Legislatura 18 Atto di Sindacato Ispettivo n° 1-00097

Atto n. 1-00097

Pubblicato il 19 marzo 2019, nella seduta n. 99
Esame concluso nella seduta n. 118 dell'Assemblea (05/06/2019)

GALLONE , BERUTTI , TIRABOSCHI , PAPATHEU , MESSINA Alfredo , MOLES , MALLEGNI , VITALI , PICHETTO FRATIN , DAMIANI , BATTISTONI , TOFFANIN , FLORIS , RIZZOTTI , BINETTI , SICLARI , STABILE

Il Senato,

premesso che:

l'accordo di Parigi, approvato il 12 dicembre 2015 nella XXI sessione della conferenza delle parti della convenzione sul clima (COP21), è stato un importante passo avanti di un percorso ancora molto lungo e accidentato per contrastare il surriscaldamento globale;

nel quadro della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (convenzione sul clima, UNFCCC), l'accordo ha compreso elementi per una riduzione progressiva delle emissioni globali di gas serra e si è basato, per la prima volta, su principi comuni validi per tutti i Paesi senza distinzione tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo;

uno degli obiettivi principali è stato quello di orientare i flussi finanziari privati e statali verso uno sviluppo a basse emissioni di gas serra e a migliorare la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici;

successivamente a quest'importante tappa, si sono svolti in ordine: la conferenza di Marrakech nel 2016 (COP22), la conferenza di Bonn nel 2017 (COP23) e per ultima, nel dicembre 2018, la conferenza di Katowice (COP24), nella quale sono state stabilite delle regole per mettere in pratica entro il 2020 quanto deciso durante la COP21, la conferenza sul clima di Parigi del 2015;

in particolare, sono stati decisi i criteri con cui misurare le emissioni di anidride carbonica e valutare le misure per contrastare il cambiamento climatico delle singole nazioni. Alla conferenza hanno partecipato i rappresentanti di 196 Paesi, compresi gli Stati Uniti, nonostante il presidente Donald Trump abbia ritirato gli Stati Uniti d'America dall'accordo di Parigi;

il principale contrasto emerso durante la conferenza ha riguardato l'ultimo rapporto dell'Intergovernmental panel on climate change (IPCC) delle Nazioni Unite, che si occupa di analizzare scientificamente l'andamento del clima e di produrre modelli sulla sua evoluzione. Nel rapporto, l'IPCC ha confermato che un aumento medio della temperatura globale di almeno 1,5 gradi centigradi sui livelli preindustriali è ormai inevitabile (avverrà nei prossimi 12 anni) e che per tenersi entro i 3 gradi centigradi di aumento complessivo sarà necessario tagliare le emissioni di anidride carbonica del 45 per cento entro il 2020. In mancanza di azioni radicali, la temperatura media aumenterà oltre i 2 gradi centigradi portando a eventi climatici più estremi e cambiando il clima di intere aree geografiche, con conseguenze per milioni di persone;

nonostante il rapporto dell'IPCC fosse stato commissionato dalla COP21, diversi delegati alla conferenza, tra cui Russia e Stati Uniti, si sono opposti all'adozione delle sue conclusioni da parte della COP24;

sebbene due tra i maggiori Paesi al mondo (Usa e Russia) abbiano espresso notevoli perplessità sulle scelte da assumere in relazione al futuro del pianeta, sono state adottate delle decisioni tecniche sul modo in cui i diversi Paesi, a seconda del proprio livello di sviluppo, dovranno ridurre le proprie emissioni di anidride carbonica, su come i Paesi più ricchi dovranno aiutare quelli più poveri a rispettare i propri obiettivi e sui sistemi con cui monitorare il rispetto degli impegni assunti da parte di diversi Paesi. I Paesi in via di sviluppo hanno ottenuto, inoltre, una maggiore flessibilità nella messa in pratica delle regole in modo da poterle rispettare più facilmente;

i cambiamenti climatici, quale causa e moltiplicatore di altri rischi, rappresentano una sfida importante per l'umanità e tutti i Paesi e gli attori a livello mondiale devono fare del loro meglio per contrastarli mediante azioni individuali incisive;

una tempestiva cooperazione internazionale, la solidarietà e un coerente e costante impegno a favore di un'azione comune rappresentano l'unica soluzione per onorare la responsabilità collettiva di preservare l'intero pianeta e la sua biodiversità per le generazioni presenti e future;

in questo quadro, gli impegni assunti dall'Italia in occasione degli importanti appuntamenti internazionali sono sempre stati chiari e netti nella volontà di contribuire ad un miglioramento delle condizioni climatiche ed ambientali;

tuttavia, nonostante i buoni proclami dei passati Governi, il nostro Paese risulta essere ancora molto carente sul fronte della riduzione delle emissioni di anidride carbonica da combustibili fossili e sull'emissione di biossido di azoto;

è recente, infatti, la notizia che la Commissione europea ha deferito il nostro Paese alla Corte di giustizia dell'Unione europea per la ripetuta violazione dei limiti annuali di biossido di azoto nell'aria delle città e per il mancato adeguamento alle norme UE dei sistemi di trattamento delle acque di scarico di oltre 700 agglomerati e 30 aree sensibili dal punto di vista ambientale;

in quest'ottica, bisogna avere ben presente che senza modificare profondamente l'attuale sistema produttivo non sarà possibile mitigare il riscaldamento globale. E va da sé che il sistema produttivo si modifica solo con interventi a monte, in primo luogo con una nuova politica energetica che favorisca l'utilizzo di tecnologie e fonti energetiche a basse emissioni di carbonio e definisca una vera e propria road map di decarbonizzazione che riguardi tutti i settori, attraverso investimenti pubblici, incentivi fiscali e semplificazione;

un ambiente economico caratterizzato da un sistema fiscale "leggero" è foriero di crescita ed investimenti a lungo termine e, quindi, di maggiori risorse fiscali;

risulta evidente che oggi le fonti fossili costituiscono un problema e tra alcuni decenni bisogna arrivare al loro superamento, rispetto alla semplice riduzione di oggi, per rispettare i livelli di emissioni che sono stati decisi a Parigi;

il contributo alla mitigazione dei cambiamenti climatici non passa attraverso azioni isolate o solo dagli accordi decisivi e importanti che si sono sottoscritti a Parigi e nelle altre conferenze internazionali, ma ha senso in un'ottica di sistema in cui ognuno svolge il proprio ruolo specifico e coordinato: gli enti locali, i cittadini e le loro forme organizzate, le Regioni, lo Stato, l'Unione europea, le università e gli enti di formazione e soprattutto il Governo centrale e il legislatore;

queste sono scelte di programmazione del territorio volte a favorire uno sviluppo economico in chiave di sostenibilità, in alternativa ad un modello basato sui combustibili fossili e su cui l'attuale Governo ha il dovere di dare segnali chiari e coerenti;

rilevato che:

un altro grande tema sul quale è importante porre attenzione è una nuova fiscalità ambientale quale imperativo delle prossime politiche economiche. Solo così l'Italia può collocarsi pienamente dentro al processo europeo disegnato con la nuova direttiva sull'economia circolare, spostando la tassazione dal lavoro all'inquinamento dei processi produttivi e dei prodotti dopo e durante il loro uso;

la reindustrializzazione europea si può basare unicamente su imprese innovative ed efficienti sotto il profilo delle risorse. Il cambiamento deve iniziare con urgenza ed incentivare sistemi fiscali che avvantaggino l'uso di risorse ambientali rinnovabili e sostenibili per l'ambiente;

un capitolo fondamentale riguarda, inoltre, la fiscalità ambientale in materia di beni e prodotti. In questo ambito, la direzione è quella di una revisione dell'imposta sul valore aggiunto con l'obiettivo di orientare il mercato verso modi di produzione e consumo sostenibili, prevedendo, ad esempio, un regime dell'imposta agevolato per i manufatti realizzati con una percentuale di materiale riciclato, spostando cioè la tassazione dal lavoro all'inquinamento;

considerato che:

l'8 gennaio 2019, è stata resa nota la proposta di piano nazionale integrato per l'energia e il clima inviata a Bruxelles dal Ministero dello sviluppo economico in concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

come previsto dal regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (UE) 2018/1999, il documento sarà oggetto di discussione in sede europea nei prossimi mesi, per arrivare a una versione definitiva entro la fine del 2019;

il piano, strutturato secondo 5 dimensioni (decarbonizzazione, efficienza energetica, sicurezza energetica, mercato interno dell'energia, ricerca, innovazione e competitività), può rappresentare per il nostro Paese un importante passaggio per la lotta al cambiamento climatico globale;

il piano contiene gli obiettivi per l'energia e il clima che gli Stati membri si impegnano a raggiungere entro il 2030. Il documento dovrebbe anche indicare gli strumenti (le politiche, le misure e le relative coperture economiche) attraverso i quali, credibilmente, si intende raggiungere tali obiettivi;

in questa prospettiva, l'Italia può svolgere una funzione trainante a livello europeo nella direzione di un'accelerazione della transizione energetica verso l'utilizzo di fonti rinnovabili e l'efficientamento energetico dei processi produttivi;

cogliere questa possibilità non significa rallentare il processo infrastrutturale e tecnologico, come molti vorrebbero, quanto piuttosto un impegno dinamico finalizzato a concepire gli investimenti in grandi opere, come il treno ad alta velocità e l'ammodernamento della rete ferroviaria, più concorrenziali e più convenienti, sotto il profilo dell'impatto ambientale, del trasporto su gomma, soprattutto per quanto riguarda le merci;

un Paese responsabile che guarda al progresso ed alla crescita economica deve prevedere tra i suoi piani di investimento azioni che riguardino la rigenerazione delle grandi città in un'ottica di efficientamento energetico e della rete metro-ferro-tranviaria, un coerente programma di gestione del ciclo dei rifiuti e la non trascurabile prospettiva di una sinergia tra lo Stato ed i privati;

l'obiettivo deve essere quello di realizzare: un'energia sicura, economica, efficiente e sostenibile; un'economia in espansione e, allo stesso tempo, sempre più decarbonizzata; un approccio neutrale nei confronti di tutte le fonti energetiche, che parta da un'analisi dell'intero ciclo di vita e che premi le fonti effettivamente in grado di assicurare i maggiori vantaggi per l'ambiente, per la salute dei nostri cittadini e per l'economia del nostro Paese;

durante la COP24, un gruppo di 415 investitori che gestiscono risorse per oltre 30 miliardi di dollari ha rilasciato una dichiarazione che esorta i Governi ad affrontare il divario tra ciò che dovrebbe essere fatto e le misure attuali. "È fondamentale per la pianificazione a lungo termine e le decisioni di asset allocation che i governi lavorino a stretto contatto con gli investitori per incorporare gli scenari climatici con gli obiettivi di Parigi nelle decisioni politiche e nelle strategie di transizione energetiche";

sono oltre 345.000 le imprese italiane dell'industria e dei servizi con dipendenti che hanno investito nel periodo 2014-2017, o prevedevano di farlo entro la fine del 2018 (nell'arco, dunque, complessivamente di un quinquennio), in prodotti e tecnologie green. In pratica una su quattro, il 24,9 per cento dell'intera imprenditoria extra-agricola;

per ogni chilogrammo di risorsa consumata il nostro Paese genera (a parità di potere d'acquisto) 4 euro di Pil, contro una media europea di 2,2 e valori tra 2,3 e 3,6 di tutte le altre grandi economie continentali, come stima l'Istituto di ricerche Ambiente Italia. L'Italia è il Paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti (urbani, industriali eccetera, inclusi quelli minerari) e questo anche grazie a modalità innovative di gestione dei rifiuti e sistemi avanzati per il loro recupero;

tenuto conto che:

la normativa italiana in materia di ambiente, che trova riferimento nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, all'art. 184-ter, prevede la definizione di "cessazione della qualifica di rifiuto";

la norma stabilisce che "L'operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni", conformandosi a quanto già suggerito dal Legislatore comunitario attraverso la direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008;

questo comporta che il controllo effettuato su un materiale qualificato come rifiuto che sia volto a verificarne le caratteristiche affinché esso possa cessare di essere tale è un'operazione di recupero a tutti gli effetti e necessita di essere autorizzata secondo le procedure previste dal decreto legislativo;

diverse sentenze giurisprudenziali, ultima delle quali la sentenza del Consiglio di Stato n. 1229/2018, hanno fornito un'interpretazione molto restrittiva in relazione alla possibilità per l'autorità competente (Regione o Provincia da questa delegata) di valutare "caso per caso" la sussistenza delle condizioni previste dalla norma;

arrestare questo processo virtuoso anche attraverso la mancata possibilità di consentire alle Regioni di definire i criteri per la cessazione di qualifica di rifiuto "caso per caso" getta un'ombra di incertezza sulle numerose autorizzazioni ordinarie integrate che oggi abilitano il recupero di rifiuti non disciplinati a livello comunitario e ministeriale,

impegna il Governo:

1) a farsi carico tra i Paesi partecipanti alla conferenza delle Nazioni Unite sul clima dell'adozione di un codice che esiga un livello elevato di trasparenza, con solide norme vincolanti per tutte le parti al fine di misurare accuratamente i progressi e consolidare la fiducia tra le parti che partecipano al processo internazionale;

2) ad adottare con urgenza interventi per favorire la riduzione dei limiti di biossido di azoto, anche per non incorrere in procedure di infrazione da parte dell'Unione europea;

3) a proporre, con la massima urgenza una norma transitoria nelle more dell'applicazione della direttiva 2008/98/CE, che consenta agli impianti al momento costruiti ma fermi di funzionare regolarmente onde evitare di destinare ingenti quantità di rifiuti alle discariche;

4) a garantire un'autonomia finanziaria degli enti locali che impegnano le risorse derivanti dalla tassazione alle imprese in investimenti nel settore energetico-ambientale per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica nell'aria e per il miglioramento del trattamento della gestione del ciclo dei rifiuti e delle acque di scarico;

5) a prevedere un piano di investimenti pubblici finalizzato a:

a) promuovere un nuovo modello energetico-ambientale fondato sulle seguenti priorità: efficienza dei consumi energetici nell'edilizia, nell'industria e nei trasporti, attraverso la digitalizzazione delle reti, la diffusione della mobilità elettrica, lo sviluppo di tecnologie elettro-efficienti in ambito residenziale; impulso per le fonti rinnovabili e realizzazione di un programma nazionale per la mobilità urbana ecosostenibile, attraverso l'introduzione di incentivi fiscali per cittadini e imprese e di misure di semplificazione; riciclo e trasformazione in risorse dei rifiuti (circular economy);

b) dotare gli edifici pubblici, a partire dalle scuole, di impianti fotovoltaici e di efficienza energetica, d'intesa con le Regioni, le Province e i Comuni;

c) garantire il completamento del capacity market, finalizzato ad una maggiore diversificazione delle fonti di approvvigionamento ed il sostegno alla fonte idroelettrica rinnovabile e programmabile al tempo stesso.