Premesso che:
con la sentenza n. 14894 del 22 luglio 2016, il giudice della II sezione civile del Tribunale di Roma ha riconosciuto che l'amministrazione statale non ha integralmente corrisposto le somme relative al contributo che legittimamente spettano, o dovrebbero spettare, alle città che ospitano o confinano con una centrale nucleare in via di dismissione e impianti del ciclo di combustibile nucleare;
nello specifico, ad intentare causa nel 2011 furono solo i Comuni di Ispra (Varese), Rotondella (Matera), Saluggia (Vicenza), Caorso (Piacenza), Trino (Vicenza), Piacenza, Minturno (Latina) e Sessa Aurunca (Caserta), ed è evidente che le città nominate sono solo una parte dei Comuni vittime di questa decurtazione che, secondo il Tribunale di Roma, è indebita. Il Comune di Latina, nonostante ospiti sul proprio territorio un'ex centrale nucleare, è rimasto escluso da questo procedimento giudiziario poiché le due amministrazioni che hanno preceduto quella attuale, a tempo debito, non hanno provveduto ad inserire la città pontina tra le parti della causa poi vinta lo scorso luglio dai Comuni menzionati;
considerato che:
il magistrato ha condannato in primo grado la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Cipe ed il Ministero dell'economia e delle finanze al pagamento in solido della somma complessiva di circa 100 milioni di euro relativa alla parte di contributi non versati ma previsti dall'articolo 4 del decreto-legge n. 314 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 368 del 2003, il quale stabilisce misure di compensazione territoriale per quei siti che ospitano centrali nucleari e affini. La causa era scaturita da un'interpretazione della Presidenza del Consiglio dei ministri dell'articolo 1, comma 298, della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria per il 2005), che ha comportato il taglio del 70 per cento dei fondi destinati ai Comuni interessati dal decreto-legge n. 314 del 2003;
le misure compensative sono regolate dall'art. 4 citato, il quale al comma 1-bis indica che una delle componenti della tariffa elettrica (A2) corrisponde al contributo che viene assegnato "annualmente con deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica sulla base delle stime di inventario radiometrico dei siti, determinato annualmente con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, su proposta dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), valutata la pericolosità dei rifiuti, ed è ripartito, per ciascun territorio, in misura del 50 per cento in favore del comune nel cui territorio è ubicato il sito, in misura del 25 per cento in favore della relativa provincia e in misura del 25 per cento in favore dei comuni confinanti con quello nel cui territorio è ubicato il sito. Il contributo spettante a questi ultimi è calcolato in proporzione alla superficie ed alla popolazione residente nel raggio di dieci chilometri dall'impianto". Il presente alinea è stato introdotto, insieme all'attuale comma 1, da modifiche apportate dal legislatore con il comma 560 dell'art. 2 della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008) e con l'art. 7-ter del decreto-legge n. 208 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 13 del 2009, modifiche successive alla legge n. 311 del 2004 con la quale è stata introdotta la decurtazione (mai espressamente citata) del 70 per cento della portata finanziaria totale della voce A2 destinata agli enti locali a compensazione dei disagi ambientali derivanti dalla servitù nucleare. È evidente che nel comma 1-bis dell'art. 4 non lascia intendere alcuna corresponsione parziale della voce A2 della tariffa elettrica;
è a conoscenza degli interroganti che la sentenza sembra essere ormai passata in giudicato e che l'appello tempestivo nel frattempo proposto dall'Avvocatura dello Stato risulterebbe inammissibile, stante la mancanza di elementi essenziali per la validità dell'azione;
considerato inoltre che al comma 1 dell'art. 4 del decreto-legge n. 314 del 2003 si legge "Alla data della messa in esercizio del Deposito nazionale di cui all'articolo 1, comma 1, le misure sono trasferite al territorio che ospita il Deposito, proporzionalmente alla allocazione dei rifiuti radioattivi", frase che, a parere degli interroganti, apre ad una necessaria riflessione. Alla luce della decurtazione del 70 per cento della compensazione territoriale e visti i ritardi con cui negli anni è stato portato avanti lo smantellamento degli impianti nucleari soggetti a decommissioning, tale disposto, seppure pensato sulla base di un'auspicata contemporaneità tra minori somme da destinare a compensazione territoriale a fronte dell'avanzamento dell'azione di dismissione, pone i Comuni ospitanti ex centrali nucleari o impianti del ciclo di combustibile nucleare in una posizione di svantaggio economico,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza che l'appello giudiziario presentato dall'Avvocatura contenga elementi di grave criticità che ne pregiudicano (o possono pregiudicarne) la stessa ammissibilità;
quali disposizioni abbia adottato, o intenda adottare, per far fronte al rilevante debito scaturente dalla sentenza citata, ritenuto che la sentenza del giudice civile in primo grado è immediatamente esecutiva;
se non ritenga opportuno aprire un confronto con le amministrazioni diverse da quelle partecipanti al contenzioso originario, poiché appare inutile avviare un nuovo contenzioso pur a fronte di un chiaro disposto giurisdizionale;
se ritenga utile avviare un confronto con gli enti locali aventi diritto alle utilità economiche, definendo anche con provvedimenti aventi forza di legge, modalità e termini del pagamento del contributo, arretrato e futuro, al fine di consentire l'utilizzo effettivo delle risorse per le finalità ambientali previste dalla norma.
Premesso che, per quanto risulta agli interroganti:
il quantitative easing (QE), ossia l'operazione di acquisto di titoli di Stato e di altro tipo da parte delle banche per immettere nuovo denaro nell'economia europea, è stato avviato nell'aprile 2015 con 60 miliardi di euro al mese per tutta l'area euro. Il procedimento prende le mosse dall'attribuzione della funzione monetaria alla BCE (Banca centrale europea) dall'art. 128 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, il quale attribuisce alla stessa "il diritto esclusivo di autorizzare l'emissione di banconote in euro all'interno dell'Unione";
dalla relazione al bilancio 2015 della BCE sulle operazioni di politica monetaria risulta che: "Le operazioni convenzionali di politica monetaria sono attuate a livello decentrato dalle BCN [banche centrali nazionali] dell'eurosistema e di conseguenza non hanno alcun impatto diretto sul bilancio della BCE". Pertanto, la creazione di valori monetari del QE. dovrebbe riflettersi solo nei bilanci 2015 delle banche centrali dell'area euro e dunque, per quanto di competenza, in quello della Banca d'Italia;
considerato che per quanto risulta agli interroganti:
a fine anno 2015, valori monetari creati dall'aprile 2015 e a disposizione della Banca d'Italia dovrebbero essere stati calcolati per ogni Stato appartenente all'area euro in base alle quote di partecipazione di ciascuna banca centrale al capitale della BCE;
nel 2015, la quota della Banca d'Italia è stata del 12,31 per cento e determinata in base a parametri legati al PIL e alla popolazione di ciascun Paese; si tratterebbe di circa 66,74 miliardi di euro;
il potere esclusivo di emettere moneta determina un incremento delle attività, perché, a fronte dei valori creati ed impiegati soprattutto in titoli pubblici, non vi sono nel passivo debiti reali corrispondenti;
nel maggio 2016 la Banca d'Italia, ha pubblicato la relazione annuale al bilancio del 2015, dalla quale sembrerebbe che la funzione di rilevare tali "debiti fittizi" venga svolta da due voci: "banconote in circolazione" e "Passività v/l'eurosistema". Il conto "banconote in circolazione" riporta un importo di 174,324 miliardi di euro, ma di fatto non presenterebbe un aumento di banconote in circolazione, come sembra suggerire l'incremento di 9,797 miliardi di euro rispetto al 2014. Nell'attivo di bilancio vi è la posta rettificativa "crediti netti derivanti da allocazione di banconote intra Eurosistema" di 32,296 miliardi di euro, per cui il valore delle banconote effettivamente messe in circolazione nel 2015 è dato dalla differenza di 174,324 con 32,296 cioè 142,028 miliardi di euro. Con un calcolo analogo il valore delle banconote in circolazione nel 2014 (164.527 meno 22.368) è di 142,159 miliardi di euro;
inoltre, il QE avrebbe dovuto portare ad un aumento delle banconote in circolazione; dalle scritture contabili, invece, sembrerebbe esserci stata una diminuzione di circa 131 milioni. Questo vuol dire che i 66,47 miliardi di euro dovrebbero essere riportati, come per le "banconote in circolazione", tra le variazioni del passivo nell'altro conto "passività v/l'eurosistema", unico conto che insieme a "banconote in circolazione" ha valori consistenti, ma ad ogni modo valori ben lontani dai 66,24 miliardi del QE;
considerato infine che, a parere degli interroganti:
da una valutazione degli altri conti del passivo compresi il capitale, le riserve e le rivalutazioni (pari a circa 8,9 miliardi di euro) sembrerebbe che non sia stata utilizzata tutta la potenzialità del QE;
risulterebbero poco trasparenti gli effetti della politica monetaria sul bilancio della Banca d'Italia anche in relazione alla natura delle due voci citate;
ad avviso degli interroganti, il bilancio della Banca d'Italia, tacendo sulla natura di debiti fittizi delle due voci, violerebbe le norme sulla trasparenza e non sarebbe opportuno che la stessa, nelle relazioni successive, indichi, nel commento alle voci del bilancio del 2016, la natura di debiti fittizi di tali conti o se vi siano altri conti che esplicano la funzione indicata per i due conti;
si ritiene quindi che la Banca d'Italia abbia posto in essere una politica monetaria non rispondente alle finalità espansive del QE,
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dell'effettivo importo del QE e se ritenga che la Banca d'Italia abbia utilizzato tutto il potenziale del QE stesso;
se non ritenga che gli effetti dell'operazione posta in essere violino le norme in materia di falso in bilancio;
nel rispetto dell'autonomia ed indipendenza della Banca d'Italia, quale sia la valutazione in merito alla coerenza della condotta dell'istituto bancario centrale, rispetto alle finalità espansive del quantitative easing.
VACCIANO, DE PIETRO, SIMEONI, MUSSINI, BIGNAMI, MOLINARI, PEPE, CASALETTO- Al Ministro dell'economia e delle finanze. -
il decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225, recante Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili", contiene una serie di operazioni di finanza pubblica, che tendono a favorire il corretto rapporto tra fisco e contribuente, nella convinzione che ciò possa migliorarne l'attività di riscossione;
in particolare, il capo I del decreto è dedicato a interventi in materia di riscossione, che prevedono la soppressione di Equitalia e l'istituzione di un nuovo ente di riscossione: le società del gruppo Equitalia saranno sciolte dal 1° luglio 2017 e cancellate dal registro delle imprese, senza che vi sia alcuna procedura di liquidazione;
l'attività di riscossione sarà svolta dall'Agenzia delle entrate-riscossione: il nuovo ente pubblico economico, che subentra ad Equitalia sarà sottoposto all'indirizzo del Ministero dell'economia e delle finanze e sarà controllato dall'Agenzia delle entrate;
il decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193 ha introdotto la "definizione agevolata", ovvero la possibilità per i cittadini di pagare l'importo residuo delle somme inizialmente richieste, senza corrispondere sanzioni o interessi di mora;
purtroppo, contemporaneamente all'introduzione della "definizione agevolata", in vista della imminente liquidazione di Equitalia, gli sportelli al pubblico sono stati sensibilmente ridotti, così da provocare in vari centri di tutto il territorio enormi disagi per gli utenti, lunghe code e ore di attesa;
il disservizio ha il sapore della vessazione nei confronti di cittadini che vogliono regolarizzare le loro posizioni e si trovano nella oggettiva impossibilità di farlo in tempi e modi congrui,
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti descritti;
come intenda agire al fine di risolvere celermente gli scoraggianti disagi, cui sono sottoposti i cittadini che abbiano necessità di fruire dei servizi dell'ente di riscossione.
Premesso che, a quanto risulta all'interrogante:
numerosi medici di medicina generale (MMG) operanti in regime di convenzione con il Sistema sanitario nazionale per un pubblico servizio nelle rispettive regioni italiane di domicilio, si sarebbero visti recapitare dalle direzioni provinciali dell'Agenzia delle entrate ingiunzioni di pagamento per l'omessa presentazione della dichiarazione IRAP, relativa all'assunzione dei "collaboratori di studio";
l'accordo collettivo nazionale stabilisce che le Regioni stipulino accordi regionali con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative della medicina generale, in funzione delle necessità specifiche del sistema sanitario regionale, al fine di porre in essere "obiettivi di salute della popolazione" attraverso modelli organizzativi concordati (artt. 4-5)". Il comma 4 dell'art 4 dell'accordo collettivo così recita: "Il livello di negoziazione regionale, Accordo integrativo regionale, definisce obiettivi di salute, modelli organizzativi e strumenti operativi per attuarli, in coerenza con le strategie e le finalità del Servizio sanitario regionale ed in attuazione dei principi e dei criteri concertati a livello nazionale";
è dunque evidente come l'assunzione del collaboratore di studio da parte di un elevato numero di MMG sia dettata esclusivamente in funzione di accordi regionali e sia funzionale ad offrire ai cittadini un servizio pubblico migliore e non determini quel quid pluris fonte di aumento del reddito, essenziale ai fini dell'attribuzione dell'imposta IRAP;
richiamata la risposta all'atto di sindacato ispettivo presentata dall'interrogante, 3-01158, svolta nella seduta n. 299 del 4 agosto 2014, nella quale il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Zanetti nelle considerazioni finali sosteneva che: "L'Agenzia ritiene opportuno ribadire che le predette indicazioni contenute nei documenti di prassi devono intendersi di carattere generale e, pertanto, per stabilire l'esclusione o no dall'IRAP è necessaria una valutazione caso per caso, in quanto l'individuazione di specifici parametri qualitativi e quantitativi per definire un'autonoma organizzazione possono essere fissati solo con un intervento normativo e non in via amministrativa. (...) Ed ancora: "(...) In sede di esercizio della delega, di cui alla legge 11 marzo 2014, n. 23, potrà essere valutata l'opportunità di definire una nozione di autonoma organizzazione che risolva anche le questioni concernenti l'applicazione dell'IRAP ai medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale che si avvalgono di un collaboratore";
considerato che successivamente alla citata risposta in commissione sono state emesse numerose sentenze, ultima la sentenza della Suprema corte di cassazione n. 7291/16, a Camere riunite, che vedono l'Agenzia delle entrate soccombente, in quanto l'IRAP non è dovuta dai medici di medicina generale in convenzione con il Servizio sanitario nazionale per le ragioni citate,
se il Ministro in indirizzo intenda o meno dare disposizioni alle Agenzie delle entrate di ogni regione, affinché queste adeguino la propria attività accertativa agli indirizzi giurisprudenziali;
se non ritenga opportuno intervenire con specifica disposizione volta a garantire i contribuenti rispetto alle richieste delle agenzie.