Legislatura 17ª - Dossier n. 4
Azioni disponibili
Turchia
(a cura del Ministero degli affari esteri e della cooperazione Internazionale)


Aggiornata al 23 settembre 2015
Struttura istituzionale e dati di base
Nome Ufficiale: | Repubblica di Turchia |
Forma di Governo: | Repubblica Parlamentare |
Capo dello Stato: | Recep Tayyip ERDOĞAN |
Capo del Governo: | Ahmet DAVUTOĞLU |
Ministro degli Esteri: | Feridun Sinirlioglu |
Sistema legislativo: | Parlamentare, unicamerale (550 membri) |
Sistema legale: | Basato sui modelli europei (Costituzione del 1982), codificato. |
Suffragio: | Universale diretto |
Partecipazione a Organizzazioni Internazionali: | BSEC, BERS, CERN; FAO, FMI, ICAO, IOC, IAEA, Interpol, NATO, OMC, OMS, OIC, ONU, OIL, OSCE, UNESCO, UPU |
Popolazione ed indicatori sociali
Popolazione | 77.667.864 (2014) (all’estero 3,5 milioni da censimento 2008) |
Tasso di crescita | 13.3% (2014) |
Aspettativa di vita | 73.7 (uomini); 79.4 (donne) (2014) |
Superficie: | 814.578 kmq |
Capitale: | Ankara (5.1.) |
Principali città: | Istanbul (14.3 mln.), Smirne (34.1 mln.), Bursa (2.7 mln.), Adana (2.1 mln.), Iconio (Konya) (2,1 mln) |
Gruppi etnici: | Turchi 80%, Curdi ed altri 20% (stime) |
Religioni: | Musulmana 99,8% (sunnita, forte minoranza alevita), altre: Cristiana e Ebraica 0,2% |
Lingue: | Turco (ufficiale) Curdo, Arabo, Armeno, Greco |
Distribuzione dei seggi nel parlamento turco a seguito delle elezioni del 7 giugno 2015
Numero di seggi | |
Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) | 258 |
Partito repubblicano (CHP) | 132 |
Partito nazionalista (MHP) | 80 |
Partito democratico dei popoli (HDP) | 80 |
Totale | 550 |
CENNI STORICI
La Turchia moderna è nata con la dissoluzione dell’Impero Ottomano, alla fine della Prima Guerra mondiale. Il Trattato di Sèvres (1920) prevedeva uno Stato di dimensioni ridotte, con attribuzione alla Grecia di una vasta regione attorno a Smirne, la nascita di un’Armenia indipendente e di una regione curda con ampia autonomia. La rivolta nazionalista di Mustafa Kemal Atatürk, un accordo di pace separato con l’URSS e le vittorie militari contro i greci costrinsero gli Alleati a rinegoziare gli accordi di pace: il Trattato di Losanna (1923) riconobbe il Paese nelle sue attuali frontiere, ed un accordo separato con la Grecia dispose il trasferimento incrociato delle rispettive popolazioni installate come minoranze (eccetto i Greci di Istanbul ed i Turchi della Tracia, per cui si previdero statuti specifici). Nell’ottobre del 1923 fu proclamata la nuova Repubblica di Turchia con Atatürk come Presidente. Oltre ad abolire il Califfato, egli avviò un’energica opera di modernizzazione all’insegna di secolarismo, nazionalismo e riferimento all’Europa (da cui trasse ad esempio i codici di legge e i caratteri dell’alfabeto).
Morto Atatürk nel 1938, la Turchia si mantenne neutrale nel secondo conflitto mondiale salvo intervenire negli ultimi mesi a fianco degli Alleati; nel 1952 aderì alla NATO, divenendone il principale bastione sul fronte Sud.
Le prime elezioni aperte ad altri partiti ebbero luogo nel 1950 e furono vinte dal Partito Democratico. Gli anni della Guerra Fredda furono caratterizzati da instabilità interna e da ripetuti interventi dei militari nella vita politica del Paese. Nel luglio 1974 un tentativo di putsch a Nicosia pilotato da Atene venne invocato per giustificare un intervento militare turco a Cipro, che in due fasi occupò un terzo dell’isola.
Estremismi politici e tensioni con i Curdi furono causa di forte instabilità interna alla fine degli anni Settanta, finché nel 1980 un nuovo colpo di Stato militare portò al potere il Generale Evren, che impose la legge marziale e mise al bando il partito di ispirazione islamica. Il golpe del 1980 concluse nel modo più drammatico uno dei periodi più bui della storia turca: episodi di violenza tra militanti dell’estrema sinistra e dell’estrema destra, tra maggioranza sunnita e minoranza alevita, nascita del PKK e del terrorismo curdo inizialmente diretto contro rivali tribali e feudali, grave crisi economica, incapacità dei leader politici dell’epoca, Demirel e Ecevit, di affrontare la situazione con una visione politica chiara avevano condotto il Paese in una guerra civile strisciante. La maggioranza della classe media (e non solo) turca accolse il golpe militare con un sospiro di sollievo, come del resto fece anche lo schieramento occidentale. Ma il sollievo durò molto poco, in quanto la svolta autoritaria si rivelò particolarmente pesante per il Paese, con un tentativo in buona parte riuscito di completa depoliticizzazione del Paese: chiusura del Parlamento, scioglimento di partiti, sindacati e associazioni, censura permanente. Non solo i movimenti di estrema sinistra e quelli filoislamici (nella cui nascita qualche anno prima molti vedono la longa manus dei militari nel tentativo di contrastare i primi), ma anche i repubblicani, i nazionalisti e gli attivisti curdi pagarono conseguenze durissime. Dal golpe scaturì poi la Costituzione del 1982, simbolo tuttora vigente di una difficile sintesi islamico-nazionalista filoccidentale in chiave autoritaria che ha plasmato la Turchia moderna ma ha anche contribuito a creare ulteriori tensioni, in particolare aggravando la questione curda e contribuendo al consolidarsi del ruolo chiave del PKK.
Il potere tornò ai civili nel 1987. Il Governo di Turgut Ozal promosse un forte sviluppo economico, ma permasero fattori destabilizzanti, fra cui soprattutto la guerriglia degli indipendentisti curdi.
La Turchia partecipò alla I Guerra del Golfo come alleato degli USA (1990-1991), subendone tuttavia pesanti conseguenze economiche per l’interruzione dei traffici con l’Iraq e l’afflusso di rifugiati dal Paese vicino. Nel 1995 iniziarono vaste azioni militari contro la guerriglia curda del PKK di Ocalan.
Nel 1996, dopo la caduta del Governo di Tansu Ciller – la prima donna alla guida del Paese - il partito filo-islamico del Benessere di Erbakan riuscì a formare un Governo di coalizione, fortemente osteggiato dalle gerarchie militari, cui mise fine una decisione della Corte Costituzionale che dichiarò il partito illegale per contrarietà ai principi dell’ordinamento turco.
A partire dal 1999 il Governo di Bulent Ecevit – leader storico, nel 1974 promotore dell’intervento militare a Cipro - avviò una politica di riforme ma crescenti divisioni in seno alla sua coalizione, la gravissima crisi finanziaria del 2001 ed una generale volontà di rinnovamento ne determinarono la sconfitta elettorale.
Alle elezioni politiche del 3 novembre 2002, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) conseguiva infatti il 34,4% dei suffragi (368 seggi su 550), mentre il Partito Repubblicano (CHP) di Baykal era l’unica altra formazione ad aver superato l’elevata soglia di sbarramento del 10% (178 seggi), avendo il Movimento Nazionalista (MHP) ottenuto l’8,3%.
Già interdetto da cariche pubbliche per cinque anni, a seguito di una condanna nel 1998 per “istigazione all’odio religioso” (in un discorso pubblico aveva citato una poesia che si prestava a dubbie interpretazioni), solo grazie alla revoca del provvedimento Erdoğan poteva essere eletto deputato nel marzo 2003, condizione necessaria per ricevere l’incarico di formare il nuovo Governo, sostituendo il compagno di partito Gul (divenuto Vice Primo Ministro e Ministro degli Esteri).
La prospettiva di adesione all’Unione Europea ha costituito l’obiettivo prioritario della decisa politica riformatrice perseguita dalle Autorità turche negli ultimi anni, a seguito della candidatura accolta nel 1999. Il Governo ha peraltro sempre sottolineato di ritenere le riforme comunque necessarie allo sviluppo del Paese, a prescindere quindi dalle richieste europee. In tale contesto l’avvio dei negoziati di adesione all’UE nel novembre 2005 segnava il più rilevante successo della leadership di Erdoğan.
Nelle elezioni politiche del luglio 2007 l’AKP di Erdoğan veniva confermato e rafforzato quale primo partito con il 46,6% (+12% rispetto al 2002, 341 seggi), mentre l’opposizione del CHP si fermava al 20% (112 seggi, da cui si sono poi staccati i 13 del partito di sinistra DSP) e il Movimento Nazionalista (MHP) otteneva il 14,3% (8,3 del 2002). Non entrava in Parlamento il partito filo-curdo DTP, ma solo 22 deputati indipendenti (su un totale di 26) ad esso legato.
Il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) si è nuovamente aggiudicato le elezioni politiche nel 12 giugno 2011 (49% dei voti), conquistando 326 seggi sui 550 che compongono il Parlamento. Principale forza di opposizione rimane il Partito Repubblicano del Popolo (CHP), di ispirazione kemalista e socialdemocratica, in ripresa (26%) rispetto al 2007; il Partito Nazionalista (MHP) resta in Parlamento (13% dei voti) mentre candidati indipendenti, in massima parte espressione politica della minoranza curda (BDP), conquistano il 6,6% e 36 seggi.
Alle elezioni politiche del 7 giugno 2015 il partito del Presidente Erdoğan, l’AKP, ha perso la maggioranza assoluta in Parlamento ed il leader curdo Selahattin Demirtas ha vinto la sua sfida, sfiorando il 13% dei voti e riuscendo a far entrare il Partito Democratico del Popolo, l’HDP, in Parlamento con 80 deputati. L’AKP ha ottenuto il 40.7% dei voti e 258 deputati, perdendo 9 punti percentuali rispetto al 2011. Il repubblicano CHP si è confermato secondo partito, con poco più del 25% dei voti e 132 seggi; il nazionalista MHP, con il 16.5% , ha avuto 80 deputati. A seguito delle elezioni il Presidente ha incaricato il premier uscente Davutoğlu di formare un nuovo governo con 45 giorni di tempo per ottenere la fiducia del Parlamento. Falliti i colloqui con i leader dei partiti di opposizione, Davutoğlu ha rassegnato le dimissioni il 18 agosto u.s. Lo stesso Davutoglu ha assunto, su incarico del Presidente Erdogan, la guida di un governo di transizione verso le elezioni anticipate. Nuove elezioni parlamentari sono state infatti indette per il 1 novembre prossimo.
Il potere legislativo è affidato ad un Parlamento unicamerale costituito di 550 membri eletti per 4 anni; per le elezioni parlamentari è prevista una soglia di sbarramento del 10 per cento, da tempo contestata poiché altera il gioco democratico ed ostacola tra l’altro la rappresentanza parlamentare della comunità curda, concentrata in aree specifiche.
Il potere esecutivo è esercitato dal Primo Ministro, designato dal Presidente della Repubblica e solitamente “leader” del principale partito.
Il Presidente della Repubblica svolge un ruolo di garanzia, pur potendo influire sull’attività legislativa con il potere di rinvio e di veto; una riforma costituzionale del 2007 prevede, a partire dal 2014, che sia eletto a suffragio universale, con mandato di 5 anni rinnovabile (in precedenza era eletto dal Parlamento, con incarico di sette anni non rinnovabili).
Il sistema giurisdizionale è indipendente. La Corte Costituzionale (11 membri designati dal Presidente della Repubblica) può annullare gli atti votati dal Parlamento.
La Costituzione può essere modificata solo con una maggioranza parlamentare di due terzi (o di tre quinti con il successivo ricorso obbligatorio ad un referendum). Le Forze Armate, per legge e per tradizione custodi del carattere laico della Repubblica, hanno esercitato una forte influenza attraverso il Consiglio Nazionale di Sicurezza, organo in teoria consultivo ma dal peso determinante. In precedenza costituito per metà di civili e metà di militari, esso ha visto nel 2003 ampliata la componente civile nel quadro delle riforme richieste per l’adattamento ai criteri politici di Copenaghen.
L’amministrazione statale è centralizzata, ricalcata sul modello francese. L’articolazione regionale resta intesa quale semplice deconcentrazione di competenze, anche se prende quota il dibattito sull’introduzione di un regionalismo.
Il 30 marzo 2014 si sono svolte le elezioni amministrative.
Le ultime elezioni parlamentari hanno avuto luogo il 7 giugno 2015.
Le elezioni anticipate sono state indette per il 1 novembre 2015.
Le prossime presidenziali sono previste nel 2019.
COMPOSIZIONE DELL’ESECUTIVO (di transizione) DAVUTOĞLU
Primo Ministro Ahmet Davutoğlu
Vice Primo Ministro Turgul Turkes
Vice Primo Ministro Cevdet Yilmaz
Vice Primo Ministro Yalcin Akdogan
Vice Primo Ministro Numan Kurtulmus
Ministro degli Esteri Feridun Sinirlioglu
Ministro degli Affari Europei e Capo Negoziatore Ali Beril Dedeoglu
Ministro della Famiglia e delle Politiche sociali Aysen Gurcan
Ministro della Giustizia Kenan Ipek
Ministro della Scienza, dell’Industria e della Tecnologia Fikri Isik
Ministro delle Dogane e del Commercio Cenap Asci
Ministro dell’Ambiente e della Pianificazione Urbanistica Idris Gulluce
Ministro dell’Economia Nihat Zeybekci
Ministro della Gioventù e dello Sport Akif Cagatay Kilic
Ministro degli Affari Interni Selami Altinok
Ministro dei Trasporti, della Marina e delle Comunicazioni Feridun Bilgin
Ministro del Lavoro e della Sicurezza Sociale Ahmet Erdem
Ministro dell’Energia e delle Risorse Naturali Ali Riza Alaboyun
Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e dell’Allevamento Kutbettin Arzu
Ministro dello Sviluppo Mustafa Cuneyd Duzyol
Ministro della Cultura e del Turismo Yalcin Topcu
Ministro delle Finanze Mehmet Simsek
Ministro dell’Educazione Nazionale Nabi Avci
Ministro Della Difesa Nazionale Mehmet Vecdi Gonul
Ministro degli Affari Forestali e dell’Acqua Veysel Eroglu
Ministro della Salute Mehmet Muezzinoglu
Le proteste del 2013. Il 31 maggio 2013, ad Istanbul, le forze di polizia turche hanno represso con la violenza la manifestazione di protesta di un gruppo di ecologisti, inizialmente pacifica e contenuta sotto il profilo della partecipazione, contro la ristrutturazione di Gezi Park, unica area verde nel centro di Istanbul. La reazione della polizia ha offerto l’opportunità ad altri gruppi di esprimere il loro malcontento verso il Governo. Da Ankara le proteste si sono propagate in numerose altre città, in uno scenario di contrapposizione e critica verso il potere politico rappresentato dall’AKP. A Istanbul l’epicentro della protesta è stato piazza Taksim e la via Istiklal, principale arteria commerciale. La mattina dell’11 giugno 2013, alle 7.30, la polizia ha fatto irruzione a piazza Taksim. Durante le operazioni di sgombero, l’allora Primo Ministro Erdoğan ha espresso in Parlamento la propria insofferenza per la prosecuzione delle proteste, ribadendo la linea di chiusura alle richieste dei manifestanti e smentendo quella più conciliante dell’allora Presidente Gul, che pure aveva mostrato qualche apertura verso le istanze progressiste ed ecologiste dei manifestanti. Il movimento di Gezi Park ha sorpreso le autorità per la sua subitaneità ed estensione. Si è trattato della reazione spontanea di larghi strati della società civile, anche eterogenei tra di loro quanto ad età e provenienza sociale, che vedono minacciato il proprio stile di vita, largamente secolarizzato e occidentalizzato, e le proprie libertà fondamentali dalla retorica dell’AKP che, vagheggiando un ritorno agli splendori dell’impero ottomano, cerca di imporre modelli religiosi islamici e conservatori (il velo per le donne, il divieto di bere alcolici, ecc.), a lungo repressi o rimossi dall’establishment militare e kemalista. Il movimento non ha trovato sinora nessun referente politico e a causa della sua eterogeneità si è dissolto altrettanto rapidamente di come si è formato. Le istanze da esso rappresentate sono tuttavia ben radicate nella società turca e rappresentano un ostacolo al disegno revisionista di ispirazione islamica dell’attuale Presidente Erdoğan, nonché una delle principali fratture della società turca, sempre più divisa e polarizzata.
L’inchiesta giudiziaria sulla corruzione pubblica del dicembre 2013. Avviata dalla procura di Istanbul, l’inchiesta ha portato alle dimissioni di quattro Ministri (Interno, Economia, Affari Europei, Ambiente e pianificazione urbana) ed ha sfiorato lo stesso Erdoğan (sono state pubblicate intercettazioni di conversazioni con il figlio nelle quali l’allora premier turco gli dava istruzioni per occultare ingenti somme di denaro nascoste nella sua abitazione privata). La reazione di Erdoğan è stata durissima, ed ha portato ad un’azione di epurazione contro magistrati e funzionari di polizia accusati di essere parte di complotto volto a sovvertire con un colpo di Stato il governo dell’AKP e di far parte di una pretesa “struttura parallela”, espressione con la quale Erdoğan designa il movimento definito “Cemaat” o “Hizmet” del predicatore islamico che risiede negli USA Fethullah Gulen. A lungo alleato dell’AKP contro il precedente establishment kemalista e militare, che ha fortemente contribuito a smantellare grazie alle indagini giudiziarie “Ergenekon” e “Balyoz”, il movimento gulenista ha effettivamente attuato in passato una politica di penetrazione dell’amministrazione pubblica e soprattutto della magistratura e dei quadri di polizia. Una volta eliminato politicamente il nemico comune rappresentato da militari e kemalisti, tuttavia, le strade di Gulen e Erdoğan si sono sempre più allontanate per visioni divergenti sulla soluzione della questione curda e sulla politica estera della Turchia. La rottura si è consumata sull’autorizzazione ad operare per le scuole di preparazione all’Università (dershane), vera base del potere del movimento gulenista, sia per gli introiti finanziari, sia per la possibilità di formare i futuri quadri dirigenti dello Stato turco. Quale che sia il reale fondamento dell’accusa di Erdoğan nei confronti del movimento gulenista, le contromisure adottate all’indirizzo di polizia e magistratura sono discutibili sotto il profilo dello stato di diritto. L’AKP è riuscito inoltre ad assicurarsi la maggioranza di giudici filogovernativi in seno all’organo di autogoverno della magistratura turca, l’HSYK, concludendo con successo il tentativo di porre sotto il controllo governativo il potere giudiziario. Trattasi di sviluppi che destano preoccupazione anche nelle competenti istanze dell’Unione Europea e che rafforzano l’impressione di una direzione fortemente accentratrice e autoritaria impressa da Erdoğan alla sua azione politica.
Gli esiti delle elezioni amministrative del 30 marzo 2014 hanno confermato l’AKP di Erdoğan primo partito in Turchia, con ampio margine di vantaggio sui partiti di opposizione. L’AKP si è assicurato il 45.6 % dei voti staccando nettamente il partito repubblicano CHP (28 %) e il partito nazionalista MHP (15.3 %). Nel sud-est si è consolidato il partito filo- curdo BDP (6 % su base nazionale). Rispetto alle elezioni amministrative del 2009 l’AKP si è assicurato il controllo di 49 capoluoghi di provincia e, soprattutto, delle grandi municipalità di Istanbul, Ankara, Bursa e Antalya (già amministrata dal 2004 al 2009). Elevata, come di consueto, la partecipazione al voto con l’83.5 %.
in occasione delle elezioni presidenziali del 10 agosto 2014 il Primo Ministro Erdoğan, candidato del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP), ha superato la soglia del 50 per cento ed è stato eletto al primo turno con il 51,79% delle preferenze. Trattandosi della prima elezione del Capo dello Stato a suffragio diretto, con tale legittimazione popolare egli mira ad esercitare in maniera estensiva tutti i poteri previsti dalla Costituzione, tentando di avviare di fatto la trasformazione dello Stato turco in una repubblica presidenziale, obiettivo primario della sua agenda politica interna.
Dopo l’elezione alla Presidenza dell’ex Premier, è diventato Primo Ministro l’ex Ministro degli Esteri, Ahmet Davutoğlu, mentre il Ministro per gli Affari europei Mevlut Cavusoglu è divenuto Ministro degli Esteri.
Adozione del pacchetto sicurezza. Il 27 marzo scorso la Grande Assemblea Nazionale turca ha approvato il controverso pacchetto sulla sicurezza interna, nonostante la contrarietà degli altri tre partiti presenti in Parlamento, CHP, MHP e HDP. Le misure più contestate dall’opposizione riguardano: l’estensione sino a 48 ore della custodia cautelare senza autorizzazione della magistratura; l’attribuzione ai governatori locali, di nomina governativa, del potere di dare ordine alla polizia di condurre perquisizioni e indagini, nonché arrestare i sospetti, senza autorizzazione preventiva del giudice; la possibilità per le forze di polizia di utilizzare armi di fuoco nei confronti di manifestanti che utilizzano bottiglie molotov e altri congegni incendiari o esplosivi; la classificazione di fionde, biglie di ferro e fuochi d’artificio come "armi"; l’inasprimento delle pene detentive (sino a tre/quattro anni) per chi partecipa alle manifestazioni a volto coperto o con emblemi e insegne di organizzazioni illegali; l’istituzione di pene detentive per i funzionari pubblici che si rifiutano di eseguire gli ordini impartiti. Il pacchetto, inoltre, prevede che il corpo della Gendarmeria (forza di polizia militare) passi sotto il controllo del Ministero dell’Interno per tutte le attività non militari, dispone la possibilità di licenziamento dei poliziotti che non abbiano avuto promozioni negli ultimi cinque anni, e dispone la chiusura dell’Accademia di Polizia.
Le misure adottate, che oltre alle critiche dei partiti d’opposizione hanno anche suscitato preoccupazioni in vari Paesi europei, sono state giustificate dal governo con l’esigenza di proteggere i cittadini dagli eccessi verificatisi durante manifestazioni violente (il Primo Ministro Davutoğlu ha fatto riferimento alle proteste nel Sud Est curdo dello scorso ottobre per la difesa di Kobane) e quella di eliminare gli "adepti" della "struttura parallela" gulenista infiltrati nelle forze di polizia e sicurezza. Inoltre, secondo il governo, tali misure sono in linea con le disposizioni vigenti nei codici penali dei principali Paesi europei. Il partito repubblicano del CHP ha preannunciato che farà ricorso alla Corte Costituzionale per l’annullamento delle misure considerate incostituzionali.
All’indomani dell’adozione del pacchetto sicurezza, nei giorni 31 marzo-1 aprile, tre attentati di diversa matrice hanno colpito le istituzioni turche e l’AKP ad Istanbul, uccidendo il procuratore che indagava sulle responsabilità sulla morte di una delle vittime di Gezi Park e dimostrando l’innalzamento del livello della lotta armata da parte di alcune formazioni estremiste, quali il DHKP-C, formazione di estrema sinistra.
In occasione delle elezioni politiche svoltesi il 7 giugno 2015 il partito del Presidente della Repubblica Erdoğan, l’AKP (Partito della Giustizia e dello sviluppo), solidamente alla guida del Paese dal 2002, ha perso la maggioranza assoluta in Parlamento: l’AKP ha ottenuto il 40.7% dei voti e 258 deputati, ben al di sotto dei 276 seggi necessari per avere la maggioranza assoluta alla Grande Assemblea Nazionale Turca (GNAT) e dai 330 voti richiesti per attuare la riforma costituzionale in senso presidenziale auspicata da Erdoğan. Il repubblicano CHP si è confermato secondo partito, con poco più del 25% dei voti e 132 seggi, mentre il nazionalista MHP ha ottenuto il 16.5% con 80 deputati. La novità delle elezioni è stata il successo del partito filo-curdo e moderato HDP il cui leader Demirtas è riuscito nella storica impresa di raccogliere il 13% dei consensi, ben oltre la prevista soglia del 10%, ottenendo di fare eleggere 80 deputati sotto la sua bandiera.
Lo scorso 9 luglio il Presidente ha incaricato il premier uscente Davutoğlu di formare un nuovo governo con 45 giorni di tempo (fino al 23 agosto) per ottenere la fiducia del Parlamento. Falliti i colloqui con i leader dei partiti di opposizione, Davutoğlu ha rimesso il mandato il 18 agosto.
Il 24 agosto, dopo aver incontrato il Presidente della Grande Assemblea Nazionale Turca Ylmaz, il Presidente Erdogan ha formalmente annunciato che il prossimo 1° novembre si svolgeranno le elezioni anticipate, ed ha affidato allo stesso Davutoglu l'incarico di formare un governo ad interim con la partecipazione di tutti i partiti presenti in Parlamento e senza la necessità di un voto di fiducia, secondo quanto previsto dalla Costituzione. I nazionalisti del MHP ed i repubblicani del CHP hanno rifiutato ogni ‘compromesso’ fosse pure per un governo provvisorio, a differenza del partito filo-curdo HDP che ha accettato di entrare nel governo ad interim.
Il governo di transizione, insediatosi il 29 agosto scorso il Primo Ministro Davutoğlu, annoverava inizialmente 12 ministri dell'AKP (in gran parte già membri del precedente governo), due esponenti dell’HDP, uno dell’MHP e 11 “indipendenti”. Il colpo di scena più eclatante è stato l’entrata nel governo del membro del partito nazionalista MHP Turkes, nonostante l’espressa indicazione contraria del leader nazionalista Bahceli. L’episodio ha destato scalpore perchè Turkes è il figlio di Alparslan Turkes, carismatico fondatore del MHP e leader della formazione nazionalista dei Lupi Grigi. Tale decisione potrebbe essere quindi la spia di un malcontento interno al partito nazionalista, accusato da più parti del fallimento delle consultazioni.
Riguardo all’HDP, al momento della formazione del governo di transizione sono entrati nell'esecutivo Ali Haydar Konca, di origine curda, senza un passato di militanza attiva in partiti di ispirazione curda avendo fatto parte del partito socialdemocratico, e Muslum Dogan, esponente politico alevita eletto a Smirne. Konca è stato nominato Ministro per gli Affari Europei e capo negoziatore, mentre Dogan Ministro per lo Sviluppo, tema caro ai curdi considerato che il Sud Est è una delle aree più arretrate del Paese. L’HDP può così rafforzare la propria immagine di partito “responsabile” e pienamente legittimo nel sistema politico turco, e magari riprendere la propria azione di ricerca di consenso nell’elettorato turco non curdo, invero incrinata dopo la ripresa dello scontro tra governo e PKK. Tra i ministri “tecnici” è stato designato quale Ministro degli Esteri il Segretario Generale del MAE, Feridun Sinirlioğlu, diplomatico di grande esperienza e fedele esecutore delle indicazioni politiche dell’AKP, ma anche elemento di garanzia nel delicato rapporto tra Turchia e Stati Uniti.
Al termine di una riunione del Consiglio dei Ministri, il Partito Democratico dei Popoli ha annunciato il 22 settembre le dimissioni dei propri ministri Ali Hancer Konca e Muslum Dogan, che nel corso di una conferenza stampa hanno illustrato le ragioni delle dimissioni puntando il dito contro il Presidente della Repubblica e l'AKP. Denunciando il "trattamento inaccettabile" da loro subito durante le ultime settimane (quando, tra l'altro, fu loro impedito di accedere alla città di Cizre, sotto coprifuoco), Konca e Dogan hanno accusato Erdogan e il partito di maggioranza di aver creato uno stato di guerra allo scopo di sovvertire i risultati delle elezioni dello scorso 7 giugno. Abbandonato il processo di soluzione della questione curda, la dirigenza turca avrebbe fomentato il conflitto con il PKK e le tensioni tra turchi e curdi, che hanno condotto agli assalti contro le sedi dell'HDP e alle drammatiche situazioni ("infernali") nelle città del Sud-Est, poste sotto coprifuoco. I due esponenti dell'HDP hanno quindi ribadito l'impegno del partito a ostacolare i progetti di riforma costituzionale del Presidente, nella convinzione che esista la possibilità di "liberarsi dell'AKP".
Il Primo Ministro Davutoglu, che ha accettato senza indugio le dimissioni, ha già individuato in due figure indipendenti i successori di Konca e Dogan. È stata nominata Ministro per gli Affari Europei e Capo negoziatore la professoressa Beril Dedeoglu, capo del Dipartimento Relazioni Internazionali dell'Università Galatasaray di Istanbul ed esperta di Unione Europea, politica estera e sicurezza, mentre Ministro per lo Sviluppo Mustafa Cuneyd Duzyol, sin qui Sottosegretario allo sviluppo economico.
A meno di un mese dalla sua costituzione, il governo ad interim formato per condurre il paese alle elezioni del 1 novembre perde quindi le sue uniche "voci critiche" e si riconfigura come un esecutivo monocolore AKP (considerato che anche le personalità indipendenti sono sostanzialmente allineate alle linee del partito).
Nel frattempo il V Congresso dell'AKP, svoltosi lo scorso 12 settembre, ha rieletto Presidente del Partito Ahmet Davutoglu con 1.335 preferenze su 1.445 delegati, confermandolo nella carica che assunse nell'agosto del 2014, dopo l'elezione di Erdogan a Presidente della Repubblica. In caso di vittoria dell'AKP alle politiche del 1 novembre, Davutoglu sarà verosimilmente riconfermato anche nella carica di Primo Ministro, in ossequio alla regola interna dell'AKP che dispone la coincidenza di ruoli tra capo di partito e leader di governo. Nonostante tale rielezione, tuttavia, Ahmet Davutoglu resta una figura sbiadita, mentre Erdogan appare in pieno controllo delle dinamiche interne del partito ed il vero "dominus" dell'AKP. Tra le altre delibere del Congresso, merita segnalare la sospensione della regola interna dell'AKP che proibiva ai membri del Partito di restare in cariche pubbliche, compresa quella di parlamentare, per più di tre mandati. Tale sospensione consentirà a diversi deputati, ormai giunti al limite del terzo mandato, di potersi candidare alle prossime consultazioni politiche di novembre
Intanto, la sicurezza e la stabilità del Paese risentono pesantemente della ripresa degli scontri con il PKK, che ormai mietono quotidianamente vittime, anche civili, da ambo le parti, nonché, da ultimo, delle minacce via web di Daesh, che accusa la Turchia ed il pur islamista Erdoğan – paradossalmente accomunato al campione del secolarismo Atatürk – di essere alleati dell’Occidente, dei “crociati” e dei “giudei”, preannunciando la prossima riconquista di Istanbul.
QUESTIONE CURDA
Sin dal suo avvento al potere nel 2002, l’AKP è stato fautore di un nuovo approccio nei confronti della questione curda. Alla base della nuova strategia figura l’intento di operare un’apertura nei confronti delle istanze della popolazione curda, pur senza ridimensionare l’azione di risoluto contrasto alle attività terroristiche del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), incluso, come noto, anche nella lista UE delle organizzazioni terroristiche. Il processo di normalizzazione graduale promosso dal Premier Erdoğan ha avuto inizio con l’abolizione dello stato di emergenza nelle Province del Sud-Est del Paese, dove si concentra la popolazione di etnia curda, ed è proseguito: a) con il riconoscimento di diritti sul piano culturale ed amministrativo (che ha portato alla messa in onda di programmi radiotelevisivi in lingua curda, all’organizzazione di corsi di lingua curda presso scuole private, allo svolgimento di celebrazioni pacifiche del “Capodanno curdo”); b) con misure volte a favorire la rappresentanza politica della componente minoritaria curda c) e con programmi di sviluppo economico a beneficio della regione del Sud-Est. Nell’agosto 2009 il Governo Erdoğan ha poi varato il cosiddetto “piano di apertura democratica” i cui tratti peculiari sono: l’introduzione di nuove norme in materia di autonomia locale; il riconoscimento della lingua e della cultura curde; la previsione di una forma di amnistia verso i militanti del PKK che si siano adeguati alla “legge del pentimento” contenuta nel Codice penale. Nel solco del processo di normalizzazione si collocano anche alcuni degli emendamenti costituzionali approvati in occasione del referendum del 12 settembre 2010 che hanno favorito il rinnovamento del sistema giudiziario, con effetti positivi sul piano della tutela dei diritti umani fondamentali di tutta la popolazione turca, ivi compresa l’etnia curda.
Dopo la riconferma dell’AKP al Governo nel 2011, l’Esecutivo dichiarava di voler trovare una soluzione alla questione curda nella riscrittura della Costituzione. Tuttavia, la Commissione ad hoc, nella quale sedevano i quattro partiti nel Parlamento incluso quello espressione della minoranza curda il BDP non è riuscita a trovare un accordo. L’impasse registrata nel processo di riforma costituzionale sembrava aver indotto il PKK a riprendere in pieno le operazioni di guerriglia al confine. Dopo l’esplosione nel centro di Ankara (20 settembre 2011) e numerosi attacchi alle postazioni militari nel sud-est del Paese, era scattata un’offensiva di terra in territorio iracheno con circa 20.000 uomini. Si era così riaperta la spirale viziosa di scontro con il PKK, che ha finito per intrappolare inevitabilmente anche i rapporti tra Turchia e Nord Iraq. Il drammatico episodio di Uludere (sono state uccise delle persone al confine con l’Iraq, scambiate per militanti PKK) ha ulteriormente acutizzato il malcontento della minoranza curda.
Il 21 marzo 2013, in occasione delle celebrazioni del Newroz (inizio della primavera), il leader del PKK, Abdullah Ocalan, ha divulgato un messaggio contenente l’appello - rivolto anche al Governo di Ankara - a ricercare una soluzione pacifica, senza il ricorso alle armi (pur non ricusando la lotta armata). Non si tratta di un “cessate il fuoco” incondizionato: il PKK è pronto tanto alla pace quanto alla guerra, ha chiarito il Comandante Capo del PKK a Qandil (in Nord Iraq), Murat Karayilan. È stato avviato pertanto un dialogo del Governo di Ankara con Abdullah Ocalan e, per il suo tramite con l’ausilio del partito BDP/HDP, con il comando generale del PKK a Qandil, nonché con la sua estensione in Europa. Il processo di pacificazione è tuttavia ben presto entrato in fase di stallo, con reciproche accuse di mancato rispetto degli accordi tra il governo e la compagine curda, soprattutto per quanto riguarda il ritiro dei combattenti PKK oltre confine da un lato, e le misure a favore dei prigionieri e al reintegro dei guerriglieri curdi dall’altro.
Il 16 novembre 2013 il Presidente del Governo regionale del Kurdistan iracheno, Massoud Barzani, ha compiuto a Diyarbakir una visita “storica”, interrompendo un’assenza di 21 anni e giungendo in un momento topico per il sud-est, dominato dalle incertezze sul processo di soluzione alla questione curda in Turchia e dalla prospettiva di una nuova regione autonoma curda alle proprie porte (“Rojava”), questa volta nel nord-est siriano.
Nel gennaio 2014 la Corte Costituzionale ha disposto la scarcerazione di cinque deputati di etnia curda appartenenti al BDP/HDP, che hanno potuto finalmente formulare il giuramento ed unirsi ai colleghi in parlamento, a due anni e mezzo dalla loro elezione. Da parte curda si guarda ora con speranza ad una possibile estensione applicativa di questa decisione ai politici curdi detenuti nel contesto del processo contro il KCK (l’Unione delle comunità curde che le Autorità turche considerano essere l’ala urbana del PKK), che nel corso di questi anni ha letteralmente decimato la rete locale del movimento politico curdo rappresentato in parlamento dal BDP.
Agli inizi di giugno 2014 una delegazione parlamentare del partito democratico dei popoli (l’HDP che ha sostituito in Parlamento il BDP, nel tentativo di allargare la propria base elettorale oltre la tradizionale rappresentanza curda) ha visitato Ocalan a Imrali, e pubblicato una dichiarazione nella quale afferma che il processo di soluzione della questione curda ha raggiunto una nuova fase. Prima della chiusura estiva di metà luglio, e come indubbia mossa di stampo elettorale in vista delle presidenziali, il Parlamento ha approvato la legge quadro “per il rafforzamento dell’integrazione sociale e porre fine al terrorismo”, fornendo ampia immunità ai funzionari incaricati di negoziare con il leader curdo Ocalan e con il PKK. Tuttavia, dopo le elezioni presidenziali, la tenuta nel processo di soluzione della questione curda è stata messa a dura prova dagli sviluppi della crisi in Siria e dalla percezione di colpevole indifferenza di Ankara rispetto alle sorti della città di Kobane, simbolo della resistenza dei curdo-siriani nei confronti degli jihadisti dell’ISIS. Dopo le manifestazioni che, all’inizio di ottobre 2014, hanno causato oltre trenta morti nell’est e nel sud-est della Turchia, sia il Governo dell’AKP che lo stesso Ocalan sono intervenuti con dichiarazioni volte a ridurre la tensione.
Agli inizi di dicembre 2014, il nuovo Vice Primo Ministro Yalcin Akdogan ha sottolineato la volontà tanto del Governo quanto dell’HDP di rilanciare nuovamente il processo di pace dopo la brusca frenata di inizio ottobre, sulla base di un “progetto di cornice negoziale”. Tale cornice negoziale si fonderebbe da tre pilastri: la discussione di proposte di soluzione, l’elaborazione di capitoli negoziali ed infine l’attuazione di un piano d’azione. L’aspettativa curda è che tale dialogo possa essere finalmente istituzionalizzato con la presenza di una terza parte neutrale che supervisioni il negoziato.
In vista delle elezioni politiche di giugno, sono ripresi gli incontri tra delegazioni governative, HDP, Ocalan e il comando del PKK a Qandil, con l’obiettivo di giungere all’avvio di formali sessioni negoziali con un Consiglio di monitoraggio imparziale e la proclamazione del disarmo del PKK. È ancora presto per dire se tali contatti porteranno a sviluppi clamorosi prima delle elezioni di giugno.
Gli incontri dei mesi scorsi tra HDP e Governo, volti a raggiungere un’intesa sul rilancio del negoziato per la soluzione della questione curda in Turchia, avevano prodotto un primo tangibile risultato con la conferenza stampa congiunta, lo scorso 28 febbraio, dei deputati dell’HDP Sirri Surreya Onder, Pervin Buldan e Idris Baluken, insieme con il Vice Primo Ministro Yalcin Akdogan ed il Ministro per l’Interno Efkan Ala. In quella occasione Onder ha letto un appello del leader curdo in carcere Ocalan perché il PKK e il KCK (l’Unione delle comunità curde che le Autorità turche considerano essere l’ala urbana del PKK) convochino un congresso in primavera per discutere le prospettive di un disarmo del PKK. Lo stesso Ocalan, in occasione della festività curda del Newroz (marzo 2015), ha affermato la necessità di tenere un congresso per ‘fermare la lotta armatà del PKK, a condizione della formazione di un comitato indipendente di monitoraggio del negoziato e di una Commissione per la verità e la riconciliazione.
Il Presidente Erdoğan tuttavia si è dichiarato contrario a meccanismi di monitoraggio, preferendo la supervisione del MIT (servizio d’informazione). Le parole di Erdoğan hanno segnato una battuta di arresto nel processo di soluzione della questione curda in Turchia, a cui si è aggiunta l’approvazione del citato pacchetto sicurezza del 27 marzo u.s.. Molte delle disposizioni adottate sono infatti considerate come rivolte soprattutto contro le manifestazioni del movimento politico curdo (evidente il riferimento ai curdi nel divieto di mostrare emblemi o insegne di organizzazioni illegali, quali ad esempio il PKK); lo dimostra il fatto che nelle settimane che hanno preceduto l’adozione del pacchetto l’HDP aveva cercato di negoziarne il ritiro o l’attenuazione nel quadro dei negoziati che dovevano portare alla rinuncia della lotta armata da parte del PKK.
Il fallimento di tale tentativo, insieme alle dichiarazioni contrarie all’istituzione di un comitato di supervisione del negoziato rilasciate dal Presidente Erdoğan, confermano la battuta d’arresto imposta a qualsiasi sviluppo positivo del processo di pace prima delle elezioni di giugno. Trattasi di una linea dettata dal Presidente allo stesso Primo Ministro Davutoğlu, che pure stava portando avanti il negoziato, peraltro accolta senza esitazioni da quest’ultimo.
L’azione intrapresa dalle forze armate turche alla fine di luglio contro le basi ed i militanti del PKK è stata avviata dopo l’attacco dell’organizzazione terroristica contro le forze di polizia turche, e in particolare dopo l’assassinio nel sonno di due poliziotti turchi a Sanliurfa, atto di rappresaglia per l’attentato di Suruç. Nella lettura del PKK, la dirigenza turca sarebbe colpevole di connivenze con l'ISIS e di aver consentito la strage dello scorso 20 luglio.
La questione del cd. “genocidio armeno” continua ad essere particolarmente sensibile per il Governo e l’opinione pubblica turca. In concomitanza con la ricorrenza del suo centesimo anniversario il 24 aprile u.s., le numerose prese di posizione internazionali sull’argomento (Austria – approvazione di una dichiarazione parlamentare; Bulgaria – approvazione di una mozione parlamentare; Germania – discorso pronunciato dal Presidente federale Gauck e discussione di una risoluzione del Bundestag; Russia – dichiarazioni del Presidente Putin e approvazione annuale di una mozione da parte della Duma; Francia - partecipazione del Presidente francese Hollande alle commemorazioni svoltesi a Jerevan e dichiarazioni del Primo Ministro Valls; Santa Sede - omelia di Papa Francesco durante la funzione commemorativa del centenario del “martirio degli armeni” di Turchia; Unione Europea - approvazione da parte del Parlamento Europeo di una risoluzione volta a commemorare ufficialmente il centenario del “genocidio armeno”) hanno provocato accese reazioni da parte di Ankara. La Turchia, infatti, continua ad opporre un netto rifiuto alla definizione di “genocidio” per le immani perdite di vite umane registrate tra le popolazioni di origine armena deportate a partire dal marzo 1915.
Il cd. “genocidio”, parola coniata solo successivamente ai fatti, ha provocato lo sradicamento della popolazione armena dal territorio storicamente abitato e la disseminazione di varie comunità (“diaspora”) in pressoché tutti i continenti. L’Armenia moderna occupa infatti uno spazio fisico solo in minima parte coincidente con la “patria” storicamente percepita. Al contempo, questa “pulizia etnica” - pur se effettuata, a detta dei turchi, soprattutto per evitare, in tempo di guerra, che i gruppi rivoluzionari armeni favorissero l’avanzata russa - ha reso di fatto possibile identificare la Turchia moderna di Atatürk con un territorio ben identificato: l’Anatolia. Di qui, il carattere spinoso del problema che coinvolge, alla radice, l’identità di due popoli che per secoli hanno comunque convissuto. Il genocidio è un crimine gravissimo, di cui la Turchia non si ritiene in alcun modo imputabile in assenza di presupposti giuridici (trattandosi di eventi antecedenti alla Convenzione del 1948, mai giudicati da un tribunale internazionale) e storici (l’ininterrotta presenza sul territorio turco di una comunità armena escluderebbe di per sé l’intento genocida dei governanti turchi dell’epoca). Per Ankara la tragica vicenda del popolo armeno, pur nelle sue terrificanti dimensioni, rientrerebbe così nel novero di quegli eventi sanguinosi che caratterizzarono la Prima guerra mondiale.
In questo contesto, particolarmente assertivo è stato l’intervento del Presidente Erdoğan, in apertura del Vertice per la Pace ospitato a Istanbul, ha confermato la consueta lettura turca dei fatti del 1915, da un lato riconoscendo le vittime armene delle deportazioni decise dall’impero ottomano, e, dall’altro, accomunando tale tragico destino alla stessa sorte subita da tutte le altre vittime degli sconvolgimenti provocati dal primo conflitto mondiale, inclusi “quattro milioni” di turchi-ottomani rifugiatisi in Anatolia dalle regioni limitrofe. Per confutare le pretese armene, il Presidente turco ha ricordato anche il “carattere multinazionale, multiculturale e tollerante” che per secoli ha caratterizzato l’impero ottomano: la pacifica convivenza di diverse comunità sarebbe ora testimoniata dalla stessa presenza nella Repubblica di Turchia di una comunità di origine armena perfettamente integrata e tutelata. Per tali ragioni, ha proseguito Erdoğan, è inaccettabile ogni strumentalizzazione politica di quanto accaduto un secolo fa, a fronte della disponibilità mostrata da Ankara a ricostruire i legami di amicizia un tempo esistenti sulla base di una solida e documentata ricostruzione storica, per la quale la Turchia è sempre stata pronta ad aprire i propri archivi, come anche ripetutamente richiesto dall’Unione Europea.
In generale le Autorità turche continuano a riproporre nei propri interventi ufficiali accenti di condanna ed argomentazioni volte a sostenere una lettura prevalentemente in chiave culturale e religiosa (in particolare islamofoba) di quella che è qui vistosamente percepita come una “offensiva” internazionale – prevalentemente occidentale – anti-turca ed anti-islamica.
Nel caso dell’Italia, i toni e i contenuti della commemorazione del centesimo anniversario tenutasi alla Camera dei Deputati lo scorso 23 aprile hanno suscitato reazioni risentite da parte dell-establishment turco.
La posizione di sostanziale equilibrio sin qui tenuta dal Governo italiano, frutto anche della nostra esperienza nazionale di ricostruzione condivisa della memoria delle tragedie belliche con i nemici di allora, oggi partner nell’Unione Europea, viene tuttavia riconosciuta dalle Autorità turche. Il Governo italiano ritiene che la strada maestra per affrontare una questione tanto controversa risieda nel dialogo tra le parti e nell’approfondimento, senza pregiudizi e precondizioni, della ricerca storiografica, come previsto dagli stessi Protocolli volti alla normalizzazione dei rapporti tra la Repubblica di Turchia e la Repubblica Armena, sottoscritti a Zurigo il 10 ottobre 2009, che contemplano misure volte a pervenire a una lettura quanto più possibile condivisa degli eventi della Prima guerra mondiale nell’impero ottomano.
STATO DI DIRITTO
Nel corso degli ultimi mesi vi sono stati sviluppi poco confortanti in due settori delicati per la tenuta della democrazia turca: l’indipendenza della magistratura e la libertà di stampa e di opinione.
La procura di Istanbul ha indagato per diffamazione l’ex procuratore Zekariya Oz, salito agli onori delle cronache tra fine 2013 e inizio 2014 per aver condotto le inchieste per corruzione sfociate nell’incriminazione dei quattro Ministri e dell’imprenditore turco-iraniano Reza Zarrab. Fatto oggetto di attacchi mediatici sulla stampa filo-governativa, che lo aveva sostanzialmente accusato di corruzione, Oz era stato rimosso dall’incarico, giungendo infine alle dimissioni, all’inizio di quest’anno, quando aveva preferito abbandonare la magistratura piuttosto che accettare l’incarico in una sede periferica assegnatogli dall’Alto Consiglio dei Giudici e Procuratori (HSYK). L’ex magistrato sarebbe ora colpevole di aver diffamato Presidente della Repubblica e Primo Ministro con una serie di Tweet riferiti agli ultimi sviluppi di politica interna, secondo i quali questa dirigenza avrebbe provocato l’ondata di violenze che sta scuotendo il Paese per calcoli di natura elettorale.
Sono stati inoltre arrestati, con l’accusa di tentato colpo di stato i quattro magistrati (il Procuratore Capo di Adana e tre suoi collaboratori) che avevano autorizzato la perquisizione dei camion del MIT diretti in Siria. Già rimossi dall’incarico a inizio anno, sempre su decisione dell’HSYK, i quattro resteranno in carcere sino al processo. All’epoca emerse che i camion trasportavano armi destinate a gruppi radicali dell’opposizione siriana (al-Nusra, secondo alcuni, ISIS secondo altri), versione sempre smentita da fonti ufficiali, per cui si trattava invece di aiuti umanitari a favore delle popolazioni turkmene oltre confine.
Accusati di propaganda a favore di un’organizzazione terroristica, rischiano fino a 7 anni e mezzo di carcere 18 giornalisti di varie testate, tra cui il redattore capo del quotidiano Cumhuriyet, Can Dundar (già denunciato da Erdoğan in persona per aver autorizzato la pubblicazione di video relativi alla perquisizione dei camion del MIT sopra citati, da cui risulterebbe evidente il loro carico di armi e munizioni). L’incriminazione è dovuta alla scelta di pubblicare fotografie del procuratore di Istanbul Mehmet Salim Kiraz durante le drammatiche ore del suo sequestro ad opera di militanti DHKP-C, facendo apparire l’organizzazione, secondo l’accusa, “forte e capace di qualsiasi azione”. Dundar si è difeso spiegando che il suo intento era esattamente l’opposto, ossia mostrare il volto più cruento e brutale dei terroristi, per delegittimarne l’azione.
Ai primi di settembre, all’indomani dell’annuncio della data delle prossime elezioni e in vista dell'avvio della nuova campagna elettorale, si è registrato un ennesimo giro di vite sulla libertà di stampa, con operazioni intimidatorie nei confronti delle testate più critiche dell'operato della dirigenza turca. Con l'accusa di avere svolto attività terroristiche Sono stati arrestati anche due giornalisti inglesi, poi rilasciati. Da segnalare che i Ministri in quota HDP hanno preso le distanze da tali misure.
SITUAZIONE ECONOMICA
1. A partire dal 2002, la Turchia ha registrato altissimi tassi di crescita (con punte eccezionali come il 9,5% del 2010 e l’8,8% del 2011). Dal 2012, però, la crescita ha subito un rallentamento, tra il 2% ed il 4%, valori inferiori a quella soglia teorica del 5% che le Autorità ritengono necessaria per fare della Turchia uno dei 10 Paesi più sviluppati al mondo entro il 2023, anno simbolo in cui ricorre il centenario della Repubblica. Le cause principali di tale rallentamento sono rappresentate dalla debolezza della domanda interna e dagli effetti negativi delle turbolenze che hanno colpito alcuni mercati di sbocco delle esportazioni turche (la Siria, l’Iraq), nonché della congiuntura economica di alcuni Paesi dell’Unione Europea.
2. Nel 2014 la crescita del PIL turco è stata pari al 2,9%, dato che si colloca al di sotto sia del valore del 2013, pari a 4,2%, sia alle stime del Governo che, nel Piano di Medio Termine presentato ad ottobre 2014, ipotizzava una crescita del 3,3%. Viene confermata la “frenata” dell’economia nazionale, che nel 2014 ha segnato tassi di crescita in progressivo rallentamento nei primi nove mesi (4,9% nel primo trimestre; 2,3% nel secondo; 1,9% nel terzo) per poi migliorare lievemente nell’ultimo trimestre (2,6%).
L’andamento del PIL del 2014 è stato influenzato dal significativo calo della crescita della domanda interna, che contribuisce per circa due terzi al prodotto interno lordo del Paese, con i consumi che sono aumentati nell’anno solo dell’1,3%. Calano anche gli investimenti, che sono scesi di oltre cinque punti percentuali e mezzo, attestandosi a fine 2014 su un valore inferiore a quello dell’anno precedente (-1,3%) e rallenta la crescita della spesa della pubblica amministrazione, che passa dal 6% al 4,6%.
In tale contesto, va considerata la debolezza della lira turca nei confronti dell’euro e del dollaro, con le pericolose spinte inflazionistiche che ne conseguono, sebbene mitigate dalla generale riduzione dei prezzi delle materie prime di fine 2014. La perdurante incertezza del quadro politico turco e il ribilanciamento dei flussi finanziari hanno avuto gravi ripercussioni sulla tenuta della valuta che, da inizio anno, ha perso quasi un quarto del valore rispetto al dollaro.
Nelle prime due riunioni del 2015 il Comitato per la politica monetaria della Banca Centrale della Repubblica Turca (BCRT) ha ridotto di 75 punti base, dall’8,25% al 7,50%, il tasso di riferimento, in virtù del percorso di riduzione del disavanzo delle partite correnti in atto e della tendenza al rientro mostrata dal tasso di inflazione. Nella riunione dello scorso 18 agosto, la Banca Centrale turca ha lasciato invariati i tassi, avviando al contempo una revisione del proprio approccio di politica monetaria. La difficoltà con cui la Banca Centrale difende la propria indipendenza dal potere politico rischia di pesare non poco nelle scelte degli investitori internazionali.
Nel 2014 il tasso di disoccupazione è stato del 9,9%, rispetto al 9,7% dell’anno precedente. I dati TurkStat rivelano che il numero di persone disoccupate sopra i 15 anni ha raggiunto i 2,8 milioni nel 2014. Il tasso di disoccupazione maschile è al 9% mentre quello femminile all’11,9%. La disoccupazione giovanile, per il gruppo di età tra i 15 e i 24 anni è stato del 17,9%. Nel mese di maggio 2015 il tasso di disoccupazione è stato del 9,3%, rispetto al 9,6% del mese precedente, secondo quanto annunciato da TurkStat. I dati TurkStat rivelano che il numero di persone disoccupate sopra i 15 anni ha raggiunto i 2,78 milioni, registrando un aumento annuale di 238 mila persone rispetto il mese di maggio 2015.
Le stime del FMI per il 2015 vedono il tasso di disoccupazione aumentare complessivamente, e raggiungere l’11,4%, mentre nel 2016 lo stesso dovrebbe arrivare al 11,6%.
Il debito estero del settore privato turco finanziato dai Paesi europei ammonta a 95,2 miliardi di dollari (dato ad agosto 2014), mentre i prestiti dai Paesi asiatici a 23,4 miliardi di dollari e quelli americani a 19,2 miliardi di dollari. Secondo i dati diffusi dalla Banca Centrale, il Regno Unito è il primo prestatore, con 21,6 miliardi di dollari, seguito da Germania (17,8), Stati Uniti (17), Paesi Bassi (14,3), Bahrain (12,5) e Lussemburgo (10,5). La Turchia prende in prestito 15,9 miliardi di dollari dalle agenzie governative e istituzioni internazionali, tra cui Banca Europea per gli Investimenti, Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, e Banca Islamica di Sviluppo, mentre 26,9 miliardi di dollari dai creditori obbligazionari e il resto dai creditori privati.
Il disavanzo delle partite correnti è stato di 84,5 miliardi di dollari nel 2014, in calo del 15,4% rispetto al 2013. Nonostante tale trend discendente, continua a preoccupare lo squilibrio dei conti con l’estero, che dipende essenzialmente da un deficit commerciale caratterizzato da uno sbilanciamento strutturale (dipendenza energetica e produttiva dalle importazioni) e che tende a essere per lo più finanziato con afflussi di capitali dall’estero a breve termine e non con investimenti produttivi.
Il disavanzo delle partite correnti turco è stato di 3,15 miliardi di dollari a luglio 2015, segnando un aumento annuo del 32% a luglio, secondo quanto riportato dalla Banca Centrale turca. La Banca ha annunciato una previsione di deficit a fine 2015 pari a 45,03 miliardi di dollari. L’aumento del deficit è dovuto all’aumento della domanda interna e alla diminuzione delle esportazioni, nonostante gli effetti positivi del calo del prezzo del petrolio sul disavanzo delle partite correnti. Il disavanzo delle partite correnti in Turchia nel 2014 è stato di 42,9 miliardi di dollari.
3. Nel secondo trimestre del 2015, il Prodotto Interno Lordo e' cresciuto del 3,8%. Si tratta di una crescita superiore a quella prevista, che fa si' che il Pil turco sia aumentato del 3,15% nella prima meta' dell'anno (Turkstat ha anche rivisto al rialzo il dato relativo al primo trimestre dell'anno, dal 2,3% al 2,5%). Tuttavia, se il periodo aprile-giugno fa registrare un miglioramento del trend dall'inizio dell'anno, tale andamento non sembra essere sufficiente (anche quest'anno) al raggiungimento dell'obiettivo fissato dal Governo nel Medium Term Plan, il documento di programmazione economica con un orizzonte triennale, in cui veniva indicata una crescita per il 2015 pari al 4%.
In termini di contributo alla crescita, vanno segnalati positivamente la spesa pubblica (+17% a prezzi correnti) e la ripresa della domanda interna (+12% a prezzi correnti), cosi' come i buoni risultati del settore agricolo (+6,7%).
Per il 2015 il Governo si attende una crescita del 4%, mentre per il 2016 e 2017 viene ipotizzato un aumento del PIL del 5% per ciascun anno. Le previsioni delle istituzioni finanziarie internazionali per il 2015 sono più caute: la Banca Mondiale si attende una crescita del 3,5%, l’OCSE un aumento del 3,25%, mentre il FMI stima un progresso del 3%.
Il tasso di inflazione annuo ad agosto 2015 è stato pari al 7,14% e allo 0,4 su base mensile. Il maggior incremento annuale è stato registrato nel settore alberghiero, bar e ristoranti (+14,2%), seguito da quello dei beni e servizi vari (+9,91%), prodotti alimentari e bevande analcoliche (9,71%), ricreazione e cultura (9,19%), arredamento e elettrodomestici (8,60%).
4. La perdurante incertezza del quadro politico turco e il ribilanciamento dei flussi finanziari hanno avuto gravi ripercussioni sulla tenuta della lira turca (TL) che ha toccato un nuovo record contro la valuta americana attestandosi a 3 TL per dollaro, mentre rispetto all'euro il cambio e' arrivato a superare le 3,30 TL. Da inizio 2015, la lira ha perso quasi un quarto del valore rispetto al dollaro.
Lo sviluppo economico turco si caratterizza per un elevato deficit delle partite correnti che viene finanziato mediante il ricorso a capitali stranieri.
L'abbondanza di finanziatori negli scorsi anni era favorita dal differenziale di rendimento tra l'economia turca, che cresceva a tassi elevati, e i bassi rendimenti offerti dalle economie occidentali alle prese con la crisi economica. La prospettiva di realizzare alti guadagni aveva attratto gli investitori internazionali verso la Turchia, cosi' come le altre economie emergenti, garantendo al Paese un'abbondanza di flussi finanziari. Da mesi si sta tuttavia assistendo ad un movimento finanziario inverso: i capitali vengono rimpatriati verso le economie occidentali e in particolare gli Stati Uniti, dove la ripresa economica si va rafforzando e la Federal Reserve si accinge a 'normalizzare' la politica monetaria statunitense dopo le operazioni straordinarie attuate per fronteggiare la grave crisi finanziaria.
Nonostante da piu' parti vi fosse l'aspettativa di un aumento dei tassi di interesse per rallentare il deprezzamento della valuta e compensare gli effetti del rafforzamento del dollaro, nella riunione del comitato di politica monetaria del 18 agosto 2015, la Banca Centrale turca ha lasciato invariati i tassi, avviando al contempo una revisione del proprio approccio di politica monetaria. La difficolta' con cui la Banca Centrale difende la propria indipendenza dal potere politico rischia di pesare non poco nelle scelte degli investitori internazionali, che guardano con crescente preoccupazione alle ingerenze nelle scelte di politica monetaria del Governo AKP e del Presidente Erdoğan, fortemente contrari a qualsiasi aumento dei tassi di interesse, considerato 'dannoso' per il Paese.
A peggiorare il quadro intervengono i dati negativi sul fronte del turismo, il calo di oltre il 16% da inizio anno degli Investimenti Diretti Esteri (IDE) e l'aumento dei prezzi alimentari attesi nei prossimi mesi quali conseguenza del deprezzamento della lira. Da registrare infine la crisi di quelle molte aziende turche che hanno contratto debiti in valuta forte (soprattutto dollari, ma anche euro) e che vengono pagate prevalentemente in valuta locale.
I temi economici di qui alla data delle elezioni (presumibilmente il 1° novembre) saranno sicuramente un argomento sensibile della prossima campagna elettorale. La crescita a doppia cifra degli anni passati sembra ormai un pallido ricordo rispetto ai dati del primo trimestre 2015 (piu' 2,3%), cosi' come l'obiettivo di inflazione al 5% stabilito dalla Banca Centrale turca non e' stato raggiunto (a luglio l'inflazione si attestava al 6,81%). L''interventismo' del Presidente Erdoğan nelle questioni di politica monetaria e la strenua opposizione agli aumenti dei tassi d'interesse testimoniano i timori della classe di governo per un peggioramento dei fondamentali dell'economia, che costituirebbe una delle principali minacce all'affermazione alle urne del Governo AKP.
Relazioni economiche con i principali Paesi partner
1) Nei primi sette mesi del 2015, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, l’interscambio della Turchia con il resto del mondo è diminuito del 10,1% (da 233,1 a 209,6 miliardi di dollari). In particolare, le esportazioni turche sono calate del 9,4% (da 93,4 a 84,6 miliardi di dollari) e le importazioni del 10,6% (da 139,7 a 124,9 miliardi), con un saldo della bilancia commerciale in diminuzione del 13% (da 46,3 a 40,3 miliardi). Nello stesso periodo, l’interscambio della Turchia con l’UE, primo partner commerciale del Paese (39,9%), si è ridotto del 9,61% e vale oggi 92,4 miliardi (contro igli 83,5 miliardi di dollari del 2014). Le esportazioni turche sono calate del 10,61% (da 40,7 a 36,4 miliardi di dollari) e le importazioni dell’8,82% (da 51,6 a 47,1 miliardi di dollari). Il deficit turco verso l’UE è pertanto diminuito del 2,14% (da 10,9 a 10,6 miliardi). La graduatoria dei principali partner commerciali mostra ai primi posti la Germania con un interscambio pari a 19,9 miliardi di dollari (-9%), la Cina con 15,9 miliardi di interscambio (1,9%), la Russia con un interscambio complessivo pari a 14,9 miliardi (-20,1%) e gli Stati Uniti con un interscambio pari a 10,5 miliardi di dollari (-5,3%). L’Italia si conferma 5° paese partner con 10,2 miliardi di interscambio totale, -10,8% rispetto allo stesso periodo del 2014, di cui 6,3 miliardi di import (-11,4%) e 3,9 miliardi di export (-9,9%) ed un saldo negativo per la Turchia di 2,4 miliardi di dollari. L’Italia si conferma quinto fornitore, dietro Cina, Russia, Germania e Stati Uniti, e quinto cliente dopo Germania, Regno Unito, Iraq e Svizzera.
I prodotti più esportati dalla Turchia sono stati autoveicoli, trattori e parti di ricambio per un valore che ha raggiunto i 9,9 miliardi di dollari (-10,3% rispetto ai primi 7 mesi dell’anno 2014); seguono pietre preziose e semi-preziose, metalli preziosi, perle, bigiotteria, per un valore di 7,8 miliardi (+52,9% in più rispetto al periodo di riferimento). Macchinari e apparecchiature meccaniche sono al terzo posto con un livello di esportazioni che è arrivato a 7,1 miliardi di dollari (-10,9%), seguono abbigliamento ed accessori per un valore di 5,0 miliardi di USD (-15,2%) e macchinari di precisione ed attrezzature elettriche ed elettroniche con 4,6 miliardi (-16,6%). I prodotti più importati sono stati: combustibili minerali, oli minerali per un valore di 23,6 miliardi di dollari (-26,7%); macchinari ed apparecchiature meccaniche per un valore di 15,1 miliardi (-7,2%); macchinari di precisione ed attrezzature elettriche ed elettroniche per un valore di 10,2 miliardi di dollari (+1,9%); autoveicoli, trattori e parti di ricambio per un valore di 10,2 miliardi di dollari (+20,9%); ferro ed acciaio per un valore 9,2 miliardi di dollari (-10,3.%).
2) Nel 2014, l’interscambio totale della Turchia è diminuito dello -0,9% (da 403,4 a 399,9 miliardi di dollari). Il maggior partner commerciale è l’Unione Europea, che rappresenta il 36,7% dell’interscambio totale del Paese, per un valore di 155,5 miliardi di dollari, in lieve diminuzione rispetto al 2013 (157,3 miliardi di dollari). I beni più esportati dalla Turchia sono stati autoveicoli, macchinari ed apparecchiature meccaniche e prodotti per abbigliamento ed accessori. I prodotti più importati sono invece stati combustibili e oli minerali e macchinari ed apparecchiature meccaniche e di precisione. I primi cinque partner commerciali sono stati Germania (37 miliardi di dollari di interscambio), Russia (31,2 mld), Cina (25,2 mld), Italia (19,2 mld), Stati Uniti (19 mld).
Nel campo degli investimenti diretti esteri (IDE), il riferimento normativo fondamentale è rappresentato da una legge quadro del 2003, che ha adottato un approccio liberale, di semplificazione burocratica e di apertura all’afflusso dei capitali esteri. Vengono classificati come investimenti diretti esteri anche gli acquisti effettuati sul mercato azionario di partecipazioni societarie per quote superiori al 10%.
Anche grazie a tale normativa nel decennio 2003 - 2012 la Turchia ha attratto circa 100 miliardi di dollari. Si tratta di una cifra consistente, se si pensa che nel decennio precedente (1993-2002) gli IDE affluiti nel Paese erano stati pari a soli 11,5 miliardi.
Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Economia turco, gli investimenti diretti esteri nel primo semestre del 2015 hanno raggiunto i 6,3 miliardi di dollari, in diminuzione del 9,6% rispetto al primo semestre del 2014, quando avevano toccato i 7 miliardi di dollari. Nel periodo considerato gli investimenti energetici erano di 1,27 miliardi di dollari mentre quelli manifatturieri di 1 miliardo di dollari. Circa il 40% degli investimenti esteri provengono dai paesi UE, seguiti dai paesi asiatici -inclusi i Paesi del Golfo- con il 38%. In Turchia operano 44.245 imprese straniere, di cui 141 costituite nel solo mese di giugno 2015.
Nel maggio 2015 gli investimenti esteri diretti sono ammontati a 4.905 milioni di dollari, in diminuzione del -16,6% rispetto allo stesso periodo del 2014, quando avevano toccato i 5.882 milioni di dollari. Nel periodo considerato, gli investimenti immobiliari sono diminuiti del 22,3%, attestandosi a quota 1.307 milioni di dollari, contro i 1.683 milioni di dollari del 2014. Nei primi cinque mesi del 2015 gli investimenti di provenienza UE sono diminuiti del 47,5% attentandosi a 1.524 milioni di dollari. In particolare, l’Italia ha investito 80 milioni di dollari, in flessione (-80,4%) rispetto allo stesso periodo del 2014, allorquando aveva investito la cifra di 409 milioni di dollari. In Turchia sono operanti 1.260 imprese italiane, di cui 4 costituite nel mese di maggio 2015.
Fra i principali paesi investitori figurano: Olanda (571 milioni di dollari), Paesi del Golfo (47 milioni), Regno Unito (244 milioni), Germania (138 milioni), Francia (88 milioni), USA (73 milioni) e Austria (20 milioni). In totale operano in Turchia 43.935 imprese estere di cui 6.214 della Germania (14,1%), 2.816 del Regno Unito (6,4%), 2.499 dell’Olanda (5,7% del totale), 1.557 degli USA (3,5%) e 1.260 dell’Italia (2,9%). Per quanto riguarda la distribuzione geografica delle 43.935 imprese estere, 26.230 sono basate ad Istanbul (59,7%), 4.558 ad Antalya (10,4%), 2.582 ad Ankara (5,9%), 2.166 ad Smirne (4,9%), 1.557 a Mugla (3,5%) e 1.168 Mersin (2,7%).
Nel 2014 gli investimenti esteri sono ammontati a 12.143 milioni di dollari in diminuzione del -1,7% rispetto al 2013 (12.357 milioni di dollari). Gli investimenti immobiliari sono aumentati del 41,7%, attestandosi a quota 4.321 milioni di dollari, contro i 3.049 milioni di dollari del 2013.
Fra i paesi che hanno maggiormente investito figurano: Olanda (2.017 milioni di $), Regno Unito (1.046 milioni di $), Germania (693 milioni di $), Paesi del Golfo (425 milioni di $), USA (325 milioni di $), Francia (280 milioni di $) e Austria (50 milioni di $). In totale operano in Turchia 41.528 imprese estere di cui 6.036 della Germania (14,5% del totale), 2.768 del Regno Unito (6,7% del totale), 2.440 dell’Olanda (5,9% del totale), 1.507 degli USA (3,6%) e 1.207 dell’Italia (2,9%). Per quanto riguarda la distribuzione geografica delle 41.528 imprese estere, i paesi UE sono al primo posto con 19.339 aziende. Tra paesi europei la Germania mantiene la prima posizione con 6.036 imprese, il Regno Unito la seconda posizione con 2.768 imprese l’Olanda la terza con 2.440 imprese estere. Delle imprese estere operanti in Turchia, 24.606 sono basate ad Istanbul (59,3% del totale), 4.416 ad Antalya (10,6%), 2.500 ad Ankara (6,0%), 2.110 ad Smirne (5,1%), 1.534 a Mugla (3,7%) e 1.018 Mersin (2,5%).
A giugno 2012 è entrato in vigore il decreto del Governo turco in materia di incentivi agli investimenti, che mira prioritariamente a ridurre l’ampio deficit delle partite correnti, attenuare la forte disomogeneità nello sviluppo tra le varie aree del Paese e promuovere tanto le attività di clustering quanto la produzione locale di beni ad alto contenuto tecnologico. Il piano si basa su una combinazione di sgravi e sussidi, definiti in base allo sviluppo socioeconomico delle zone del Paese (appositamente raggruppate in 6 distinte regioni); alla natura dell’investimento stesso (classificato in quattro categorie: generale, regionale, strategico, a grande scala); e al settore d’attività.
La Turchia è un Paese "affamato" di energia, disponendo di risorse assai limitate e avendo accresciuto l’entità del suo fabbisogno dopo il tumultuoso sviluppo economico e demografico degli ultimi anni. Ankara dipende per circa il 90% del proprio fabbisogno di gas e petrolio dall’estero. Il petrolio arriva in particolare dal Caucaso (oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan) e dall’Iraq (oleodotto Kirkuk-Ceyhan), oltre che da acquisti spot di greggio dai Paesi del Golfo. Più rigida è la dipendenza esterna dal gas, che Ankara acquista per il 60% da Mosca, tramite i due gasdotti West Line (via Ucraina, Moldavia, Romania e Bulgaria) e Blue Stream (condotta marina che collega Russia e Turchia sotto il Mar Nero).
A fronte della forte dipendenza dal gas russo, la Turchia sta cercando di diversificare il proprio approvvigionamento. Il progetto principale è la realizzazione di TANAP (Trans-Anatolian Pipeline), il gasdotto da 16 miliardi di metri cubi annui iniziali – i cui lavori di costruzione sono iniziati a fine 2014 - che porterà in Turchia e sul mercato europeo, tramite il collegamento al gasdotto trans adriatico (TAP), il gas azero estratto nel Caspio meridionale. Il corridoio meridionale del gas (TANAP – TAP) favorisce il rafforzamento della sicurezza energetica di Italia ed Europa e la realizzazione delle aspirazioni dell’Italia (delineate nella nuova Strategia Energetica Nazionale, marzo 2013) a divenire un hub sud-europeo del gas, promuovendo al contempo benefici tangibili per i consumatori in termini di riduzione dei prezzi dell’energia. La cerimonia di inaugurazione dei lavori del Tanap si è svolta a Kars, in Turchia orientale, il 19 maggio 2015.
Una seconda alternativa per Ankara è rappresentata dall’incremento delle forniture di gas da Teheran, soprattutto se verranno meno le sanzioni internazionali a seguito degli accordi sul nucleare iraniano. Rimangono gli ostacoli dell’alto costo, per il quale è in corso da tempo un serrato negoziato tra Ankara e Teheran, e la diversa posizione dei due Paesi sul conflitto siriano.
Tra i progetti allo studio vi è inoltre “Turkish Stream”, il gasdotto del Mar Nero alternativo a South Stream, proposto da Putin durante la sua visita in Turchia del dicembre 2014 e per il quale le Autorità dei due Paesi hanno già avviato un intenso dialogo (dovrebbe essere oggetto di discussione nel vertice Putin-Erdoğan entro la fine dell’anno). Il progetto ha destato forti interessi anche in Paesi quali la Grecia, che in nome dei possibili vantaggi finanziari derivanti dall’eventuale transito del Turkish Stream anche sul suo territorio – verso destinazioni balcaniche - sta mostrando rinnovata disponibilità al dialogo con Ankara. Agli inizi di luglio 2015, Gazprom ha inaspettatamente cancellato il contratto in essere con Saipen per la posa delle condotte sottomarine.
Infine, l’esigenza di diversificare il proprio approvvigionamento energetico è anche all’origine delle intese tra la Turchia e la Regione autonoma del Kurdistan iracheno (KRG). Intese condizionate dal confronto tra il governo locale di Erbil e Baghdad per il controllo e sfruttamento degli idrocarburi del KRG.
Legata al tema energetico, vi è la questione dello sfruttamento degli idrocarburi nel Mediterraneo orientale ed, in particolare, a largo di Cipro, tema che condiziona non poco alcune scelte della politica estera turca. Ankara è stata, infatti, tra i primi ad indicare nei giacimenti di gas al largo delle coste cipriote un’opportunità da sfruttare per favorire un accordo per la riunificazione dell’isola, ma non ha rinunciato a ricorrere alle maniere forti per dissuadere Nicosia dal procedere nelle operazioni di esplorazione, in assenza di un’intesa con la parte turco-cipriota. Le esplorazioni condotte fino ad ora non hanno permesso di individuare alcun giacimento (ENI ha pertanto rinunciato ai campi che si era aggiudicata).
In questo quadro, va considerata anche la possibilità di convogliare il gas israeliano del campo offshore denominato "Leviathan" in un futuro gasdotto sottomarino. Si tratta però di uno scenario piuttosto remoto per le ormai difficili relazioni diplomatiche tra Ankara e Tel Aviv.
In relazione alle altre fonti energetiche, la Turchia mira ad avere almeno 20 reattori nucleari operativi nel Paese entro il 2030. Nel 2010, il governo turco ha affidato la realizzazione e gestione della prima centrale nucleare del Paese, che sorgerà ad Akkuyu, nel sud della Turchia, ad una sussidiaria della russa Rosatom (un primo reattore dovrebbe essere pronto per il 2018). La gara per la costruzione della seconda centrale nucleare del Paese, che sorgerà a Sinop, sulle coste del Mar Nero, è stata aggiudicata ad un consorzio nippo-francese (Mitsubishi-Itochu-Areva) per un valore di 22 miliardi di dollari. Sono stati inoltre avviati i negoziati con il Governo di Tokyo per la realizzazione di una terza centrale.
Con riferimento alle energie rinnovabili, la Turchia ha sviluppato, in collaborazione con la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, un piano di azione nazionale. Tale piano è stato progettato in accordo alle Direttive UE sulle energie rinnovabili, allo scopo di incrementare la quota da fonti rinnovabili nel mix energetico nazionale, aumentare la sicurezza nelle forniture e ridurre le emissioni di gas serra. Obiettivo dichiarato del paese è di incrementare del 30% la capacità installata entro il 2023. In particolare saranno realizzati progetti per 34 GW nell’idroelettrico, 20 GW nell’eolico, 5 GW nel solare, 1 GW nel geotermico e 1 nelle Biomasse.
Flussi turistici
Nel 2014 circa 41 milioni di turisti hanno visitato la Turchia, in aumento del 5,5% rispetto all’anno precedente. La Turchia si colloca così al sesto posto, appena sotto l’Italia, nella graduatoria delle destinazioni più popolari. Le entrate derivanti dal turismo internazionale sono aumentate rispetto allo scorso anno del 6,2%, a 34,3 miliardi di dollari
Ha contribuito fortemente a tale risultato l’attivismo della Turkish Airlines, la compagnia aerea con il maggior numero di destinazioni al mondo (247), che si è aggiudicata nel 2014 il titolo di miglior compagnia aerea d’Europa per la quarta volta consecutiva, nell’ambito della manifestazione World Airlines Award. Nel 2014, i passeggeri che hanno volato con Turkish Airlines sono stati 54,7 milioni, in aumento del 13,3% rispetto al 2013.
Secondo i dati recentemente divulgati dal Ministero del Turismo, il numero dei visitatori stranieri in Turchia nei primi sei mesi del 2015 è stato pari a 14,89 milioni con un calo del 2,25% rispetto all’analogo periodo del 2014. Con riferimento al solo mese di giugno, il calo è ammontato al 4,9%, mentre il tasso di occupazione alberghiera ha registrato una flessione del 7,7% rispetto all’anno precedente, con punte del 7,9% ad Istanbul e del 9,7% nella regione turistica di Antalya. Nel primo semestre dell’anno, la Germania è risultata il primo Paese di provenienza dei turisti stranieri, con circa 2 milioni di presenze, seguita dalla Russia (1,45 milioni) e dalla Gran Bretagna con 950.000 visitatori. Se comparati con il medesimo periodo del 2014, mentre le presenze tedesche sono rimaste sostanzialmente stabili, i turisti britannici sono diminuiti del 5%, quelli francesi del 22,3% e la presenza di turisti italiani (269.000) si è ridotta del 19,5%. In termini assoluti, la flessione più ampia è stata registrata per i turisti russi (-25%), anche se in questo caso si fanno certamente anche sentire gli effetti della difficile situazione economica del Paese.
Quadro generale
La Turchia è membro NATO dal 1952 ed ha il secondo esercito “contribuente” con più di un milione di soldati. Si profila come Paese con forti ambizioni di leadership, proiettato ad affermarsi sul piano regionale e tendenzialmente globale, forte dell’eccezionale posizione geo-strategica che le consente di avere più “identità”.
La Turchia ha assunto il 1° dicembre 2014 la sua prima presidenza del G-20. Ospitare il G20, che raggruppa il 90% del PIL mondiale e l’80% del commercio globale, è un’importante opportunità e una grande responsabilità per la Turchia. Il summit del G20 affronterà molti temi, tra cui le misure per una crescita economica bilanciata e sostenibile, investimenti in infrastrutture, regolamento finanziario, architettura finanziaria internazionale, questioni fiscali internazionali, energia e cambiamento climatico, commercio, occupazione, sviluppo e lotta contro la corruzione.
Tra le priorità turche spicca l’incremento nel livello di rappresentatività di Ankara presso il Fondo Monetario Internazionale. L’assunzione di un più attivo ruolo regionale si è tradotta anche in un impegno consistente nel settore del peace-keeping, una novità per un apparato militare concepito per la difesa territoriale. Truppe turche sono state dislocate in Afghanistan, dove la Turchia ha anche detenuto il comando della missione della NATO ISAF, nel quadro di UNIFIL in Libano, in Bosnia e in Kosovo.
Nel 2004 si sono aperti i negoziati di adesione della Turchia all’UE, attualmente privi di reali prospettive. Su di essi pesa la questione cipriota, in relazione alla mancata esecuzione del Protocollo di Ankara, e forti pregiudiziali politiche di Francia e Germania. La crescente frustrazione di Ankara per lo stallo dei negoziati non è stata sicuramente estranea alla volontà del governo Erdoğan di conquistare maggiore “latitudine” nelle scelte fondamentali di politica estera, in attuazione della c.d. dottrina della “profondità strategica”, elaborata dal Ministro degli esteri Davutoğlu fin dal 2001 ed imperniata su una politica estera pragmatica, volta a tutelare gli interessi e la sicurezza nazionali del Paese, stabilizzando un contesto regionale che vive una fase di fluidità. Essa enuncia pertanto l’esigenza di “pace alle frontiere” (“zero problems with the neighbours”). Di qui la volontà della Turchia di porsi al centro dei processi di stabilizzazione nei Balcani (iniziative regionali di dialogo interetnico), in Asia Centrale (proponendosi come modello istituzionale di democrazia e un riferimento per le consistenti comunità turcofone), nel Caucaso (avvio di una difficile normalizzazione delle relazioni con l’Armenia). Un’accresciuta proiezione mediterranea è funzionale anche alla diplomazia economica di Ankara. Tuttavia con l’avvio delle “primavere arabe” è diventato sempre più difficile esercitare la politica di “zero problems with the neighbours”, scontrandosi via via con problemi contigui al cortile di casa (Siria, e da ultimo sviluppi in Iraq). La Turchia ha tentato di sfruttare i nuovi spazi di manovra generati dalla Primavera araba (declino politico dei tradizionali paesi di riferimento per la regione, Egitto e Arabia Saudita, e del ruolo giocato sinora da USA e UE) e di favorire le opportunità di cambiamento democratico nel Mediterraneo e Medio Oriente. Nondimeno, il sostegno alle istanze dei Fratelli Musulmani ha modificato radicalmente la tradizionale politica estera turca che si basa ora più su fondamenti di tipo etico ed ideologico, che su una valutazione degli interessi politici, economici e di sicurezza nazionali turchi. Il risultato è stato un crescente isolamento politico di Ankara nella regione mediorientale, nonché un indebolimento del tradizionale ancoraggio occidentale del paese e la necessità di un costante sforzo di confronto con USA ed Europa alla luce di crescenti divergenze in politica estera. Le ultime mosse compiute dalla Turchia sullo scacchiere mediorientale sembrano tuttavia indicare un possibile "cambio di passo" nella politica regionale di Ankara, alla luce di ciò che appare come una maggiore consapevolezza del proprio crescente isolamento e della volontà di superarlo definitivamente. Si inquadra in tale cornice l’avvicinamento all’Arabia Saudita e il sostegno politico manifestato apertamente e tempestivamente in favore dell’intervento della Gulf Countries Coalition (GCC) in Yemen: si tratta di una operazione di visibilità volta a recuperare un ruolo profilato nella regione e a riaprire possibili canali di cooperazione sugli altri teatri di crisi di maggiore interesse per Ankara.
La Turchia, spesso alla ricerca di visibilità internazionale, ha perso importanti occasioni di apparire sotto i riflettori mediatici internazionali. Dopo esser stata sconfitta dagli Emirati Arabi Uniti nella corsa alla Esposizione Universale del 2020 e dal Giappone per le Olimpiadi, la Spagna ha battuto la Turchia nell’assegnazione di un seggio come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per il biennio 2015-16.
La candidatura europea della Turchia risale al 1997, ma solo nel 2004 hanno avuto inizio i negoziati di adesione. Nelle more dell’adesione europea di Ankara, l’Accordo di Unione Doganale CE - Turchia del 1995 (il c.d. Protocollo di Ankara) costituisce la pietra miliare delle relazioni commerciali UE-Turchia, integrato successivamente da un Protocollo addizionale che estende l’Unione Doganale agli Stati Membri che hanno aderito all’UE nel 2004. L’unione doganale dovrebbe essere estesa anche ai settori agricolo, servizi e procurement pubblico e i negoziati in tale senso dovrebbero essere avviati nel 2016. A ritardare il percorso verso la full membership europea della Turchia è la condizione posta dal Consiglio Europeo nel dicembre 2006 di dare piena applicazione al Protocollo di Ankara per la chiusura di tutti i capitoli, nonché il veto di alcuni Stati Membri sull’apertura di nuovi capitoli. Nel quadro del percorso di adesione, dall’inizio del negoziato sono stati aperti 14 capitoli, ma finora solamente uno - il 25 (scienza e ricerca) - è stato provvisoriamente chiuso. Il CAG del 22 ottobre 2013 ha deciso di procedere all’apertura del capitolo 22 (politica regionale), che negli auspici della Commissione avrebbe dovuto costituire il preludio per l’indicazione ad Ankara dei criteri di riferimento per avviare il negoziato sui capitoli 23 (giustizia e diritti umani) e 24 (giustizia, libertà e sicurezza). A fronte di alcuni progressi realizzati alla fine del 2013 da Ankara lungo il percorso di integrazione, tuttavia quest’ultimo ha risentito del progressivo deterioramento del quadro politico interno turco e dell’accentuarsi del contrasto con Cipro, che ha portato Nicosia ad annunciare l’intenzione di bloccare qualsiasi progresso nei negoziati di adesione. La questione turco-cipriota continua a pregiudicare la continuazione del negoziato di adesione di Ankara all’UE, e la normalizzazione dei rapporti con Cipro resta comunque la chiave per poter impegnare Ankara sulle questioni fondamentali di giustizia, libertà e diritti civili.
Al fine rilanciare la propria agenda europea, con la pubblicazione lo scorso settembre della Nuova Strategia per l’Unione Europea e successivamente dei documenti ad essa collegati (Piano d’Azione in due fasi e Strategia per la Comunicazione) la Turchia ha inteso sottolineare come il percorso europeo del Paese e il raggiungimento della piena membership rimangano un obiettivo prioritario nazionale. Il Piano d’Azione si propone di disegnare una “roadmap” aggiornata delle misure di armonizzazione da varare (con riferimento alla legislazione primaria, a quella secondaria ed all’“institution building”), in un arco temporale quinquennale (2014-2019). La Strategia di Comunicazione mira invece a tenere l’opinione pubblica, in Turchia come pure all’estero, al corrente dei progressi compiuti. Le aspettative di Ankara sono state ribadite da ultimo a Bruxelles il 15 gennaio scorso, in occasione della visita ufficiale compiuta dal Primo Ministro Davutoğlu, il quale ha in particolare sottolineato l’auspicio turco di poter arricchire la cooperazione ed il dialogo strategico tra Turchia e UE attraverso contatti ad alto livello maggiormente strutturati, sul modello dei meccanismi già esistenti tra UE da un lato e USA e Russia dall’altro.
Da parte europea, l’ultimo Progress Report pubblicato a ottobre 2014 dalla Commissione, pur rilevando un quadro non pienamente positivo sul piano del rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali in Turchia (come peraltro sottolineato dal Parlamento Europeo nelle valutazioni approvate in giungo sul documento presentato dalla Commissione, in particolare con riferimento effettuato dall’assemblea alla risoluzione precedentemente approvata sul riconoscimento del “genocidio armeno”), ha auspicato di poter impegnare Ankara sulle questioni fondamentali di giustizia, libertà e diritti civili attraverso l’apertura dei capitoli 23 (giustizia e diritti umani) e 24 (giustizia, libertà e sicurezza), nell’interesse non solo della Turchia, ma soprattutto dell’UE, che trarrebbe vantaggio dall’avere ai suoi confini un Paese che applica gli standard europei. Sempre secondo la Commissione, sarebbe inoltre auspicabile un impegno per l’apertura dei capitoli 5 (appalti pubblici), 8 (competitività) e 19 (lavoro e politiche sociali) non appena Ankara si sarà uniformata ai parametri fissati. Le conclusioni sull’allargamento del CAG di dicembre, pur ancorando l’avanzamento di Ankara nel processo di integrazione europea agli effettivi progressi del Paese nell’area dello stato di diritto e dei diritti fondamentali, hanno mantenuto un linguaggio incoraggiante sulle prospettive europee del Paese, menzionando l’opportunità di una concreta prospettiva di avanzamento del negoziato in relazione al cap. 17 (politica economica e monetaria), accogliendo il testo proposto dall’Italia come Presidenza a seguito del venire meno del precedente veto politico francese. Il carattere prioritario assegnato da parte europea alle relazioni con la Turchia e alla prospettiva della sua adesione all’Unione è stato ribadito infine anche in occasione della 53esima sessione del Consiglio di Associazione UE-Turchia, svoltosi nel mese di maggio: in tale contesto l’UE ha nuovamente espresso apprezzamento per il rinnovato impegno di Ankara lungo il percorso europeo, pur esortando la Turchia a proseguire da un lato lungo il cammino delle riforme interne e dall’altro lato a dare applicazione a quanto previsto dal Protocollo Addizionale sulla scorta degli ultimi incoraggianti progressi nel negoziato intercipriota.
Positive appaiono le prospettive del dialogo avviato a fine 2013 con la Turchia per la liberalizzazione del regime dei visti, a seguito della sottoscrizione il 16 dicembre 2013 dell’Accordo di riammissione UE-Turchia (ratificato da parte turca il 25 giugno 2014 ed entrato in vigore il successivo 1 ottobre). Si tratta di un ulteriore sviluppo incoraggiante in un settore che costituisce una priorità per la parte turca, anche per l’impatto positivo di grande rilievo che la prospettiva della liberalizzazione può generare nella percezione che l’opinione pubblica turca ha dell’UE. La roadmap stilata dalla Commissione Europea ha individuato 4 blocchi oggetto di progressiva valutazione da parte Commissione stessa: sicurezza documentale, migration management (frontiere, riammissione), ordine pubblico e sicurezza e tutela dei diritti fondamentali. Il 20 ottobre u.s. la Commissione ha pubblicato una prima relazione sui progressi compiuti da parte turca, da cui emergono valutazioni complessivamente positive verso l’adeguamento a quanto previsto, pur nelle more dell’adozione di ulteriori riforme. La Commissione ha richiesto ad Ankara ulteriori sforzi soprattutto in tema di sicurezza documentale (rilascio di passaporti biometrici), immigrazione, controllo alle frontiere, ordine pubblico (con riferimento all’indipendenza ed efficacia del sistema giudiziario), protezione dei dati e diritti fondamentali. Bruxelles ha invitato la Turchia a rivedere in particolare la propria normativa in materia di antiterrorismo, adeguandola alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La pubblicazione del prossimo rapporto della Commissione sui progressi compiuti da parte turca è prevista per il mese di novembre 2015.
Ankara ha in più occasioni espresso preoccupazione per la possibile perdita di competitività e di vantaggi comparati dei propri prodotti come risultato della futura conclusione del TTIP tra UE e USA, di cui essa non potrebbe beneficiare, stimando danni che ammonterebbero a circa 160 mln. USD l’anno. In particolare, la Turchia chiede l’attivazione di un meccanismo formale di consultazione con l’UE che, già durante il negoziato TTIP, possa consentire di prendere in considerazione specifici interessi e sensibilità di Ankara, quale Paese candidato e Partner strategico dell’UE, nonché il supporto di Bruxelles per una futura estensione del TTIP alla Turchia o di una negoziazione di un Accordo di libero scambio tra USA e Turchia.
Da parte della Commissione la risposta è stata reiteratamente negativa, sulla base del fatto che si tratta di un Accordo esclusivamente UE-USA e che l’esistenza di un’Unione Doganale UE-Turchia va considerata indipendente dal TTIP. Bruxelles si limita così ad “auspicare” l’avvio di negoziati FTA tra USA e Turchia. L’avvio di qualsiasi meccanismo formale di consultazione tra UE e Turchia sul TTIP, peraltro, sarebbe osteggiato da Cipro.
Rapporti bilaterali con i Paesi europei
Francia: L’elezione all’Eliseo di François Hollande, salutata sin dall’inizio con favore dalla Turchia, ha favorito un generale riavvicinamento tra Parigi ed Ankara, nonostante il permanere di alcune fonti di frizione (riconoscimento francese del genocidio armeno; attivismo turco in Africa e intervento francese in Mali).
In particolare sul dossier siriano, in occasione della visita compiuta da Erdoğan a Parigi a fine ottobre 2014, Francia e Turchia hanno riconosciuto una sostanziale convergenza di vedute, fondata sulla convinzione che sia necessaria la preliminare definizione di una chiara strategia politica che continui a riconoscere nel regime di Assad la principale causa della crisi e dell’emergere di fenomeni terroristici quali lo Stato Islamico. L’impegno dei due Paesi nella lotta al terrorismo ha tuttavia connotazioni distinte, come emerso recentemente a seguito del grave attentato compiuto nel mese di gennaio contro il settimanale satirico francese Charlie Hebdo: le Autorità turche infatti hanno affiancato all’immediata condanna dell’attentato di Parigi la reiterata preoccupazione per le possibili reazioni di xenophobia e islamofobia che tale attacco potrebbe alimentare in Europa, di fatto sostenendo un’interpretazione volta a sminuire il pericolo costituito dal terrorismo radicale islamico.
Il riavvicinamento franco-turco si è riverberato positivamente anche sul piano bilaterale e sembra aver favorito soprattutto un cambiamento di atteggiamento francese sul processo di avvicinamento della Turchia all’UE. La nuova presidenza francese si era già dichiarata nel 2013 favorevole all’apertura del capitolo 22 (politica regionale) e più recentemente si è espressa favorevolmente sull’apertura dei capitoli 23 e 24. Con riferimento in particolare al capitolo 17 (politica economica e monetaria), Parigi ha da ultimo dichiarato non esservi alcun veto, sebbene il tema non sia considerato prioritario.
Gran Bretagna: Ankara mantiene relazioni particolarmente strette con Londra, che vede nella Turchia non solo un valido partner commerciale, ma anche un potenziale partner strategico nella regione mediterranea e mediorientale, da sostenere fortemente anche nel suo percorso di avvicinamento all’UE.
Il Governo Cameron ha attribuito una particolare attenzione alle relazioni con la Turchia: a soli tre mesi dall’insediamento a Downing Street, il PM inglese si era recato a Ankara nel luglio 2010, dove firmò con Erdoğan un "Partenariato Strategico", mentre il Presidente Gul è stato in visita di Stato a Londra a fine novembre 2011 (l’ultima occasione risaliva al 1988). Da ultimo, il PM britannico Cameron ha compiuto una brevissima visita ad Ankara lo scorso mese di dicembre.
La lotta al terrorismo costituisce uno dei principali dossier di dialogo tra i due Paesi: da parte britannica è stata in più occasioni sollecitata una maggiore collaborazione sul piano della condivisione delle informazioni e dei dati sensibili, specialmente con riferimento al fenomeno dei “foreign fighters”.
Sulla Siria viceversa le posizioni restano distanti, nonostante vi sia da entrambe le parti la volontà di trovare possibili forme di collaborazione, con l’obiettivo di evitare uno “scenario iracheno” di divisione del Paese lungo linee settarie.
Santa Sede: La visita compiuta dal Santo Padre in Turchia il 28 novembre 2014 è stata caratterizzata da un’atmosfera nel complesso piuttosto fredda, segnata in particolare da un’evidente mancanza di empatia tra Francesco I ed il Presidente turco Erdoğan. Se da un lato il Pontefice ha lanciato in tale occasione un forte messaggio di apertura e sostegno al dialogo interreligioso e interculturale e di condanna di ogni forma di fondamentalismo e di terrorismo, richiamando altresì i principi fondamentali della libertà di religione e di espressione, diversa è stata la posizione assunta da Erdoğan, che ha ribadito le consuete critiche nei confronti dell’Occidente, responsabile di non combattere efficacemente quei sentimenti di xenofobia e islamofobia che a loro volta alimentano la capacità di attrazione del terrorismo radicale.
Sullo sfondo delle relazioni bilaterali pesa inoltre la posizione della Santa Sede nei confronti del cosiddetto “genocidio armeno”, espressa da Papa Francesco già nel 2013 (quando, in occasione di un incontro con una delegazione guidata dal Patriarca degli armeni cattolici di Cilicia, il Pontefice aveva definito quello armeno come "il primo genocidio del XX secolo") e ribadita nel corso della funzione commemorativa del centenario del "martirio degli armeni" a San Pietro, il 12 aprile u.s.. In quella occasione Papa Francesco ha nuovamente fatto riferimento a quello armeno come al "primo genocidio del XX secolo, assimilato ai crimini commessi da nazismo e stalinismo e agli stermini di massa compiuti in Cambogia, Ruanda, Burundi e Bosnia”, suscitando veementi reazioni da parte delle autorità turche.
Ankara ha prontamente richiamato per consultazioni l’Ambasciatore turco presso la Santa Sede. Toni accesi hanno caratterizzato un comunicato emesso dal Ministero degli Esteri, che ha definito "inaccettabili" le parole del Pontefice; dichiarazioni di analogo tenore sono state espresse da diversi membri dell’esecutivo turco: il Primo Ministro Davutoğlu, il Ministro degli Esteri Cavusoglu, il Ministro per gli Affari Europei Bozkir, il Presidente della Grande Assemblea Nazionale Turca, Cicek (quest’ultimo ha assimilato le frasi pronunciate da Papa Francesco ad una vera e propria calunnia, fonte di incitamento all’odio e al razzismo). L’intervento del Pontefice ha provocato dure reazioni anche tra i principali partiti di opposizione, unanimi nel condannare l’utilizzo del termine "genocidio" per definire i tragici eventi del 1915.
Tali reazioni confermano l’estrema attenzione e sensibilità con cui Ankara al centenario dei tragici eventi del 1915. In tale contesto, da parte turca si continua a sottolineare da un lato l’esigenza di un impegno reciproco per una ricostruzione storica condivisa e dall’altro lato la necessità di un approccio "giuridico" al riconoscimento del "genocidio armeno", sul quale nessun tribunale internazionale si è finora pronunciato. È peraltro verosimile che la risposta turca alle dichiarazioni del Pontefice, oltre a costituire la consueta "linea difensiva" di Ankara volta a scoraggiare eventuali iniziative di Paesi terzi favorevoli al riconoscimento del "genocidio" armeno, sia venuta incontro anche l’esigenza interna di raccogliere consensi tra l’opinione pubblica turca, in prevalenza non ancora disposta a rivedere la consolidata narrativa nazionale sugli eventi del 1915, tanto meno in un anno caratterizzato dalle elezioni politiche del giugno u.s..
Grecia. Dopo lo svolgimento a Istanbul il 4-5 marzo 2013 del vertice intergovernativo turco-greco, prima vera occasione di confronto tra Ankara e Atene dopo la lunga pausa imposta dalla difficile congiuntura politica scaturita dalla grave crisi economica che ha investito la Grecia, il 5-6 dicembre 2014 si è tenuta ad Atene la terza sessione dell’Alto Consiglio di Cooperazione greco-turco, cui ha preso parte il Primo Ministro turco Davutoğlu, accompagnato da nove ministri di governo.
Accogliendo l’invito rivoltogli dal proprio omologo turco, il Ministro degli Esteri greco Nikos Kotzias è giunto in Turchia l’11 e il 12 maggio u.s., facendo precedere due giorni di incontri bilaterali alla sua partecipazione alla ministeriale NATO di Antalya. Il clima della prima visita del nuovo MAE greco è stato molto cordiale, corroborato da un’agenda molto articolata e dal livello altissimo di attenzione dedicata al Ministro Kotzias, che oltre che dal Ministro degli Esteri Cavusoglu è stato ricevuto anche dal Primo Ministro Davutoğlu e dal Presidente Erdoğan. Tra gli esiti della missione, il varo di alcune intese tecniche in tema di sicurezza marittima e il rilancio degli exploratory talks per la definizione delle piattaforme continentali. È stata altresì condivisa una valutazione ottimistica sulla situazione a Cipro, anche se Ankara e Atene hanno una diversa percezione del proprio ruolo rispetto al negoziato in corso.
A seguito del colpo di stato greco-cipriota del 1974 e della successiva occupazione turca della parte settentrionale dell’isola di Cipro, Ankara non riconosce il Governo cipriota di Nicosia (definito “amministrazione greco-cipriota”) ed è, nel contempo, l’unico Paese a riconoscere la Repubblica Turca di Cipro Nord (RTCN): la questione cipriota rappresenta non solo uno dei nodi cruciali che Ankara deve sciogliere per la stabilità del Mediterraneo orientale, ma anche il principale ostacolo sul cammino europeo della Turchia.
Nel 2008 sono stati avviati negoziati diretti per riunificare l’Isola. I principali nodi critici sono tuttora costituiti dalla forma di governo del futuro stato cipriota, dal riconoscimento della cittadinanza (con particolare riferimento ai “coloni” provenienti dalla Turchia anatolica), dalla restituzione delle proprietà confiscate, dalla questione degli aggiustamenti territoriali.
L’intervento sempre più marcato degli Stati Uniti nei negoziati ha propiziato, nel febbraio 2014, la firma di una “Dichiarazione Congiunta” da parte dei leader delle due comunità Anastasiades ed Eroglu, che delinea i contorni della futura Federazione cipriota, bicomunale, bizonale, “with political equality” dei due Stati costituenti “a single, international legal personality and a single sovereignty”. Lo slancio impresso al processo negoziale, a seguito della firma della Dichiarazione, si sta tuttavia esaurendo: gli incontri fra Anastasiades ed Eroglu e le “missioni incrociate” dei due capi-negoziatori ad Atene ed Ankara non hanno prodotto risultati concreti.
In questo contesto si sono inserite le iniziative turche di autorizzare la ricerca geo-sismica della nave turca “Barbaros” all’interno della ZEE cipriota dal 20 ottobre al 30 dicembre 2014 e dal 6 gennaio u.s. al 6 aprile p.v. Si tratta peraltro dell’area interessata dalle attività di prospezione avviate dal consorzio ENI-Kogas per la perforazione di pozzi esplorativi, attività condotte dalla nave SAIPEM 10.000. Nell’ottica turca, i due NAVTEX del 3 ottobre e del 6 gennaio (avvisi per la navigazione) si ricollegherebbero all’accordo del 2011 con cui la cd. “Repubblica Turca di Cipro Nord” aveva assegnato alla società petrolifera di Stato turca TPAO tutti i blocchi disegnati nella ZEE cipriota da nord a sud. Ankara intende opporsi ad ogni attività unilaterale di esplorazione e sfruttamento dei giacimenti, in assenza di accordo definitivo sullo status dell’Isola o quantomeno della definizione di meccanismi di condivisione dei proventi economici tra le due comunità.
Una finestra di opportunità si è aperta a seguito dell’elezione del nuovo leader della comunità turco-cipriota Akinci, fautore di una soluzione della questione cipriota lungo le linee declinate nella Dichiarazione Congiunta del 2014. Akinci gode del sostegno turco.
Dopo uno stallo di sette mesi, il 15 maggio u.s. Anastasiades ed Akinci hanno avuto con il “facilitatore” ONU Eide un incontro di sostanza che ha segnato l’effettiva ripresa del “negoziato intercipriota”. Gli esiti di tale incontro hanno risposto alle aspettative di un “nuovo inizio”, rafforzando le speranze suscitate dall’elezione di Akinci.
L’incontro ha portato all’adozione delle prime Confidence Building Measures (CMB), destinate a produrre effetti positivi immediati sulla vita quotidiana di entrambe le comunità: Anastasiades ha consegnato ad Akinci le mappe di 28 campi minati disseminati sul Pentadattilo prima dell’invasione turca del 1974; Akinci ha in cambio disposto l’immediata abolizione del “foglio di transito” che la polizia turco-cipriota ha finora chiesto ai greco-ciprioti di riempire per ogni transito attraverso la “linea verde”.
I due leader hanno concordato anche un maggior coinvolgimento personale nel negoziato, con un’intensificazione dei loro incontri e di quelli dei rispettivi capi-negoziatori. Il secondo incontro “ufficiale” è stato fissato al 28 maggio p.v., preceduto dalla comune partecipazione ad un evento di carattere ‘‘sociale’’ il 23 maggio. Entrambi appaiono consapevoli dell’opportunità di risolvere una questione che si trascina ormai da oltre mezzo secolo, tenendo l’isola prigioniera del passato e costituendo un focolaio di criticità in una regione già ad alta instabilità. Nei successivi incontri negoziali (svoltisi tra fine maggio e fine luglio) le due parti hanno avviato l’adozione di ulteriori misure di confidence building, in particolare volte ad aumentare i valichi di transito aperti tra le due sponde della “linea verde”, ad assicurare l’interoperabilità delle reti di telefonia mobile e l’interconnessione delle reti elettriche, a risolvere le interferenze esistenti nelle frequenze radio, ad istituire un comitato congiunto per la parità di genere e, da ultimo, a creare una commissione indipendente bipartisan con l’obiettivo di avviare a soluzione la spinosa questione delle proprietà’ contese. Il successivo incontro tra i due leader e’ previsto il 1 settembre p.v..
A differenza del suo predecessore Eroglu, che ha sempre considerato con diffidenza e respinto un ruolo UE nel processo negoziale, coltivando come “piano B” una partizione dell’isola che avrebbe saldato definitivamente la RTCN alla Turchia, Akinci appare un leader proiettato in una prospettiva decisamente europea, ovvero di una federazione cipriota compiuta, che dovrà integrarsi efficacemente nel contesto dell’Unione Europea. Anche Anastasiades gli attribuisce una “sincera visione federale” ed il comune intento di giungere ad “una soluzione che tenga conto dell’acquis comunitario, dei principi europei e dei diritti umani”. Pur confermando il proprio tradizionale appoggio anche al nuovo leader turco-cipriota, da parte turca peraltro non si e’ mancato di sottolineare in più occasioni – anche per voce del Presidente Erdoğan, da ultimo in occasione della sua visita a Cipro Nord lo scorso 20 luglio – il ruolo preminente che Ankara intende mantenere nella definizione degli equilibri e nell’individuazione di una soluzione duratura per lo status dell’Isola.
Stati Uniti
Washington considera strategiche le relazioni con la Turchia, ritenuto un alleato fondamentale nel quadro della NATO, ma le numerose divergenze di politica estera richiedono una costante “messa a punto” per smussare gli angoli e trovare terreni di cooperazione comune. Sullo sfondo permane la preoccupazione di Washington per gli sviluppi di politica interna e i rischi di involuzione autoritaria del Presidente Erdoğan.
Nel corso del luglio u.s., il radicale cambiamento della posizione di Ankara nel contrasto ai terroristi del sedicente Stato Islamico si è fondata sulla concessione dell’uso delle basi turche, inclusa la base aerea di Incirlik, per le azioni militari USA contro l’ISIS, l’avvio di operazioni militari turche contro forze e basi dell’ISIS e la disponibilità di Ankara a concedere l’utilizzo delle basi turche anche ad altri Paesi membri della coalizione anti-DAESH.
Da parte statunitense si è molto soddisfatti di questo riallineamento della posizione turca. Ankara è ora attiva e militarmente impegnata nella coalizione internazionale contro l’ISIS e ciò può rappresentare un reale “game changer” nel confronto con le forze dello Stato Islamico.
L’istituzione di una “no fly zone” al confine con la Siria non è per il momento nei piani americani. Nondimeno, da parte americana si concorda con il desiderio di Ankara di creare le condizioni di sicurezza per consentire il rientro volontario in territorio siriano di una parte dei circa due milioni di rifugiati attualmente presenti in Turchia.
Washington apprezza grandemente il contributo dato dalle milizie curdo-siriane nel rendere sicura una larga parte della frontiera meridionale della Turchia, liberandola dalla presenza dei terroristi. Per tale motivo, da parte americana è stato segnalato ad Ankara che ulteriori attacchi contro le forze curdo-siriane sono inaccettabili. Nel prendere atto di quanto sopra, da parte turca è stato precisato che le operazioni in Siria sono dirette contro le forze di DAESH e che indagini sono in corso per accertare gli effettivi bersagli colpiti. Ankara ha tuttavia dichiarato che non sarà tollerata l’avanzata del PYD/YPG ad ovest del fiume Eufrate, area che nelle aspirazioni turche dovrebbe costituire la “DAESH-free zone”, e che assolutamente Ankara vuole impedire che passi sotto il controllo delle forze curdo-siriane, consentendo la contiguità territoriale tra i cantoni curdi di Kobane e Cizre e quello di Efrin e quindi la riunificazione dei tre cantoni di Rojava.
Per Ankara, l’Egitto rimane il secondo scenario di prioritaria rilevanza, dopo la Siria. La Turchia era in ottimi rapporti con l’Egitto di Morsi, dopo la prolungata freddezza dell’era Mubarak. Dopo la condanna turca del "colpo di stato" del 3 luglio 2013, i rapporti con il Cairo hanno subito un ulteriore deterioramento il 23 novembre 2013 con l’abbassamento delle relazioni diplomatiche al livello di Incaricato d’Affari. Alla base della crisi bilaterale vi è la difesa da parte turca delle istanze dei Fratelli Musulmani e della legittimità del deposto Presidente Morsi. Negli ambienti economici turchi si temono ripercussioni sulle relazioni commerciali: in Egitto operano 250 imprese turche, con investimenti per circa 2 miliardi di dollari; il Cairo rappresenta altresì il principale snodo commerciale per i prodotti turchi destinati in Africa e Paesi del Golfo.
La posizione di Ankara resta ancorata ad una politica di solido sostegno alle istanze della Fratellanza Musulmana in Egitto. Ciò risponde pienamente ai desiderata del Presidente Erdoğan e del Primo Ministro Davutoğlu che, sul presupposto che la Turchia possa rappresentare un valido modello per tali Paesi, auspicano che i FM possano accedere democraticamente al potere per poi attuare una politica di riscatto delle masse musulmane, dopo anni di “repressione” subita ad opera di regimi “laici”, in analogia a quanto avvenuto in Turchia con l’AKP dopo l’estromissione dal potere del vecchio establishment kemalista e militare.
Durante il suo viaggio in Arabia Saudita nel marzo scorso Erdoğan avrebbe chiesto al nuovo sovrano Salman, apparentemente meno rigido nei confronti della Fratellanza Musulmana, di convincere il governo al-Sisi a garantire un equo processo ai rappresentanti della FM arrestati ed il rilascio dei prigionieri politici. Tali sarebbero le condizioni poste da Ankara per una normalizzazione delle relazioni con Il Cairo.
Da parte turca viene considerato infine come "provocatorio" nei confronti di Ankara l’atteggiamento assunto dal Cairo con la sottoscrizione di intese con Cipro e Grecia per la delimitazione della zona economica esclusiva e lo sfruttamento congiunto delle risorse nel Mediterraneo orientale.
Allo scoppiare della crisi libica nel 2011, la Turchia ha dapprima mantenuto una posizione attendista, principalmente per verificare l’evoluzione della situazione sul terreno senza mettere in pericolo i cospicui investimenti locali. Una volta messi in salvo i cittadini turchi e chiusa l’Ambasciata turca a Tripoli (2 maggio 2011), Erdoğan ha preso posizione contro il regime di Gheddafi. Ha poi intrattenuto intensi rapporti con l’allora Primo Ministro Zidan che si è recato due volte in Turchia il del 19-20 febbraio 2013 ed il 3 gennaio 2014.
Dopo il precipitare della crisi libica e la divisione in due fronti contrapposti, la vicinanza di Ankara alle istanze del Partito Giustizia e Costruzione, principale espressione politica della Fratellanza Musulmana in Libia, ha dato adito ad accuse di interferenze turche per favorire il fronte islamista. In realtà, Ankara sembra ora sostenere convintamente l’azione dell’Inviato Speciale delle Nazioni Unite León ed i suoi sforzi per il rilancio di un dialogo inclusivo tra le parti che scongiuri la divisione della Libia, in sintonia con gli sforzi della comunità internazionale. In più occasioni Ankara ha sollecitato il Presidente del Congresso Nazionale, Nuri Abusahmin, ad essere parte del dialogo e ad accettare la proposta di un governo di unità nazionale, lasciando in secondo piano la questione della legittimità delle istituzioni di Tobruk e Beida.
Vi è poi una piena consonanza di vedute con la posizione algerina sulla base della massima inclusività del dialogo nazionale, con l’esclusione dei gruppi terroristici. Negativa resta peraltro la valutazione turca sulla posizione delle autorità del Cairo, accusate di sostenere gli elementi più radicali del fronte di Tobruk.
La Turchia è fra i Paesi più direttamente colpiti dalle ripercussioni della crisi siriana, avendo tra l’altro offerto rifugio ad oltre 1.600.000 di profughi, dall’inizio della guerra civile. La normalizzazione delle relazioni bilaterali con la Siria era uno dei perni sui quali Ankara aveva articolato la politica di “zero problemi con i vicini”. A lungo, proprio per non rinnegare questa politica, la Turchia ha cercato di moderare la repressione di Assad contro le proteste siriane. Tuttavia si è gradualmente schierata sul fronte opposto, temendo il potenziale destabilizzatore di Damasco sui vicini (attraverso escalation PKK e PYD). Gli attacchi contro l’Ambasciata di Turchia a Damasco il 12 novembre 2011 hanno impresso un’accelerazione alla linea turca: il 29 novembre 2011 Ankara ha annunciato che l’amministrazione siriana non è più considerata legittima e sono state annunciate sanzioni. Il 2 ottobre 2014 è stata approvata la mozione che ha prorogato di un anno l’autorizzazione concessa al governo ad intervenire in territorio siriano (e iracheno) in difesa degli interessi nazionali, secondo i principi fissati dall’art. 92 della Costituzione turca. Tale mozione rinnovava per la seconda volta quella approvata il 4 ottobre 2012, a seguito dell’esplosione da mortaio che causò cinque vittime nel villaggio di Akcakale sul confine con la Siria.
Ankara partecipa ai lavori dell’high level group del Gruppo degli Amici del Popolo siriano, di cui è stato sin dall’inizio fra i membri più assertivi. Ad Istanbul si svolgono tutte le riunioni dell’Assemblea Generale della Coalizione delle Opposizioni e a Gazantiep hanno sede alcuni degli organi esecutivi della Coalizione, in particolare l’ACU (Assistance Coordination Unit) per la gestione degli aiuti umanitari. Ankara ha da sempre invocato un’azione più incisiva della Comunità Internazionale verso la crisi siriana. Recentemente, i riequilibri interni alla Coalizione delle Opposizioni hanno segnato un punto a favore di Ankara con l’elezione a presidente di Khaled Khoja considerato vicino al Governo turco.
Ankara considera i raid aerei della coalizione internazionale contro le postazioni di ISIS una misura insufficiente poiché ritiene indispensabile la deposizione di al-Assad, ritenuto il maggiore responsabile dell’instabilità che ha creato le condizioni per l’affermarsi dell’ISIS. Solo in tal modo, peraltro, è possibile sganciare il mondo sunnita dall’orbita di attrazione del sedicente Califfato islamico. A tale scopo la proposta turca è la realizzazione di una “no fly zone” ed al suo interno di “safety zones” per favorire le operazioni delle Free Syrian Armies (FSA), nella convinzione che solo esercitando tale pressione politica si potrà mettere in difficoltà al-Assad.
In occasione della riunione di Londra del gennaio 2015 del “core group” del gruppo “Amici della Siria”, Ankara ha registrato con preoccupazione una “Syria fatigue” da parte dei membri del “core group” che si sarebbe esplicata in un affievolimento del sostegno alla SOC e, per converso, in un’aumentata disponibilità a trattare con al-Assad. Sotto questo aspetto, il giudizio sulle riunioni di Mosca e Il Cairo è nettamente negativo. Circa gli sforzi diplomatici dell’Inviato Speciale delle NU, Staffan de Mistura, Ankara mantiene uno scetticismo di fondo unito ad un forte sospetto che tale azione possa rimettere in gioco al-Assad.
Ankara resta contraria a sviluppi sul terreno in Siria favorevoli alla componente curdo-siriana del PYD ed al suo progetto di regione autonoma denominata “Rojava” formata dai tre cantoni a maggioranza curda di Cizre, Kobane e Efrin. Sotto questo aspetto, Ankara non è apparsa entusiasta della riconquista di Kobane ed ha tenuto a evidenziare che la vittoria è stata dovuta non solo ai curdo-siriani del PYD, ma anche al determinante apporto dei peshmerga iracheni, lasciati transitare sul suolo turco, e delle stesse FSA, oltre che dei raid aerei USA. Resta inoltre la forte critica nei confronti del PYD, accusato di perseguire una propria agenda differente da quella della SOC, di non combattere contro il regime di Damasco salvo che in limitati scontri locali, e di intrattenere legami organici con il PKK.
Il 19 febbraio scorso è stato firmato un Memorandum di Intesa tra la Turchia e gli Stati Uniti per l’addestramento e l’equipaggiamento (‘train and equip’) dell’opposizione moderata siriana, onde difendere la popolazione civile dall’ISIS e da eventuali attacchi terroristici da parte di altri gruppi, nonché proteggere le aree sinora liberate, con lo scopo ultimo di promuovere la transizione verso una soluzione politica della crisi siriana. Il programma di addestramento, iniziato nella primavera del 2015, ha sin qui formato poco più di 60 reclute e si è ancora lontani dal raggiungere i numeri previsti: l’autorizzazione iniziale del Congresso prevede indicativamente la formazione di 5.000 uomini all’anno, per tre anni, in tutti i Paesi coinvolti dal programma ‘train and equip’ (non solo la Turchia ma anche Arabia Saudita e Qatar; è prevista anche l’adesione giordana) e, per l’anno in corso, Washington punta a raggiungere la cifra di 3.000 uomini addestrati.
Nella notte tra il 21 e il 22 febbraio u.s. si è svolta l’operazione ‘Shah Eufrates’: una colonna di circa 600 soldati, 39 carri armati e numerosi altri veicoli è penetrata per quasi 40 km in territorio siriano, attraversando l’area di Kobane di recente liberata dalle forze curdo-siriane del PYD/YPG, per evacuare il mausoleo di Suleyman Shah, nonno del fondatore dell’impero ottomano Osman I, ove si trovavano 38 soldati turchi che presidiavano un’area delle dimensioni di un campo di calcio. Il mausoleo la cui “proprietà” è turca ai sensi del Trattato di Angora concluso nel 1921 con la Francia, allora Paese mandatario per la Siria, è stato dislocato ad Ashme, sempre in territorio siriano, ma a poche centinaia di metri dal confine e in un’area vicinissima a quella sotto controllo curdo (nelle foto che ritraggono la nuova sistemazione del mausoleo si vede la bandiera turca garrire poco distante dalle bandiere curde del PYD).
A seguito dell’attentato terroristico da parte del DAESH nella città turca di Sucurc, nel luglio scorso, Ankara ha assunto una posizione più netta contrasto ai terroristi del sedicente Stato Islamico, con la concessione dell’uso di proprie basi, inclusa quella aerea di Incirlik, per le azioni militari USA contro l’ISIS, con l’avvio di operazioni militari turche contro forze e basi dell’ISIS e con la disponibilità di Ankara a concedere l’utilizzo delle basi turche anche ad altri Paesi membri della coalizione anti-DAESH.
Iraq
Dopo il “congelamento” della stagione di Al Maliki, Ankara sostiene il governo guidato da Al Abadi e auspica una svolta positiva nei rapporti tra Baghdad ed Erbil, nell’interesse del Paese e della stabilità di tutta la Regione. La Turchia ritiene che il nuovo governo iracheno debba perseguire politiche autenticamente inclusive, non lasciando fuori nessuno dei gruppi etnici che compongono il complicato mosaico iracheno per evitare di ripetere gli errori di al-Maliki. Molto importante è affrontare i problemi che ancora affliggono il rapporto tra Baghdad ed Erbil. Sotto questo aspetto l’accordo raggiunto tra Erbil e Baghdad sulle spinose questioni del pagamenti degli stipendi dei dipendenti pubblici della regione autonoma curda (KRG) e sulla ripartizione dei proventi del petrolio del KRG ha accelerato il miglioramento nelle relazioni turco-irachene poiché il petrolio curdo viene esportato attraverso il terminale turco di Ceyhan. Circa le aspirazioni dei curdi iracheni del KRG, Ankara ha suggerito al Presidente Barzani un atteggiamento di moderazione nei confronti del governo federale di Baghdad.
Nel corso della recente visita ad Ankara del MAE iracheno Jaafari, lo scorso 14 luglio, sono stati toccati i temi della collaborazione in materia di energia, risorse idriche e formazione delle forze di polizia. In materia di contrasto all’ISIS, Jaafari ha richiesto l’incremento degli aiuti offerti e, soprattutto, assistenza nella formazione delle forze di polizia, appello quest’ultimo prontamente accolto da Ankara, che già in precedenti occasioni aveva manifestato la propria disponibilità ad avviare programmi di training in suolo turco. All’invito al Governo turco ad assumere un atteggiamento di maggiore prudenza per quanto riguarda le azioni in corso nel Nord dell’Iraq, si accompagna d’altro canto la soddisfazione delle autorità di Baghdad per il ruolo più profilato assunto da Ankara nell’azione di contrasto all’ISIS.
La Turchia si fronteggia da sempre in una competizione politica ed economica con l’Iran per l’influenza regionale, per nella consapevolezza che sia un interesse strategico avere buoni rapporti con il vicino persiano con il quale vi sono forti legami economici e culturali.
Nel gennaio 2015 il MAE Cavusoglu ha visitato Teheran, per discutere con l’omologo iraniano di sicurezza regionale e lotta al terrorismo. I due Ministri degli esteri non hanno nascosto i profondi motivi di divisione tra i due Paesi, in particolare in relazione alla situazione in Siria ed al ruolo di Assad. Divisioni acuite dalla crisi yemenita, in cui Teheran ed Ankara sostengono schieramenti contrapposti.
Tali divergenze non hanno peraltro impedito la visita del Presidente Erdoğan a Teheran, lo scorso 7 aprile, in coincidenza con la seconda sessione del Consiglio di Cooperazione Turchia-Iran, che ha permesso di approfondire le prospettive di cooperazione soprattutto in ambito economico, con le prospettive di crescita dell’interscambio a seguito del negoziato nucleare (con particolare riferimento ad una possibile partecipazione iraniana al TANAP).
Già durante il regime delle sanzioni, l’Iran si è imposto come l’ottavo partner commerciale della Turchia, con un interscambio pari a 13,7 miliardi di dollari, ed il decimo mercato di sbocco per le esportazioni turche, che hanno raggiunto nel 2014 il valore di 3,8 miliardi di dollari: è indubbio che vi siano importanti prospettive di crescita. Da un lato, un regime doganale favorevole dovrebbe consentire a molti prodotti turchi di arrivare facilmente sul mercato iraniano, in particolare per quel che riguarda i settori degli elettrodomestici bianchi, tessile, elettronica e medicinali. Dall’altro, il crescente fabbisogno energetico del Paese e la volontà di Ankara di diversificare le proprie fonti di approvvigionamento costituiscono le basi per un rapido incremento delle importazioni di gas e petrolio, in particolare se si considera che, dal 2011 al 2015, la Turchia ha dovuto praticamente dimezzare le sue importazione di gas dall’Iran.
Il settore dell’energia è sicuramente il più importante. L’Iran è per Ankara il primo fornitore di petrolio, coprendo più del 30% del fabbisogno nazionale, ed il secondo di gas naturale (dopo la Russia), con circa il 18% del fabbisogno annuo. Il gasdotto TANAP, pensato per trasportare il gas proveniente dal Mar Caspio ed i cui lavori di costruzione dovrebbero terminare nel 2018, potrebbe essere utilizzato anche per il gas iraniano. Inoltre, interessanti prospettive si aprono per i contractor turchi (secondi solo a quelli cinesi per capacità di intervento nei Paesi più arretrati) e per il settore bancario che, in questi anni, ha svolto un ruolo piuttosto importante (e spesso poco trasparente) nelle transazioni finanziarie di Teheran con l’esterno.
Arabia Saudita
Nel marzo u.s. il Presidente Erdoğan ha compiuto una visita nel Regno, all’indomani della successione che ha portato al trono un sovrano, Salman, percepito ad Ankara come più pragmatico e maggiormente disposto ad impegnarsi direttamente nella stabilità regionale. La visita di Erdoğan ha rappresentato l’occasione per aprire una nuova pagina nei rapporti tra Turchia e Arabia Saudita, caratterizzati da solide relazioni bilaterali sul piano economico-commerciale e da prospettive convergenti sui principali teatri regionali aperti (es. Yemen), nonostante il permanere di differenze - anche importanti - riconosciute da entrambe le parti su singole questioni (segnatamente sull’Egitto).
Agli occhi di Ankara sembrerebbe peraltro in corso a Riad una parziale riconsiderazione della minaccia costituita dalla Fratellanza Musulmana, nel senso di una distinzione tra esponenti e correnti interne alla Fratellanza che continuano a costituire un potenziale fattore di instabilità da un lato, e interlocutori politicamente più moderati, che potrebbero essere pragmaticamente coinvolti in favore della stabilità regionale dall’altro.
L’alleanza turca con l’Arabia Saudita sembra avere carattere tattico più che strategico, volto soprattutto a condurre un’azione coordinata e più incisiva a sostegno delle opposizioni siriane (quali che siano) per favorire la caduta di al-Assad. Nondimeno, l’ipotesi di un intervento militare diretto appare molto remota. Questa Amministrazione, la cui politica siriana è già poco popolare, non può permettersi di sostenere il costo, in termini di consenso, delle inevitabili vittime turche di una simile operazione.
In tale quadro il desiderio condiviso da Ankara con Riad di accantonare le divergenze esistenti in favore di un maggiore coordinamento sulle questioni di comune interesse, anche e soprattutto nell’ottica di riguadagnare spazi di visibilità e di credibilità sullo scenario mediorientale, non appare tuttavia sufficiente a spingere la dirigenza turca fino a sacrificare le complesse e delicate relazioni con Teheran sull’altare dei timori sauditi per le ambizioni regionali iraniane.
Israele
La tensione diplomatica tra Ankara e Tel Aviv, sviluppatasi a seguito di recriminazioni reciproche, è cresciuta di intensità a causa della condanna turca all’operazione “Piombo fuso”, lanciata dall’esercito israeliano contro Gaza nel dicembre 2008. A ciò ha fatto seguito la nota vicenda della nave Mavi Marmara (31 maggio 2010), segnata dalla morte di nove attivisti turchi filo-palestinesi e culminata nella riduzione delle relazioni diplomatiche turco-israeliane a livello di secondi segretari. Tre le condizioni poste da Ankara per chiudere la controversia: 1) scuse formali; 2) compensazione finanziaria dei parenti delle vittime; 3) rimozione del blocco di Gaza.
Con la telefonata intercorsa tra il PM turco Erdoğan e l’omologo israeliano Netanyahu il 22 marzo 2013, fortemente propiziata da parte statunitense, la parte turca ha accettato le scuse per l’incidente della Mavi Marmara. Nella primavera 2013 si sono tenuti incontri fra i negoziatori delle due parti per discutere la diversa interpretazione che le parti intendono dare all’accordo sul risarcimento alle famiglie delle vittime. Secondo Tel Aviv, l’accordo dovrebbe prevedere la non responsabilità giuridica di Israele, mentre Ankara starebbe insistendo sul fatto che la compensazione confermi l’illegittimità dell’attacco israeliano - con le relative conseguenze di carattere giuridico-penale per i responsabili.
La posizione turca di forte reazione alle azioni israeliane a Gaza dell’estate 2014 allontana ulteriormente la possibilità di normalizzazione dei rapporti bilaterali. Peraltro, il rafforzarsi di intese in campo economico commerciale ed energetico di Israele con Cipro, Grecia ed Egitto, rappresenta un’ulteriore sfilacciarsi del rapporto tra Turchia e Israele, una volta ritenuto strategico asse portante del precario equilibrio nella regione medio-orientale.
Recentemente il Ministro degli Esteri Cavusoglu ha ribadito come l’attuale spirale di tensione in Medio Oriente sia in definitiva da ricollegare all’irresponsabile intransigenza israeliana nei confronti di Gaza, confermando dunque nuovamente la sostanza delle posizioni turche sul dossier palestinese. Il Presidente Erdoğan ha inoltre ribadito la necessità di evitare il ricorso a soluzioni "importate" dall’esterno, che non coinvolgano in prima battuta le popolazioni locali nei processi decisionali. Le dichiarazioni di Erdoğan e Cavusoglu si inseriscono ancora una volta nella consueta retorica che conferma l’ambizione di Ankara a svolgere un ruolo attivo e profilato in tutta la regione medio-orientale. Al riguardo, la Turchia è fermamente contraria al blocco di Gaza e sostiene la politica di riconciliazione intrapalestinese tra l’Autorità Nazionale Palestinese e Hamas. Erdoğan ha più volte annunciato l’intenzione di recarsi a Gaza, ma ha sempre dovuto rinviare tale visita per non urtare la suscettibilità dell’ANP che critica l’appiattimento di Ankara sulle posizioni di Hamas.
Proprio il sostegno politico di Ankara ad Hamas, considerato controproducente dalla stessa dirigenza palestinese, di fatto relega Ankara in una posizione marginale nel conflitto arabo-israeliano.
Anche nei Balcani, la Turchia cerca spazi di penetrazione (segnatamente commerciale) e di influenza. Nella visita di Erdoğan nel Kosovo dell’ottobre 2013, l’emotività di alcune dichiarazioni (“Il Kosovo è la Turchia e la Turchia è il Kosovo”), ha provocato il forte disappunto serbo, sfociando in una diatriba tra Ankara e Belgrado. Il 4-5 febbraio 2013 il Presidente serbo Nikolic ha effettuato una visita di Stato in Turchia, con una prima tappa ad Ankara per incontri con il Capo dello Stato Abdullah Gul e il Presidente del Parlamento Cemil Cicek, a cui ha fatto seguito la tappa a Istanbul dove Nikolic ha incontrato il patriarca ortodosso Bartolomeo I e una qualificata rappresentanza della comunità imprenditoriale turca. Nessun incontro con l’allora PM Erdoğan (impegnato in visita in Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) e l’allora MAE Davutoğlu (assente per via della Ministeriale OIC a Cairo). La visita a Belgrado di Davutoğlu il 10 giugno 2014 sembra aver definitivamente chiuso le tensioni diplomatiche tra i due Paesi e rilanciato la cooperazione economica e gli investimenti turchi. Ankara incoraggia il processo di riforme interno in Serbia e la prospettiva europea di Belgrado (più sfumato il riferimento alla NATO, consapevole della delicatezza che la questione ancora riveste in Serbia). Il volet economico, nell’ottica turca, costituisce lo strumento prioritario per questo rafforzamento.
Eccellenti le relazioni bilaterali tra la Bosnia Erzegovina e la Turchia, improntate a calorosa amicizia e collaborazione. Sostegno di Ankara al processo di avvicinamento di Sarajevo all’Unione Europea ed alla NATO. Il 29-30 aprile 2015 il Ministro degli Esteri Cavusoglu ha effettuato una visita a Sarajevo. La Turchia, così come la Croazia, sostengono i partiti politici bosniaci espressione dei gruppi etnici di riferimento, ma sempre nell’alveo del sostegno al processo di integrazione euro-atlantica della Bosnia-Erzegovina.
Quanto alla Macedonia, si è svolta il 29-30 settembre 2011 a Skopje la visita del Primo Ministro Erdoğan. Sostegno alla Macedonia sulla questione del nome. Sono circa 100 le aziende turche operanti in Macedonia (inaugurazione del nuovo aeroporto di Skopje, realizzato dalla società turca TAV, per un valore di circa 100 mln/€). Sostegno senza riserve da parte della Turchia per gli sforzi del Paese per diventare membro della NATO.
Presentata come una possibile svolta nei rapporti bilaterali tra Albania e Turchia, la visita a Tirana del Presidente Erdoğan del 13 maggio 2015 non sembra aver portato i frutti sperati. Al contrario vi sono state polemiche, soprattutto a proposito della richiesta di Erdoğan di rendere illegale in Albania l’attività del movimento Gulen: richiesta che ha suscitato critiche, perché considerata un’ingerenza negli affari interni albanesi.
Il 1 dicembre 2014 si è svolto, alla presenza del Presidente russo Putin e del Presidente Erdoğan, il quinto Consiglio di Cooperazione ad Alto livello tra Turchia e Russia, nel corso del quale sono stati firmati accordi nei settori dell’energia (convenzionale e nucleare), dei trasporti, dell’industria e del commercio. Il Presidente Putin, accompagnato da 10 ministri, ha auspicato un ulteriore miglioramento del trend positivo nei rapporti economici bilaterali, da un lato puntando a triplicare l’interscambio commerciale entro il 2020, dagli attuali 35 miliardi di dollari l’anno a 100 miliardi, dall’altro investendo sulla cooperazione industriale nei settori hi-tech e sulla crescita del comparto aerospaziale.
Gli accordi nel settore energetico hanno rappresentato l’aspetto principale del Consiglio di Cooperazione. Con un gesto clamoroso Putin ha proposto di sostituire il progetto South Stream con un nuovo gasdotto (“Turkish Stream”) che attraverso il territorio turco (zona economica esclusiva, regione del Mar Nero e Tracia) convoglierebbe il gas russo in Europa attraverso un terminale posto alla frontiera tra Turchia e Grecia. Tale gasdotto avrebbe l’identica portata di South Stream, 63mld di bcm, di cui 14 sarebbero riservati al mercato turco ed il resto per il mercato europeo. Nell’occasione, Botas e Gazprom hanno siglato un memorandum d’intesa che autorizza le due società di stato ad avviare gli studi tecnici relativi alla realizzazione dell’opera. Nondimeno, l’atteggiamento turco al riguardo resta cauto a causa della forte dipendenza energetica di Ankara da Mosca (circa il 60% del proprio fabbisogno) che il gasdotto russo aumenterebbe, proprio in una fase in cui gli sviluppi positivi nel negoziato tra Erbil e Baghdad sulla vendita e ripartizione dei proventi del petrolio della regione autonoma del Kurdistan iracheno e lo sviluppo del gasdotto TANAP/TAP per trasportare il gas consentirebbero di ridurre tale dipendenza. In ogni caso, Ankara sembra intenzionata a giocare in maniera spregiudicata su più tavoli negoziali, onde massimizzare la rendita di posizione derivante dalla sua collocazione geografica per ridurre la propria bolletta energetica e fare della Turchia un terminale indispensabile per la diversificazione degli approvvigionamenti e la creazione di nuove rotte.
A fronte di una cooperazione economica bilaterale in continua crescita, restano importanti differenze sui dossier regionali (Siria, Ucraina, Cipro, Caucaso) che in occasione degli incontri ufficiali vengono sistematicamente poste in secondo piano, a conferma che Ankara non è disposta a sacrificare le ottime relazioni economiche sull’altare delle consolidate differenti posizioni sui temi di politica estera.
Due sono gli aspetti della crisi ucraina sui quali si ravvisa un interesse turco. Il primo riguarda la tutela di diritti e prerogative della significativa minoranza tatara residente in Crimea (circa il 12% degli abitanti della penisola), che - come da ultimo riconosciuto nel rapporto del Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Muižnieks (27 ottobre 2014) - risultano vittime di abusi da parte delle auto-proclamate Autorità, di omicidi e sparizioni, nonché di ingiustificate perquisizioni effettuate da parte di uomini armati e mascherati in istituzioni religiose musulmane ed in abitazioni private, in nome della lotta all’estremismo di matrice islamica (ma verosimilmente finalizzate ad intimidazioni ed espropriazioni di fondi ed abitazioni).
Il secondo, che deriva implicitamente dal primo, riguarda il rischio di tendenziale, progressiva sostituzione turca in posizioni, lasciate libere dall’UE in costanza delle sanzioni economiche, nel mercato russo ed in quello crimeano. Il fenomeno riguarda sia il settore agroalimentare (a seguito delle contromisure imposte dalla Russia ai Paesi UE), sia alcuni investimenti infrastrutturali in Crimea. Si tratta di un effetto di backfilling (che Ankara non riconosce come tale, ritenendo invece necessaria una più marcata presenza turca nella regione proprio a tutela della minoranza tatara), non in linea con la solidarietà internazionale che la crisi esige e più in particolare con lo status di partner NATO di Ankara.
Armenia. Si registra lo stallo nel processo di riavvicinamento tra Turchia e Armenia dopo la promettente firma dei Protocolli di Zurigo nel 2009, mai ratificati. Negli anni novanta i rapporti tra Jerevan ed Ankara erano già peraltro ulteriormente peggiorati a causa del conflitto del Nagorno-Karabach che ha visto la Turchia e l’Armenia schierarsi su fronti opposti. Ankara a fianco degli azeri mentre Jerevan sostiene i separatisti armeni della regione. Attualmente il conflitto è definito “congelato” e ciononostante contribuisce ad avvelenare le relazioni tra la Turchia e l’Armenia.
I protocolli di Zurigo prevedono la normalizzazione dei rapporti, l’apertura della frontiera turco-armena e l’incarico di ricostruire le dolorose vicende occorse tra il 1915 e il 1923 ai danni della minoranza armena nell’impero ottomano ad una commissione di storici. È proprio la radicale differenza di interpretazione dei tragici fatti accaduti nel corso della prima guerra mondiale a rappresentare ancora oggi un macigno che impedisce l’instaurazione di normali relazioni bilaterali (cfr. Scheda di approfondimento in appendice). Tentativi di distensione si sono registrati sia in occasione della storica visita del Ministro degli esteri Davutoğlu a Jerevan (dicembre 2013), durante la quale egli ha definito “ inumana” la deportazione degli armeni decisa dal governo dei Giovani Turchi, così come, qualche mese dopo (aprile 2014) con le dichiarazioni dell’allora Primo Ministro Erdoğan, che aveva espresso il suo cordoglio per le vittime “dei fatti di inizio Ventesimo secolo”. Si tratta di fenomeni tuttavia episodici, ai quali non hanno fatto seguito azioni più strutturate.
La ricorrenza del centenario della deportazione degli armeni ha determinato inizialmente un inasprimento delle relazioni turco armene, anche a causa della coincidenza di tale anniversario con l’organizzazione in Turchia del centenario della battaglia di Gallipoli/Canakkale, in occasione del quale il Presidente Erdoğan ha invitato oltre cento Capi di Stato per un “Vertice sulla Pace” dal 23 al 24 aprile. La mossa di Erdoğan è stata considerata da Jerevan come una inopportuna provocazione ed il Presidente Sargsyan ha chiesto che il Parlamento armeno non proceda alla ratifica dei Protocolli di Zurigo.
Tuttavia, alla vigilia del centenario, il Primo Ministro turco Ahmet Davutoğlu con un comunicato ufficiale ha annunciato lo svolgimento di una cerimonia commemorativa presso il Patriarcato Armeno di Istanbul il 24 aprile, sottolineando sottolineato l’importanza di una commemorazione comune e condivisa da Armenia e Turchia ed esprimendo al contempo le condoglianze turche ai discendenti delle vittime armene dei tragici avvenimenti che hanno segnato il primo conflitto mondiale. Davutoğlu ha rimarcato nuovamente la necessità di guardare alla storia con imparzialità, evitando generalizzazioni "moralmente e giuridicamente problematiche" volte ad attribuire in via esclusiva ogni responsabilità di quanto accaduto in quegli anni alla nazione turca e a ricondurre unilateralmente tale tragedia alla definizione di "genocidio". Nella stessa direzione le parole pronunciate il 24 aprile dal Presidente Erdoğan e indirizzate al Patriarcato Armeno di Istanbul.
Quest’ultimo ha interpretato le mosse turche come "un ramo d’ulivo" indirizzate alla comunità armena.
Le ultime prese di posizione internazionali in favore del riconoscimento del ”genocidio” armeno hanno provocato dure reazioni di condanna da parte turca. La questione armena ha trovato spazio anche nelle celebrazioni per il 95mo anniversario della prima seduta della Grande Assemblea Nazionale turca, nonché nell’intervento di Erdoğan al Vertice per la Pace organizzato in occasione del centenario della battaglia di Gallipoli.
Georgia
La Turchia sostiene l’indipendenza e l’integrità territoriale della Georgia. Già la visita di Erdoğan del giugno 2011 aveva suggellato l’accordo in tema di facilitazione dei documenti di viaggio per l’accesso ai rispettivi Paesi. Egli si è recato anche a Batumi, vero e proprio ‘feudo’ turco nel Paese, inaugurando con l’omologo Baramidze la prima stazione per le comunicazioni via satellite del Caucaso, che da Tbilisi trasmetterà il segnale di varie emittenti locali ed estere.
Gli eccellenti rapporti stabiliti sin dalla dichiarazione di indipendenza georgiana (la Turchia è stata tra i primi a riconoscere il nuovo Stato), si sono rafforzati notevolmente dopo la Rivoluzione delle Rose e l’ascesa al potere dell’UNM del Presidente Saakashvili. Oggi i due Paesi rappresentano l’uno per l’altro un importante partner economico-commerciale, che beneficia della liberalizzazione dei visti. In particolare, la Turchia attribuisce alla Georgia un ruolo determinante nello scenario caucasico ed è impegnata a sostenerne le aspirazioni sia in campo economico, sia per quanto riguarda l’adesione alla NATO.
Perdura la preoccupazione di Tbilisi per i traffici marittimi tra Turchia e Abkhazia (in Turchia come noto risiede una consistente comunità abkhaza) in merito ai quali sembra comunque essersi instaurata tra Ankara e Tbilisi una prassi condivisa. Il miglioramento delle relazioni bilaterali è indispensabile per Ankara se si considerano alcune insofferenze della popolazione georgiana rispetto alla massiccia presenza turca (musulmana) a Batumi, sfociata con dichiarazioni dell’opposizione di presunte mire espansionistiche turche proprio sulla predetta città del Mar Nero. La linea ferroviaria Baku-Tbilisi-Kars (in via di realizzazione) è il principale progetto di sviluppo regionale. D’altro canto la presenza in Turchia di circa 400.000 cittadini abkhazi pone un’ombra nei rapporti tra Ankara e Tbilisi, talvolta fonte di problemi bilaterali non marginali, come dimostra il sequestro a fine 2010 da parte delle Autorità georgiane di navi cargo turche che commerciavano direttamente con l’Abkhazia.
Repubbliche turcofone dell’Asia centrale
Rinnovato interesse turco per le repubbliche ex-sovietiche ‘turcofonè (circa 150 milioni di persone capiscono o parlano il turco) di Azerbaigian, Kazakhstan, Kirghizistan, Uzbekistan e Turkmenistan.
Il Primo Ministro Erdoğan e il Presidente azero Aliyev hanno firmato il 26 giugno 2012 l’Accordo intergovernativo turco-azero (in cui è incluso l’Host Government Agreement) relativo alla realizzazione del Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline Project (TANAP). Il TANAP, il cui valore è stimato attorno ai 7 mld/$, è finalizzato al trasporto di 16 bcm di gas naturale proveniente dal giacimento azero di Shakh Deniz 2, dei quali 6 bcm destinati alla Turchia ed i rimanenti 10 bcm destinati al mercato europeo. Le quote relative al progetto saranno ripartite tra l’azienda di Stato azera SOCAR (per l’80%) e le turche BOTAS e TPAO (assieme per il restante 20%). I lavori, inaugurati alla presenza dei massimi esponenti politici del Paese nella primavera del 2015, dovrebbero concludersi entro il 2018.
Il 7 Novembre 2014 la Turchia ha firmato un accordo quadro con il Turkmenistan per la fornitura di gas a TANAP. Alla firma tra la società pubblica Turkmengas e la società privata turca Atagas per l’acquisto e la vendita di gas turkmeno per TANAP erano presenti il Presidente Erdoğan e l’omologo turkmeno, Kurbanguly Berdymukhamedov. Essi hanno sottolineato l’importanza della fornitura di gas turkmeno verso l’Europa attraverso la Turchia quale contributo alla sicurezza energetica dell’Europa. Paese con la quarta più grande riserva al mondo di gas naturale, il Turkmenistan cerca di diversificare le esportazioni e creare dei mercati mondiali.
Il primo tratto del TANAP è stato inaugurato a marzo 2015 alla presenza del Presidente Erogan.
Strettissimo è il rapporto di collaborazione fra Azerbaijan e Turchia. A ottobre 2012 si è svolto a Baku il 12mo Vertice intergovernativo dell’Organizzazione per la cooperazione economica (Eco). Dopo due anni di presidenza turca, Erdoğan ha passato le consegne al Capo dello stato azero, Aliyev. Al centro del Vertice, lo sviluppo delle relazioni economiche nella regione, nel settore dei trasporti, dell’agricoltura, dell’energia e della protezione ambientale, oltre a questioni riguardanti l’integrazione e lo sviluppo socio-culturale, scientifico e tecnologico dei paesi membri.
Si rilevano sviluppi nel rapporto con il Turkmenistan, a seguito dell’apertura di una fase di rilevante attività della diplomazia bilaterale, operata dal nuovo Governo turkmeno, primo partner economico-commerciale. Il Presidente Berdimuhamedov si è recato ad Istanbul e Smirne (agosto 2012) in visita per incontri con l omologo Gul e con il Premier Erdoğan, focalizzati sulla cooperazione economica (600 le imprese turche che operano nel territorio turkmeno, soprattutto nel settore delle costruzione, dove godono di un regime di quasi monopolio). Nel marzo 2013 si è svolto ad Istanbul il 5^ Turkmenistan International Investment Forum, con la partecipazione di circa 800 imprenditori ed opportunità di investimenti stimate a 70 miliardi di dollari. La Turchia è presente in Turkmenistan con oltre 600 imprese operanti principalmente nei settori della costruzione, infrastrutture, tessile, agroalimentare. Legati da una comune storia, religione e cultura, il Turkmenistan è uno dei maggiori partner della Turchia in Asia centrale; essa vi è presente con oltre 600 imprese operanti principalmente nei settori della costruzione, delle infrastrutture, del tessile, dell’agricoltura e dell’agro-alimentare. Gli IDE turchi in Turkmenistan ammontano, in stock, a circa 2 miliardi di dollari. Il valore totale dei progetti realizzati con la collaborazione di imprenditori turchi ammonta a circa 30 miliardi di dollari.
Nel contesto del rafforzamento della cooperazione regionale, si è svolta a Baku nel maggio 2014 la prima riunione tripartita dei Ministri degli Esteri di Turchia, Azerbaijan e Turkmenistan. Analoghi formati si profilano tra Turchia e Azerbaijan con Iran e con Georgia.
Il Presidente Erdoğan ha effettuato una visita in Kazakhstan nell’aprile 2015, con una nutrita delegazione ministeriale al seguito (Esteri, Difesa, Energia, Agricoltura, Cultura, Economia e Trasporti), la firma di 19 accordi commerciali per un valore di 800 milioni di dollari (in gran parte materiali per costruzioni), la seconda riunione del "Consiglio di Cooperazione strategica" e gli auguri per la vittoria elettorale di Nazarbayev. Obiettivo immediato il rilancio di un interscambio commerciale l’anno scorso in forte contrazione e sullo sfondo la verifica dell’interazione tra i due Paesi nelle nuove dinamiche geo-politiche centro-asiatiche.
In vista del prossimo ritiro della missione ISAF, secondo Ankara, la situazione afghana va valutata alla luce di tre pilastri fondamentali: sicurezza, governabilità ed economia, strettamente correlati tra di loro. Merita inoltre segnalare la determinazione con la quale Ankara intende continuare la propria azione di sostegno a Kabul e la presenza nel Paese. Nell’ottica turca, la permanenza nell’ambito della NATO "Resolute Support Mission" resta l’opzione principale e preferibile. La Turchia annette inoltre grande importanza ai diversi fori di cooperazione regionale (vertice trilaterale e processo di Istanbul) come strumento per rafforzare la penetrazione economica nella regione.
La Turchia è un Paese chiave per la stabilizzazione in Afghanistan; ritiene che il processo di riconciliazione, pur coinvolgendo i Paesi vicini, debba essere Afghan-led ed inclusivo di tutte le etnie. Dal 2002, Ankara è parte di ISAF con 1.840 effettivi impegnati impegnato in attività di ricostruzione e di addestramento. Dal 2007 ha preso avvio il “Processo di Ankara”, forum tripartito Ankara-Kabul-Islamabad focalizzato sulla sicurezza (lotta al terrorismo e cooperazione di frontiera) con una componente volta a potenziare la collaborazione tra settori privati (Istanbul Process), complementare alle organizzazioni regionali esistenti. Ankara ha inoltre organizzato il Summit su Afghanistan e Paesi vicini (Istanbul, 26 gennaio 2010), teso a rafforzare la regional ownership del processo di stabilizzazione; l’evento si è tenuto nuovamente il 2 novembre 2011.
Le relazioni tra Cina e Turchia durano da oltre quarant’anni e si basano sul rispetto, da parte turca, della ‘One-China Policy’. Molto forte è la collaborazione in campo economico: l’interscambio è aumentato vertiginosamente dai circa 1,5 miliardi di dollari nel 2000 ai 28,3 miliardi nel 2013. Tale dinamica è dovuta alla conclusione di numerosi accordi commerciali a partire dal 2000, ma soprattutto alla rapida crescita di entrambe le economie nazionali. Nelle sue relazioni commerciali con la Cina, la Turchia considera però come fattore negativo il saldo della bilancia commerciale, largamente sbilanciato in favore di Pechino. Si assiste inoltre, negli stessi anni, al maturare di sentimenti anti-cinesi nell’opinione pubblica turca e specialmente tra piccoli imprenditori, agricoltori e commercianti, a causa della temibile concorrenza esercitata dai prodotti cinesi.
Per queste ragioni, nelle occasioni di incontro bilaterale il governo turco non manca mai di richiedere a Pechino di compensare questa relazione ancillare con investimenti diretti in Turchia, sollecitazione a cui la Cina sembra avere risposto complessivamente in maniera positiva. Nel febbraio 2012, durante una visita dell’allora vice-presidente Xi Jinping in Turchia, vengono firmati accordi per la costruzione di ferrovie e per lo sviluppo di energia nucleare. Due mesi dopo, la visita è stata ricambiata da Erdoğan, la prima in 27 anni di un Primo ministro turco, principalmente allo scopo di rafforzare le relazioni economiche bilaterali, aumentando gli investimenti cinesi in Turchia e, soprattutto, riducendo il forte squilibrio negli scambi bilaterali sostenendo l’export turco in Cina. La Cina rappresenta infatti per la Turchia il primo partner commerciale in Asia e il terzo a livello globale dopo Germania e Russia.
Un passo nella direzione di più strutturate relazioni politiche è compiuto poco dopo, nel giugno 2012, quando la Turchia, dopo una lunga attesa, viene ammessa come partner di dialogo nella Shanghai Cooperation Organization. Ciononostante, le relazioni bilaterali non migliorano sensibilmente: Pechino continua a considerare con sospetto sia l’appartenenza alla NATO della Turchia che le simpatie per la causa uigura, prendendo posizioni opposte a quelle di Ankara su una serie di questioni di politica internazionale in cui la Turchia è coinvolta (Kosovo, Bosnia, Cipro e Nagorno-Kharabakh).
Su invito del Presidente Xi Jinping, il Presidente della Repubblica Erdoğan ha effettuato una visita ufficiale in Cina dal 28 al 30 luglio scorso. Negli incontri ufficiali sono stati affrontati numerosi aspetti delle relazioni fra i due Paesi: riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, G20 - di cui la Cina erediterà la presidenza dalla Turchia - sistema missilistico di difesa, per la fornitura del quale Ankara è attualmente in trattativa con la società cinese CPMIEC, che si è aggiudicata la gara a cui ha partecipato anche il consorzio italo-francese Eurosam. È inoltre emerso il grande interesse cinese per il settore energetico turco (realizzazione della terza centrale nucleare ed energie rinnovabili) e per le opere infrastrutturali in cantiere (a titolo esemplificativo, alta velocità ferroviaria Edirne-Kars e Antalya-Smirne), che da parte turca viene anche considerato come una base per possibili compensazioni, con investimenti diretti cinesi, all’attuale relazione commerciale molto sbilanciata.
Particolarmente sensibile in Turchia è la questione della minoranza uigura nella regione cinese dello Xinjang. I disordini del 23 giugno scorso, a seguito dei quali diciotto persone sono morte a Kashgar, hanno attirato l’attenzione della stampa e l’indignazione di parte dell’opinione pubblica, sfociata anche in episodi di violenza. Il 1° luglio un ristorante cinese è stato assaltato a Istanbul e, tre giorni dopo, gruppi nazionalisti ed associazioni della diaspora uigura hanno organizzato una manifestazione di protesta contro il governo cinese, durante la quale alcuni turisti coreani, scambiati per cinesi, sono stati aggrediti. Lo stesso Presidente della Repubblica, durante l’iftar offerto agli Ambasciatori accreditati in Turchia, ha ricordato che “l’oppressione dei nostri fratelli che vivono nella regione Uigura dello Xinjang ha creato preoccupazione nel nostro popolo”.
Dagli anni ‘90 la Turchia sperimenta una sorta di revival dell’ideologia pan-turchista: in ambienti accademici e diplomatici si favoleggia di un’egemonia sull’intero spazio geopolitico “dall’Adriatico alla Grande Muraglia”, ambizioni poi gradualmente superate da una più realistica prospettiva di collaborazione con le potenze euroasiatiche. La questione uigura sembra destinata a restare un elemento di intralcio allo sviluppo di relazioni politiche tra i due paesi, ma, almeno per il momento, gli imprescindibili legami economici tra Turchia e Cina non verranno sacrificati a ragioni di carattere ideologico.
Indonesia
Il 30 luglio u.s., da Pechino, il Presidente Erdoğan, accompagnato dal Ministro degli Esteri Cavusoglu, è volato in Indonesia, dove ha incontrato l’omologo Widodo. Al centro dei colloqui la cooperazione politica, in particolare nella lotta al terrorismo ed all’estremismo religioso, ed economica. I due leader hanno quindi sottolineato la volontà di adottare tutti i provvedimenti necessari per firmare un accordo di libero scambio, possibilmente entro la fine di quest’anno.
Carattere strategico della cooperazione tra Turchia e l’Africa per vicinanza geografica, economico-politica e culturale. Nel gennaio 2013 il PM Erdoğan ha effettuato una visita in Gabon, Niger e Senegal. L’azione diplomatica in Africa, frutto della regia dell’allora MAE Davutoğlu, risponde alla volontà di Ankara di stringere accordi di cooperazione politici-commerciale.
La Turchia, oltre a posizionarsi quale concorrente diretto di Cina, India e Brasile, che nel continente africano stanno fortemente espandendo la loro presenza, sta dimostrando che, accanto alle tradizionali motivazioni politiche e commerciali, anche la componente religiosa rappresenta oggi un fattore di guida della sua politica estera. L’aspetto dominante della linea perseguita da Ankara resta, oltre alla dimensione religiosa, la promozione dell’export turco nel continente africano. Sotto questo aspetto, vale ricordare che Erdoğan è stato il primo Capo di Governo a recarsi a Mogadiscio nell’agosto del 2011 ove è ritornato da Presidente nel gennaio del 2015. Nella propaganda turca tali viaggi sono stati enfatizzati anche alla luce del comune passato ottomano, sottolineando o il continuo e fattivo sostegno della Turchia nei confronti del “fraterno” popolo somalo, a conferma del notevole investimento di immagine sulla Somalia compiuto da Erdoğan.
La Turchia ha inoltre ospitato la seconda Conferenza di Istanbul sulla Somalia il 31 maggio e 1 giugno 2012. Complementare alle iniziative dell’ONU e della Comunità internazionale sulla Somalia, essa ha sancito l’ormai imprescindibile ruolo turco di rilevante attore nello scacchiere somalo e regionale. A riprova delle ambizioni turche di inserirsi a pieno titolo nelle dinamiche politiche del Corno d’Africa, il Ministro Davutoğlu ha annunciato la firma di un MoU tra la Turchia e l’IGAD, nuovi contributi finanziari ad AMISOM e il sostegno (salari, divise, formazione) a 3.000 unità della polizia somala. La Turchia, grazie ad una strutturata presenza diplomatica e umanitaria sul terreno, è oggi in grado di fornire assistenza diretta ai somali, senza dover transitare per l’imponente e costoso apparato onusiano di stanza a Nairobi. Tale strategia, finanziata da ampie risorse, fa perno su una presenza diffusa nel Paese, sul dialogo anche informale con tutti i settori (anche i più islamico-radicali) della società somala, sul sostegno diretto alle IFIs. Grazie a tale impegno, Ankara ha potuto guadagnarsi il sostegno della popolazione somala, divenendo uno degli attori principali in questo scacchiere. Quanto all’Etiopia, la Turchia contribuisce al PIL con oltre 200 imprese turche operanti in Etiopia per investimenti di circa 1,5 miliardi di dollari. La seconda edizione del Summit Turchia-Africa si è svolta ad Istanbul il 15-16 dicembre 2011 per valutare avanzamento del piano di azione congiunta adottato nella precedente edizione nel 2008.
Come parte dello sforzo di ampliamento degli orizzonti di politica estera della Turchia, Ankara ha avviato negli ultimi anni un’azione di apertura diplomatica nei confronti dell’America Latina, sostenuta dall’apertura di nuove ambasciate nella regione e da un incremento dell’interscambio bilaterale e degli investimenti diretti nei Paesi dell’area. L’interesse turco si è diretto inizialmente verso l’espansione della presenza in Venezuela, con particolare riferimento alle opportunità offerte dal settore infrastrutture e costruzioni e alla possibilità di importare petrolio venezuelano.
A vent’anni di distanza dall’ultima visita ufficiale di un Capo di Stato turco in un Paese latino-americano, il 10 febbraio u.s. il Presidente Erdoğan ha iniziato un periplo di tre giorni che lo ha portato a visitare Colombia, Cuba e Messico. In tale occasione, numerose sono state le intese siglate con i tre Paesi, soprattutto nei settori della cooperazione industriale, dell’agricoltura, della cultura e del turismo (con particolare riferimento alla possibilità di avviare collegamenti aerei diretti con i tre Paesi tramite la compagnia di bandiera turca).
Clima
Rispetto alla cooperazione sul clima, Ankara conferma il desiderio di giungere ad un accordo finale che sia equo, ambizioso, flessibile, inclusivo e giuridicamente vincolante. Nondimeno, da parte turca si sottolinea l’importanza della responsabilità storica dei Paesi economicamente più avanzati e che accanto agli obiettivi di mitigazione delle emissioni di gas serra siano presenti anche gli aspetti relativi alle misure di sostegno finanziario e di condivisione delle tecnologie più avanzate per i Paesi in via di sviluppo. Si sollecita il contributo dell’Unione Europea per sviluppare tecnologie verdi, lamentando la difficoltà di accedere all’utilizzo di fondi europei a causa di difficoltà burocratiche. La lotta al cambiamento climatico sarà anche uno dei temi principali dell’agenda del G20 sotto Presidenza turca. Ankara ritiene tuttavia che la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sia lo strumento principale per l’azione contro il cambiamento climatico e non intende costituire canali negoziali alternativi, bensì contribuire anche con l’azione quale Presidente del G20 al successo della COP di Parigi nel 2015.
Le relazioni bilaterali sono eccellenti. Con Ankara registriamo un’ampia convergenza rispetto ai principali temi internazionali, anche se recentemente non sono mancate alcune diverse sensibilità (su Egitto e Siria ad esempio, e in generale sul giudizio sulle primavere arabe). Comune è la forte attenzione per i temi del Mediterraneo. Sia l’Italia che la Turchia hanno un interesse strategico a fare il possibile affinché il bacino del Mediterraneo sia un’area di pace e di prosperità. Anche nella prospettiva dell’adesione della Turchia all’Unione Europea la cooperazione tra la Turchia e l’Italia è destinata a rafforzarsi in tutti i settori di comune interesse che riguardano il Mediterraneo. In questo contesto di particolare importanza sono le questioni migratorie, della tutela dell’ambiente marino, della navigazione e del commercio, dello sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi (questione dei giacimenti al largo dell’isola di Cipro).
Il secondo Vertice italo-turco (Roma, 8 maggio 2012) ha registrato la partecipazione di 5 Ministri (Esteri, Interno, Ambiente, Sviluppo Economico, Economia) e la firma di 6 intese. Il prossimo Vertice sarà ospitato dalla Turchia. Nel novembre 2012 si è tenuto a Roma il IX Foro di dialogo delle società civili, evento annuale organizzato dal Gruppo “Unicredit”, per parte italiana, e dal “Centro di studi strategici” (SAM) del MAE turco. Spetta alla parte turca ospitare la prossima edizione.
Continuiamo a sostenere il percorso di adesione della Turchia all’UE mantenendo visibilità nel contesto del “Turkey Focus Group”. Riteniamo che il prosieguo del processo di adesione sia lo strumento più idoneo per incoraggiare la Turchia a proseguire sulla strada delle riforme. L’apertura dei capitoli 23 e 24 sulla giustizia e diritti fondamentali consentirebbe, dopo le proteste di Gezi Park, di affrontare temi centrali oggi in Turchia.
Gli incontri bilaterali sono frequenti. Rilevante è stata la visita di Stato a Roma dell’allora Presidente turco Gul, il 28 gennaio 2014, e la visita del Ministro degli Affari Europei Cavusoglu, il 21 luglio 2014. Ankara ha manifestato anche piena disponibilità ad ospitare la decima edizione del Foro di dialogo.
Il Presidente del Consiglio Renzi si è recato in Turchia l’11 e 12 dicembre 2014. Ad Ankara ha incontrato il Presidente Erdoğan e il Primo Ministro Davutoğlu. Si è espressa convergenza di vedute sul Mediterraneo e i Balcani, si è analizzata una proposta di iniziativa congiunta sulla Libia e confermato il sostegno a Bernardino Leon, tuttavia una certa freddezza di Ankara si è registrata verso il piano di freezing ad Aleppo proposto da de Mistura. È stata avanzata una richiesta di mediazione su Cipro e ribadita la volontà di organizzare nel 2015 il Vertice intergovernativo, il foro di dialogo e la commissione economica congiunta. È stato altresì espresso vivo incoraggiamento agli investimenti italiani nei settori dell’industria della difesa, dell’alta velocità e dei lavori pubblici.
Il 16 gennaio si è svolta la visita in Turchia del Ministro dell’Interno Angelino Alfano che ha avuto un lungo e approfondito colloquio con l’omologo turco, Efkan Ala, sui temi del contrasto al terrorismo ed all’immigrazione illegale. I due Ministri hanno concordato di intensificare i contatti tra i rispettivi servizi antiterrorismo per lo scambio di informazioni ed il confronto di analisi e valutazioni, nonché per un maggiore controllo delle nuove rotte di traffico di migranti irregolari che originano dalle acque turche.
Gli scorsi 25-27 marzo si è avolta una visita in Italia del Ministro per gli Affari Europei e Capo negoziatore turco Volkan Bozkir, che ha incontrato On. Ministro e il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con deleghe alle Politiche e Affari Europei Gozi. Gli incontri hanno permesso di ribadire il sostegno italiano al percorso europeo della Turchia, nonché di effettuare una disanima delle questioni di stretta attualità internazionale.
A margine della ministeriale NATO di Antalya, il 13 maggio scorso, il Ministro Gentiloni ha incontrato il proprio omologo turco per un colloquio bilaterale, Affrontati i temi della lotta all’immigrazione clandestina, la crisi in Libia e le relazioni bilaterali con riguardo agli importanti incontri istituzionali da programmare per la seconda metà del 2015. Il Min. Cavusoglu, nonostante la cordialità dell’incontro, non ha mancato di evocare la questione del riconoscimento del “genocidio” armeno, lamentando i toni assunti dal dibattito parlamentare in materia e sollecitando un intervento del Governo per scongiurare la formale adozione delle mozioni e risoluzioni depositate in aula.
Intense sono le consultazioni a livello di alti funzionari MAE, nella cornice del “Protocollo di consultazioni politiche rafforzate” del luglio 2005. Il 28 maggio 2013 il Segretario Generale, Amb. Valensise, si è recato ad Ankara per colloqui con l’omologo turco Sinirlioglu che ha ricambiato la visita lo scorso 2 febbraio. Consultazioni sull’Africa si sono tenute a Roma il 15 maggio 2014 e ad Ankara il 4 aprile 2013; su Asia-Pacifico e Balcani il 9 e 10 maggio 2013 a Roma e Ankara.
Proficua è anche la collaborazione sul piano parlamentare, in virtù di uno specifico Protocollo di collaborazione tra la Camera dei Deputati e la Grande Assemblea Nazionale Turca. Dal 13 al 15 ottobre 2014 ha avuto luogo la visita ad Istanbul del Gruppo parlamentare di amicizia, presieduto dall’On. Caterina Pes, per la VI edizione del seminario parlamentare italo-turco. Dal 24 al 26 febbraio scorso si è svolta la visita di una delegazione del Parlamento turco in Italia.
Relazioni economiche, finanziarie e commerciali
Nel primo semestre del 2015 l’Italia si conferma 5° paese partner commerciale della Turchia con 8,6 miliardi di interscambio totale, -12,3% rispetto allo stesso periodo del 2014, di cui 5,3 miliardi di import di prodotti (-12,7%) e 3,3 miliardi di export (-11,7%) ed un saldo negativo per la Turchia di 1,9 miliardi di dollari. L’Italia si conferma inoltre quinto fornitore, dietro Cina, Russia, Germania e Stati Uniti, e quinto cliente dopo Germania, Regno Unito, Iraq e Svizzera.
Nel 2014 l’Italia si è collocata al quarto posto nella graduatoria internazionale dei partner commerciali, con 19,2 miliardi di interscambio (in diminuzione del 2,1% rispetto al 2013), di cui 12 miliardi di import (-6,4%) e 7,1 miliardi di export (+6,3%) ed un saldo negativo per la Turchia di -4,9 miliardi di USD. Il primo posto è occupato dalla Germania, seguita da Russia e Cina. Anche nel 2013 l’Italia occupava il quarto posto, con un interscambio di 19,6 mld di dollari (-0,6% sul 2012), un export dall’Italia verso la Turchia di 12 miliardi di dollari (-3,4%), un import dell’Italia di 6,7 miliardi di dollari (+5,5%), ed un saldo negativo per la Turchia pari a 6,1 miliardi di dollari.
La complementarietà delle strutture economiche di Italia e Turchia – confermata anche dalle quasi 1.200 aziende a capitale italiano presenti nel Paese – si sviluppa lungo quattro direttrici principali: la collaborazione industriale (i principali grandi gruppi italiani sono qui presenti: Fiat, Pirelli, Ferrero, Candy, Cementir, Indesit, Luxottica, Barilla); la collaborazione fra piccole-medie imprese (settore in grandissima crescita che risponde alle nuove esigenze poste dall’impetuoso sviluppo del sistema economico turco nelle regioni anatoliche); il settore infrastrutturale (siamo protagonisti in tutti i più importanti progetti in corso nel Paese, dall’autostrada Istanbul-Smirne, al terzo ponte sul Bosforo del quale avrà occasione di visitare il cantiere durante al Sua permanenza a Istanbul, all’alta velocità ferroviaria); la cooperazione nel settore della difesa (numerose aziende di Finmeccanica hanno importanti programmi nel Paese). In questo ultimo ambito, l’Italia ha realizzato quello che viene considerato in Turchia il miglior esempio di collaborazione industriale: la linea di assemblaggio dell’elicottero di attacco T 129 realizzata in collaborazione con Agusta Westland.
A livello istituzionale, nel 2012, in occasione del II Vertice italo-turco, è stata firmata dai Ministri Passera e Caglayan la Joint Declaration per l’istituzione della JETCO, Joint Economic and Trade Commission, organismo di collaborazione bilaterale, nel cui ambito i rappresentanti delle Amministrazioni e delle associazioni imprenditoriali dei due Paesi potranno riunirsi periodicamente per approfondire problematiche economiche e commerciali di reciproco interesse.
L’eccellente collaborazione prosegue anche a livello di amministrazioni centrali, come testimoniato dal successo delle candidature italiane in numerosi twinning europei, frutto della validità delle proposte italiane, degli eccellenti rapporti bilaterali e della stretta collaborazione tra Amministrazioni dello Stato.
Indicatori economici a confronto Italia – Turchia
| ITALIA | TURCHIA | ||||||
2012 | 2013 | 2014 | 2015 | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | |
PIL (miliardi di USD) | 2.014 | 2.072 | 2.158 | n.d. | 789,1 | 822 | 850 (stima) | n.d. |
Variazione % del PIL | -2,4 | -1,8 | -0,3 | n.d. | 2,1 | 4,1 | 2,9 | n.d. |
PIL pro-capite USD | 33.480 | 33.655 | 35.396 | n.d. | 18.068 | 18.873 | 19.619 | n.d. |
Deficit/PIL | -2,9% | -2,9% | - 3,0% | n.d. | -2,1% | -1,2% | -1,4% (stima) | n.d. |
Debito pubblico/PIL | 127% | 132,6% | 133% | n.d. | 37,5% | 37,5% | 33,1% (stima) | n.d. |
Tasso di disoccupazione | 10,7% | 12,2% | 12,3% | n.d. | 8,5% | 9,1% | 10,7% | n.d. |
Tasso di disoccupazione giovanile | 35,3% | 40% | 43,7% | n.d. | 17,5% | 18,7% | 19,9% | n.d. |
Tasso di inflazione | 2,6% | 0,6% | 0,3% | n.d. | 6,2% | 7,4% | 8,17% | n.d. |
Interscambio commerciale Italia-Turchia
(in milioni di dollari)
2012 | 2013 | 2014 | |
Esportazioni italiane (mld $) | 13,34 | 12,88 | 12,05 |
Importazioni italiane (mld $) | 6,37 | 6,72 | 7,14 |
Totale interscambio (mld $) | 19,72 | 19,605 | 19,2 |
Saldo netto per Italia (mld $) | +6,97 | +6,15 | +4,91 |
* fonte: dati Türkstat
Investimenti dell’Italia in Turchia
Nel 2014 l’Italia ha investito 490 milioni di dollari, in aumento (+235,6%) rispetto al 2013, quando aveva investito per 146 milioni di dollari.
Nel periodo gennaio-maggio del 2015 l’Italia ha investito 80 milioni di dollari, in flessione (-80,4%) rispetto allo stesso periodo del 2014, quando aveva investito 409 milioni di dollari. In Turchia sono operanti 1.260 imprese italiane, di cui 4 costituite nel mese di maggio 2015
Investimenti della Turchia in Italia
In Italia sono presenti circa 50 imprese a capitale turco, con uno stock di investimenti diretti accumulati pari a circa 400 milioni di dollari. Tra gli investimenti recenti di maggior successo, si registra l’acquisto nel distretto della ceramica delle aziende Edilcuoghi ed Edilgr da parte di Kale Group, l’acquisto del marchio Pernigotti ad opera della famiglia Toksoz e l’acquisto dell’isola di San Clemente a Venezia, ora sede dell’hotel St. Regis, da parte della famiglia Permak.
Energia
Nel febbraio 2013, un consorzio internazionale partecipato da Saipem, si è aggiudicato l’appalto per la progettazione della raffineria STAR che sorgerà nell’impianto petrolchimico della PETKIM nell’area di Aliağa/Smirne, di cui il principale azionista è SOCAR, la compagnia di Stato azera per gas e petrolio. TANAP, progetto da circa 12 miliardi di dollari, ha suscitato un forte interesse del nostro sistema produttivo, in particolare delle seguenti aziende italiane: Saipem, GE Nuovo Pignone, Selex ES (sicurezza), SICIM (costruzioni), Valvitalia, Ansaldo Sistemi Industriali (motori).
Grazie ai contratti già acquisiti da Sicim (socio al 65% di una JV con turchi e azeri per la posa di 400 km di tubature del gasdotto) e Valvitalia (fornitura di 172 valvole attuate), il valore totale delle commesse sfiora i 600 milioni di dollari.
L’azienda fiorentina Nuovo Pignone, capofila della divisione Oil and Gas della multinazionale americana General Electric, si e’ aggiudicata un contratto da 70 milioni di euro per la fornitura delle prime due stazioni di compressione di TANAP.L’offerta di Nuovo Pignone, che ha battuto la concorrenza di importanti gruppi mondiali, in particolare del colosso anglo-tedesco Rolls-Royce/Siemens, si e’ rivelata la piu’ competitiva, anche grazie ai bassi costi di esercizio dei compressori alimentati da turbine a gas e al servizio post-vendita garantito dalla rete di assistenza GE in Turchia.
Si tratta dell’ennesima dimostrazione delle rilevanza delle grandi opere infrastrutturali nei rapporti tra Italia e Turchia e della collaborazione sempre più stretta tra i nostri due sistemi in settori strategici dell’economia.
Turismo
In un quadro di eccellenti rapporti tra Italia e Turchia quello del turismo è forse il settore che fa registrare le performance meno brillanti. Nonostante la vicinanza non solo geografica ma anche culturale tra i due Paesi, i flussi di turisti turchi verso l’Italia sono tuttora ridotti e quindi presentano ampi margini di miglioramento. Nel 2014 solo 196.400 cittadini turchi hanno visitato l’Italia, sesta nella graduatoria delle mete preferite, dietro a Georgia (1.231.691 visitatori), Grecia (741.037), Bulgaria (620.896), Germania (493.592) e Azerbaijan (235.736).
Bari sarà la decima destinazione di Turkish Airlines in Italia, che si aggiunge a Roma, Milano, Venezia, Torino, Napoli, Bologna, Genova, Catania e Pisa. Con voli verso 261 destinazioni nei cinque continenti, Turkish Airlines è il quarto vettore al mondo per numero di destinazioni.
Autotrasporto
Si è riunita a Roma, il 12-13 febbraio 2015, la Commissione Mista italo-turca sull’autotrasporto internazionale di merci e passeggeri (la precedente si era riunita nel 2008). Il Ministero dei Trasporti Italiano, pur ritenendo sufficiente il numero di autorizzazioni di cui beneficiano i trasportatori turchi (nel complesso circa 48.000 tra destinazione, transito e altre tipologie nell’anno 2015) ha comunque offerto 2000 autorizzazioni aggiuntive per trasporto su strada e 5000 autorizzazioni aggiuntive per l’intermodalità, con un incremento complessivo di 7000 permessi rispetto al contingente 2015. La parte turca ha respinto l’offerta italiana e si è rifiutata di firmare il verbale della riunione. I rappresentanti turchi hanno comunque chiesto di poter aver una nuova riunione già a fine anno; da parte italiana è stata controproposta una riunione per il prossimo anno, per discutere il contingente per il 2016 e gli anni successivi.
Relazioni culturali, scientifiche e tecnologiche
L’intesa di riferimento è l’Accordo di Cooperazione Culturale, Scientifica e Tecnica firmato il 17 luglio 1951. Il Protocollo Esecutivo di Cooperazione Culturale (2006-2009) è scaduto ed è in fase di rinnovo (risale al gennaio 2015 la controproposta turca al testo italiano). Nelle more del rinnovo vengono garantite le borse del Governo Italiano. Il Programma Esecutivo Culturale prevede lo scambio di informazioni sui rispettivi sistemi d’istruzione, borse di studio, scambio di docenti. Si segnala che i titoli finali della scuola secondaria turca si conseguono, attualmente, dopo 12 anni di scolarità e consentono l’immatricolazione universitaria in Italia.
La cooperazione scientifica bilaterale tra Italia e Turchia è regolata dall’Accordo di Collaborazione Scientifica e Tecnologica, firmato a Roma il 21.2.2001 ed in vigore dal 2005. In occasione del II Vertice italo-turco dell’8 maggio 2012 è stato firmato il Protocollo Esecutivo di Collaborazione Scientifica e Tecnologica 2012 – 2014. Scaduto tale Protocollo Esecutivo è stato sondato l’interesse della controparte turca per un nuovo Protocollo, ma non ci sono stati seguiti. Nel 2006 sono stati sottoscritti un Protocollo tecnico nel settore degli Archivi di Stato ed un Accordo di coproduzione cinematografica (in vigore dal 21.7.2011) utile per la realizzazione congiunta di film, di animazioni, di documentari e progetti audiovisivi in generale. Il negoziato per un Accordo bilaterale in materia di traffico illecito di opere d’arte è, al momento, fermo, ma verrà riattivato quasi sicuramente in vista del prossimo Vertice italo-turco.
Diffusione della lingua italiana
L’Italiano occupa una posizione di grande prestigio tra le lingue considerate “a valenza culturale”. Ne sono testimonianza i vari corsi di lingua tenuti presso università e istituti di istruzione primaria e secondaria. Esistono due università (Istanbul ed Ankara) con Dipartimenti di Italianistica, ma l’insegnamento dell’italiano è comunque presente in molti atenei come in alcuni Licei privati e Istituti di istruzione primaria.
Ad Istanbul sono attivi i corsi di lingua presso l’Istituto Italiano di Cultura che, dal 2015, organizza i corsi di lingua italiana anche ad Ankara, a seguito della chiusura del locale Istituto di Cultura, in collaborazione con la Turco-British Association. Ad Smirne è attivo dal 1995 il Centro Culturale Carlo Goldoni che offre corsi di lingua a tutte le fasce di età.
L’esame di certificazione della lingua italiana dell’Università per Stranieri di Perugia (CELI) è stato dichiarato equipollente, nel 2014, dal livello CELI 1 al CELI 5, agli analoghi esami di certificazione turchi KPDS-ÜDS-YDS. Tale equipollenza è stata decisa dall’Istituzione ÖSYM (Centro di selezione e posizionamento studenti) e rappresenta un ulteriore apprezzamento nei confronti della lingua italiana.
Cooperazione interuniversitaria Italia – Turchia
La Turchia ha del resto aderito sin dal 2001 al Processo di Bologna ed ha attuato gran parte delle misure di adattamento del proprio sistema universitario. La Turchia partecipò a gennaio 2005 alla Terza Conferenza di Catania, organizzata sotto l’egida italiana, ed in tale occasione firmò la dichiarazione congiunta sullo spazio comune dell’Istruzione superiore nel Mediterraneo. Particolare rilievo ha acquisito la firma, il 20 aprile del 2007, di un Protocollo di collaborazione tra CRUI (Conferenza dei Rettori Italiani) e YÖK (Consiglio per l’istruzione superiore). In costante aumento gli accordi di collaborazione bilaterale interuniversitaria (comprensivi di accordi quadro, protocolli attuativi, convenzioni e progetti) che, a febbraio 2014 e in base ai dati del CINECA, sono 191. Le Università più attive sono: l’Università degli Studi di Milano (19 accordi), l’Università degli Studi di Perugia (22), l’Università Politecnica delle Marche (11), Università di Sassari (24) e l’Università Roma Tre (12)
Università italo-turca ad Istanbul
Progetto proposto da parte turca di istituire a Istanbul un’Università di diritto turco, destinataria di finanziamenti governativi locali; alla parte italiana spetterebbe assicurare la presenza di un contingente di “visiting professors”. Con insegnamento in italiano e turco e possibili corsi in inglese, l’ateneo comprenderà a regime 3 Facoltà, nei settori di eccellenza dell’Italia (architettura, grafica e design, storia dell’arte, archeologia, restauro; ingegneria industriale ed informatica; turismo, scienze e letteratura). Per parte italiana, il progetto è curato da un gruppo ristretto cui partecipano il MAE (DGUE), il MIUR (DG Università) e la CRUI. Il relativo Accordo è stato sottoscritto dai Ministri degli Esteri nel Vertice bilaterale il 12 novembre 2008. Nel dicembre 2009 è stata completata la procedura di ratifica turca. Occorre quantificare gli oneri a carico dell’Italia per avviare l’iter di ratifica. È stata chiesta alla parte turca una bozza di studio preliminare.
Sul fronte italiano, si è svolta una riunione interministeriale presso il MAE il 25 ottobre 2011, che ha permesso di accertare che il costo medio annuale per invio di “visiting professors” per un solo corso di laurea sarebbe circa 1,7 mln/€ e di avviare una riflessione su possibili co-finanziamenti da parte di grandi gruppi italiani. L’Accordo bilaterale prevede espressamente un impegno delle parti a favorire partecipazione e apporto del settore privato allo sviluppo dell’Università. Tuttavia, secondo la legislazione turca, la natura pubblica dell’Università italo-turca esclude che i contributi di soggetti privati possano concorrere alla formazione del bilancio dell’Università.
Scuole italiane
Sulla base di intese concordate nel marzo 1998, è previsto l’inserimento dell’italiano fra le lingue straniere e l’autorizzazione al funzionamento di scuole turco-italiane, al posto delle precedenti scuole medie italiane, con l’inserimento nei programmi turchi di un adeguato numero di ore d’insegnamento in lingua italiana.
A Istanbul funzionano i seguenti complessi scolastici:
1. Istituto scolastico "Istituti Medi Italiani", statale fondato nel 1888. Vi funzionano il Liceo Scientifico italiano statale, aperto anche a studenti turchi, e la scuola secondaria statale di I grado, aperta solo a studenti italiani. Entrambi gli indirizzi sono di durata quadriennale. La scuola rilascia titoli di studio validi in entrambi i Paesi.
2. Liceo paritario Galileo Galilei.
3. Complesso scolastico gestito dalla Congregazione delle Suore d’Ivrea “Galileo Galilei” fondato nel 1870, paritario a livello secondario di II grado. Dal 2009 non sono più attive le sezioni della scuola dell’infanzia e primaria, gestite dalle stesse Suore d’Ivrea. In proposito è stata avanzata da un gruppo di docenti una proposta di allargamento degli Istituti Medi Italiani a Comprensivo (Medie-Elementari) con due sole pluriclassi elementari. L’Amministrazione ha indicato quale soluzione più idonea quella della parità, per la quale nel marzo 2010 è stata presentata istanza di riconoscimento. Nell’agosto 2011 la rappresentanza consolare ha comunicato che la gestione attuata nel corso dell’a.s. 2010/11 si è rivelata poco efficace e che l’istanza sarà rinnovata da un diverso ente gestore.
4. Scuola privata dell’infanzia ed elementare “Marco Polo” per i cittadini italiani, ubicata nel plesso consolare
5. Scuola “Italyan Koleji”, inaugurata nella primavera 2014, con inizio dell’attività didattica dall’anno scolastico 2014-15. Essa comprende la scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado. Sottoposto alla normativa del Ministero dell’Istruzione turco, il nuovo istituto scolastico si configura quale scuola privata di curriculum turco, con insegnamento parzialmente in italiano.
6. Scuola privata turca Evrim, dove la lingua italiana è la prima lingua straniera.
A Smirne è attiva la "Scuola Italiana" a livello infanzia e primario con presa d’atto, che ha presentato istanza per il riconoscimento della parità scolastica. La scuola è vincolata dal Trattato di Losanna del 1924, ma tale regime non ha impedito che le riforme in materia di scuola dell’obbligo (passaggio dal sistema “5+3” a quello ad “8” e poi, di recente, “4+4) abbiano determinato una perdita di allievi per la scuola primaria, mentre la sezione infanzia ha perso solo l’ultima fascia di età (alunni di età compresa tra i 60 ed i 72 mesi). Attualmente gli alunni della sezione elementare sono 12, mentre la sezione asilo nido consta di 50 bambini.
Nonostante le cifre esigue, la scuola italiana costituisce un punto di riferimento imprescindibile per la Comunità italiana di Smirne.
La legge turca del 2003 relativa ai permessi di lavoro ha reso più complessa e lunga (6 mesi) la procedura per la concessione dei permessi e dei visti d’ingresso ai docenti italiani assegnati a istituzioni scolastiche o Università in Turchia. La problematica resta aperta, ed è stata oggetto di ripetuti interventi della nostra Ambasciata ad Ankara e sollevata in sede di consultazioni consolari.
Missioni Archeologiche italiane in Turchia
Le missioni archeologiche italiane in Turchia che nel 2014 hanno ottenuto un cofinanziamento del MAECI sono state 15. Alcune sono attive da decenni e rappresentano una presenza costante della ricerca italiana in campo archeologico. Tra le più rilevanti vanno ricordate: Hierapolis di Frigia (1957), Arslantepe (1961), Iasos (1961), Kyme Eolica (1982).
2012 20 febbraio | Visita Ministro Difesa Amm. di Paola in Turchia. |
3 marzo | Incontro Ministro Terzi con omologo a Istanbul a margine del seminario Aspen |
26 marzo | Incontro Presidente Monti con Primo Ministro Erdoğan (Seoul) |
8 maggio | Secondo Vertice italo-turco (Roma) |
12-13 novembre | A margine del IX Foro di Dialogo, incontro a Roma tra il Signor Ministro ed il Ministro degli Affari Esteri turco, Davutoğlu |
2013 7 maggio | Incontro Ministro Bonino con MAE Davutoğlu a margine della Conferenza di Londra sulla Somalia |
29-30 novembre | Visita del Vice Ministro per gli Affari Esteri Marta Dassù ad Istanbul |
2014 29 gennaio 21 luglio 2 dicembre 11-12 dicembre | Visita di Stato del Presidente della Repubblica di Turchia, Gul, a Roma. Visita del Ministro degli Affari Europei Cavusoglu a Roma Incontro tra l’On. Min. Gentiloni e il suo omologo Cavusoglu a margine della ministeriale NATO Visita in Turchia, ad Ankara e Istanbul, del Presidente del Consiglio Renzi. Incontri con il Presidente Erdoğan, il Primo Ministro Davutoğlu e Business forum |
2015
16 gennaio 25-27 marzo 7-8 maggio 13 maggio | Visita in Turchia del Ministro dell’Interno Alfano Visita in Italia del Ministro per gli Affari Europei turco Bozkir. Incontri con l’On. Min. Gentiloni e con il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio con delega per gli Affari Europei Gozi Incontro ad Istanbul tra il Ministro dell’Agricoltura Martina ed il suo omologo Eker, a latere del G20 Agricoltura. Incontro tra l’On. Min. Gentiloni e il Ministro degli esteri turco Cavusoglu a margine della Ministeriale NATO di Antalya. |
17 giugnoVisita del Ministro dell’Economia turco Zeybekçi a Expo Milano, incontro con il Vice Ministro dello Sviluppo economico Calenda.
6 settembre Incontro tra il Ministro della Difesa Pinotti e l’omologo Gonul a margine delle celebrazioni per il 55 anniversario delle Frecce Tricolore a Rivolto (Udine)
14 settembre Visita del Ministro dell’Economia turco Zeybekçi a Expo Milano in occasione della giornata nazionale turca, incontro con il Vice Ministro dello Sviluppo economico Calenda.
xxx