Premesso che tramite una segnalazione supportata da adeguata documentazione, gli interroganti sono stati messi al corrente che, dal 1996 ad oggi, la ASL di Latina non abbia mai provveduto alla liquidazione dei corrispettivi maturati dall'équipe del servizio di immunoematologia e medicina trasfusionale dell'ospedale "Santa Maria Goretti" di Latina, unico polo ufficiale della provincia pontina individuato con delibera della Giunta regionale n. 9101 del 24 novembre 1994, in relazione alle spese sostenute per il funzionamento generale della struttura produttiva dei servizi di trasfusione. Il decreto ministeriale 1° settembre 1995, recante "Disciplina dei rapporti tra le strutture pubbliche provviste di servizi trasfusionali e quelle pubbliche e private, accreditate e non accreditate, dotate di frigoemoteche", infatti, individua nella percentuale del 20 per cento, calcolata sul totale spettante alla ASL territoriale, il compenso extra da destinare al personale dei reparti trasfusionali autorizzati che materialmente garantiscono la continuità del servizio. Pare, dunque, che dal 1996 al 2015 la ASL pontina abbia puntualmente riscosso e assorbito nei bilanci annuali le somme derivanti dalle convenzioni stipulate con strutture terze, senza mai scorporare e poi conferire l'emolumento aggiuntivo del 20 per cento al personale del reparto;
considerato che con un atto di sindacato ispettivo è stato formalmente edotto della vicenda anche il Ministro della salute, confidando in un suo celere e dirimente intervento per quanto riguarda la conferma dell'interpretazione del decreto ministeriale 1° settembre 1995 e da quanto disposto dal contratto collettivo nazionale del lavoro dell'8 giugno 2000, all'art. 55, comma 2, e per eventuali azioni in tema di controlli interni, per quanto di competenza, presso l'ente sanitario pontino;
considerato inoltre che il decreto ministeriale 17 luglio 2014, recante "Individuazione e attribuzioni degli Uffici di livello dirigenziale non generale dei Dipartimenti del Ministero dell'economia e delle finanze", all'art. 3, comma 2, individua nell'Ispettorato generale di finanza, ufficio II, il dipartimento atto alla "Vigilanza, anche per il tramite del sistema delle ragionerie, sugli enti ed organismi operanti nella sfera di competenza del Ministero della salute e delle strutture sanitarie presenti sul territorio nazionale. Esame dei bilanci e degli ordinamenti amministrativi e contabili di detti enti ed organismi. Analisi e accertamento del regolare adempimento dell'attività sindacale e di revisione dei conti", che, nel caso di specie, risulta l'ufficio quanto più appropriato "per la valutazione e la verifica delle spese, con particolare riferimento agli oneri dei contratti collettivi nazionali e decentrati, denunciando alla Corte dei conti le irregolarità riscontrate", come riportato nel decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, all'art. 60, comma 5,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti esposti;
se ritenga opportuno un intervento del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato, a norma dell'art. 60, comma 5, citato e dell'Ispettorato generale di finanza secondo quanto disposto dal decreto ministeriale 17 luglio 2014, all'art. 3, comma 2, al fine di accertarsi in quale capitolo di bilancio della ASL di Latina siano confluite dette somme dal 1996 ad oggi, per che cosa siano state utilizzate o se risultino accantonate in attesa di quale evento e quali siano le eventuali responsabilità.
Premesso che:
giungono alle interroganti numerose segnalazioni da parte di amministratori di piccoli Comuni, in difficoltà nella gestione delle poche risorse disponibili e costretti a confrontarsi con norme e vincoli finanziari sempre più stringenti;
è il caso, tra gli altri, del nuovo Comune di Alpago, risultante dalla fusione dei Comuni di Farra d'Alpago, Pieve d'Alpago e Puos d'Alpago nella provincia di Belluno;
come segnalato dal sindaco di Alpago, ai sensi dell'art. 1, comma 26, della legge n. 208 del 2015, "è sospesa l'efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni degli enti locali nella parte in cui prevedono aumenti dei tributi e delle addizionali attribuiti alle regioni e agli enti locali con legge dello Stato rispetto ai livelli di aliquote o tariffe applicabili per l'anno 2015";
ai sensi inoltre dell'art. 1, comma 132, della legge n. 56 del 2014 (cosiddetta legge Delrio), "i comuni risultanti da una fusione, ove istituiscano municipi, possono mantenere tributi e tariffe differenziati per ciascuno dei territori degli enti preesistenti alla fusione, non oltre l'ultimo esercizio finanziario del primo mandato amministrativo del nuovo comune";
i Consigli comunali dei tre ex Comuni, poco prima della fusione, ai sensi dell'art. 15, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000, hanno approvato, nel medesimo testo, lo statuto del nuovo Comune di Alpago il quale, all'art. 32, comma 1, prevede che: "allo scopo di valorizzare le specificità territoriali ed assicurare adeguate forme di partecipazione ai cittadini delle Comunità d'origine, sono istituiti i Municipi di Farra d'Alpago, Pieve d'Alpago e Puos d'Alpago, ai sensi dell'art. 16 del D.Lgs. n. 267/2000";
detto ciò, si fa presente come i 3 enti cessati avevano, nel 2015, aliquote dei tributi (IMU - TASI - addizionale IRPEF) differenti, che avrebbero dovuto necessariamente essere armonizzate, anche per garantire equità e parità di trattamento ai propri cittadini. Tuttavia, non essendo possibile, per le pesanti ricadute sul bilancio del nuovo ente, adottare per l'intero territorio del Comune l'aliquota più bassa tra quelle applicabili nei tre enti antecedenti alla fusione (si veda l'art. 1, comma 26, della legge n. 208 del 2015), sono state mantenute per l'anno 2016 aliquote differenziate per ciascuno dei territori municipali;
a fronte della proroga del blocco degli aumenti di aliquote tributarie per l'anno 2017, previsto dall'art. 1, comma 42, della legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio per il 2017), l'amministrazione si trova nuovamente costretta, per evitare forti riduzioni dell'entrata tributaria e, di conseguenza, ripercussioni negative sul bilancio dell'ente, a valutare il mantenimento delle differenziazioni municipali, se non per tutti, almeno per alcuni tributi; soluzione che tuttavia non pare realizzare gli scopi della fusione stessa e soprattutto crea disparità di trattamento nei confronti di cittadini dello stesso comune;
in concreto, ad esempio, l'addizionale IRPEF comunale è oggi fortemente differenziata nei 3 ambiti: in due municipi è progressiva per scaglioni di reddito ed in un municipio è pari a zero;
l'amministrazione vorrebbe intervenire per ridurre lo squilibrio, ma l'unica operazione consentita dall'art. 1, comma 42, della citata legge di bilancio per il 2017, è quella di azzerare tutte le aliquote, soluzione insostenibile per il bilancio comunale, che perderebbe un'entrata di circa 320.000 euro;
inoltre, il mantenimento di aliquote differenziate per i 3 diversi municipi, ancorché consentita dal quadro normativo citato, sta comportando notevoli difficoltà applicative: in particolare, diversi sostituti di imposta hanno segnalato al Comune di Alpago l'impossibilità di differenziare l'aliquota della addizionale IRPEF, stante la presenza di un unico codice comunale, posto che i codici catastali dei tre Comuni precedenti la fusione sono stati soppressi al 31 dicembre 2016 e sostituiti definitivamente dall'unico codice del Comune di Alpago;
sarebbe opportuno, secondo l'amministrazione comunale di Alpago, valutare la possibilità di sospendere l'efficacia degli aumenti prevista dalla legge di bilancio per il 2017, come riferita alla pressione tributaria nel suo complesso. Secondo questa interpretazione, infatti, potrebbe essere consentito al Comune di armonizzare le aliquote, purché il gettito atteso non superi il totale della somma delle entrate accertate per tributi, nel 2015, nei tre comuni cessati di Farra d'Alpago, Pieve d'Alpago e Puos d'Alpago,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza della problematica relativa al Comune di Alpago e di altri casi simili, e come intenda intervenire, per quanto di propria competenza, al fine di garantire, specie nel caso dei Comuni risultanti da fusione, equità e parità di trattamento nell'applicazione dei tributi comunali.
Premesso che la vicenda dei 419 plichi custoditi nel caveau della Banca d'Italia ancora non suscita il dovuto interessamento del Ministero dell'economia e delle finanze, proprietario e responsabile di quello che, a tutti gli effetti, è un patrimonio pubblico di indubbio valore storico e culturale. Recentemente gli interroganti sono entrati in possesso di dati meno approssimativi relativi al contenuto dei 63 depositi visionati fino al 2006, dati sicuramente noti al Ministero evidentemente taciuti in sede di risposta al precedente atto ispettivo (3-02870). Avendo il Ministero perso l'occasione di comunicare ufficialmente quanto realmente custodito (almeno per la parte dei reperti ispezionati) nella sede della Banca d'Italia di via dei Mille di Roma, ciò è testimonianza a giudizio degli interroganti dell'ignavo incedere delle istituzioni competenti in questa vicenda;
considerato che:
oltre al gruppo di lavoro che tra il 2005 e il 2006 procedette alla ricognizione di 63 plichi, si apprende dalla risposta fornita presso la 6ª Commissione permanente (Finanze e tesoro) del Senato il 13 settembre 2016 che, nel 1978, fu istituita anche un'altra commissione interministeriale, il quale lavoro fu ripreso dal gruppo del 2005. Nel testo della risposta viene ricordato che nel 1999 ci fu il passaggio di consegne di questi beni dalla Direzione generale del tesoro alla Tesoreria centrale della Banca d'Italia. In apparenza niente di clamoroso, se non si considera che questi passaggi compiuti nelle segrete stanze permisero la compilazione di documenti che avrebbero dovuto esser resi di dominio pubblico, poiché quei beni in cauta custodia attendono di entrare a far ufficialmente parte del patrimonio dello Stato. Quindi è opinione degli interroganti che il riserbo del Ministero sul contenuto noto fin nel dettaglio dei plichi sottoposti a ricognizione, che gli interroganti ora conoscono con meno approssimazione, sia stato e sia tuttora funzionale al minore interessamento dell'opinione pubblica poiché lasciata volutamente all'oscuro;
ai fini di un maggiore coinvolgimento del pubblico, è opinione degli interroganti che sia doveroso mettere al corrente la cittadinanza del contenuto dei plichi già ispezionati dalle autorità durante le ricognizioni del 1978 e del 2005-2006: 1) dossier "Mussolini": 24 decorazioni, o parti di esse, tra cui: collare (piccolo) dell'ordine della SS. Annunziata; ordine persiano di Agdas di I classe; medaglia pontificia in oro, probabilmente celebrativa dei patti Lateranensi; placca d'oro e brillanti dell'ordine dell'Aquila tedesca (prodotta in un singolo esemplare per il duce); ordine di Simon Bolivar; placca in oro e brillanti dell'ordine della Fedeltà albanese; ordine del collare di Albania con brillanti; 2) decorazioni dell'ordine di Nepal Tara del Regno del Nepal; ordine di Carlos Manuel de Cespedes della repubblica Cubana; 2 decorazioni dell'ordine al merito della Repubblica austriaca; ordine della Croce di Vytis della Repubblica di Lituania. Queste informazioni dettagliate sono state pubblicate on line su un forum di pubblico dominio. Inoltre, nei depositi associati al dossier Mussolini si annovera anche qualche gioiello da donna, i vestiti indossati dal duce e da Claretta Petacci e le banconote in loro possesso al momento della fuga dall'Italia; vaglia cambiario e distinta valori custoditi in una cassetta di sicurezza sequestrati presso la villa Mantero di Como; 3) dossier "Gerarchi fascisti": argenteria, per lo più pezzi singoli (teiere, lingotti, vassoi, candelabri, suppellettili da tavola), sacchetto contenente pietre ancora non valutate, crogiolo per la fusione di metalli, monete d'argento, 4 dozzine di orologi da polso e uno da tasca in oro, macchina da scrivere Olivetti studio 42; 4) dossier "Casa Savoia" e casati correlati: monete d'argento, astucci e bicchieri da viaggio e servizi di posate con varie iniziali e stemmi, collier Cartier Parigi con 25 pendenti in oro, circa 400 posate d'argento di diversa forma e utilizzo marchiati con diversi stemmi tra cui quello reale; 46 tra piatti e vassoi in argento su cui sono incisi diversi stemmi tra cui quello reale; 5) dossier "Corpi di reato": documenti, francobolli, banconote, monete storiche d'oro e non, qualche lingotto d'oro e titoli; 6) dossier "Oro alla patria": fedi nuziali, monete d'oro storiche di diversa provenienza, spille, monili ed altri oggetti in oro; 7) dossier "Oggetti d'oro e gioielli": 4 orologi in metalli preziosi, 12 anelli da donna in platino con pietre preziose, più di 40 oggetti in oro, 20 brillanti di natura al momento ignota; 8) dossier "Comunità di Salonicco": posate, vari oggetti d'oro, banconote, penna stilografica ed un orologio; 9) inoltre, sono stati ritrovati anche i titoli azionari della costruenda Baghdadbahn (ferrovia Berlino-Costantinopoli-Baghdad) e la documentazione relativa al "prestito Morgan";
considerato inoltre che:
da informazioni in possesso degli interroganti, i beni custoditi nei plichi sepolti nel caveau della Banca d'Italia associati alla Casa Savoia non sarebbero tutti quelli che effettivamente furono requisiti dalle truppe anglo-americane e consegnati, al tempo, al Governo italiano: infatti, durante la ricognizione del 1978, gli oggetti più significativi vennero distribuiti a vari musei;
il sempreverde interesse del circuito museale rispetto a oggetti di simile valore storico-culturale è la testimonianza tangibile della fattibilità di un piano unitario di progressiva musealizzazione di questi reperti di grande valore storico e punto di partenza per interessanti ricostruzioni storiche. Verosimilmente, l'alienazione dei beni che risultassero meno attraenti ai fini espositivi potrebbe sostenere economicamente sia l'attuazione di un progetto unico di esposizione che il prosieguo della ricognizione di tutti gli altri plichi ancora mai visionati, senza che si debba ricorrere a ulteriori aggravi economici per la finanza pubblica;
considerato altresì che:
in data 20 settembre 2016 è stata depositata un'interrogazione (3-03138) indirizzata al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, chiedendo delucidazioni circa le procedure di verifica dell'interesse storico e culturale degli oggetti contenuti nelle bisacce ispezionate, come annunciato dal vice ministro dell'economia in sede di risposta al precedente atto di sindacato ispettivo. Infatti, risultava che tale richiesta avrebbe potuto essere inoltrata anche per via telematica, quindi senza impedimenti di sorta. Ad oggi, dopo svariati solleciti, non è stata ricevuta alcuna risposta formale né informale da parte del Ministero dei beni culturali in merito allo stato di avanzamento della verifica dell'interesse storico e culturale dei reperti noti;
è opinione degli interroganti che, in base alla documentazione in loro possesso (fotografica e testuale), nonché dalla presentazione della Banca d'Italia, sia possibile desumere che il materiale contenuto nei plichi abbia un valore se non storico quantomeno economico. Quindi, la conclusione da parte del Ministero dei beni culturali della verifica dell'interesse storico e culturale risulta senza dubbio indispensabile, ma la sua assenza non può costituire un impedimento reale alla ricognizione integrale delle 2.087 bisacce stipate in via dei Mille. Laddove non si dovesse convenire con le considerazioni degli interroganti appena espresse, ovvero non si dovesse attribuire alcun valore al materiale custodito nel caveau della Banca d'Italia, risulterebbe assolutamente irragionevole proseguire nella già ultradecennale attività di custodia,
se il Ministro in indirizzo intenda rendere noto l'elenco dettagliato del contenuto dei plichi sottoposti a ricognizione di modo da renderlo ufficiale e, soprattutto, pubblico;
quali siano le tempistiche per la valorizzazione dei primi depositi ispezionati, considerata la richiesta di verifica dell'interesse storico e culturale già in essere, di competenza del Ministero dei beni culturali e se, nel caso, il Ministro dell'economia intenda sollecitare tale procedura;
se sia a conoscenza del sollecito al Ministero da parte della Banca d'Italia per la ripresa dell'attività di ricognizione;
se nell'ambito delle proprie competenze in relazione ai beni da includere nel patrimonio dello Stato, intenda predisporre un modello di sistema autonomo e indipendente dall'avvicendarsi dei governi per la sistematica valutazione e reindirizzamento di ogni bene facente parte della partita di plichi in oggetto.