Legislatura 15 Atto di Sindacato Ispettivo n° 3-01058

Atto n. 3-01058

Pubblicato il 9 novembre 2007
Seduta n. 248

ZANETTIN , COSTA , SCARPA BONAZZA BUORA , ALBERTI CASELLATI , PIANETTA , GIRFATTI , AMATO , CASOLI , VENTUCCI , STRACQUADANIO , BONFRISCO - Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'economia e delle finanze. -

Premesso che:

nell’edizione on-line del sito “Fisco Oggi”, notiziario ufficiale dell’Agenzia delle Entrate, è stato pubblicato in data 7 novembre 2007 un commento relativo alle modifiche che la legge finanziaria per il 2008 pone con riferimento alla disciplina della deducibilità degli interessi passivi dal reddito di impresa, dal titolo “interessi passivi una stretta che viene da lontano”, a firma di Michele Andriola;

il commento, che si propone di spiegare le ragioni di “Politica tributaria (con la 'P' maiuscola)” che sottendono alla scelta di prevedere forti limitazioni alla deducibilità degli interessi passivi per le imprese, illustra la correttezza di tale decisione politica alla luce del fatto che, altrimenti, la deducibilità degli interessi passivi consente alle imprese di continuare a mettere in piedi espedienti che consentono loro “di non pagare le tasse, senza fare uso di costi per fatture false o senza battere gli scontrini per ottenere profitti in nero”;

in sintesi, la tesi sostenuta nell’articolo è che gli imprenditori italiani (la generalità degli imprenditori italiani, evidentemente) sostengono interessi passivi non per necessità, avendo bisogno di finanziare la propria attività (cosa che rende iniqua l’indeducibilità degli interessi passivi dal reddito di impresa), bensì per accurata scelta di malversazione fiscale a danno dello Stato, avendo i capitali propri necessari, ma preferendo portarli all’estero per percepire lì interessi attivi e proventi non tassati in Italia, che vanno a pareggiare gli interessi passivi pagati in Italia, ma fiscalmente dedotti con conseguente occultamento del proprio reddito;

in sintesi, la tesi sostenuta nel citato documento è che “il nostro imprenditore si è auto-prestato i soldi grazie all’interposizione di una banca estera” e che, quindi, non resta al legislatore altra soluzione che stabilire l’indeducibilità degli interessi passivi nella determinazione dei redditi d’impresa;

il pregiudizio ideologico che traspare verso chi fa impresa in Italia, piccolo o grande che sia, potrebbe essere derubricato a puro folklore, se non fosse che:

1) l’autore, Michele Andriola, non è uno sprovveduto che fa commenti “da bar”, bensì un giovane funzionario dell’Agenzia delle Entrate che opera presso la Direzione Centrale Accertamento di Roma - Ufficio Soggetti di grandi dimensioni, ossia in posizione assai vicina ai vertici dell’Agenzia, nonché risulta essere funzionario alquanto considerato all’interno dell’Agenzia stessa, tenuto conto del notevole spazio pubblicistico di cui gode sul Notiziario ufficiale della medesima, nonché delle numerose partecipazioni, in qualità di docente, a corsi e convegni organizzati dall’Agenzia per formare il proprio personale;

2) il luogo di pubblicazione dell’articolo non è una qualsiasi rivista o testata, bensì FiscoOggi, ossia il notiziario telematico ufficiale dell’Agenzia delle Entrate, con quel che ne consegue in termini di oggettiva responsabilità per ciò che essa ritiene evidentemente degno di pubblicazione;

ciò detto, non si può non evidenziare come l’articolo citato consente di cogliere, con rara trasparenza, le reali motivazioni della novella legislativa, proposta dal Governo, in queste ore all’esame del Parlamento: gli interessi passivi devono essere resi indeducibili dal reddito di impresa come regola generale applicabile a tutte le società di capitali (anche le più piccole, già vessate dagli studi di settore nonostante l’obbligo di tenuta della contabilità ordinaria) perché la regola generale di comportamento degli imprenditori italiani è quella di fare impresa indebitandosi non per necessità di sviluppare il loro progetto, ma per volontà di frodare il Fisco;

queste sono conclusioni aberranti, degne di un inquisitore spagnolo dei tempi che furono, piuttosto che di un soggetto preposto ad assicurare il corretto, sereno ed equo funzionamento del rapporto tra Stato e contribuenti,

si chiede di sapere:

se il Governo, nel suo complesso, condivida le argomentazioni del commento a firma Michele Andriola pubblicato il 7 novembre 2007 nell’edizione on-line del sito “Fisco Oggi”, notiziario ufficiale dell’Agenzia delle Entrate;

se risulti che le tesi espresse nel citato documento coincidono con l’impostazione e le direttive generali che i vertici dell’Agenzia delle Entrate impartiscono ai propri funzionari, a cominciare da quelli apparentemente da essi più apprezzati;

se risulti che l’autore, per esporre siffatte tesi, più degne di un volume sul conflitto di classe che non di un notiziario di carattere fiscale, abbia per di più percepito un compenso in denaro a titolo di diritti d’autore, pagato in ultima analisi anche da quei contribuenti che così bellamente e serenamente diffama.