DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa dei senatori PETRUCCI, BETTONI BRANDANI, DANIELE GALDI, BRUNO
GANERI, BUCCIARELLI, CASADEI MONTI, CIONI, DE LUCA Michele, GIOVANELLI, DE
MARTINO Guido, FORCIERI, MICELE, ROGNONI, SMURAGLIA e STANISCIA
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 10 MAGGIO 1996
Interventi di sostegno sociale, per la prevenzione delle condizioni di disagio e povertà, per la promozione di pari opportunità e di un sistema di diritti di cittadinanza
ONOREVOLI SENATORI. - In un sistema socio-economico pluralistico dove
l'economia non sia governata da forze selvagge, l'ordine economico non
puó essere separato da un ordine sociale che persegua nel concreto le
esigenze quotidiane della popolazione: riconosca merito e opportuna
affermazione ai piú capaci, imposizione fiscale equa in rapporto al
reddito, protezione sociale per i piú deboli.
Protezione che si esprime attraverso un concetto moderno di
solidarietà "dello Stato sociale", operando alcune grandi scelte
qualificanti, meccanismi correttivi dei fattori di distorsione del sistema
sociale, promuovendo e lasciando spazio allo spirito di impresa anche
all'interno dello stesso welfare,
che deve essere trasformato in organizzazione sburocratizzata, flessibile,
contenuta nei costi e misurabile in termini di efficacia e qualità.
In base a tali presupposti non é pensabile aver avviato una
trasformazione dello Stato sociale solo con la riforma del Servizio
sanitario nazionale e del sistema previdenziale, si tratterebbe di un
sistema di protezione "monco" e soprattutto di un sistema che esclude la
vera fascia di popolazione piú bisognosa della solidarietà, e,
non ultimo, va ricordato come il mancato contenimento e gestione dei
problemi e delle diseguaglianza sociali, possa condurre anche a gravi
condizioni di instabilità politica e sociale. Naturalmente la riforma
dei regimi di sicurezza sociale va supportata da un'altrettanto rigorosa
riforma del sistema fiscale.
L'indirizzo della ricostruzione degli interventi di sostegno sociale deve
altresí trasferire risorse verso i servizi alla persona, oggi
compressi al 10 per cento della spesa sociale, stimolando nuova occupazione.
Non ci sarà allora solo intrinseco valore di equilibrio sociale ma
anche affermazione concreta del "valore umano".
1. I servizi socio-assistenziali oggi: perché una legge quadro
sull'assistenza.
Il decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, aveva
modificato il contenuto di assistenza-beneficienza pubblica derivato dagli
articoli 38 e 117 della Costituzione introducendo il concetto di "servizi
sociali", che ha permesso una piú moderna organizzazione del settore,
specie in alcune realtà del Paese, evidenziando, anche in questo
campo, pesanti squilibri tra Nord, Centro e Sud.
L'aspetto piú rilevante della mancanza di una legge quadro in
materia di assistenza, é stato, ed é, quello di non permettere
una sostanziale trasformazione del settore verso nuove ipotesi organizzative
che tengano conto del nuovo ordinamento delle autonomie locali, del processo
amministrativo di redistribuzione delle responsabilità nel pubblico
impiego, delle potenzialità derivanti da un rapporto
pubblico-privato, privato non profit , capaci di costituire una
circolo virtuoso per ottimizzare le risposte del welfare
e modularle alla nuova e pressante domanda sociale.
Pertanto, anche le innovazioni e sperimentazioni di grande interesse,
condotte dalle regioni piú sensibili, spesso non possono essere
convalidate per problemi legati alla finanza locale e soprattutto
perché al di fuori di livelli assistenziali omogenei individuati come
standard
nazionali di riferimento. Livelli che dovrebbero permettere anche la
possibilità di razionalizzare e coordinare le prestazioni
assistenziali locali a prestazioni nazionali, quali possono essere le
pensioni di invalidità civile e le pensioni sociali.
Queste ultime, pur nella loro natura di emolumento prettamente
assistenziale, sono stati fino ad oggi collegate al comparto previdenziale e
non hanno potuto costituire una componente "gestibile" dagli enti locali di
riferimento ai fini di complessivi programmi di recupero e integrazione
sociale dell'individuo.
La legge di riforma previdenziale 8 agosto 1995, n. 335, ha di fatto
separato gli emolumenti assistenziali, quali le pensioni sociali entrando
con l'assegno sociale nell'ottica di un "minimo vitale" da garantire ad ogni
cittadino ultrasessantacinquenne privo di reddito, nel contempo ha posto le
condizioni per regolamentare altri benefici economici legati alle
disabilità del cittadino, quali le pensioni di invalidità
civile e le indennità di accompagnamento, collegandole piú che
alla inabilità al lavoro, come é avvenuto fino ad oggi, ad una
complessiva tutela del portatore di handicap , particolarmente se
non autosufficiente, integrata con le altre prestazioni del sistema sociale
(articolo 3, comma 3, della legge n. 335 del 1995).
Per riassumere, i mutamenti legislativi del settore previdenziale a
seguito della legge n. 335 del 1995 e quelli del settore sanitario
già avvenuti ad opera dei decreti legislativi 30 dicembre 1992, n.
502, e 7 dicembre 1993, n. 517, prevalentemente collegati al contenimento ed
alla razionalizzazione della spesa pubblica, richiedono un complessivo
ripensamento dello "Stato sociale" che peraltro non ignori i profondi
mutamenti dell'assetto socio-demografico del Paese, riscontrabili anche in
altri Stati dell'Unione europea (Germania, Francia, Inghilterra, solo per
citare quelli che hanno provveduto o stanno provvedendo alla revisione del
Welfare ).
Alcuni indicatori del cambiamento del quadro sociale italiano,
rinvenibili anche nella "relazione Carniti" sulla condizione di
povertà, sottolineano le criticità degli anni 2000:
mutamento della struttura demografica della popolazione, con il grave
problema dell'invecchiamento;
aumento delle classi povere, causa l'allargamento del gap
tra redditi alti e bassi;
crisi istituzionale della famiglia, sovraccarico di lavoro per la
donna;
aumento della immigrazione stabile e di quella irregolare;
permanere di sacche di disoccupazione anche di fronte ad una ripresa
industriale che accenna a divenire sempre piú consistente;
particolarmente per il problema della povertà é doverosa una
riflessione analitica sulla dimensione qualitativa del fenomeno: infatti, se
lo stesso viene analizzato sul piano statistico della ciclicità del
fenomeno, i dati dimostrano una sorta di paradosso: la diminuzione di
povertà assoluta nell'ultimo decennio dal 7-8 per cento degli anni
'80 al 6-5 per cento degli anni '90 (5 per cento nel 1994). Lo stesso non si
puó dire per le povertà relative, ovvero, diseguaglianze
sociali nell'accesso al reddito e quindi ai consumi.
I rapporti ISTAT e CNEL del 1995 sottolineano l'aumento di questo
fenomeno definibile come maggior diffusione del rischio sociale, peraltro
presente in tutti i Paesi europei, anche se con tassi inferiori a quelli
italiani.
Il fenomeno delle povertà relative é una pesante
eredità degli anni 1980-1990 per gli squilibri esistenti tra salari e
loro potere d'acquisto. Dagli anni '90 e particolarmente dal patto sociale
del luglio 1993 sul costo del lavoro, il fenomeno é stato contenuto
attraverso la maggior attenzione al rapporto inflazione/salari.
Ovviamente le misure affrontate non sono sufficienti per il completo
controllo delle povertà relative, sono necessari interventi
piú strutturali per la redistribuzione del reddito, collegati ad una
reale riforma del sistema fiscale, ma anche e soprattutto a nuove
modalità di intendere il welfare
come promozione di pari opportunità e di un sistema di "diritti di
cittadinanza".
I soggetti maggiormente colpiti dal fenomeno delle diseguaglianze, sono
tali per provenienza territoriale e per limitazioni personali (età,
malattia cronicizzata. incapacità di occuparsi per mancanza di
informazioni e formazione). Basta far riferimento al PIL regionale del 1993
per rilevare che la distanza per abitante registra differenze Nord-Sud
superiori al 50 per cento (126.3 per cento Valle d'Aosta; 57.8 per cento
Calabria).
La soluzione di questi problemi, come detto in premessa, é frutto
di politiche integrate sulle modalità distributive del reddito,
sull'accesso al lavoro e sul sostegno non assistenzialistico alle
diseguaglianze prodotte dal "rischio sociale" di chi ha meno per accedere ai
consumi.
Gli interventi di contenimento del costo del lavoro e della spesa
pubblica, posti in essere nell'ultimo biennio, con attenzione alle fasce
deboli, vanno in questa direzione, ma nel contempo non puó essere
ulteriormente disatteso un provvedimento piú organico di riordino
delle funzioni socio-assistenziali, con lo scopo di intervenire direttamente
nel processo di formazione della diseguaglianza, supportando le carenze
degli individui in termini di maggior informazione e formazione, attraverso
benefici assistenziali, possibilmente temporanei e comunque mobilizzando gli
emolumenti economici permanenti che nei decenni precedenti sono stati
utilizzati all'unico scopo di "monetizzare il danno fisico", senza tendere
al recupero delle abilità residue della persona.
Questi descritti, sono tutti problemi a cui é necessaria una
risposta a breve per non esasperare tensioni che possono divenire
incontrollabili se non vengono "gestite".
Ció che abbiamo di fronte oggi sono grandi scelte di politica
sociale, come lo é stata la riforma previdenziale, come dovrà
essere, sia l'incentivazione a nuova occupazionalità, specie nel Sud,
sia una reale riforma del sistema fiscale, per allineare l'Italia con le
piú avanzate Nazioni europee.
É su questa linea che il Parlamento deve compiere scelte "mirate"
di politica sociale, in favore della famiglie e delle categorie fragili, con
particolare riferimento ad anziani e disabili non autosufficienti,
riordinando anche gli emolumenti economici permanenti quali le pensioni di
invalidità civile e le indennità di accompagnamento,
attribuendo loro la reale funzione di supporto alla non autonomia
(dipendenza) del cittadino inabile per età o handicap ,
piuttosto che il ruolo di fittizio compenso alla perdita di capacità
lavorativa, utilizzabile in maniera impropria, anche da chi non é
portatore di gravi disabilità.
La redistribuzione degli interventi sociali deve far assumere al Paese
uno schema di sviluppo basato sulla sostenibilità economica e sulla
equità, sull'assunzione di una nuova concezione di giustizia sociale
che consideri le differenze tra i cittadini, di reddito, età e
condizione di salute, non come discriminanti per l'espulsione dal circuito
sociale, ma come soglie di accesso ad un sistema di servizi che abbia come
scopo la permanenza, l'inserimento o il reinserimento nello stesso circuito
sociale.
Si tratta in sintesi di selezionare bisogni e utenti intervenendo nelle
situazioni di maggior criticità, sia con interventi diretti, sia con
prestazioni integrative o alternative anche attraverso riduzione del carico
fiscale.
Quanto si propone nel provvedimento di legge di riordino del sistema
socioassistenziale, per gli aspetti della selezione del bisogno, é
particolarmente calibrato per rispondere ai problemi dell'invecchiamento
della popolazione italiana e comunque per affrontare i problemi della
lungo-assistenza (o cronicità) particolarmente incidenti
nell'epidemiologia degli anni 2000 a seguito dell'aumento delle malattie
degenerative e delle polipatologie senili.
Infatti, nello stabilire indici medi sul costo della vita, incrementati
nel caso della mancanza di autonomia della persona (prescindendo comunque
dall'età), si mobilizzano risorse economiche risolutive - non solo
per il soggetto assistito - ma per un nuovo mercato di lavoro dedicato ai
"servizi alla persona", di cui si dirà in seguito, che coniuga la
solidarietà sociale alla redistribuzione del reddito verso nuovi
profili occupazionali.
L'assetto dei servizi socio-assistenziali presenta oggi molte lacune, sul
piano dei contenuti, dell'organizzazione, del raccordo con il sistema
sanitario, con il sistema scolastico e della formazione professionale;
particolarmente difficoltosa é l'analisi dei flussi di spesa. I nodi
di maggior entità sono ascrivibili a:
inesistenza di una progettualità sociale organizzata di fronte
all'aumento della po vertà (il 12 per cento circa della popolazione
vive con redddito inferiore al 50 per cento del reddito medio pro
capite ) e delle fragilità sociali: alta percentuale di
popolazione ultrasessantacinquenne, pari, come media italiana, a circa il 15
per cento, mentre in alcune regioni del Nord-Centro supera il 20-24 per
cento, alta incidenza della disoccupazione e inoccupazione, immigrazione;
inesistenza di un livello "minimo" di interventi sociali omogenei: la
differenza nelle diverse aree regionali, rende difficilmente comparabili a
livello nazionale le tipologie di prestazioni, sia per i contenuti che per
le modalità di accesso; il divario aumenta anche in base alle aree
geografiche Nord, Centro, Sud;
spesa pubblica elevata, incontrollata e incontrollabile (oltre 62 mila
miliardi per l'assistenza a cui si aggiungono circa 14,5 mila miliardi per
pensioni e assegni sociali). Difficilmente rilevabile anche la spesa dei
comuni, perché afferente a diverse imputazioni;
quasi inesistente il rapporto qualità/spesa;
limitato ruolo dell'ente locale nell'assunzione di "regia" per la
progettualità sociale, configurando l'intervento sulla persona o sul
nucleo familiare, piú come un insieme di segmenti (talvolta
obbligatoriamente effettuati da diversi gestori), che come intervento
globale sul bisogno;
offerta di interventi sociali "preconfezionati" piuttosto che
"pacchetti di prestazioni" o "percorsi assistenziali integrati tra
pubblico/privato/volontariato" adattabili al bisogno del singolo tramite
un'attenta lettura delle sue condizioni;
persistenza di assistenzialismo a scapito di un intervento di recupero
e restituzione delle potenzialità individuali con la rimozione delle
cause-problema (in particolare per l'inserimento ed il reintegro in
attività occupazionali);
confusione tra i diversi emolumenti economici continuativi derivati da
invalidità, età, mancanza di reddito, con la necessità
di ricondurli ad un disegno complessivo di "minimo vitale" e di percorsi
assistenziali integrati" per non autosufficenti;
disomogeneo anche il ruolo del volontariato e del privato non
lucrativo, in relazione alle differenti normative regionali e
regolamentazioni locali, con difficoltà a rilevare il carico e la
qualità delle prestazioni;
esistenza di una forte spesa sommersa, senza possibilità di
controlli qualitativi, in assistenza privata a scopo di lucro, specialmente
praticata per attività di ricovero ad anziani non autosufficienti ed
a soggetti con cronicità psichiatrica (le strutture private sfuggono
spesso a controlli autorizzativi ed in alcune zone non esistono normative in
proposito; esiste inoltre, in questo settore, una riconversione "forzata" di
strutture sanitarie declassate, quali ex case di cura);
raccordi problematici e conflittuali tra le attività sociali e
quelle sanitarie, particolarmente accentuati dopo l'aziendalizzazione delle
USL, per i servizi sociali in situazione di delega alle USL, ma anche nel
caso di servizi gestiti separatamente da comuni e USL;
mancanza di forme assistenziali integrative a scelta individuale o
collettiva, particolarmente necessarie negli stati di cronicità che
richiedono assistenza "impegnata", prevalentemente non sanitaria, per lunghi
periodi (gli stati patologici di lungoassistenza non sono presi in
considerazione nemmeno dalle assicurazioni private).
2. Alcuni princípi teorici per la revisione del sistema
socioassistenziale.
Sono già stati richiamati i princípi di
sostenibilità economica ed equità sociale per impostare una
riforma del sistema socio-assistenziale, ad essi va aggiunto lo scopo di
perseguire con la riorganizzazione del welfare , anche una riforma
istituzionale e gestionale dello Stato sociale tramite rigorosa separazione
tra funzioni di indirizzo e di controllo da funzioni gestionali, che
comprenda la fissazione di princípi quadro ad opera dello Stato, il
decentramento delle sedi di programmazione e destinazione delle risorse alle
regioni, la realizzazione delle attività ai comuni con l'introduzione
di sog getti non profit
e for profit
nel "mercato" dei servizi.
In tal senso, sembra opportuno prendere in esame, sia pure in estrema
sintesi, le tipologie di welfare
culturalmente e storicamente piú consolidate.
L'approccio storico-economico individua nel welfare state
"strutture tipiche di organizzazione sociale", di redistribuzione del
reddito, di mediazione dei conflitti sociali, che si realizzano in diversi
modelli in successione temporale, con varie articolazioni ed
interconnessioni fra loro.
Le tipologie di welfare
fino ad oggi proposte sono state prevalentemente espresse in termini
normativi, ossia attraverso schemi teorici che individuano i principali
obiettivi di "dover essere" dello Stato sociale, mentre sono invece carenti
tipologie elaborate su indicatori a base empirica.
Il maggior teorico del welfare
degli anni '50, Richard Titmuss, ha considerato lo sviluppo assistenziale
in tre sistemi:
a)
benefici occupazionali ( occupational welfare ), riguardanti i
particolari benefici, servizi e risorse ricevuti dal lavoratore come
risultato del suo lavoro, al di là dei benefici pubblici derivanti da
assicurazioni generali o da sicurezza sociale;
b)
benefici fiscali ( fiscal welfare ) consistenti in "assegni
esenzioni da tasse" e in tutte quelle forme di trasferimento di reddito che
si riferiscono in complesso alle esenzioni, assegni e detrazioni sotto
sistemi diretti di tassazione centrale e locale, nonché altre tasse
quali i cosidetti contributi alle assicurazioni nazionali;
c)
benefici di servizi sociali ( social welfare ) riferito, nella
classica tradizione inglese di amministrazione sociale, ai cinque servizi
del welfare : l'istruzione primaria e secondaria, il servizio
sanitario nazionale, i servizi sociali di aiuto al cittadino (ivi compreso
il finanziamento ad agenzie di volontariato), l'edilizia locale, eccetera.
All'interno della trilogia sistemica di Titmuss va fatta una fondamentale
distinzione tra "modello residuale" e "modello istituzionale".
Il modello residuale, legato alle teorie "ottimistiche" della crescita
economica, dell'imborghesimento e della convergenza dei sistemi, sostiene,
dunque, che una prosperità crescente e diversificata spinta dal
libero mercato riduce e fa declinare i problemi sociali legati alla
povertà.
Conseguentemente, lo scopo degli interventi di welfare
dovrebbe essere quello di focalizzarsi in modello selettivo, su una
minoranza residuale e decrescente di gruppi sociali bisognosi.
In questo modo le risorse scarse saranno usate in maniera piú
efficiente perché nei casi appropriati verranno elargite ad un
livello cosí consistente da portare effettivi miglioramenti nelle
situazioni sociali di maggior bisogno e di emarginazione.
Il nodo centrale di questo modello é dunque che i privati
cittadini dovrebbero sopperire normalmente ai bisogni quotidiani attraverso
le proprie risorse e capacità, mentre lo Stato dovebbe intervenire
solo quando e dove falliscono.
Il focus
economico é che i "servizi universalistici" sono causa di sperperi
perché permettono abusi mentre i "servizi selettivi" (che sono basati
sulla prova dei mezzi) verrebbero usati solo da chi é veramente
bisognoso.
Il modello istituzionale, all'opposto, interpreta la crescita economica
come un fatto che ha connaturati in sé fenomeni di povertà e
critica la teoria dell'imborghesimento e la teoria della convergenza dei
sistemi
In sostanza, il modello istituzionale, enfatizza il persistere e
l'accentuarsi in alcuni casi ed in determinate aree sociali della
povertà e dei fenomeni di deprivazione e di emarginazione.
Il focus
economico consiste nel fatto che il mercato é strutturalmente
incapace di raggiungere qualcosa che anche lontanamente somigli ad una
"giusta collocazione dei beni e dei servizi", questo rende necessario che i
"servizi sociali" - in senso lato - siano costituiti come "istituzioni
basilari" piuttosto che come agenzie residuali.
Gli effetti della industrializzazione elevano i rischi e le conseguenze
di fenomeni come la disoccupazione, la povertà, la man canza di
conoscenze appropriate, la malattia, la mancanza di una casa. Pertanto, lo
scopo del modello istituzionale é che i servizi del welfare
state
debbono essere forniti "su basi universalistiche" ( at large )
espandendoli anziché riducendoli nelle loro finalità e
dimensioni.
Sembra evidente, che i due modelli sono in qualche modo tra loro opposti
nella sia pur sintetica declinazione delle loro caratteristiche, per tali
motivi, si é oggi piú propensi a non radicalizzare né
l'uno né l'altro modello, ma a ricercare un mix
di entrambi ovvero a configurare il welfare
come "infrastruttura di servizi" che comprende un livello essenziale di
prestazioni accessibile a tutte le categorie fragili, e "pacchetti
assistenziali" integrativi da acquisire a costi limitati, anche attraverso
detrazioni fiscali e meccanismi regolativi di un piú ampio rapporto
tra sfera pubblica e istituzioni sociali, familiari e "agenzie private"
non profit
e profit .
Ed infine, per evidenziare anche una tesi di carattere economico
largamente espressa da autori di saggi sul welfare
(Ardigó, Donati, Piperno, Ascoli, La Rosa, Paci, Pennacchi, Porcu,
Serpellon, Vian): i diversi modelli non si possono leggere in chiave
evoluzionistica o antagonista, si tratta invece di interpretarli secondo una
linea di "transazione tra un polo e l'altro" nelle dimensioni principali di
"Stato" e "mercato", e secondo le differenti tipologie dei soggetti
erogatori e distributori di beni e servizi.
3. Il nuovo modello di politica sociale.
La riforma del sistema sociale non puó considerarsi, anche in un
momento di crisi finanziaria come quello attuale, una operazione economica
di contenimento della spesa, ma un modo di ricercare una piú
equilibrata allocazione di risorse e soprattutto una razionalizzazione
"selettiva" dei flussi di spesa verso le reali categorie di bisogno con la
convergenza di risorse provenienti dallo Stato e dalla finanza locale.
Rispetto agli ordini di grandezza delle spese va ricordato come nel
nostro Paese la spesa previdenziale aveva raggiunto il 17 per cento del PIL
e, senza la riforma avrebbe raggiunto in pochi anni il 25 per cento, mentre
in altri settori del welfare
la spesa é largamente al di sotto della media europea:
interventi per la disoccupazione 0,5 per cento del PIL;
ricerca e innovazione 1 per cento del PIL;
scuola e istruzione 6 per cento del PIL;
assistenza sanitaria 5,5 per cento del PIL;
assistenza sociale 4,7 per cento del PIL.
In relazione a quanto precedentemente affermato in materia di sistemi di
politica sociale quello da adottare in Italia é il modello misto tra
modello selettivo e modello istituzionale, in cui i livelli essenziali della
protezione sociale vanno intesi come:
1) strumento a sostegno del cittadino e della famiglia per facilitare
l'uso dei servizi pubblici e privati collegati ad esigenze assistenziali;
2) sostegno continuativo per le categorie fragili sul piano
psico-fisico, inabili al lavoro, intendendo per le stesse i portatori di
patologie o esiti cronicizzanti delle stesse (portatori di
handicap
gravi, soggetti con gravi patologie psichiatriche, anche stabilizzate,
grandi senili con problemi di non-autosufficienza psico-fisica;
3) sostegno temporaneo (se necessario continuativo) alle
fragilità familiari, sono qui inserite sia le attività a
favore del nucleo familiare quanto quelle sostitutive allo stesso realizzate
per uno o piú componenti del nucleo (con particolare riferimento ai
minori). Le attività di sostegno si possono realizzare attraverso
servizi diretti, sia tramite sgravi fiscali; o veri e propri strumenti di
sostegno alla famiglia;
4) sostegno temporaneo per i fragili sociali: soggetti abili al lavoro
ma temporaneamente impediti a forme di occupazione che permettano loro ed al
nucleo familiare un sostentamento continuativo;
5) promozione di attività atte a favorire l'integrazione
sociale dei fragili per patologia o per causa sociale (vedansi in proposito
extracomunitari, ex detenuti, esclusi dal circuito sociale per patologia e
disadattamento).
I servizi essenziali sono offerti attraverso una rete di prestazioni che
si accompagna anche ad altre forme "alternative" di intervento sociale,
quali i "buoni servizio", le detrazioni fiscali, l'assistenza integrativa,
erogate da un mix
istituzionale pubblico, privato non profit, volontariato e
privato for profit.
In questa prospettiva la riforma assistenziale diventa anche occasione
per potenziare il mercato del lavoro attraverso la creazione ed il
potenziamento del cosiddetto "terzo settore", intendendo con tale termine il
settore che produce "servizi alla persona", affidato alle organizzazioni
non profit
(in talune occasioni anche "for profit" ), e che come tale, non
puó essere regolato dai soli meccanismi di mercato, pena le discrasie
già evidenziate a proposito delle strutture di ricovero per anziani,
ma va protetto in termini di professionalizzazione degli addetti,
qualità, controllo e vigilanza.
Alle potenzialità occupazionali del terzo settore fa espresso
riferimento il "Libro bianco" di Delors (1993) che richiama
"l'imprenditorialità sociale" come strumento per aumentare l'offerta
di servizi alle famiglie e occasione di lavoro (anche temporaneo) per
disoccupati e sotto-occupati, stimando in circa 3 milioni i posti di lavoro
da creare in tale settore, da parte dei Paesi europei.
Senza entrare nel merito delle dinamiche economiche e dei sistemi di
welfare
dei singoli Paesi, si citano alcuni dati sull'influenza del settore
"non profit" servizi alla persona, negli anni 1980-1990, rispetto alla
crescita dell'occupazione: USA incremento del 12,7 per cento, contro il 6,8
per cento dell'intera economia; Germania 11 per cento contro il 3,7 per
cento; Francia 15,8 per cento contro il 4,2 per cento; Italia 39 per cento
contro il 7,5 per cento dell'intera economia (BORZAGA, GUI, SCHENKEL:
La Performance delle organizzazioni senza fini di lucro in Italia,
ricerca CNR 1994).
Secondo i princípi e le tesi precedentemente esposte, si é
costruito un disegno di legge che ha individuato interventi di sostegno
sociale per la prevenzione delle condizioni di disagio sociale e di
povertà, cogliendo anche i tratti essenziali della separazione
assistenza-previdenza introdotti nella riforma previdenziale, con la
disciplina degli emolumenti economici continuativi per anziani, invalidi e
famiglie, recependo quindi gli aspetti del "minimo vitale" già
considerati, a proposito dell'assegno sociale di cui alla legge n. 335 del
1995 nella proposta di legge di riordino della assistenza sociale, di
inziativa popolare promossa dalle organizzazioni sindacali, CGIL, CISL, UIL
(vedi atto Senato n. 1063 della XII legislatura, poi atto n. 1 della
legislatura in corso).
4. Il disegno di legge: princípi e contenuti.
Il disegno di legge si articola in sei capi:
capo I: disposizioni generali, gli articoli 1, 2, 3, 4, ricomprendono:
a)
la configurazione di una "progettualità sociale", come risposta ai
bisogni sociali dell'individuo ed al tempo stesso obiettivo di
responsabilità di tutti i partecipanti al progetto di integrazione
sociale, costituendo cosí una forma nuova di comunità (
welfare society ) pienamente responsabile, in grado di svolgere e di
essere coinvolta in forme di partecipazione e di controllo sociale. In
questa ottica é prevista, laddove possibile in termini di reddito, la
partecipazione economica ai costi del servizio da parte del
cittadino-utente. La "progettualità" é intesa come
rinnovamento della "pratica assistenziale" sino ad oggi conosciuta, che
spesso ha deresponsabilizzato i soggetti, diventando di fatto un impedimento
allo sviluppo della rete dei servizi sociali;
b)
forme alternative di acquisto di servizi, tramite la emissione e
circolazione di "buoni servizio", che costituiscono una sorta di "seconda
moneta" all'interno del mercato dei servizi sociali;
c)
la regolazione della politica sociale attraverso la forma innovativa del
Dipartimento, articolato in due Agenzie una per la promozione della salute e
l'altra per le attività sociali, intendendo la politica sociale
(sanità e assistenza) come strumento complessivo di miglioramento
della qualità di vita, per valorizzare l'individuo e le famiglie,
tramite l'offerta di servizi (pubblici/privati e volontariato), di
emolumenti economici temporanei e permanenti e favorendo l'ingresso o il
reingresso nel lavoro;
d)
la disciplina delle istituzioni private in campo assistenziale;
capo II: disposizioni per il riordino dell'assistenza sociale, gli
articoli 5, 6, 7, 8, ricomprendono:
a)
i compiti dello stato in materia di assistenza;
b)
l'illustrazione dei livelli essenziali di prestazioni socioassistenziali,
esigibili dai cittadini in stato di bisogno, su tutto il territorio
nazionale;
c)
la proposta di un modello funzionale di rete di servizi strutturata su un
mix
di prestazioni (domiciliari, residenziali, economiche, di inserimento e
reinserimento sociale, eccetera), quali risposte a problemi omogenei
(esempio: mancanza di autonomia, insufficienza di reddito, fragilità
familiare e personale), piuttosto che a categorie di persone, con regole
fondamentali fissate a livello nazionale e dimensioni realizzative demandate
ai livelli regionali e locali;
d)
il mix
di prestazioni é sc;elto come il modello organizzativo piú
adatto a consentire la maggior flessibilità dei percorsi
assistenziali, attraverso la composizione e ricomposizione "a mosaico" delle
diverse prestazioni ( modello Canadese) realizzata in base al progetto di
recupero individuale, previa valutazione delle risorse personali e del
nucleo familiare di chi richiede "assistenza";
e)
l'istituzione e la regolamentazione della Commissione nazionale per le
politiche sociali;
f)
la messa a punto di un sistema informativo automatizzato e telematico per i
servizi sociali;
capo III: disposizioni per l'organizzazione regionale e locale, gli
articoli 9, 10, 11, 12, 13, ricomprendono:
a)
gli indirizzi a regioni e comuni per la programmazione e realizzazione
della rete di servizi, utilizzando forme di gestione e associative rinnovate
secondo il dettato della legge 8 giugno 1990, n. 142, con particolare
riferimento agli accordi di programma, quale strumento per definire ed
attuare interventi e programmi che richiedono l'azione coordinata di
piú enti (comuni, province, eccetera);
b)
la regolamentazione dei modelli operativi funzionali in cui si prevede
l'organizzazione in rete e l'apporto sinergico pubblico, privato non
profit,
volontariato e privato, é affidata a regioni e comuni singoli e
associati. In questi termini, il comune diventa soggetto progettuale di
"percorsi assistenziali integrati" coordinando con le prestazioni locali,
gli emolumenti economici statali (assegno sociale, pensioni di
invalidità civile, indennità di accompagnamento, eccetera),
secondo le migliori finalità di recupero della persona;
c)
la non predeterminazione a livello nazionale, la dimensione territoriale
per l'erogazione ottimale delle prestazioni é quindi lasciata alle
realtà locali l'iniziativa per scegliere, secondo il dettato della
legge 8 giugno 1990, n. 142, le grandezze territoriali per la gestione
ottimale dei servizi socio-assistenziali secondo le disponibilità
economiche e le necessità della popolazione;
d)
l'indicazione per un'intesa comuni/USL ai fini della distribuzione
territoriale di particolari servizi socio-sanitari quali le residenze
sanitarie assistenziali (RSA), i centri socio-riabilitativi per disabili, le
comunità terapeutiche per tossicodipendenti, l'assistenza domiciliare
integrata. La coincidenza distributiva di tali servizi é richiesta
per l'efficacia e l'economicità delle prestazioni;
e)
una nuova impostazione del coordinamento e dell'integrazione tra assistenza
e sanità, ripensati secondo un criterio tecnicostrutturale piú
moderno e decisamente rapportato alla domanda, dove il coordinamento diventa
un fatto programmatorio di coincidenza tra le politiche dei diversi enti che
si occupano del "soggetto da assistere" (comune USL, scuola) e integrazione
é una processualità "operativa" ottenibile componendo le
prestazioni erogate rispettivamente dai diversi comparti, in un progetto
integrato sulla persona;
f)
la previsione di un registro regionale a cui si iscrivono le istituzioni
private non profit,
di volontariato e private;
g)
una procedura di accreditamento per le istituzioni private non
profit
e private per operare in convenzione con i comuni. La norma prevede per le
strutture accreditate anche controlli eseguiti da associazioni di tutela dei
diritti dei cittadini;
capo IV: disposizioni per il riordino degli emolumenti economici dello
Stato a favore di anziani, invalidi e famiglie, gli articoli 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21, 22, ricomprendono:
a)
il riordino e la modifica nominale dell'assegno sociale, delle pensioni di
invalidità civile e di inabilità, dell'assegno di
accompagnamento e della indennità di accompagnamento, che in base
alla funzione svolta rispetto al grado di autonomia del soggetto
destinatario, vengono ridefiniti rispettivamente, "minimo vitale", "assegni
di inabilità e invalidità", "assegno di mantenimento" (per i
minori completamente dipendenti), "assegno di dipendenza" (per adulti e
anziani completamente dipendenti);
b)
le modalità di richiesta e di erogazione degli assegni, con la
precisazione che gli stessi, come componenti di un percorso assistenziale
integrato, vengono erogati anche nel caso di ricovero residenziale e sono
utilizzati, tranne una somma che rimane al destinatario per le proprie
spese, per concorrere al pagamento delle prestazioni assistenziali (ricovero
o altri tipi di intervento);
c)
le indicazioni agli enti locali per porre in essere programmi di
"inserimento protetto al lavoro per disabili", prevendendo la revoca
dell'assegno d'invalidità quando il titolare puó provvedere al
suo mantenimento in modo autonomo;
d)
la disciplina degli accertamenti medico-legali per ottenere gli assegni di
cui alla precedente lettera a) ;
capo V: disposizioni finanziarie, gli articoli 23, 24, ricomprendono:
a)
la costituzione del fondo sociale nazionale e le modalità per
procedere al suo finanziarnento;
b)
il concorso di un budget
regionale per finanziare i programmi locali dei servizi
socio-assistenziali;
c)
il trasferimento al fondo sociale "come quota distinta" dei capitoli del
bilancio dello Stato già utilizzati per le pensioni di
invalidità civili e le indennità di accompagnamento (ivi
comprese quelle per ciechi e sordomuti);
d)
il trasferimento al fondo sociale dei finanziamenti già previsti dal
comma 6 dell'articolo 3 (assegno sociale) della legge 8 agosto 1995 n. 335;
capo VI: disposizioni varie e finali, gli articoli 25, 26, 27,
ricomprendono:
a)
l'abrogazione delle norme incompatibili con la presente legge, tra cui la
soppressione delle attuali Commissioni per l'accertamento della
invalidità civile e la loro sostituzione con i collegi medico-legali
di cui all'articolo 22;
b)
la disciplina dell'assistenza integrativa collegata anche a detrazioni
fiscali;
c)
norme transitorie che consentono il passaggio dagli attuali sistemi alle
procedure previste dalla presente legge, con particolare riferimento
all'istituzione del Dipartimento per le politiche sociali, di cui
all'articolo 2.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
A. ARDIGÓ, Crisi di governabilità e mondi vitali,
Cappelli, Bologna, 1980.
EMILE LEVY, A la recherche d'indicateurs de santè,
Revue internationale des sciences sociales, UNESCO, 1977.
G. ROSSI, P. DONATI (a cura di), Welfare State - Problemi e
alternative,
Franco Angeli, Milano, 1985.
A. SINFIELD, Analysis in the Social Division of Welfare,
"Journal of Social Policy", vol. 7, 1978.
R. A. PINKER, The Idea of Welfare,
Heinemann, London, 1975.
R. MISHRA, Society a Social Policy, MacMillan, London, 1977.
N. FURNISS, T. TILTON, The Case for the Welfare State. From Social Security
to Social Equality, Indiana U. P., Bloomington - London.
A. HELLER, La famiglia nel Welfare State, "Critica marxista", n.
6.
CH. LINDBLOM, Politica e mercato. I sistemi politico-economici
mondiali, Etas Libri, Milano, 1979.
DISEGNO DI LEGGE |
CAPO I
Art. 1.
(Finalità della legge)
1. In attuazione degli articoli 2, 3, 38, commi primo e quarto, e 117
della Costituzione, sono garantiti al cittadino italiano e alle famiglie
interventi socio-assistenziali finalizzati al benessere e allo sviluppo
della personalità di ciascun individuo ed alla prevenzione delle
condizioni di disagio sociale e di povertà.
|
Art. 2.
(Istituzione del Dipartimento
1. Per gli adempimenti in materia di politica sociale é istituito
il Dipartimento per la promozione della salute e delle attività
sociali. Il Dipartimento, tenuto conto del processo di regionalizzazione
già in atto per la materia sanitaria e di quanto disciplinato dalla
presente legge, é articolato in due Direzioni, denominate Agenzie,
che provvedono, rispettivamente, alle funzioni di programmazione indirizzo e
coordinamento degli interventi sanitari e degli interventi
socio-assistenziali e di integrazione sociale.
|
Art. 3.
(Definizione degli interventi
1. I cittadini italiani e le loro famiglie hanno diritto a fruire dei
servizi sociali senza distinzione di carattere giuridico, economico,
sociale, ideologico, religioso o di sesso.
a)
attività di informazione e consulenza al cittadino ed alle famiglie,
sulla rete di servizi pubblici, privati e di volontariato dell'area sociale,
sanitaria, dell'istruzione e dell'inserimento al lavoro. Per tale
attività ci si avvale anche dell'apporto delle associa zioni di
tutela dei diritti dei cittadini e di volontariato;
4. Per i servizi di cui alla lettera c)
del comma 3, in alternativa all'offerta pubblica, l'ente erogatore
puó concedere al cittadino "buoni servizio" corrispondenti al costo
della prestazione richiesta ed utilizzabili per acquistare tale prestazione
presso organismi ed istituzioni private accreditate, scelte dal cittadino
stesso.
|
Art. 4.
(Istituzioni private di assistenza sociale)
1. In conformità all'ultimo comma dell'articolo 38 della
Costituzione é garantita la libertà di costituzione e di
attività alle associazioni, fondazioni o altre istituzioni - dotate o
meno di personalità giuridica - che perseguano finalità
assistenziali, anche a scopo di lucro, purché le stesse si adeguino
alla normativa nazionale e regionale.
DISPOSIZIONI PER IL RIORDINO
|
Art. 5.
(Programmazione delle attività
1. Alla programmazione delle attività socio-assistenziali si
provvede attraverso il piano nazionale triennale dei servizi
socio-assistenziali e di integrazione sociale, di seguito denominato "piano
sociale nazionale", da adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in
vigore della presente legge.
a)
i livelli essenziali di prestazioni socio-assistenziali che lo Stato e le
regioni devono garantire al cittadino ed alle famiglie, ivi compreso
l'individuazione delle attività sostituibili con "buoni servizio".
3. Il Dipartimento per la promozione della salute e delle attività
sociali, attraverso l'Agenzia per gli interventi socio-assistenziali e di
integrazione sociale, con l'apporto delle regioni, predispone annualmente
per il Parlamento una relazione sui risultati conseguiti rispetto agli
obiettivi fissati dal piano sociale nazionale.
|
Art. 6.
(Compiti dello Stato)
1. Sono di competenza dello Stato:
a)
la funzione di indirizzo e di coordinamento delle attività
amministrative delle regioni a statuto ordinario in materia di servizi
socio-assistenziali e di integrazione sociale, di sostegno e prevenzione del
disagio sociale e delle condizioni di povertà.
|
Art. 7.
(Commissione nazionale
1. All'interno della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le regioni e le province autonome di Trento e di Bolza no, é
istituita una Commissione per le politiche sociali a cui partecipano, in
rappresentanza dei presidenti delle giunte regionali, sei assessori ai
servizi sociali e sei assessori alla sanità, i Ministri responsabili
delle Agenzie del Dipartimento per la promozione della salute e delle
attività sociali e il Ministro del tesoro.
|
Art. 8.
(Sistema informativo
1. Lo Stato, le regioni e i comuni istituiscono un sistema informativo
dei servizi sociali (SISS) al fine di assicurare una compiuta conoscenza dei
bisogni sociali, delle reti dei servizi, nonché per poter disporre
tempestivamente dei dati e delle informazioni necessarie per la
programmazione e la gestione delle politiche sociali, per il coordinamento
con le strutture sanitarie, formative, con le politiche del lavoro e
dell'occupazione. Per una maggior qualificazione ed uso dei dati, il sistema
informativo si avvale anche degli strumenti telematici.
DISPOSIZIONI PER L'ORGANIZZAZIONE REGIONALE E LOCALE
|
Art. 9.
(Compiti delle regioni)
1. Le regioni perseguono le finalità della presente legge, in
armonia con i princípi fissati nei rispettivi statuti e con gli
obiettivi della programmazione nazionale e locale, mediante il concorso
effettivo dei comuni e dei soggetti di cui all'articolo 1, comma 5. 2. Le
regioni, in particolare:
a)
determinano, d'intesa con i comuni e le province gli ambiti territoriali
per la gestione dei servizi socio-assistenziali;
i)
predispongono e finanziano piani per la formazione e l'aggiornamento
professionale per personale addetto ai servizi sociali.
3. Per garantire il costante adeguamento delle strutture e delle
prestazioni socio-assistenziali alle esigenze dei cittadini, le regioni
individuano indicatori, verifiche di qualità. Le regioni individuano
altresí forme di consultazione, anche da parte dei comuni, di
organismi associativi di tutela dei diritti del cittadino e del volontariato
. Tali soggetti devono comunque essere sentiti nelle fasi di impostazione
della programmazione regionale e comunale.
|
Art. 10.
(Compiti dei comuni)
1. I comuni sono titolari delle funzioni amministrative concernenti
l'assistenza e l'integrazione sociale, salvo quanto diversamente disposto
dalla presente legge, e le esercitano in forma singola o associata.
a)
mediante un modello a rete ed organizzando l'informazione ai cittadini,
tramite uffici decentrati, con le forme e gli strumenti piú idonei
anche sul piano dell'informatizzazione e dei collegamenti telematici;
4. I comuni, in alternativa o a completamento delle prestazioni
assistenziali erogate in gestione diretta o tramite strutture accreditate,
emettono ai sensi degli articoli 3 e 9, buoni servizio, per l'acquisizione
diretta da parte del cittadino di prestazioni socio-assistenziali da
organismi o da privati accreditati.
|
Art. 11.
(Coordinamento delle attività
1. Fermo restando quanto disciplinato in materia finanziaria e della
delega di funzioni socio-assistenziali alle USL da parte dei comuni, dal
citato decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modifiche e
integrazioni, il coordinamento delle attività sociali con quelle
sanitarie viene inteso dai comuni e dalle USL come metodo di programmazione
da adottarsi per obiettivi assistenziali relativi ai seguenti interventi:
a)
assistenza domiciliare ad anziani, ed altri soggetti in condizioni
disagevoli;
2. All'interno della programmazione coordinata, l'integrazione delle
attività consiste nell'adozione di procedure unitarie da parte dei
servizi degli enti interessati, quali la stesura di progetti assistenziali
per la persona e la famiglia, seguiti dall'erogazione contestuale di
prestazioni sanitarie e socio-assistenziali realizzate secondo protocolli
operativi contenuti nel progetto assistenziale.
|
Art. 12.
(Registro regionale delle istituzioni private
1. In ogni regione, oltre al registro delle organizzazioni di
volontariato di cui all'articolo 6 della legge 11 agosto 1991, n. 266,
é istituito un registro per la iscrizione delle associazioni,
fondazioni e istituzioni private anche a carattere cooperativo, dotate o
meno di personalità giuridica, che intedono esercitare
attività socio-assistenziali e concorrere alla realizzazione della
rete di servizi tramite l'accreditamento.
a)
esame delle finalità economiche e della situazione patrimoniale;
5. Le istituzioni operanti in piú regioni chiedono l'iscrizione al
registro della regione in cui l'istituzione ha sede legale, che provvede,
sentite le altre regioni interessate.
|
Art. 13.
(Accreditamento)
1. L'accreditamento é una procedura tecnico-amministrativa
effettuata dai comuni singoli o associati, secondo le indicazioni regionali,
che valuta, in base alla qualità delle prestazioni offerte,
l'inserimento dell'organizzazione nella rete locale dei servizi.
DISPOSIZIONI PER IL RIORDINO DEGLI EMOLUMENTI ECONOMICI A FAVORE DI MINORI, ANZIANI, INVALIDI E FAMIGLIE
|
Art. 14.
(Programmi assistenziali integrati)
1. Per la realizazzione dei programmi assistenziali integrati atti a
compensare lo stato di dipendenza dei soggetti disabili o anziani e
garantire agli stessi dignitose condizioni esistenziali, le prestazioni a
carattere socio-assistenziale e riabilitativo erogate dai comuni e dalle
USL, si integrano con gli emolumenti economici permanenti dello Stato in
materia di invalidità civile e assegno sociale.
|
Art. 15.
(Riordino degli emolumenti economici
1. In attuazione delle leggi: 10 febbraio 1962, n. 66, 26 maggio 1970, n.
381, 27 maggio 1970, n. 382, 30 marzo 1971, n. 118, 11 febbraio 1980, n. 18
e successive modificazioni e integrazioni, nonché della legge 5
febbraio 1992, n. 104, e della legge 8 agosto 1995, n. 335, lo Stato
corrisponde a cittadini che abbiano compiuto sessantacinque anni di
età e a cittadini inabili per disabilità fisiche e psichiche e
sensoriali, ivi compresi ciechi e sordomuti, nelle condizioni reddituali
previste dalle specifiche normative, emolumenti economici continuativi per
favorire il loro mantenimento e la permanenza nel normale ambiente di vita.
a)
é denominato assegno di minimo vitale, l'assegno sociale per i
cittadini ultrasessantacinquenni nelle condizioni di reddi to di cui al
comma 6 dell'articolo 3 della legge 8 agosto 1995, n. 335;
3. Per gli emolumenti già erogati all'INPS in materia di
integrazione ai trattamenti minimi di pensione e di maggiorazione sociale
dei trattamenti stessi in relazione al reddito del pensionato, il Governo
della Repubblica é delegato ad emanare entro sei mesi dalla data di
entrata in vigore della presente legge, specifiche disposizioni per la
compatibilità degli emolumenti in oggetto con il minimo vital di cui
al comma 3 dell'articolo 14. Le disposizioni emanate ai sensi del presente
comma si coordinano con le disposizioni di cui al comma 24 dell'articolo 1
della legge 8 agosto 1995, n. 335.
|
Art. 16.
(Assegno di minimo vitale)
1. Al cittadini italiani, residenti in Italia, che abbiano compiuto
sessantacinque anni e si trovino nelle condizioni reddituali di cui
all'articolo 3 della legge 8 agosto 1995, n. 335, é corrisposto un
assegno mensile denominato assegno di minimo vitale, non reversibile e per
un ammontare annuo per il 1996 pari a lire. 6.240.000. I requisiti per la
concessione dell'assegno di cui al comma 6 dell'articolo 3 della legge 8
agosto 1995, n. 335, sono accertati dal comune. L'incremento dell'assegno
sociale é stabilito annualmente in sede di legge finanziaria.
|
Art. 17.
(Assegno di mantenimento)
1. L'assegno di mantenimento é concesso a soggetti di età
inferiore agli anni diciotto, non deambulanti e portatori di
disabilità fisica psichica e sensoriale, nelle condizioni di reddito
di cui alla legge 21 novembre 1988, n. 508, frequentanti la scuola
dell'obbligo o corsi di addestramento professionale, o centri di
riabilitazione o socializzazione.
|
Art. 18.
(Assegno di inabilità)
1. A favore di cittadini da diciotto a sessantaquattro anni, totalmente
inabili ad attività lavorativa a seguito di disabilità fisica,
psichica e sensoriale o già riconosciuti invalidi civili totali,
ciechi assoluti e sordomuti, nelle condizioni di reddito rispettivamente
previste all'articolo 12 della legge n. 118 del 1971, alla legge 27 maggio
1970, n.382, e alla legge 26 maggio 1970, n. 381, é concesso
l'assegno di inabilità.
|
Art. 19.
(Assegno di invalidità)
1. Ai cittadini dai diciotto ai sessantaquattro anni con
disabilità fisica, psichica e sensoriale con riduzione della
capacità lavorativa di oltre due terzi, o già riconosciuti
invalidi ai sensi dell'articolo 13 della legge 30 marzo 1971, n.118, o
ciechi non assoluti ai sensi dell'articolo 1 della legge 27 maggio 1970 n.
382, nelle condizioni reddituali previste dalle stesse leggi e incollocati
al lavoro, viene concesso l'assegno di invalidità.
|
Art. 20.
(Interventi a favore dei soggetti
1. Si intendono soggetti con mancanza di autonomia i minori di anni
diciotto, portatori di disabilità fisica, psichica e sensoriale,
incapaci di compiere senza assistenza continua, gli atti propri
dell'età o gli adulti e anziani che non sono in grado di provvedere
autonomamente alla cura della persona, alla gestione della casa e
dell'ambiente di vita e sono quindi bisognosi di assistenza continuativa.
Sono ricompresi in tali soggetti anche coloro che si trovano nelle
condizioni previste dall'articolo 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18, o
ciechi assoluti di cui all'articolo 4 della legge 27 maggio 1970, n. 382.
|
Art. 21.
(Riduzioni degli assegni
1. Gli assegni di invalidità, inabilità e di dipendenza,
qualora il titolare si é ricoverato in strutture residenziali anche
con costi, o parte di essi, a carico di ente pubblico, sono dati in gestione
al comune che provvede ad erogare al titolare una quota dell'assegno,
secondo quanto stabilito dalla legge regionale, la restante parte é
utilizzata per ammortizzare i costi, o parte di essi, dell'ospitalità
in struttura protetta, sanitario-assistenziale e di riabilitazione.
|
Art. 22.
(Modalità di richiesta degli assegni)
1. Le domande relative agli assegni di cui agli articoli 15, 16, 17, 18 e
19 sono presentate in carta libera al comune di residenza secondo schemi di
domanda approvati con decreto del Dipartimento per la promozione della
salute e delle attività sociale, d'intesa con il Ministro del tesoro
e sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e di Bolzano.
|
Art. 23.
(Collegio per l'istruttoria medico-legale)
1. Le domande per gli assegni di cui agli articoli 16, 17, 18, 19 e 20
danno luogo ad accertamento medico-legale presso un collegio medico di tre
membri di cui: uno specialista in medicina legale appartenente ai colleghi
medico-legali dell'INPS, due medici specialisti designati dalla USL di cui
uno specialista nelle discipline connesse alle maggiori patologie
invalidanti e uno specialista delle unità di valutazione
multidisciplinare, di cui all'articolo 10, comma 3, lettera c) ,
competente in base all'età del richiedente. Il medico legale ha
funzioni di presidente di collegio.
DISPOSIZIONI FINANZIARIE
|
Art. 24.
(Finanziamento degli interventi
1. In attesa della riforma del sistema fiscale e della finanza regionale,
agli oneri derivanti dall'attuazione degli interventi di integrazione e di
assistenza sociale previsti dalla presente legge, si provvede con
l'istituzione di un Fondo sociale nazionale, alimentato dal sistema fiscale
generale, per la copertura degli emolumenti di cui all'articolo 14,
nonché da altri finanziamenti a carico dello Stato, relativi a leggi
con finalità assistenziali, già confluiti nel fondo comune di
cui all'articolo 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281, ai sensi del decreto
del Ministero del tesoro 7 agosto 1982 modificato con decreto 17 dicembre
1982 e successivamente regolamentato con legge 1º febbraio 1989, n. 40,
recante norme in materia di finanza regionale.
|
Art. 25.
(Fondo sociale regionale)
1. Per la realizzazione degli interventi di assistenza e di integrazione
sociale di cui alla presente legge, la regione provvede al riparto delle
somme del fondo sociale regionale determinato ai sensi dell'articolo 18, a
favore dei comuni, nonché dei soggetti di cui all'articolo 1, comma
5, regolarmente accreditati. Detti soggetti sono autorizzati a presentare,
per finanziamenti diretti, progetti di assistenza e reinserimento sociale,
distinti per aree geografiche e per gruppi di utenti.
DISPOSIZIONI VARIE E FINALI
|
Art. 26.
(Soppressione di organismi
1. Sono soppresse le commissioni di accertamento dell'invalidità
civile, cecità e sordomutismo di cui alle leggi 30 marzo 1971, n.
118, 26 maggio 1970, n. 381, e 27 maggio 1970, n. 382, e successive
modificazioni e integrazioni, per l'accesso alle relative provvidenze
economiche. Dette commissioni sono sostituite, entro centottanta giorni
dalla data di entrata in vigore della presente legge, dai collegi
medico-legali previsti all'articolo 23.
"1- bis . All'accertamento delle disabilità che danno
origine, ai sensi dell'articolo 3, ivi compresi i benefici dell'articolo 33,
ad interventi assistenziali temporanei o permanenti per facilitare
l'integrazione sociale, scolastica e lavorativa, esclusi gli emolumenti
economici dello Stato, provvedono i servizi della USL attraverso valutazioni
diagnostiche multidimensionali, di tipo medico-sociale mirate ad accertare
il grado di autonomia del disabile e gli interventi necessari per la
rimozione degli ostacoli individuali e sociale ai fini dell'integrazione".
4. Le competenze in materia sanitaria già esercitate dalle
commissioni di accertamento dell'invalidità civile, con particolare
riferimento al grado di invalidità per l'esenzione dalla
partecipazione alla spesa sanitaria, al diritto all'assistenza protesica ed
all'avviamento al lavoro, sono esercitate dai competenti servizi delle USL
che provvedono all'accertamento della disabilità in conformità
a quanto stabilito dal comma 1- bis
dell'articolo 4 legge 5 febbraio 1992, n. 104.
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Art. 27.
(Assistenza integrativa)
1. Per necessità assistenziali di particolare intensità,
aggiuntive rispetto alle prestazioni socio-assistenziali essenziali
disciplinate dalla presente legge, é prevista l'istituzione di fondi
integrativi sociali derivanti da:
a)
contratti ed accordi collettivi anche aziendali ovvero, in mancanza,
accordi di lavoratori, promossi da sindacati firmatari di contratti
collettivi nazionali di lavoro;
2. Il fondo integrativo sociale é autogestito, ovvero puó
essere affidato in gestione mediante convenzione con società di mutuo
soccorso o con impresa assicurativa autorizzata.
|
Art. 28.
(Norma transitoria)
1. Fino all'istituzione del Dipartimento per la promozione della salute e delle attività sociali di cui all'articolo 2, le funzioni previste dalla presente legge sono affidate al Ministro per la solidarietà sociale. |