GIUNTA PER IL REGOLAMENTO
MARTEDI' 29 OTTOBRE 2013
7a seduta


Presidenza del Presidente del Senato
GRASSO


La seduta inizia alle ore 15,10.

Il PRESIDENTE chiede ai relatori, senatori Finocchiaro, Bruno e Calderoli, se intendano integrare la relazione svolta nel corso della seduta del 15 ottobre scorso sulle proposte di modifica del Regolamento del Senato.

Il senatore BRUNO, ritenendo di interpretare anche il pensiero dei correlatori, ritiene opportuno, prima di procedere alla presentazione di una relazione scritta sulle proposte di riforma del Regolamento, raccogliere le indicazioni provenienti da tutti i componenti della Giunta per il Regolamento in merito a particolari profili che richiedano un approfondimento specifico.

Il senatore PALMA, intervenendo sull'ordine dei lavori, chiede se le questioni interpretative sulle modalità di voto in Assemblea costituiscano uno dei punti oggetto di approfondimento nell'ambito della discussione sulla riforma del Regolamento. A tal proposito, segnala la necessità di un'ulteriore disamina sul punto, alla luce delle motivazioni della sentenza della Corte d'Appello di Milano n. 6405 del 2013, depositata in data odierna, nelle quali si afferma che il legislatore, con il decreto legislativo n. 235 del 2012 (c.d. legge Severino), non ha inteso innovare la disciplina di durata delle pene accessorie previste dal codice penale e dal decreto legislativo n. 74 del 2000, ma ha tenuto ben distinte le differenti discipline: da un lato, le pene principali e accessorie, che devono essere irrogate dall'autorità giudiziaria e, dall'altro, la sanzione dell'incandidabilità, discendente dalle sentenze di condanna, riservata, invece, all'autorità amministrativa. Rileva che la configurazione dell'incandidabilità quale sanzione amministrativa comporta l'applicazione della legge n. 689 del 1981, e dunque del principio dell'irretroattività delle sanzioni amministrative in essa contenuto, in sintonia con quanto sostenuto in sede di Giunta delle elezioni e delle immunità dai componenti appartenenti al suo Gruppo. Alla luce della sentenza della Corte d'Appello di Milano, viene dunque meno il presupposto specifico cui si riferiscono le questioni interpretative sulle modalità di voto all'ordine del giorno: la Giunta è pertanto libera di svolgere tutti gli accertamenti necessari a valutare una questione di particolare delicatezza.

Il senatore BRUNO chiede una breve sospensione dei lavori, al fine di prendere visione del contenuto della sentenza citata dal senatore Palma e di valutarne gli eventuali riflessi sulla questione all'esame della Giunta.

Il senatore BUCCARELLA si dichiara contrario alla richiesta di sospensione, segnalando come la questione all'esame della Giunta si riferisca alla procedura di mancata convalida dell'elezione di un Senatore e non alla natura giuridica dell'incandidabilità. Non ritiene quindi necessario alcun approfondimento in quanto la sentenza citata è inconferente e non è dunque opportuno procedere alla sospensione dei lavori.

Anche il senatore ZANDA ritiene che la semplice notizia dell'avvenuto deposito delle motivazioni della sentenza della Corte d'Appello di Milano non costituisca motivo sufficiente a sospendere i lavori della Giunta per il Regolamento.

Il senatore SANTANGELO, dichiarandosi contrario alla sospensione, sollecita il rispetto dell'ordine del giorno ricordando che sulla questione interpretativa all'attenzione della Giunta sono già stati svolti i necessari approfondimenti.

Il senatore BRUNO ritiene che la sentenza in questione non sia inconferente rispetto agli argomenti in discussione e insiste per la sospensione.

Il PRESIDENTE sospende quindi brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle ore 15,25 riprende alle ore 15,41.



Il senatore BRUNO chiede se il Presidente non ritenga opportuno che la Giunta delle elezioni acquisisca la citata sentenza della Corte d'Appello di Milano, che inquadra l'incandidabilità tra le sanzioni amministrative ed eventualmente, alla luce di tale qualificazione, riveda la decisione assunta. Qualora infatti la Giunta delle elezioni procedesse a riconsiderare la propria posizione, verrebbe meno la necessità che la Giunta per il Regolamento si esprima sulla questione.

Il senatore PALMA concorda con le considerazioni svolte dal senatore Bruno. Nel ricordare che nella precedente seduta sia il Presidente Grasso sia il senatore Zanda si erano dichiarati contrari ad una modifica regolamentare contra personam, ribadisce che il tema posto dal Gruppo Movimento 5 Stelle coinvolge problemi di natura costituzionale e di coerenza sistematica del Regolamento, che richiedono il giusto approfondimento.

Il senatore BUCCARELLA insiste sull'inconferenza della sentenza, rilevando come il testo della decisione si riferisca all'incandidabilità, definendola sia come sanzione, sia come status. Tale ultima qualificazione costituisce uno dei presupposti della richiesta di parere da lui stesso avanzata nella scorsa seduta. Rileva, infine, come non possa essere oggetto di discussione della Giunta per il Regolamento la natura giuridica dell'incandidabilità, tanto più che essa è stata oggetto di un attento esame da parte della Giunta delle elezioni.

La senatrice FINOCCHIARO contesta le argomentazioni svolte dal senatore Palma. Sotto un profilo formale, rileva come nella sentenza si affermi l'assoluta estraneità della cosiddetta legge Severino rispetto al thema decidendum; conseguentemente le osservazioni relative alla natura della incandidabilità non costituiscono statuizioni e non hanno pertanto alcun valore regolatorio. Precisa inoltre che tale sentenza non potrebbe condurre alla revisione della decisione assunta dalla Giunta delle elezioni. Attesa l'identità dei presupposti per la candidabilità e la permanenza in carica, si è infatti in presenza di una mera procedura di accertamento della permanenza dei requisiti di legge; non è pertanto configurabile, nonostante l'uso improprio dei termini da parte della Corte d'Appello, né un potere sanzionatorio né un'autorità investita di esso.

La senatrice BERNINI ritiene che quanto appena sostenuto dalla senatrice Finocchiaro non tenga conto della connessione tra incandidabilità e decadenza. Concorda invece con il senatore Bruno che la decisione sulla questione non possa essere decisa dalla Giunta per il Regolamento, ma vada rimessa alla Giunta delle elezioni. Sul punto osserva che né gli articoli 65 e 66 della Costituzione, né i Regolamenti di Camera e Senato contemplano la figura dell'incandidabilità, aggiungendo che l'ineleggibilità e l'incompatibilità non erano state concepite dal Costituente come fattispecie aperte, ma tassative.

Il senatore CALDEROLI ritiene conferente l'eccezione avanzata dal senatore Bruno. Formula invece dubbi sulla stessa ammissibilità della questione interpretativa all'ordine del giorno, ritenendo discutibile la trattazione di una mera ipotesi, considerato che nel caso di contestazione delle elezioni l'Assemblea procede alla votazione solo a fronte della presentazione di un ordine del giorno difforme.

Interviene il senatore ZANDA per sostenere l'inconferenza delle eccezioni sollevate e richiamare la necessità di procedere nella trattazione dell'ordine del giorno con lo svolgimento delle relazioni.

Il senatore FERRARA, intervenendo sull'ordine dei lavori, richiama l'articolo 18, comma 3, del Regolamento del Senato, in tema di potere di interpretazione delle norme regolamentari. A tale riguardo, ribadisce in primo luogo il carattere puramente eventuale della questione posta dai senatori Buccarella e Santangelo e contesta, in secondo luogo, il potere del Presidente di porre una questione interpretativa che non sia stata sollevata dall'Assemblea. Paventa infine il rischio che, mediante una presunta decisione interpretativa, si proceda a modificare surrettiziamente il Regolamento.

Interviene la senatrice BERNINI per sottolineare come l'incandidabilità non possa essere considerata species del genus incompatibilità o ineleggibilità, non essendo peraltro prevista né dalla Costituzione né dai regolamenti parlamentari.

Il PRESIDENTE osserva che nel Regolamento della Giunta delle elezioni della Camera dei deputati si fa espresso riferimento alla decadenza, rilevando altresì che le eccezioni sollevate non possono essere trattate nella Giunta per il Regolamento, ma semmai dalla Giunta delle elezioni.

Il senatore BRUNO fa presente che solo l'Assemblea può ormai investire della questione la Giunta delle elezioni. Aggiunge quindi di concordare anche con le obiezioni sollevate dal senatore Ferrara.

Il senatore CALDEROLI ribadisce le proprie osservazioni sul carattere non attuale né concreto ma meramente ipotetico della questione interpretativa all'ordine del giorno.

Il PRESIDENTE, a tale riguardo, risponde che la Giunta per il Regolamento è stata convocata, su richiesta di un Gruppo parlamentare, per approfondire la questione nel caso si giunga ad un voto.
In prossimità dell'orario previsto per la ripresa della seduta dell'Assemblea, sospesa fino alle 16.30, fa presente che non essendo pervenuto il parere della Commissione Bilancio sugli emendamenti in esame, la ripresa dei lavori dell'Aula viene fissata alle 17.30, potendosi pertanto proseguire con i lavori della Giunta per il Regolamento.

I senatori PALMA e FERRARA, nel contestare tale proposta, chiedono di differire la ripresa della seduta dell'Assemblea di pochi minuti.

Il PRESIDENTE conferma la decisione di riprendere alle ore 17.30 e dà la parola alla senatrice Bernini per la relazione.

La senatrice BERNINI rileva preliminarmente come le scelte operate circa le modalità di votazione costituiscano uno degli elementi qualificanti la forma di governo. Su questo presupposto, analizza l’evoluzione storica della disciplina relativa alle modalità di votazione.
Già lo Statuto albertino del 1848, all’articolo 63, prevedeva lo scrutinio segreto per la votazione finale dei progetti di legge e ‹‹per ciò che concerne al personale››. Il voto segreto è stato infatti storicamente posto a tutela di valori costituzionali rilevanti, dal momento che opera un bilanciamento tra la libertà e l’autonomia del singolo parlamentare e la responsabilità della rappresentanza.
Ciò dimostra, a suo avviso, come l’ordinamento costituzionale predisponga il voto segreto a garanzia dell’organo, e non delle persone. Tanto che, quando il regime fascista ebbe la necessità di esercitare un controllo sull’autonomia degli organi parlamentari, il voto segreto fu sostituito dal voto palese.
E’ proprio alla caduta del regime autoritario che si collega una revisione del voto segreto, a tutela della libertà e nel rispetto dell’equo bilanciamento con il principio della rappresentanza politica. In proposito, richiama l’articolato dibattito svoltosi in seno all’Assemblea Costituente. Fa inoltre presente che, per quanto la Costituzione contenga un riferimento esplicito alle modalità di voto soltanto all’articolo 94, in materia di rapporto fiduciario tra Parlamento e Governo, il principio del voto segreto fu accolto dai regolamenti parlamentari e fu temperato – per ciò che attiene la votazione finale dei disegni di legge – soltanto a seguito della riforma del 1988, in relazione al fenomeno dei cosiddetti “franchi tiratori” ed alle significative distorsioni del principio della rappresentanza che aveva determinato.
Rileva inoltre che in una prospettiva storica assume rilevanza il determinante impatto dell’integrazione sovranazionale con l’Unione europea, segnalando che anche il vigente Regolamento del Parlamento europeo esprime, all’articolo 169, un deciso favor per il voto segreto. Un’analisi comparativa delle modalità di votazione in uso presso gli altri paesi europei permette inoltre di riscontrare una significativa convergenza di percorsi: le votazioni in correlazione diretta con la responsabilità del Governo sono effettuate a scrutinio palese, mentre quelle in correlazione alla libertà di coscienza sono affidate alla segretezza della votazione. Ciò in quanto il significato profondo sotteso all’adozione della modalità di votazione a scrutinio segreto deve ricercarsi nella garanzia di tutela dei diritti: le relative disposizioni del regolamento d’Assemblea costituirebbero dunque parti indisponibili del testo regolamentare.
Sotto questo profilo segnala come i colleghi del Movimento 5 Stelle abbiano sottovalutato la prassi del Senato che, sugli ordini del giorno in difformità in materia di verifica dei poteri, ha sempre votato a scrutinio segreto, ai sensi del combinato disposto degli articoli 113, comma 3, e 135-ter del Regolamento.
La differente prassi della Camera dei deputati, che nelle stesse deliberazioni adotta il voto palese, costituisce un riflesso del dettato costituzionale di cui all’articolo 64, che prevede una totale autonomia delle Camere e che si manifesta in una sovranità di autoregolamentazione che non ammette condizionamenti.
Non ritiene dunque possibile uniformare le prassi dei due rami del Parlamento in quanto devono essere tutelati e garantiti un nucleo di diritti fondamentali che non possono essere compressi. A tale proposito ricorda che nelle scorse legislature, in sede di esame della riforma del Regolamento, si è più volte discusso di dare garanzia testuale alla prassi del Senato, considerando le votazioni ex articolo 135-ter come votazioni su persone ai sensi dell’articolo 113, comma 3, del Regolamento.
Alla luce delle considerazioni generali sin qui esposte, ritiene dunque che il voto segreto rappresenti una garanzia insopprimibile per il voto sulle persone, in quanto presupposto della libertà di coscienza che, anche ai sensi della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, costituisce uno dei presupposti fondanti di una democrazia basata sullo stato di diritto.
Svolge quindi la relazione pubblicata in allegato al resoconto della seduta odierna.

La seduta, sospesa alle 17,23, riprende alle 19,42.



Il senatore PALMA riporta il contenuto di alcune agenzia di stampa, secondo le quali il leader del Movimento 5 Stelle avrebbe utilizzato espressioni irriguardose nei confronti del Senato e chiede al Presidente un intervento a tutela dell'Istituzione.

Il PRESIDENTE assicura che si procederà alle opportune verifiche e dà quindi la parola al senatore Russo perché proceda alla relazione.

Il senatore RUSSO svolge la relazione pubblicata in allegato al resoconto della seduta odierna.

Il Presidente GRASSO propone di dare inizio alla discussione in una seduta della Giunta da convocare per domani mattina alle ore 9,30.

Il senatore BRUNO segnala che ciò determinerebbe una sovrapposizione con i lavori della Commissione affari costituzionali, di cui egli fa parte, che è già convocata per domani alle ore 9,15. Aggiunge, inoltre, che il calendario testè votato in Aula non include l'argomento ora all'esame della Giunta per il Regolamento e non vi è dunque motivo di procedere con una fretta a suo avviso eccessiva, che non consentirebbe di valutare con la dovuta cura la relazione svolta dal senatore Russo la quale, tra le altre cose, ha omesso di prendere in considerazione che l'articolo 113, comma 3, del Regolamento prevede che siano effettuate a scrutinio segreto le votazioni comunque riguardanti le persone. Propone pertanto di rinviare la discussione alla giornata di lunedì prossimo.

Il senatore PALMA manifesta l'esigenza di avere a disposizione un congruo lasso di tempo per riflettere sulle articolate relazioni svolte nella seduta odierna.

Il senatore ZANDA ritiene che, se la Giunta effettivamente intende giungere ad una decisione sul caso in questione, sia necessario stabilire una tempistica adeguata, considerato che, per motivi oggettivi, sono trascorsi diversi giorni dalla seduta precedente: la questione di cui si discute è insorta già da tre mesi e vi è una disposizione normativa che richiede una decisione immediata. Alla luce di ciò, la Giunta dovrebbe a suo avviso decidere se continuare i lavori odierni ad oltranza, giungendo ad una votazione in serata, ovvero rinviare a domani mattina alle 9,30, come proposto dal Presidente. Un rinvio più lungo determinerebbe un eccessivo sfilacciamento dei lavori, con il rischio di pregiudicare la qualità della discussione. Se, al contrario, la volontà è quella di non giungere ad una decisione, lo si dica chiaramente.

Interviene il senatore PALMA osservando che, mentre il senatore Zanda sembra ispirarsi al principio dell' "aut aut", egli preferisce aderire al principio dell' "et et".

La senatrice DE PETRIS, nel concordare con il senatore Zanda sulla necessità di garantire la continuità e la coerenza dei lavori della Giunta, propone di proseguire i lavori, al fine di giungere ad un voto nella seduta odierna.

Il senatore SANTANGELO osserva che i componenti della Giunta hanno avuto il tempo e i supporti documentali necessari per preparare accuratamente la seduta odierna. Il quadro informativo è stato ora completato dalle relazioni svolte dalla senatrice Bernini e dal senatore Russo ed è quindi possibile procedere immediatamente allo svolgimento della discussione.

Il senatore FERRARA si chiede preliminarmente se l'incarico assegnato ai senatori Bernini e Russo includesse anche la formulazione di una proposta, come fatto dal senatore Russo al termine della sua relazione. In merito all'organizzazione dei lavori, sottolinea che, in passato, la Giunta ha sempre scelto di dedicare il giusto tempo per esaminare nella maniera migliore le questioni ad essa sottoposte, mentre ora il senatore Zanda insiste per una decisione rapida. La maggioranza deve prendersi le sue responsabilità, sapendo tuttavia che decisioni politiche possono incidere, oltre che sull'andamento dei lavori, sull'essenza stessa dell'istituzione parlamentare, che è costituita proprio dal Regolamento. Pur dichiarandosi pronto a proseguire i lavori, esorta a contemperare il convincimento politico con la prudenza.

Il senatore CALDEROLI ritiene necessario avere il tempo per approfondire il contenuto delle due relazioni e propone di rinviare l'inizio della discussione a domani all'ora di pranzo. Qualora invece tutto fosse già stato deciso e la discussione fosse dunque inutile, tanto varrebbe votare immediatamente.

Il Presidente GRASSO, alla luce della discussione, fissa la prossima seduta nella giornata di domani, 30 ottobre, alle ore 9,00.

Il senatore BUCCARELLA auspica fin d'ora che i lavori di domani possano procedere speditamente, senza nuove richieste di rinvio.

La seduta termina alle ore 20,35.
Relazione alla Giunta per il Regolamento
seduta del 29 ottobre 2013
(Senatrice Bernini)

Onorevoli colleghi,
ringrazio innanzitutto il presidente Grasso per la fiducia in me riposta, nell’attribuirmi il compito di svolgere una ricognizione la più completa possibile per riferire alla Giunta per il Regolamento sulla questione prospettatasi nel corso della scorsa seduta. Il problema – giova ricordarlo con nettezza sin dal principio – é quello dell’interpretazione dell’articolo 113, comma 3, del Regolamento del Senato e dell’applicazione di tale norma, in particolare, alle votazioni di cui all’articolo 135-ter, comma 2, agli eventuali ordini del giorno in difformità rispetto alle conclusioni della Giunta delle elezioni e delle immunità, in materia di elezioni contestate.
Preciso di aver svolto le mie riflessioni consultandomi anche con il Collega Senatore Russo in un clima di collaborazione e confronto assai utile.
1. L’istituto del voto segreto nel Regolamento del Senato, dal 1971 ad oggi ha subito notevoli mutazioni nella prassi applicativa, nella frequenza di impiego, nello stesso tenore delle norme che lo prevedono. La sua prevalenza originaria in occasione delle votazioni dei testi normativi diviene, nel 1988, recessiva. E' chiaro in quella temperie storica l’intento del legislatore regolamentare di arginare il fenomeno dei franchi tiratori e di contenerne gli effetti nel quadro del rapporto fiduciario, troppo spesso messo a repentaglio dalla segretezza dello scrutinio. E' qui che nascono le due norme di carattere generale cui s’impronta il sistema di voto in Senato: presunzione generale di voto a scrutinio palese sui testi normativi, ma eccezioni quando ricorrano le materie richiamate dall’articolo 113, comma 4, attraverso puntuali rinvii alle disposizioni della prima parte della Costituzione che proteggono i diritti fondamentali, quelli inviolabili, le situazioni giuridiche soggettive costituzionalmente protette e, la tutela delle minoranze linguistiche.
Inoltre, quale seconda regola decisiva, è stabilito lo scrutinio assolutamente segreto quando il voto riguarda le persone, oppure è effettuato con schede. Si allude qui a quella speciale tipologia di votazioni che la dottrina definisce elettive. La ragione per la quale ho impiegato, l’avverbio «assolutamente» sta nell’altra, decisiva parola che è stata più volte evocata nel corso della scorsa seduta: è il noto lemma «comunque» che si ritrova nell’articolo 113, comma 3, del Regolamento del Senato. Un avverbio – vorrei farlo notare da subito – che non è presente nell’omologa disposizione presente presso il Regolamento della Camera dei deputati.
2. Ora, il voto segreto – credo si possa concordare su questa acquisizione dottrinaria ormai pacifica – rimanda al legame con l’articolo 67 della Costituzione: una norma decisiva poiché, per l’interpretazione che se ne è fornita scioglie i vincoli alla formazione della volontà del singolo parlamentare, lasciandolo libero da ogni costrizione di mandato. Il celebre divieto di mandato imperativo di tradizione liberale, il quale declinato nelle democrazie pluralistiche contemporanee, implica libertà dall’imperio della direttiva partitica, di Gruppo, di coalizione, di estrazione elettorale. Non credo di dover soffermarmi a lungo sul prezioso legato sotteso all’articolo 67 della Costituzione e vengo, invece, al punto specificamente riguardato dalla nostra questione.
3. Il procedimento di convalida delle elezioni che fa capo all’articolo 66 della Costituzione trova in Senato una peculiare dimensione regolamentare nella riforma del 1992. L’articolo 135-ter reca una disposizione che, a sua volta, non trova piena corrispondenza nel Regolamento della Camera e questo – sia detto per inciso – spiega anche perché, a mio avviso, nel tempo le due Assemblee si siano mosse secondo metodi differenti: la Camera, in seguito ad un parere della Giunta per il regolamento del 2007, procede con lo scrutinio palese. A Palazzo Madama, invece, si è sempre proceduto al voto a scrutinio segreto.
4. Mi permetto infatti di far notare che la nostra prassi applicativa dell’articolo 113, comma 3, agli ordini del giorno in difformità previsti dall’articolo 135-ter, comma 2, e` sufficientemente chiara ed invalsa: muovendo a ritroso, giova, tra gli altri, citare l’ordine del giorno approvato dall’Assemblea il 29 gennaio 2009, con cui si respinsero le conclusioni della Giunta delle elezioni e delle immunità con riferimento al caso riguardante il Senatore Di Girolamo (XVI legislatura); la votazione su un ordine del giorno in dissenso dalle conclusioni della Giunta delle elezioni e delle immunità, il 20 novembre 2002, con riguardo al caso concernente il Senatore Malentacchi (XIV legislatura): la votazione, il 28 ottobre 1992, su un ordine del giorno in difformità dalle conclusioni della Giunta nel caso concernente il Senatore Percivalle (XI legislatura).
Tutte queste votazioni sono state effettuate a scrutinio segreto, d’ufficio, ai sensi dell’articolo 113, comma 3, del nostro Regolamento, evidentemente ritenendosi che esse riguardassero persone.
5. Occorre ora soffermarsi brevemente su alcuni argomenti a sostegno di un possibile mutamento applicativo in favore del voto palese, che, mi sia permesso anticipare, non reputo essere meritevole di condivisione.
Posto che si tratterebbe oggi di apportare un improvviso mutamento di interpretazione del nostro Regolamento rispetto a quanto si è fatto nel corso delle passate legislature, ciò non solo mi pare discutibile in punto di metodo, ma anche in termini di merito. Innanzitutto, non convince la tesi che vede nella vigente legge elettorale un argomento in favore della «depersonalizzazione» del voto in materia di elezioni contestate. Rilevo, in proposito, come l’impiego dello scrutinio segreto sia stato effettuato sino ad ora nella vigenza di qualunque sistema elettorale, maggioritario o proporzionale che sia.
Inoltre, ho già chiarito come gli argomenti in favore di una convergenza con le procedure seguite alla Camera dei deputati – anche a tacere della totale, radicale inopportunità di modificare le regole in corsa – non sono dirimenti, non appena si noti la differenza di impianto tra gli articoli 135-ter e 113, del Regolamento del Senato da una parte, e gli articoli 47 e 17-bis del Regolamento della Camera, dall’altra.
6. In definitiva, sia in esito allo studio della prassi in materia, sia muovendo dal quadro generale di riferimento delle norme che vengono in rilievo, sono a proporre la conferma dell’applicazione del voto a scrutinio segreto, d’ufficio, ai sensi dell’articolo 113, comma 3, del Regolamento, in quanto tali votazioni riguardano comunque persone.
7. Rileva a questo punto svolgere ulteriori rilievi sulla portata sistematica che assume il voto segreto nelle materie quali quella oggetto della trattazione odierna. E ciò, al fine di illustrare perché mutare le procedure per effettuare la votazione sulle elezioni contestate con lo scrutinio palese, si rivelerebbe un’iniziativa assai criticabile anche in punto di sistema.
Se, come detto, la votazione a scrutinio segreto costituisce presidio del principio del libero mandato parlamentare tutelato dall’articolo 67 della Costituzione, va anche chiarito che l’articolo 113, nel combinato disposto dei due commi 3 e 4, costituisce una norma a protezione dell’autonomia del singolo componente di ciascuna Camera. Per il suo tramite, lo ripeto, si viene a recidere il peso vincolante del legame di appartenenza allo schieramento, alla coalizione o al partito, in materie di particolare sensibilità e delicatezza.
La tradizionale impostazione dottrinaria che associa le votazioni parlamentari a scrutinio segreto all’esigenza di garantire la libertà di autodeterminazione del singolo, assume preminente portata sistematica proprio quando le votazioni riguardano le prerogative costituzionali. E in questa fase della storia repubblicana, lo scrutinio segreto ripropone il tema del bilanciamento tra l’esigenza di garanzia delle libertà costituzionali e il principio della responsabilità politica degli eletti.
Ebbene, questa delicata condizione di bilanciamento tra i due valori costituzionali non può essere stravolta in modo traumatico e illogico.
Passo ad elencare gli argomenti contrari a una tale, incongrua conclusione.
Tutte le votazioni che concernono le prerogative costituzionali hanno luogo, e non a caso, a scrutinio segreto. E' così per le dimissioni volontarie dei Senatori, in cui l’Aula procede a scrutinio segreto per tutelare la libertà di orientamento del singolo componente dell’Assemblea, di fronte alle vicende che, in ipotesi, potrebbero costringere od indurre un collega ad abbandonare il seggio.
Lo scrutinio segreto presidia altresì le deliberazioni di natura elettiva quali quelle volte alla composizione del Consiglio di Presidenza. In definitiva, ciò si verifica: per il principio di salvaguardia del plenum assembleare (articolo 66 della Costituzione); quando vengono in gioco la libertà personale, domiciliare o di comunicazione riservata dei Senatori. (articolo 68, commi 2 e 3, della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 13, 14 e 15 della nostra carta fondamentale); non diversamente le votazioni elettive cui prima mi riferivo trovano la loro giustificazione nell’articolo 63 della Costituzione, il quale statuisce il rilievo delle votazioni proprio per l’elezione, da parte di ciascuna delle due Assemblee, dei rispettivi Uffici di Presidenza.
E molto altro si potrebbe aggiungere, a conferma che quando vengono in gioco preminenti valori costituzionali, lo scrutinio segreto prevale e presidia il campo.
L’assoluta preminenza delle prerogative costituzionali corrisponde dunque all’esigenza indefettibile che la votazione parlamentare possa svolgersi nella maniera più libera, indisturbata e, in definitiva, piena. Non stupisce allora il tenore dell’articolo 113, comma 4, il quale elenca quelle materie sulle quali lo scrutinio segreto può trovare spazio su richiesta di parte. E se si studia con attenzione quella norma, si comprende la ragione per la quale i procedimenti di convalida delle elezioni che riguardano persone, non solo cadono nello spazio applicativo dell’articolo 113, comma 3, del Regolamento, ma rientrerebbero comunque – direi a rigor di logica e di sistema – nel novero di quelle materie sulle quali ammettere altresì la richiesta su istanza di venti Senatori. Vediamo perché.
8. Le materie ricomprese nell’articolo 113, comma 4, attengono ai rapporti civili ed etico sociali, alla tutela delle minoranze linguistiche cui si riferisce l’articolo 6 della Costituzione, nonché alle deliberazioni volte a modificare lo stesso Regolamento parlamentare. E`evidente che in tutte queste circostanze – e i lavori preparatori del Regolamento del 1971 e della riforma del 1988 lo confermano – lo scrutinio segreto e` attivabile su richiesta per ragioni diverse ma tutte fondamentali:
a) per la particolare delicatezza della materia che si deve sottrarre alle logiche di maggioranza e minoranza (su tutti, valga il caso delle modifiche regolamentari);
b) per la sensibilità di certi temi sul piano etico ed ordinamentale (si pensi a deliberazioni attinenti l’articolo 21 della Carta fondamentale che tutela la libertà d’espressione);
c) in occasione di deliberazioni che attengono a beni e diritti inviolabili e fondamentali (si consideri, per esempio, una richiesta di limitazione della libertà personale o un caso di menomazione del principio del diritto alla difesa in giudizio).
Ecco dimostrato il paradosso che si verificherebbe qualora si proponesse di votare a scrutinio palese in materia di elezioni contestate. Si verificherebbe l’assurda conseguenza che deliberazioni della massima delicatezza – che incidono sulla perdita (in talune occasioni contestatissima, peraltro) del diritto politico per eccellenza, quello all’elettorato passivo di cui all’articolo 51 della Costituzione – sarebbero esposte al controllo della ferrea disciplina di partito, in totale spregio non solo dell’articolo 67 della Costituzione, sulla libertà di mandato che ho più volte citato, ma proprio di uno dei principi cardine del sistema rappresentativo delle democrazie pluraliste contemporanee.
In definitiva, il legame tra gli articoli 66 e il complesso del Titolo I della Il parte della Costituzione, offre nitida conferma del rilievo assunto dalla libera determinazione del parlamentare chiamato ad esprimersi sul controllo delle elezioni contestate. E non é neanche il caso di ricordare quanto gli organi di giustizia sovranazionali europei abbiano fatto continuo richiamo al rispetto del libero esercizio del voto come patrimonio comune a tutti gli Stati membri dell’Unione Europea e che aderiscono al Consiglio d’Europa.
Allora, negare il voto segreto in materia di elezioni contestate si risolverebbe, nei fatti, in una duplice lesione della libera manifestazione di volontà dell’elettore. Infatti, la protezione della volontà dei cittadini al momento delle elezioni politiche del Senato verrebbe sovvertita sotto la minaccia della disciplina di Gruppo che si eserciterebbe in un ulteriore limite al voto di coscienza dei singoli Senatori che invece – lo ricordo una volta ancora – non rappresentano altri che la Nazione.
I diritti politici sono il presupposto applicativo dei diritti inviolabili: misure che li limitino debbono essere oggetto di una decisione ponderata, scevra da ogni condizionamento.
Relazione alla Giunta per il Regolamento
seduta del 29 ottobre 2013
(Senatore Francesco Russo)

La questione sottoposta oggi all’esame della Giunta per il Regolamento esige uno studio approfondito. Occorre anzitutto premettere che, in questa vicenda, la Giunta si trova ad affrontare una questione del tutto nuova e che ciò emerge proprio dai precedenti che ci sono stati forniti. E' la prima volta, infatti, che ci si trova a dover prendere atto della decadenza imposta dall’applicazione del cosiddetto «decreto legislativo Severino» ad un componente del Senato della Repubblica (e non potrebbe essere altrimenti perché come tutti sappiamo, il decreto legislativo fu adottato nel finale della scorsa legislatura). Inoltre, forse ancora più importante, é la prima volta che questa Giunta per il Regolamento si é trovata a deliberare su questo tema, cioè ad affrontare un problema teorico-interpretativo sulle modalità di voto degli ordini del giorno in difformità dalle conclusioni della Giunta delle elezioni e delle immunità, ai sensi dell’articolo 135-ter, comma 2. Il contesto del tutto inedito e la materia mai affrontata in passato, ci richiedono, dunque, di lavorare qui oggi come si trattasse di scrivere su una lavagna ancora bianca, procedendo ad un’interpretazione del nostro Regolamento (che non prevede una norma ad hoc sulla decadenza) sapendo che per un motivo o per l’altro, nessuno dei precedenti può riferirsi ai termini della questione al nostro esame. Anzi, si procederà a dimostrare che proprio l’analisi dell’evoluzione della prassi e delle scelte regolamentari di Senato e Camera degli ultimi vent’anni presentano un progressivo restringimento delle fattispecie cui si applica il voto segreto e ci consegnano quindi un’indicazione precisa nei confronti del voto palese. Del resto, si evince così la ratio di avere un organo competente ad interpretare il regolamento: ogni disposizione normativa, anche la più chiara, deve essere interpretata, pertanto la Giunta è chiamata a oggi a chiarire l’espressione «votazione sulle persone» ed a stabilire, come vedremo meglio tra un momento, se la delibera su una proposta di decadenza sia una votazione su una persona oppure sull’applicazione di una norma giuridica che disciplina la composizione dell’organo.
Com'è noto, a seguito della riforma regolamentare del 1988, la modalità ordinaria per lo svolgimento delle votazioni presso le due Camere del Parlamento italiano e` quella che prevede il voto palese (1); sino al 1988, invece, la possibilità di ricorso allo scrutinio segreto era molto ampia, tanto che il regolamento della Camera prevedeva emblematicamente che la votazione finale su un progetto di legge dovesse svolgersi obbligatoriamente a scrutinio segreto. Il vigente regolamento del Senato, a tal proposito, dedica alla disciplina del voto una serie di articoli contenuti nel Capo XIII. Più in dettaglio, l’articolo 113 comma secondo prevede che, presso l’Assemblea di Palazzo Madama, il voto avvenga di norma a scrutinio palese per alzata di mano; e` tuttavia possibile richiedere lo scrutinio nominale con votazione elettronica, purché la richiesta pervenga da 15 senatori. In tal caso, i richiedenti sono naturalmente considerati come presenti ai fini del computo del numero legale anche nel caso in cui non partecipino materialmente alla votazione.
Il regolamento prevede altresì la possibilità di richiedere lo scrutinio segreto, qualora tale richiesta giunga da parte di venti senatori. Tuttavia, tale modalità di votazione non e` consentita sempre e comunque, essendo limitata a specifiche materie ed espressamente preclusa per altre; per contro, esistono votazioni nelle quali lo scrutinio segreto e` previsto esplicitamente dal regolamento. Schematizzando, i casi in cui il Senato delibera a scrutinio segreto sono i seguenti:
a) ai sensi dell’articolo 113, comma terzo, si svolgono a scrutinio segreto le deliberazioni riguardanti persone, nonché le votazioni elettive che si realizzano attraverso una scheda elettorale;
b) ai sensi dell’articolo 113, comma quarto, si vota a scrutinio segreto, su richiesta di venti senatori, nei casi seguenti:
– deliberazioni relative alle norme sulle minoranze linguistiche, di cui all’articolo 6 della Costituzione;
– deliberazioni che attengano ai rapporti civili ed etico-sociali, di cui agli articoli 13, 14, 15, 16, 1, 18, 19, 20, 21, 22, 24, 25, 26, 27, 29, 30, 31, 32 (comma secondo) Cost.;
– deliberazioni sulle modifiche al regolamento;
c) ai sensi dell’articolo 113, comma sesto, non é ammessa la richiesta di scrutinio segreto nei casi in cui il Senato deliberi sui disegni di legge in materia finanziaria, di bilancio e consuntivi, su disposizioni e su relativi emendamenti in materia tributaria o contributiva, nonché su disposizioni e sui relativi emendamenti che comportino aumenti di spesa o diminuzioni di entrate, indichino i mezzi con cui farvi fronte o comunque approvino appostazioni di bilancio.
Come si può notare da questo breve quadro, il Senato vota di norma a scrutinio palese e vota necessariamente in modo palese allorché si debba deliberare sulle materie finanziaria, di bilancio e tributaria. Si vuole con ciò evitare che, in tali casi e data la delicatezza delle materie coinvolte, l’adozione dello scrutinio segreto possa indurre i senatori a votare secondo interessi di parte a scapito dell’interesse generale.
In senso contrario, invece, muove la norma che prevede la possibilità di richiedere il voto segreto nelle deliberazioni che coinvolgano i diritti di libertà (art. 13 ss. Cost.). Il regolamento, a ben vedere, contempla la possibilità di scrutinio segreto con l’evidente obiettivo di permettere ai singoli senatori di votare secondo coscienza, laddove il voto palese potrebbe indurre i parlamenti ad adottare una posizione conforme alle indicazioni provenienti dai rispettivi gruppi di appartenenza. Tale esigenza é così stringente nei casi di deliberazioni riguardanti le persone, al punto che il regolamento dispone in ogni caso l’adozione dello scrutinio segreto senza che sia necessaria alcuna richiesta in proposito, il che significa pertanto che non é consentito votare a scrutinio palese.
Se questo é il quadro normativo che emerge da una lettura delle disposizioni contenute nel regolamento del Senato, si pone però il problema di valutare caso per caso a quale categoria, tra quelle astrattamente individuate dalla norma, appartenga una specifica deliberazione. A tal proposito, il regolamento prevede che, qualora venga sollevato un incidente in merito alla riferibilità della deliberazione ad una delle fattispecie previste dal comma quarto dell’articolo 113 – vale a dire ai casi in cui sia possibile chiedere lo scrutinio segreto –, la questione venga risolta dal Presidente d’Assemblea, il quale può eventualmente riunire la Giunta per il Regolamento e deferire a tale organo la soluzione del problema.
Le votazioni finali sui disegni di legge avviene anch’essa, di norma, a scrutinio palese, salva richiesta di voto segreto per i provvedimenti che riguardano prevalentemente le materie di cui al già citato comma quarto dell’articolo 113. Sulla prevalenza, anche in tal caso decide il Presidente sentita, ove questi lo ritenga opportuno, la Giunta per il regolamento.
Un tema molto controverso concerne le votazioni riguardanti le persone, data la difficoltà di individuare con chiarezza quando si realizzi una simile fattispecie. Una lettura superficiale potrebbe far pensare alle delibere in materia di contestazione delle elezioni per ineleggibilità o per altri casi che comportino la decadenza dal mandato (art. 66 Cost.), in materia
di insindacabilità di opinioni e voti (art. 68, comma primo, Cost.), di immunità dagli arresti, dalle perquisizioni personali e domiciliari, della corrispondenza (art. 68, comma secondo, Cost.) e di intercettazioni (art. 68, comma terzo, Cost.).
Tuttavia, nel senso di escludere la riconducibilità delle delibere in materia di guarentigie al genus delle votazioni sulle persone muove il noto ed importante parere reso dalla Giunta il 6 maggio 1993. Nella circostanza, l’organo chiamato a coadiuvare il Presidente nell’interpretazione del regolamento si espresse nel senso che le deliberazioni rese ai sensi dell’articolo 68, commi secondo e terzo, Costo – autorizzazione a procedere e autorizzazione all’arresto, alle perquisizioni e agli altri provvedimenti restrittivi della libertà personale – dovessero essere svolte a scrutinio palese anziché segreto. La Giunta stabilì in modo indubitabile e perentorio che per «le deliberazioni sulle richieste di autorizzazione a procedere in giudizio, il voto e` svolto, d’ufficio, a scrutinio palese. E ciò in quanto le deliberazioni stesse costituiscono espressione di una prerogativa dell’Organo parlamentare nell’ambito del rapporto con altri Organi dello Stato e dunque non rappresentano in senso proprio "votazioni riguardanti persone". In altri termini, essa argomentò nel senso che tali votazioni non andassero ad incidere sulla persona del parlamentare coinvolto nel caso di specie, bensì riguardassero una prerogativa dell’Assemblea nel suo complesso e, come tali, fossero quindi estranee al disposto di cui all’articolo 113, comma terzo, del Regolamento. E' significativo che, nella seduta del 13 maggio dello stesso anno, l’Assemblea di Palazzo Madama si esprimesse con voto palese – più in dettaglio, per alzata di mano – sulla richiesta di autorizzazione a procedere contro il Sen. Giulio Andreotti, richiesta che fu approvata con voto favorevole dello stesso senatore a vita. D’altro canto, la dottrina costituzionalistica e la giurisprudenza costituzionale hanno costantemente messo in evidenza che le immunità costituzionali non sono né diritti, né privilegi dei singoli, bensì delle prerogative che l’ordinamento predispone a tutela dell’indipendenza dell’organo costituzionale (e, quindi, dell’assemblea) nel suo complesso (mi limito a citare, tra le altre, la sentenza n. 249 del 2006, nella quale la Corte osserva che «le guarentigie previste dall’articolo 68 Cost. sono poste a tutela delle istituzioni parlamentari nel loro complesso e non si risolvono in privilegi personali dei deputati e dei senatori»).
Alla luce del precedente richiamato, appare evidente che anche le deliberazioni dell’Assemblea di Palazzo Madama in materia di contestazione delle elezioni di un componente debbano essere adottate a scrutinio palese, in ottemperanza non soltanto al parere stesso, ma anche e soprattutto al principio per cui una delibera sulla decadenza non va ad incidere tanto sullo status del singolo parlamentare coinvolto, quanto sulla regolare composizione della stessa Assemblea e, quindi, sull’organo nel suo complesso. L’intera procedura di verifica dei poteri, che l’articolo 66 della Costituzione affida alla singola assemblea, é infatti finalizzata a verificare la regolarità delle operazioni elettorali, nonché la capacità elettorale passiva dei candidati e l’insussistenza di cause di ineleggibilità ed incompatibilità, prescindendo pertanto dalla dimensione soggettiva del parlamentare interessato. Qualora la Giunta delle elezioni riscontri irregolarità nelle operazioni elettorali ovvero la sussistenza di cause di ineleggibilità, incompatibilità e decadenza, dispone la contestazione dell’elezione, su cui poi il plenum è chiamato a pronunciarsi in via definitiva. Ben diverso, invece, il caso delle dimissioni spontanee del singolo parlamentare, che investono la sua sfera personale e non attengono minimamente al rispetto delle norme di legge che disciplinano la regolare composizione delle assemblee legislative.
Se, pertanto, le delibere in materia di autorizzazione ai sensi dell’articolo 68 Cost. – che pure penetrano in modo importante nella sfera dei diritti e delle libertà personali – non sono votazioni incidenti sulla persona, crediamo che a maggior ragione debbano essere considerate tali ed effettuate a scrutinio palese tutte le delibere aventi ad oggetto le proposte della Giunta delle elezioni in materia di verifica dei poteri, fra cui la decadenza di cui oggi trattiamo. Esse non attengono allo status del singolo parlamentare coinvolto, bensì alla regolare composizione della stessa Assemblea e, quindi, dell’organo nel suo complesso. L’intera procedura di verifica dei poteri, che l’art. 66 della Costituzione affida alla singola assemblea, é infatti finalizzata a verificare la regolarità delle operazioni elettorali, nonché l’insussistenza di cause di ineleggibilità ed incompatibilità e la capacità elettorale passiva dei candidati, prescindendo pertanto dalla dimensione soggettiva del parlamentare interessato. Infatti, quando si propone la decadenza in esito alla contestazione dell’elezione, vengono in gioco la verifica della sussistenza dei requisiti di legge e dei presupposti oggettivi che consentono di rivestire la carica di Senatore. Non si discute – né tantomeno si vota – sulle qualità o le caratteristiche personali del singolo, ma soltanto sulla legittimità del procedimento elettorale. Questo dato decisivo è, nel caso specifico, confermato dalla trasmissione, da parte della Suprema Corte di Cassazione, di una sentenza definitiva di condanna tra i cui effetti giuridici automatici, vi e` quello della decadenza determinata dall’applicazione di un atto avente forza di legge.
Ora, dal punto di vista delle finalità della procedura prevista dall’articolo 135-ter, se l’Assemblea sarà chiamata a votare, essa si troverà dunque a tutelare la corretta composizione del Senato. Infatti, va sottolineato che, quando si propone la decadenza in esito alla contestazione dell’elezione, vengono in gioco soltanto la verifica della sussistenza dei requisiti di legge e dei presupposti oggettivi che consentono di rivestire la carica di Senatore. Non si discute – né tantomeno si vota – sulle qualità o le caratteristiche personali del singolo, ma soltanto sulla legittimità della sua permanenza nel mandato e, dunque, sulla legittima composizione dell’Assemblea. Questo dato decisivo è, nel caso specifico, confermato dalla trasmissione, da parte della Suprema Corte di Cassazione, di una sentenza definitiva di condanna tra i cui effetti giuridici automatici, vi é quello della decadenza determinata dall’applicazione di un atto avente forza di legge.
Alle medesime conclusioni si perviene analizzando le norme che disciplinano i lavori della Camera dei deputati. Ai sensi dell’articolo 49, comma primo, del Regolamento, le votazioni hanno luogo a scrutinio palese, salvo il caso in cui 30 deputati (ovvero uno o più presidenti di gruppi che, separatamente o congiuntamente, risultino di almeno pari consistenza numerica) richiedano lo scrutinio segreto nelle sole materie ivi previste; le votazioni riguardanti le persone sono in ogni caso effettuate. a scrutinio segreto. Tuttavia, l’articolo 2, comma secondo, del Regolamento della Giunta delle elezioni precisa che «le votazioni in materia di verifica dei poteri, ineleggibilità, incompatibilità e decadenza non costituiscono votazioni riguardanti persone ai sensi dell’articolo 49, comma 1, del Regolamento della Camera». Pur trattandosi di una norma che non attiene direttamente ai lavori del plenum, appare evidente che una volta che alle votazioni in materia di verifica dei poteri non si riconosce la natura di votazioni sulle persone, tale principio non può trovare applicazione solamente in Giunta e non anche in assemblea. In tale direzione, del resto, si é espressa la Giunta per il regolamento nella seduta del 6 giugno 2007. In tempi non sospetti, quell’organismo, trovatosi di fronte all’esigenza di svolgere l’interpretazione che oggi noi siamo a nostra volta chiamati a compiere, affermò che le elezioni contestate «concernono l’esistenza di una situazione giuridica e la sua conformità all’ordinamento, e chiamano direttamente e prioritariamente in causa lo legittima composizione dell’Assemblea». Di qui, ancora una volta, la prevalenza della natura istituzionale delle deliberazioni da adottare che non ha nulla a che fare con la singola persona, poiché questi procedimenti rispondono all’esigenza di accertare elementi di diritto oggettivo che o discendono dalla procedura elettorale, oppure si fondano sulla sopravvenuta cessazione oggettiva e inconfutabile di uno dei requisiti per coprire la carica parlamentare. A ciò si aggiunga che nel 1993 la medesima Giunta per il Regolamento della Camera dei deputati si era pronunciata, con un apposito parere, anche in merito alle deliberazioni da adottare in materia di autorizzazioni a procedere e di autorizzazioni ad acta per arresti, perquisizioni personali e domiciliari e provvedimenti restrittivi della libertà personale, ritenendo – conformemente al Senato – che non si trattasse di votazioni sulle persone, ma di delibere aventi ad oggetto le prerogative dell’organo
costituzionale (2).
Intendo precisare, per inciso, che la vicenda che condusse la Giunta per il regolamento della Camera ad adottare, nel giugno del 2007, l’interpretazione in base alla quale il voto sulle procedure di convalida delle elezioni si effettua a scrutinio palese é del tutto identica a quella cui ci si trova di fronte qui in Senato. Infatti, alla vigilia della calendarizzazione di un voto in Assemblea, l’allora Presidente della Camera sottolineò la novità della questione che aveva di fronte come ragione fondamentale che giustificava la necessità di procedere all’interpretazione sul metodo di votazione. Anche in quella circostanza, la richiesta era pervenuta da un gruppo parlamentare di opposizione (quello di Forza Italia). Quindi, mi permetto di far rilevare per quel che mi compete, che allora come oggi la necessità di procedere all’esegesi delle norme regolamentari nasce da due elementi concorrenti: la novità della questione specifica alla nostra attenzione e l’espressa richiesta avanzata da un gruppo parlamentare.
Posto pertanto che le votazioni in materia di verifica dei poteri (art. 66 Cost.) e di autorizzazione all’adozione di provvedimenti restrittivi della libertà personale (art. 68, commi secondo e terzo, Cost.) non sono da considerare come incidenti sulle persone, bensì rispettivamente sulla regolare composizione e sulle prerogative dell’organo costituzionale, resta da chiarire cosa debba intendersi per «votazioni sulle persone», onde evitare di svuotare completamente di significato la disposizione di cui all’articolo 113, comma terzo, del Regolamento del Senato. Sul punto, è d’ausilio la giurisprudenza della Giunta per il regolamento della Camera, la quale ha dapprima evidenziato che la regola generale che disciplina le delibere è lo scrutinio palese, sicché le deroghe devono essere di stretta interpretazione (seduta del 7 febbraio 2002), e in seguito ha precisato che le votazioni sulle persone sono esclusivamente quelle concernenti: a) elezioni da parte dell’Assemblea o delle Commissioni; b) dimissioni di deputati; c) autorizzazioni a procedere per reati ministeriali; d) pareri in Commissione sulle proposte di nomina del governo ai sensi della legge n. 14 del 1978 (seduta del 7 marzo 2002). Sul punto, merita ad ogni modo evidenziare che, presso l’assemblea del Senato, le autorizzazioni a procedere per i reati ministeriali sono votate a scrutinio palese ai sensi dell’articolo 135-bis.
In conclusione, gli argomenti esaminati ci portano ad affermare che le votazioni del Senato sulle proposte della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, rese a norma dell’articolo 135-ter del Regolamento, non sono votazioni sulle persone, ai sensi dell’articolo 113, comma terzo, del medesimo Regolamento. Esse devono, pertanto, essere adottate a scrutinio palese. Proprio alla luce di queste considerazioni, si propone che la nuova questione oggetto dell’interpretazione di questa Giunta sia risolta adottando il seguente orientamento:
«La Giunta per il Regolamento esprime il parere che, nel corso dell’esame in Assemblea delle proposte della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari riguardanti elezioni contestate, nonché sulle proposte in materia di ineleggibilità originaria o sopravvenuta, di incompatibilità e di decadenza, eventuali ordini del giorno in difformità dalle conclusioni da questa presentate siano sottoposti alla disciplina generale relativa ai modi di votazione e, non trovando applicazione l’articolo 113, comma 3, del Regolamento, siano votati in modo palese. Ciò in quanto le deliberazioni in materia di verifica dei poteri, ai sensi dell’articolo 135-ter, comma 2, costituiscono espressione della prerogativa dell’organo parlamentare riconducibile all’articolo 66 della Costituzione, in base al quale ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissibilità dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità. Una conclusione rafforzata, del resto, proprio dalla particolare natura della funzione assolta dal Sentito nel giudizio relativo ai titoli di ammissibilità dei propri componenti, a tutela dell’integrità del proprio plenum e della legittimita` della propria composizione.
Ne consegue che, in analogia con quanto deciso dalla Giunta per il Regolamento il 6 maggio 1993, con riferimento all’articolo 68 della Costituzione, anche quelle previste dall’articolo 135-ter, comma 2, non possono intendersi come votazioni riguardanti persone.
Tale interpretazione entra immediatamente in vigore».
Concludo con un richiamo che credo possa rassicurare anche chi teme che con questa interpretazione si rischi di uscire dal solco dei principi fondamentali del dettato costituzionale da cui derivano anche quelli legati al funzionamento delle Camere. Già l’onorevole Aldo Moro, illustrando il suo emendamento soppressivo della codificazione costituzionale del voto a scrutinio segreto in Assemblea Costituente, svolse un’analisi che meriterebbe di essere recuperata nella sua interezza e che si concludeva con il «rifiuto a consacrare costituzionalmente questo strumento di votazione che ha già dato luogo a tanti inconvenienti, poiché da un lato tende a incoraggiare i parlamentari meno vigorosi nell’affermazione delle loro idee e dall’altro tende a sottrarli alla necessaria assunzione di responsabilità di fronte al corpo elettorale per quanto hanno sostenuto e deciso nell’esercizio del loro mandato».
Le norme del Regolamento consentono, come abbiamo visto, di assumere questa responsabilità in modo forte e trasparente. Abbiamo l’opportunità, onorevoli colleghi, pure in un passaggio non semplice come questo, di rafforzare la credibilità dell’Istituzione in cui temporaneamente abbiamo l’onore di operare e di riannodare alcuni dei molti fili spezzati negli ultimi anni fra gli italiani ed i propri rappresentanti.
Sono certo che sapremo farne tesoro.
Grazie

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(1) Entrata in vigore la Costituzione, la Camera dei deputati, allo scopo di affermare il principio della continuità con l’ordinamento statutario, deliberò di adottare, con alcune lievi modifiche, le norme regolamentari della Camera prefascista, e cioé il testo di inizio secolo con le modifiche apportate fino al 1922. Peraltro, si trattava dello stesso testo impiegato anche alla Costituente. Quanto al Senato, dove a partire dal 1910, era dominante la regola dello scrutinio palese nelle votazioni finali delle leggi, quando si trattò di discutere del criterio della prevalenza, quest’ultima fu accordata allo scrutinio segreto. Con i regolamenti del 1971 il voto a scrutinio segreto diventò (anche per effetto dell’introduzione del sistema elettronico) di uso ordinario, trasformandosi in un sistema abituale di votazione. L’ipotesi di delimitazione dei casi in cui votare a scrutinio segreto venne alla fine sostenuta come soluzione volta ad imprimere funzionalità ai lavori parlamentari attraverso il contenimento del fenomeno dei «franchi tiratori» e favorire, al termine della stagione del consociativismo, una più nitida distinzione di ruoli tra maggioranza e opposizione. In questo senso, può dirsi che la prevalenza del sistema di voto palese costituì il preludio alla virata del sistema politico in chiave maggioritaria e, implicitamente, uno dei rari correttivi razionalizzanti allo stesso esplicarsi della nostra forma di governo parlamentare.
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(2) Eccone il testo: «La Giunta e` stata chiamata per iniziativa del Presidente, per la prima volta dopo la riforma del 1988, ad esprimere un parere sulla prassi interpretativa del nuovo testo dell’articolo 49 del Regolamento per la parte relativa alle "votazioni riguardanti le persone" e segnatamente sulle modalità di votazione delle autorizzazioni a procedere, finora effettuate per tale prassi tutte a scrutinio segreto.
La Giunta ritiene che l’oggetto proprio di tali deliberazioni consista in una decisione su un atto di prerogativa attraverso cui si esercita la garanzia della indipendenza e libertà della funzione parlamentare, nel rapporto con altri organi dello Stato, e non costituisca pertanto questione riguardante persone. Una conferma di tale valutazione può trarsi anche dalla prassi parlamentare precedente alla modifica dell’articolo 49 del Regolamento della Camera, prassi che ha registrato una netta preponderanza di votazioni palesi pur in presenza di norme che stabilivano la prevalenza, a richiesta, dello scrutinio segreto. Va inoltre ricordata (è il caso del Senato prima della modifica regolamentare del 1988, nonché della Camera per il periodo statutario) l’esistenza di una prassi che contemplava il costante e non contestato ricorso al voto palese nelle deliberazioni sulle autorizzazioni a procedere pur in presenza di norme – statutarie o regolamentari – che prevedevano l’obbligo di votazione segreta su questioni relative alle persone.
La Giunta, per tali considerazioni, esprime il parere che una più puntuale e meditata interpretazione dell’articolo 49 conduca a ritenere che le deliberazioni concernenti le autorizzazioni a procedere debbano essere votate a scrutinio palese. Esprime inoltre il parere che le autorizzazioni a procedere concernenti la sottoposizione all’arresto, alla perquisizione personale e domiciliare o ad altra privazione della libertà personale, ricadano nella disciplina prevista dalla seconda parte del primo comma dell’articolo 49 che prevede la «prevalenza, a richiesta, dello scrutinio segreto, per votazioni comunque attinenti ai diritti di libertà ivi richiamati» (Camera dei deputati, XI legislatura, parere della Giunta per il Regolamento del 5 maggio 1993).