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Immagine dal catalogo della mostra: Il Mediterraneo dei fotografi

H. Béchard
Dervisci, 1880 ca.
Stampa originale dall'albumina, cm. 27x20,8
Collezione Malandrini, Firenze

Un album di famiglia

di Marcello Pera

Sarà la suggestione del “bianco e nero”, la patina del tempo che vi si è deposta o l’atmosfera degli ambienti, ma nelle foto dell’Archivio Alinari raccolte in questo catalogo spira fortissima un’aria di casa. Questi luoghi appartengono ad ogni angolo del bacino del Mediterraneo e però sembrano assomigliarsi tutti, quasi a confermare in modo intuitivo e semplice l’idea di Mare Nostrum.

E' davvero impressionante come bastino poco più di cent’anni, e spesso molto meno, per ritrovare i segni profondi dell’affinità che lega genti e paesi oggi ritenuti così diversi. È sufficiente eliminare gli aspetti più evidenti della modernità: i grattacieli, le grandi strade, le automobili, le insegne pubblicitarie, tutto ciò che costituisce il marchio dei nostri tempi recenti e delle nostre faticose identità, per vedere come le terre, le pietre, i cieli, i mari si rimandino l’un l’altro, si richiamino, parlino la stessa lingua. Per non parlare dei volti e degli sguardi che ci arrivano tutti come da dietro l’angolo e sono, nella loro naturalezza, così simili tra loro, da qualunque latitudine provengano.

Si guarda una foto della città di Rodi e si potrebbe essere a Istanbul; viste allora, Palermo e Nizza sembrano molto più vicine; e Castel dell’Ovo a Napoli potrebbe sorgere accanto al Forte S. Angelo di Malta. Senza l’assedio urbano intorno all’odierna Atene, i resti del Partenone hanno lo stesso silenzioso incanto di Petra in Giordania o di Palmira in Siria. Il cortile di un palazzo di Beirut e un altro di Damasco sembrano contigui e sovrapposti. Mentre varcando la Porta di Damasco a Gerusalemme ci si potrebbe trovare come niente in un una stradina di Algeri.

Questo dicono al nostro istinto le immagini, anche se la ragione passata attraverso la storia sa che le cose stanno spesso assai diversamente.

E però, più ci si avvicina alle radici, più si capisce che ci deve essere stato un momento, per l’Europa, per il mondo arabo, per quello ebraico, per i Balcani, in cui essere divisi o addirittura nemici non era una condanna ineluttabile. E forse ci aiuta a credere che potrebbe non essere così anche oggi.

Non si tratta di rievocare la retorica un po’ consunta del Mediterraneo “culla di civiltà”. Lo è stato, ma questi sono tempi tristi in cui neppure la culla protegge dalla follia e dalla violenza. Si tratta piuttosto di riscoprire quella vena non esaurita di conoscenza, di confronto, di rispetto, che in tempi diversi avvicinava le diverse sponde di questo mare. Certo non si è mai trattato di sponde pacifiche: guerre, rivalità, sangue, migrazioni sono l’altra faccia del Mare Nostrum. C’è sempre stato però un reticolo di contatti, di commerci, di traffici, di viaggiatori (o magari solo di turisti), che nei secoli non si è interrotto e che non ha guardato a razze, religioni o bandiere, ma che è fatto – se così si può dire – della sostanza stessa della vita.

Quella stessa vita che è così magistralmente catturata dai capolavori fotografici di questo catalogo. Sfogliandolo, sembra di avere tra le mani quasi un album di famiglia. E come accade in tutte le famiglie, specie in quelle antiche e numerose, occorre ogni tanto rivedersi, riconciliarsi, condividere ricordi comuni, imparare a conoscersi meglio. A questo scopo in particolare – a ricordare, conoscere, riavvicinare – la mostra organizzata da ANSAmed in collaborazione col Senato intende servire.