove anni che vanno
dai sei ai quindici anni (comma 4).
L'articolo 2 definisce le articolazioni della scuola dell'infanzia.
L'articolo 3 fissa in cinque anni la durata della scuola di primo ciclo e
al comma 3 ne fissa le finalità.
L'articolo 4 prevede l'articolazione per la scuola di secondo ciclo in
due bienni che vanno dall'undicesimo al quindicesimo anno di età. Al
comma 2 si definisce la specificità del primo biennio; al comma 3
viene definita la specificità del secondo biennio, diviso per
indirizzi, per il quale é garantito anche il passaggio da un modulo
all'altro previa attivazione di apposite iniziative didattiche propedeutiche
al cambiamento di orientamento (comma 6). Il comma 4 fissa le
possibilità di sperimentazioni ai sensi dell'articolo 7 del decreto
ministeriale 9 agosto 1999, n. 323. Il comma 5 fissa la realizzazione
logistica della scuola di secondo ciclo e il comma 7 stabilisce la
certificazione finale attestante il percorso didattico concluso.
L'articolo 5 stabilisce la conclusione della scuola di base al termine
del primo biennio del secondo ciclo, prevedendo un esame di Stato finale e
relativo orientamento di massima per la scelta successiva di area e di
indirizzo.
L'articolo 6 definisce la scuola di terzo ciclo, fissa la sua durata in
tre o quattro an ni e la articola in cinque aree. Fissa inoltre le
finalità tese all'inserimento nel mondo del lavoro. La realizzazione
della scuola di terzo ciclo é stabilita negli attuali istituti di
istruzione secondaria di secondo grado denominati licei di secondo livello.
L'articolo prevede inoltre un esame di Stato finale da sostenere in base
alla scelta dell'area.
L'articolo 7 stabilisce la possibilità di accesso, previo
conseguimento del diploma di secondo livello, ai corsi di perfezionamento e
di specializzazione al termine dei quali avviene il rilascio di un diploma
scolastico post-secondario (comma 3). Per tali corsi é prevista la
costituzione di crediti formativi finalizzati all' iter
universitario successivo (comma 4).
L'articolo 8 fissa il canale della formazione professionale come garanzia
all'ingresso nel mondo del lavoro, prevedendone la realizzazione nell'ambito
della scuola di terzo grado e articolandolo secondo precise linee guida.
L'articolo 9 stabilisce le modalità di accesso alla formazione
professionale e fissa la sua durata in tre anni.
L'articolo 10 fissa le modalità ed i tempi di attuazione dei nuovi
cicli scolastici.
DISEGNO DI LEGGE |
Art. 1.
(Sistema educativo
1. Il sistema educativo di istruzione e di formazione é
finalizzato alla crescita e alla valorizzazione della persona umana, nel
rispetto dei ritmi dell'età evolutiva, delle differenze e
dell'identità di ciascuno, nel quadro della cooperazione tra scuola e
genitori, in coerenza con le disposizioni in materia di autonomia delle
istituzioni scolastiche e secondo i princípi sanciti dalla
Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. La
Repubblica assicura a tutti pari opportunità di raggiungere elevati
livelli culturali e di sviluppare le conoscenze, le capacità di
apprendere e le competenze, generali e di settore, coerenti con le
attitudini e le scelte personali, adeguate all'inserimento nella vita
sociale e nel mondo del lavoro, anche con riguardo alle specifiche
realtà territoriali.
a)
nella scuola dell'infanzia;
3. L'obbligo scolastico inizia a partire dal sesto anno di età e
si articola nella frequenza della scuola di primo ciclo e della scuola di
secondo ciclo.
|
Art. 2.
(Scuola dell'infanzia)
1. La scuola dell'infanzia, di durata triennale, concorre alla educazione
e allo sviluppo affettivo, cognitivo e sociale dei bambini di età
compresa fra i tre e i sei anni, promuovendone le potenzialità di
autonomia, creatività e di apprendimento, operando per assicurare una
effettiva eguaglianza delle opportunità educative; nel rispetto
dell'orientamento culturale dei genitori, concorre alla formazione integrale
dei bambini.
|
Art. 3.
(Scuola di primo ciclo)
1. La scuola di primo ciclo, di durata quinquennale, é
caratterizzata da un percorso educativo unitario ed articolato in rapporto
alle esigenze di crescita e sviluppo dei singoli alunni, di età
compresa fra i sei e i dieci anni.
a)
acquisizione e sviluppo delle conoscenze e delle abilità di base;
|
Art. 4.
(Scuola di secondo ciclo)
1. La scuola di secondo ciclo ha la durata di quattro anni e inizia, di
norma, all'undicesimo anno e termina al quindicesimo anno di età; la
scuola di secondo ciclo si articola in un primo biennio dedicato al
consolidamento dell'istruzione di base, attraverso gli apprendimenti
disciplinari, ed in un secondo biennio con possibilità di utilizzare
i moduli della formazione professionale, anche tramite convenzioni tra vari
soggetti formatori pubblici e privati. Nell'intero quadriennio deve essere
previsto l'insegnamento di almeno una seconda lingua straniera.
|
Art. 5.
(Scuola di primo e di secondo ciclo)
1. Le articolazioni interne della scuola di primo e di secondo ciclo sono
definite a norma del regolamento emanato con decreto del Presidente della
Repubblica 8 marzo 1999, n. 275.
|
Art. 6.
(Scuola di terzo ciclo
1. La scuola di terzo ciclo o scuola secondaria, chiamata liceo di
secondo livello, ha durata non inferiore a tre anni e non superiore a
quattro anni e si articola nelle seguenti cinque aree:
1) classica-umanistica;
Essa ha la finalità di consolidare, riorganizzare ed accrescere le
capacità e le competenze acquisite nel secondo ciclo, arricchire la
formazione culturale, umana e civile degli studenti, sostenendoli nella
progressiva assunzione di responsabilità e offrire loro conoscenze e
capacità adeguate all'accesso all'istruzione universitaria, ai corsi
post-secondari di cui all'articolo 7, ovvero all'inserimento nel mondo del
lavoro.
a)
consolida la formazione generale acquisita nei precedenti gradi di
istruzione e la sviluppa in funzione degli obiettivi formativi generali e
specifici da raggiungere;
Ciascuna area é ripartita in indirizzi anche mediante riordino e
riduzione del numero di quelli esistenti alla data di entrata in vigore
della presente legge.
|
Art. 7.
(Corsi post-secondari di perfezionamento e di specializzazione)
1. Coloro che abbiano conseguito il diploma di liceo di secondo livello
possono accedere a corsi post-secondari di perfezionamento e di
specializzazione.
|
Art. 8.
(Formazione professionale)
1. La formazione professionale costituisce e garantisce la graduale
integrazione tra il momento educativo e l'esperienza del lavoro. Tale ciclo
opera per completare la formazione del cittadino quale protagonista del
mondo produttivo inteso come elemento di progresso civile e sociale della
Nazione.
a)
sostanziale coerenza e continuità tra le forme di insegnamento ad
impostazione generale e quelle orientate all'avviamento a specifici settori
professionali;
|
Art. 9.
(Accesso alla formazione professionale)
1. Alla formazione professionale si puó accedere dopo aver
conseguito il positivo giudizio di valutazione al termine della scuola di
secondo ciclo.
|
Art. 10.
(Attuazione progressiva dei nuovi cicli)
1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge,
il Governo presenta al Parlamento un programma quinquennale di progressiva
attuazione della riforma. Le Camere adottano, entro quarantacinque giorni
dalla trasmissione del programma, una deliberazione che contiene indirizzi
specificatamente riferiti alle singole parti del programma. Il programma
é corredato di una relazione che ne dimostra la fattibilità
nonchè la congruità dei mezzi individuati rispetto agli
obiettivi, compresa la valutazione delle eventuali riduzioni di spesa ai
fini dell'applicazione delle disposizioni di cui al comma 2. Il programma
comprende, tra l'altro, un progetto generale di riqualificazione del
personale docente, finalizzato anche alla valorizzazione delle specifiche
professionalità maturate, nonchè alla sua eventuale
riconversione; i criteri generali per la formazione degli organici di
istituto con modalità tali da consentire l'attuazione dei piani di
offerta formativa da parte delle singole istituzioni scolastiche; i criteri
generali per la riorganizzazione dei curricoli della scuola di primo,
secondo, terzo ciclo e della formazione professionale, ivi compresi quelli
per la valorizzazione dello studio delle lingue e per l'impiego delle
tecnologie didattiche; un piano per l'adeguamento delle infrastrutture.
|