Legislatura 18 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-02642
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Atto n. 4-02642
Pubblicato il 17 dicembre 2019, nella seduta n. 176
DE BONIS - Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. -
Premesso che:
i contratti di filiera e di distretto, istituiti con la legge finanziaria per il 2003 (articolo 66 della legge n. 289 del 2002), sono uno dei principali strumenti di sostegno alle politiche agroindustriali. Vengono stipulati tra i soggetti della filiera agroalimentare e il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali per rilanciare gli investimenti nel settore agroalimentare; i progetti finanziabili possono avere un volume di investimenti da 4 a 50 milioni di euro;
il contributo dello Stato ai contratti di filiera è concesso, in coerenza con la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato. Perché l'aiuto sia considerato compatibile, i suoi effetti negativi in termini di distorsione della concorrenza e l'incidenza sugli scambi fra Stati membri devono essere limitati e controbilanciati da effetti positivi in termini di contributo al conseguimento dell'obiettivo dell'interesse comune;
per quanto riguarda i contratti di filiera del grano, sviluppati sulla scia delle problematiche legate all'incertezza delle quotazioni nazionali del grano duro, ci sono vantaggi e svantaggi per entrambe le parti, ma in linea generale questo accordo è valido a patto che il prodotto rispetti determinati standard qualitativi, altrimenti, anche in presenza di minime difformità, il prodotto viene deprezzato come accaduto ripetutamente in questi anni;
in pratica, però, il contratto di filiera è diventato uno strumento attraverso il quale gli agricoltori firmano un accordo di pre-semina con le industrie della pasta e si impegnano a produrre grano duro con un alto valore proteico. Questo significa seguire alcune pratiche agronomiche per aumentare la presenza di sostanze proteiche (glutine) nel grano, a cominciare da ricche concimazioni azotate (l'azoto, è noto, è un elemento indispensabile per la sintesi delle proteine nelle piante), spesso proibitive e rischiose nelle aree tradizionali del Mezzogiorno a scarsa piovosità, che avvantaggiano altre regioni in cui la piovosità è più elevata;
normalmente, il grano duro del Sud Italia presenta un tenore proteico dell'11-12 per cento. L'industria della pasta vuole invece un grano duro con un tenore proteico almeno del 14 per cento e poiché si racconta che l'alto tenore proteico serve per produrre una pasta che tiene durante la cottura: ciò è anche vero ma, in realtà, l'esigenza dell'industria è un'altra, ossia quella di accelerare il processo di essiccazione della pasta ad alte temperature, risparmiando così sui costi di produzione;
la robusta presenza di proteine, infatti, consente alla pasta di resistere allo stress termico. Invece di essiccare la pasta in 24 ore, la grande industria essicca la pasta ad alta temperatura in appena 2 ore. Ma questo mal si concilia con l'intestino delle persone poiché una pasta con un così alto tenore proteico crea problemi all'organismo dell'uomo e, inoltre, l'essiccazione ad alte temperature produce le "furosine" che sono cancerogene;
dalle recenti intese raggiunte tra Governo e industriali sembrerebbe che il Governo tuteli maggiormente gli interessi della grande industria della pasta, determinando una disparità di trattamento economico tra chi produce il grano duro con un normale tenore in proteine e chi, invece, produce un grano iperproteico che, peraltro, nuoce al benessere dei consumatori. Sicché, anche se necessari e proporzionati, gli aiuti possono talvolta determinare un cambiamento di comportamento che falsa la concorrenza. Nella fattispecie il rischio di distorsione della concorrenza appare elevato anche se gli importi degli aiuti concessi sono ridotti. Infatti: 1) le filiere fissano prezzi minimi e massimi contro le regole dell'Unione europea; infatti, l'art. 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (o TFUE) e l'art. 2 della legge 287/90 vietano gli accordi e le intese tra imprese indipendenti che hanno per oggetto o per effetto di restringere o falsare il confronto concorrenziale; 2) il regime italiano così strutturato ed incentivato "non consente di escludere che il prezzo minimo imposto dagli industriali agli agricoltori pregiudichi il vantaggio concorrenziale"; 3) il sistema d'incentivi previsto dal Ministero e le norme tecniche imposte nei contratti di filiera, pur favorendo l'acquisto del grano italiano, tendono: a) a creare un danno ai produttori che non possono così esercitare la libertà di mercato; b) a ripartire le fonti di approvvigionamento e i mercati; 4) l'ancoraggio dei contratti di filiera alle borse merci locali, in particolare Foggia ed Altamura (Bari), nelle quali la presenza di dirigenti di multinazionali, tra i più grossi acquirenti di grano, "altera il processo di formazione dei prezzi". Lo ha dimostrato la sentenza del Tar Puglia del 16 settembre 2019 (n. 01200/2019) che ha annullato i listini di un biennio (2016-2017) rendendo "nulli" così anche tutti i contratti di filiera;
in definitiva, i contratti di filiera, così come sono oggi concepiti: vincolano la coltivazione per tre anni e operano decurtazioni unilateralmente; fissano d'imperio un prezzo prestabilito; richiedono l'utilizzo di varietà iperproteiche con concimazioni abbondanti; prevedono un contributo per compensare una vendita sottocosto; condizionano la distribuzione dell'attività economica tra le varie regioni;
il Ministro in indirizzo, tuttavia, ha appena firmato un protocollo d'intesa per il grano duro italiano con la Barilla che prevede l'impegno del Ministero a sostenere la sottoscrizione di contratti di filiera (nulli) nel settore grano e pasta, attraverso un aiuto ad ettaro per gli agricoltori per un volume di contributi pubblici di 40 milioni di euro nel quadriennio 2019-2022;
esattamente come avvenuto nel 2016, quando il Ministro pro tempore stanziò 100 euro per ettaro per contratti di filiera (nulli), creando una discriminazione tra produttori e una distorsione che favorisce il potere di mercato della grande industria della pasta, con effetti deleteri sugli incentivi dinamici e con una significativa perdita di attività economica in altre regioni d'Italia;
il settore ha bisogno di trasparenza nelle relazioni di mercato (che solo l'istituzione della commissione unica nazionale può garantire) e non di contratti di filiera "capestro" ancorati a listini nulli. Del resto, che i contratti di filiera abbiano avuto un impatto limitato al 6 per cento del mercato è noto. Dunque, la volatilità nel mercato permane,
si chiede di sapere:
quali siano le argomentazioni che il Ministero delle politiche agricole ha inviato a Bruxelles prima di emanare la normativa di riferimento sui contratti di filiera;
se siano state sottoposte alla Commissione eventuali valutazioni d'impatto, nonché valutazioni ex post svolte per regimi simili attuati in precedenza;
se siano state effettuate delle verifiche sui contratti circa il rispetto degli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato;
se il Ministro in indirizzo non ritenga, prima dell'erogazione dei fondi pubblici, doveroso informare la Commissione europea che i listini delle borse merci, a cui sono ancorati tali accordi di filiera, sono nulli per almeno due annualità e lo saranno anche in futuro, sino a quando non partirà la commissione unica nazionale;
se non ritenga che senza l'istituzione preliminare della stessa commissione unica non risulti viziato ogni contratto di filiera.