AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE (3ª)

MARTEDÌ 26 FEBBRAIO 2008
105ª Seduta

Presidenza del Vice Presidente
TONINI
Interviene il vice ministro degli affari esteri Patrizia Sentinelli.

La seduta inizia alle ore 13,05.


SUI LAVORI DELLA SOTTOCOMMISSIONE PER I PARERI

Il presidente TONINI propone di sospendere la seduta al fine di consentire l'espressione di pareri urgenti da parte della Sottocommissione per i pareri.

La Commissione conviene.

La seduta, sospesa alle ore 13,10, riprende alle ore 13,25.


PROCEDURE INFORMATIVE

Seguito dell'indagine conoscitiva sulla politica della cooperazione allo sviluppo e sulle prospettive di riforma della relativa disciplina: seguito dell'esame e approvazione del documento conclusivo: Doc. XVII, n. 8.

Riprende l’indagine conoscitiva sospesa nella seduta del 20 febbraio scorso.

Il presidente relatore TONINI (Aut) ricorda che, con riferimento al dibattito svoltosi nel corso della precedente seduta, é emersa l'esigenza di apportare delle modifiche allo schema di documento conclusivo dell'indagine conoscitiva in titolo illustrato nella seduta dello scorso 13 febbraio.

Il senatore MARTONE (RC-SE) sottolinea l'esigenza di riformulare il testo del documento conclusivo, con particolare riguardo, in primo luogo, alla precisazione che non si tratti di un documento propriamente finale, in quanto, a causa dello scioglimento anticipato delle Camere, non si è potuto concludere il programma delle audizioni della relativa indagine conoscitiva.
Ritiene inoltre necessario un esplicito riferimento alle problematiche ambientali globali e alla crescita culturale delle popolazioni beneficiarie degli interventi di cooperazione allo sviluppo.
Per quanto concerne i riferimenti al testo unificato proposto dal relatore Tonini in ordine all’esame dei disegni di legge in materia di cooperazione allo sviluppo all’esame della Commissione, evidenzia poi l'esigenza di richiamare i dubbi espressi da talune forze politiche in merito alle competenze assegnate al Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (CICS), rilevando in particolare la necessità che siano esclusi i compiti di micromanagement. Chiede altresì di precisare che il Governo e alcune forze politiche hanno ipotizzato per l’istituenda Agenzia un ruolo quale organo di attuazione, oltre che di mera esecuzione dei programmi, nonché di affermare l'esigenza che sul piano strutturale disponga di un'idonea articolazione territoriale, come peraltro sottolineato dai rappresentanti dell'OCSE/DAC e della Commissione europea intervenuti in audizione, anche al fine di rafforzare l’ownership dei paesi beneficiari.
Sollecita altresì il riconoscimento di uno spazio più significativo alle posizioni espresse dalle organizzazioni non governative che, ancorché non ascoltate per via dello scioglimento anticipato delle Camere, hanno trasmesso alla Commissione dei contributi recanti le loro osservazioni, anche al fine di non offrire la percezione che per società civile si intenda solamente il mondo delle imprese.
In conclusione, fa presente che, quand'anche vengano accolte dalla Commissione tali rilievi, ritiene di non poter esprimere un voto favorevole alla luce del tenore complessivo del documento.

Il presidente relatore TONINI (Aut) propone una riformulazione dello schema di documento conclusivo (allegata al presente resoconto), alla luce delle considerazioni emerse nel dibattito, con particolare riguardo alle osservazioni svolte dal senatore Martone, ricordando, peraltro, che l’interruzione anticipata della legislatura non ha consentito di acquisire formalmente l’avviso del Governo sullo schema di testo unificato proposto alla Commissione in qualità di relatore.

Il senatore MANTICA (AN), nel dichiarare il proprio voto favorevole allo schema di documento conclusivo come riformulato, sottolinea l'opportunità che la Commissione si esprima in senso unanime al fine di lasciare agli atti un documento utile alla prosecuzione, nella prossima legislatura, del dibattito sulla riforma.

Il senatore MELE (SDSE) si unisce alle considerazioni espresse circa l'opportunità di un voto condiviso sulla proposta riformulata, a significare, ancorché permangano riserve nel merito, l'approccio costruttivo che ha contrassegnato l'andamento dei lavori.

Il senatore MICHELONI (PD-Ulivo), esprimendo apprezzamento per l’intenso lavoro svolto in molte riunioni dei componenti del Comitato ristretto sulla cooperazione allo sviluppo, dalla Commissione e, in particolare, dal relatore, dichiara il voto favorevole della sua parte politica sul documento conclusivo come testé riformulato, auspicando che il recepimento delle osservazioni espresse dal senatore Martone ne consenta un’approvazione unanime.

Il senatore COSSUTTA (IU-Verdi-Com) interviene per dichiarare il proprio voto favorevole.

Il senatore PIANETTA (DCA-PRI-MPA) preannuncia il proprio voto favorevole sulla proposta di documento conclusivo, come riformulato, posto che riassume i contenuti dei lavori condotti nel corso della presente legislatura.

Il senatore FRUSCIO (LNP), nel dichiarare il proprio voto favorevole, sottolinea l'importanza di lasciare agli atti un documento condiviso che possa costituire la base per la ripresa del dibattito sulla riforma della disciplina sulla cooperazione allo sviluppo nella prossima legislatura.

Il senatore MARTONE (RC-SE) fa presente che nonostante si sia trovato un accordo di massima sulla necessità di assicurare una gestione unitaria della cooperazione allo sviluppo attraverso una figura di forte rilievo politico, residuano tuttavia rilevanti riserve su punti a suo avviso essenziali della riforma sui quali non si è raggiunto l'accordo, come ad esempio l'articolazione territoriale dell'Agenzia. Fatta questa premessa, ritiene comunque di annunciare il voto favorevole, esclusivamente volto a significare il rispetto nei confronti dell'impegno profuso da parte di tutte le forze politiche nella ricerca di soluzioni condivise nell'ambito del relativo iter.

Il senatore DEL ROIO (RC-SE), associandosi alle considerazioni testé espresse dal senatore Martone, esprime un voto favorevole ancorché permangano significative riserve in ordine a taluni profili di merito.

Previa verifica del numero legale, la Commissione approva all'unanimità lo schema di documento conclusivo sull’indagine conoscitiva in titolo come testé riformulato dal presidente relatore Tonini, deliberando altresì di provvedere alla pubblicazione dei relativi atti.

La seduta termina alle ore 13,50 .

DOCUMENTO CONCLUSIVO DELL’INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POLITICA DELLA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO E SULLE PROSPETTIVE DI RIFORMA DELLA RELATIVA DISCIPLINA


1. Premessa

Il tema di una riforma della legge n. 49 del 1987 è molto sentito e purtroppo non ancora risolto nei lavori parlamentari nel nostro Paese. Come è noto, si tratta di una riforma attesa da molti anni: la legge n. 49 del 1987 è certamente una buona legge, ma mostra i segni del tempo. Molte iniziative parlamentari, sia nella XIII che nella XIV legislatura, purtroppo non sono riuscite ad arrivare in porto.
In questa legislatura si è riscontrato un fatto nuovo, politicamente molto rilevante, rappresentato dalla presenza di un disegno di legge di iniziativa governativa: quindi, per la prima volta, il Governo ha avanzato una sua proposta consistente in un disegno di legge delega sull'intera materia (Atto Senato n. 1537). Questo è apparso un elemento molto significativo, perché invece in precedenza l’Esecutivo si era tenuto fuori dalla fase propositiva, con il risultato che le contraddizioni interne alla maggioranza e le difficoltà fra i Ministeri e le diverse amministrazioni avevano fatto impantanare la discussione. Questa volta il Governo ha fatto delle scelte. Tale fatto, politicamente rilevante, ha consentito al confronto di instradarsi su un percorso probabilmente più intenso. Il Governo naturalmente ha consentito alla richiesta dell'opposizione di mettere il suo disegno di legge alla pari, nel confronto, con gli altri disegni di legge di iniziativa parlamentare. D'altro canto, l'opposizione ha accettato di avere un approccio costruttivo e positivo sull’argomento. Questa duplice disponibilità ha consentito di dare vita ad un Comitato ristretto (composto dal senatore Giorgio Tonini, relatore sui disegni di legge in materia di riforma della disciplina sulla cooperazione allo sviluppo, nonché dai senatori Giulio Andreotti, Roberto Antonione, Mario Baccini, Armando Cossutta, Dario Fruscio, Francesco Martone, Giorgio Mele, Alfredo Mantica, Enrico Pianetta e Claudio Micheloni), nel quale i Gruppi parlamentari ed il Governo hanno lavorato assieme per arrivare al testo unificato proposto dal relatore.
Così si è proceduto nel Comitato ristretto, apprezzando il lavoro del Governo, non assumendo il disegno di legge delega come testo base ma procedendo con un disegno di legge di iniziativa parlamentare che unificasse i diversi testi presentati, tra i quali in primo luogo quello del Governo, e si muovesse nella logica dell'impianto di un disegno di legge ordinario, eventualmente con alcune deleghe su punti specifici, come ad esempio l’istituzione dell'Agenzia. Il Comitato ristretto, costituito il 30 maggio 2007 ha tenuto circa 30 riunioni, alla luce dei cui risultati il relatore ha ritenuto di presentare alla Commissione, nella seduta del 5 dicembre 2007, una sua proposta di testo unificato per i vari disegni di legge in materia, incluso quello del Governo, presentati al Senato.
Si è lavorato in Commissione cercando di valorizzare il più possibile quello che, nel linguaggio diplomatico, è conosciuto come il "metodo per consenso". L'approccio sotteso alla predisposizione del suddetto testo è stato quello di una ricerca del consenso da concentrare attorno ad una proposta normativa che fosse quanto più possibile condivisa, evitando così il classico metodo parlamentare di confronto tra maggioranza ed opposizione. Ciò è dovuto sostanzialmente a due ragioni: la prima, si richiama ad una valutazione dei rapporti di forza politica in Senato che allo stato non consentivano di intraprendere strade differenti; l'altra, più forte e di principio, attiene al fatto che per la Commissione, la politica estera rappresenta l'interesse italiano nel mondo, e come tale dovrebbe poter superare i cicli dell'alternanza politica.
La riforma della disciplina in materia di cooperazione allo sviluppo presenta in qualche modo aspetti di natura istituzionale, posto che va ad incidere su una parte significativa del nostro sistema e che quindi quanto più è condivisa tanto maggiori sono le possibilità che duri nel tempo. Quindi, a maggior ragione è importante che, sulla struttura fondamentale di una parte così importante della politica estera del nostro Paese, sulle regole che devono governarla, ci sia un consenso di fondo del Parlamento italiano, a prescindere da chi pro tempore in quel momento ha responsabilità di Governo. Tale condivisione costituisce forse l'unica condizione per non perdere del tutto il lavoro fin qui svolto e quindi per poterlo opportunamente utilizzare nell'ambito di una prossima legislatura.
Tale testo non è ancora risolutivo di tutte le diverse accentuazioni, di tutti i nodi, alcuni dei quali ancora persistono nel confronto parlamentare: riscontrando come sia emerso un generale consenso su ampia parte dello stesso, si rileva tuttavia che risultano in atto permanere delle riserve da parte di taluni componenti del Comitato ristretto con riferimento, ad esempio, all’istituzione e alle caratteristiche di un’Agenzia per la cooperazione e ad altri punti. Tuttavia è stato possibile procedere ad una prima fase di elaborazione in sede di Comitato ristretto tornando in Commissione con un testo base proposto dal relatore, sul quale la Commissione ha stabilito di incentrare l'indagine conoscitiva già deliberata il 17 gennaio 2007, con le audizioni dei rappresentanti del Governo e di altri organismi internazionali (a cominciare dai principali Ministeri interessati alla cooperazione allo sviluppo), di organismi internazionali multilaterali (l'Unione europea, l'OCSE-DAC, alcune agenzie dell'ONU), delle forze sociali ed economiche interessate presenti nel nostro Paese.
La Commissione ha infatti ritenuto che solo se collocate a questo punto dei lavori le audizioni potevano avere un impatto operativo. Del resto, l’argomento non è nuovo, quindi la letteratura in proposito è ampia e abbondante. Si voleva invece che le audizioni si svolgessero su un testo da poter anche criticare e migliorare con l'aiuto dei soggetti auditi.


2. I lavori dell'indagine conoscitiva

I lavori dell'indagine conoscitiva, deliberata il 17 gennaio 2007, si sono aperti il 15 marzo 2007 con l'intervento del Vice Ministro degli affari esteri, Patrizia Sentinelli, e sono proseguiti con dieci audizioni, fino al 22 gennaio 2008. Nel corso di tali sedute la Commissione ha quindi ascoltato anche il consulente esterno dell’Inspection Panel della Banca mondiale, dottor Edoardo Abbot; l'ingegnere Giandomenico Ghella, presidente del Comitato lavori all'estero dell'ANCE; il dottor Vincenzo Mannino, segretario generale della Confcooperative; il dottor Giorgio Bertinelli, vice presidente della Lega delle Cooperative; il ministro plenipotenziario Enrico Granara, Presidente del Sindacato Nazionale Dipendenti del Ministero degli affari esteri (SNDMAE); il ministro plenipotenziario Alain Giorgio Maria Economides, Direttore generale della Direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri; il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Cento; il dottor Richard Manning, Presidente del Development Assistance Committee (DAC) dell'OCSE; il dottor Giacomo Barbieri, Coordinatore del Dipartimento internazionale CGIL; il dottor Luigi Cal, responsabile dell'Ufficio internazionale della CISL; dottor Roberto Bonvicini, Coordinatore della Direzione nazionale del progetto Sud-UIL; il dottor Stefano Manservisi, Direttore generale per lo sviluppo della Commissione europea.
L'interruzione della legislatura non ha consentito di completare il programma delle audizioni con l'incontro dei rappresentanti delle organizzazioni non governative, della Confindustria, degli enti locali (ANCI e UPI) e delle regioni, cui è stato tuttavia richiesto di fornire dei contributi scritti, nonché di altri Ministeri interessati alla problematica in argomento. Il presente documento, pertanto, è volto a riassumere il cospicuo lavoro realizzato e ad offrire un contributo alle future, auspicabili iniziative legislative, cercando di evidenziare, da un lato, i nodi più problematici ma anche, dall'altro, i punti su cui si è riscontrato un più ampio consenso, nella consapevolezza dei limiti derivanti dal mancato completamento del programma delle audizioni e, soprattutto, dell'esame in sede referente dei citati disegni di legge. Al fine di disporre di un'esauriente panoramica delle posizioni emerse su ciascuno dei suddetti nodi la lettura del documento va quindi necessariamente integrata con gli atti dell'indagine conoscitiva e quelli relativi all'esame dei disegni di legge concernenti la riforma della disciplina in materia di cooperazione allo sviluppo che a tal fine la Commissione ha stabilito di raccogliere in un'unica pubblicazione.


3. Obiettivi e principi generali della riforma della disciplina sulla cooperazione allo sviluppo

In effetti, in questi anni la cooperazione allo sviluppo a livello internazionale sta cambiando radicalmente. Nel ragionamento svolto in Commissione, si è cercato di muovere proprio da questo punto e, probabilmente, ancora non si è arrivati ad una soluzione del tutto soddisfacente. Il punto dal quale è partita la Commissione, infatti, è proprio l’idea che la cooperazione non possa più essere considerata come un dono dei paesi ricchi nei confronti dei paesi poveri. Impostare il tema della cooperazione allo sviluppo in termini di rapporto tra paesi ricchi che devono donare qualcosa ai paesi poveri significa avere una visione sbagliata e arcaica della cooperazione. Oggi, infatti, lo stesso concetto di paese in via di sviluppo è del tutto approssimativo e inadeguato.
Del resto, vi è ormai una presenza fortissima, in qualche caso formidabile, di paesi che qualche anno fa avremmo definito in via di sviluppo e che ora stanno diventando partner fondamentali allo sviluppo di alcune aree del mondo: si pensi alla presenza crescente della Cina e dell'India in Africa, che sta diventando una realtà di assoluta e straordinaria rilevanza. Spesso, il nodo cruciale e il tema di confronto sono proprio le infrastrutture. Molti sono gli esempi di accordi bilaterali tra la Cina e singoli Stati africani con concessioni per lo sfruttamento di materie prime da parte della Cina in cambio della costruzione di infrastrutture.
Questo tema è diventato molto importante e, naturalmente, in Occidente e in Europa si scontra spesso con un'altra esigenza, molto avvertita e molto forte nei nostri paesi: quella di coniugare lo sviluppo con la crescita sociale, democratica, culturale e civile di questi paesi e di evitare che, appunto, lo sviluppo economico in assenza di questo tipo di contesto diventi uno sviluppo che ignora le questioni dei diritti umani (quale, appunto, la crescita democratica di questi paesi) e delle problematiche ambientali globali. Vero è che la sfida, nel momento storico presente, è proprio riuscire a coniugare questi due aspetti nella consapevolezza che l’Europa oggi ha un concorrente. Forse il concetto di Occidente è più incerto ma, certamente, l’Europa ha dei competitori che non si fanno scrupoli, concludendo affari e basta. Naturalmente è questo un tema rispetto al quale non si possono non fare i conti.
Il punto focale su cui si è costruita questa convergenza, che è peraltro tutt'altro che definita, è quello della unitarietà dell'indirizzo politico nella cooperazione allo sviluppo. Tale unitarietà muove da un'affermazione solennemente proposta già nei primissimi articoli del testo del disegno di legge, ossia la collocazione della cooperazione allo sviluppo come parte qualificante ed integrante della politica estera.
Ciò premesso, nel corso delle audizioni, in particolare quella del dottor Manservisi della Commissione europea, è emerso che nel testo unificato sembra esservi "poca Europa", osservazione che è apparsa condivisibile. Dovrà quindi essere cura del Parlamento provvedere ad ampliare la dimensione europea nell'ambito del testo unificato qualora lo stesso dovesse essere preso a base di futuri lavori.
Ma la condizione fondamentale per ampliare la dimensione europea nella politica della cooperazione italiana, è che in tale ambito ci sia soprattutto "più Italia", nel senso di un più efficace sistema Paese.
Il punto dal quale si è partiti e che ha costituito anche l'elemento unificante e maggiormente condiviso nella discussione, al di là dei tanti elementi di dettaglio pure importanti su cui sono emerse divisioni, è che se oggi lo sforzo del Paese - certamente insufficiente rispetto agli impegni internazionali, ma comunque significativo nel suo insieme soprattutto se al di là della dimensione nazionale statale si considera anche quella decentrata rappresentata dalla forte società civile italiana e della nostra realtà territoriale che se a volte rendono frammentato il nostro Paese, per altri versi costituiscono anche la nostra ricchezza - non viene ricondotto a sistema, non si riuscirà neanche ad apparire in Europa. Quindi diventerà difficile anche utilizzare e spendere tale impegno in ambito internazionale, a cominciare proprio dalla dimensione europea.
Il nostro obiettivo fondamentale è quindi che ci sia "più Italia" e ciò richiede un maggior coordinamento, il che, per altro verso, è anche garanzia di maggiore trasparenza.
Oggi il Paese non conosce esattamente le iniziative italiane che hanno luogo nel mondo, ove per Paese si intende non solo l'opinione pubblica, ma anche il Parlamento e lo stesso Ministero degli affari esteri. In questo caso si può affermare che si incontrano difficoltà di coordinamento persino in seno al Governo tra il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero degli affari esteri e gli altri Ministeri che sono attori a vario titolo di iniziative di cooperazione allo sviluppo, come i Dicasteri dell'ambiente e tutela del territorio e del mare e per i beni e le attività culturali.
Ebbene, tutto questo va in qualche modo ricondotto ad unità, senza utopie o illusioni dirigistiche, ma quanto meno dando vita ad un lavoro di messa in rete. E’ in tal senso che va quindi intesa l'idea di definire un programma triennale di cooperazione, attraverso un meccanismo che deve considerare il Governo nella sua collegialità, nel cui ambito vi è però un dominus che non può che essere il Ministro degli affari esteri. Tuttavia, nella fase ascendente della formazione di questo programma, che pur essendo triennale va annualmente aggiornato sulla base della legge finanziaria, è necessario prevedere anche il coinvolgimento della società civile nelle sue diverse dimensioni; si tratta, in particolare, del sistema delle autonomie territoriali, che oggi rappresentano un attore imprescindibile di questo scenario. Attorno a queste ipotesi sembra che si sia manifestato un consenso molto forte e maturo.
Al riguardo, nel Capo I del testo proposto dal relatore si è cercato di delineare i principi fondamentali e le finalità della cooperazione allo sviluppo, tenendo conto dell’evoluzione che si è verificata nell’ambito dell’ordinamento e delle relazioni internazionali successivamente all’adozione della legge n. 49 del 1987, che attualmente disciplina la materia, sancendo, da un lato, il carattere solidaristico della cooperazione, volta alla costruzione di relazioni fondate sui principi di indipendenza e di partenariato e, dall’altro, che essa costituisce parte integrante della politica estera.


4. Quadro istituzionale e "ciclo" della cooperazione

Il cuore del disegno di legge, dal punto di vista della configurazione istituzionale, è il programma triennale aggiornato annualmente, che viene definito ed approvato dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro degli esteri, con il parere delle competenti Commissioni parlamentari di Camera e Senato, della Conferenza unificata Stato, Regioni e autonomie locali e della Consulta per la cooperazione.
Il punto focale su cui si è costruita questa convergenza, tutt'altro che definita, è quello della unitarietà dell'indirizzo politico nella cooperazione allo sviluppo. Tale unitarietà muove da un'affermazione solennemente proposta già nei primissimi articoli del testo del disegno di legge, ossia la collocazione della cooperazione allo sviluppo come parte qualificante ed integrante della politica estera. È a partire da questo che si è costruito un sistema che vede nel Ministero degli affari esteri il protagonista principale, così da garantire una unitarietà dell’indirizzo di fondo che è giusto la cooperazione abbia e che l'attuale sistema invece non assicura, con gravi costi in termini di consapevolezza degli sforzi che pure il nostro Paese compie.
Una cooperazione frammentata in mille rivoli sfugge infatti perfino alla consapevolezza da parte dello stesso Paese che la realizza. Ci sono azioni straordinarie che il nostro Paese intraprende e che il Paese stesso non conosce. C'è inoltre anche un problema di trasparenza democratica e quindi di discussione pubblica sugli indirizzi e sugli obiettivi fondamentali. Basti pensare che allo stesso Parlamento, e in particolare alla Commissione esteri, sfuggono parti importanti della cooperazione allo sviluppo perché queste hanno oggi una sede di verifica parlamentare presso altre sedi o altre Commissioni che sono ovviamente meno interessate al merito della questione. La 3ª Commissione ha inteso pertanto affermare con vigore questo elemento di forte unitarietà, in vista del confronto con il Governo e con l’auspicio del consenso dell’intero Parlamento.
Il principio dell’unitarietà di fondo dell'indirizzo politico trova la sua prima concretizzazione nel programma triennale che viene aggiornato annualmente. Vanno registrati positivamente l'attenzione e l'interesse del Ministero dell'economia e delle finanze sulla proposta di collocarlo temporalmente a monte anziché a valle della manovra finanziaria. Questo tema è da approfondire in quanto si intravedono nella proposta del Ministero dell’economia e delle finanze notevoli punti di interesse: su di esso il confronto e l'approfondimento andranno quindi avanti.
In primo luogo, vi è dunque un documento triennale di programmazione e indirizzo, che viene aggiornato ogni anno dal Consiglio dei ministri. È stato previsto quindi un Fondo unico, che contiene alcune eccezioni, ma questo è frutto della mediazione - in questo caso interna al Governo - tra il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero degli affari esteri. Il primo ha accettato di essere dentro al programma triennale, ma non dentro al Fondo unico. Si possono anche immaginare soluzioni diverse e più radicali, anche se, nell'ambito dell'audizione del Presidente dell’OCSE/DAC, Richard Manning, è stato spiegato che in diversi paesi del mondo esiste un problema di coordinamento tra ministero degli esteri e ministero dell'economia e delle finanze, posto che quest’ultimo gestisce i rapporti con le istituzioni finanziarie multilaterali. Nel Comitato ristretto si è comunque trovato un punto di equilibrio che consente di fare un passo avanti, un salto di qualità, nel senso di riportare tutta la parte economica e finanziaria all'interno di una programmazione generale comunque posta sotto la regia del Ministero degli affari esteri.
Il Capo II delinea quindi l’indirizzo, il governo e il controllo della cooperazione precisando che la responsabilità politica aspetta al Ministro degli affari esteri prevedendo, l’elaborazione di un documento triennale di programmazione e di indirizzo, aggiornato annualmente, approvato dal Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro degli affari esteri attraverso un procedimento che prevede il coinvolgimento delle Commissioni parlamentari, della Conferenza unificata Stato - Regioni ed Enti locali e della Consulta per la cooperazione allo sviluppo di cui all’articolo 16, rappresentativa dei soggetti della società civile. Il Capo II reca inoltre disposizioni volte ad assicurare un migliore raccordo fra il Ministero degli affari esteri ed il Ministero delle finanze, la cui necessità è stata sovente riscontrata dalla Commissione, formalizza l’istituzione di un Vice Ministro competente ad hoc nonché di un fondo unico cui dovrebbero confluire tutte le risorse destinate attualmente ad iniziative di cooperazione, salvo quelle di competenza del Ministero dell’economia e delle finanze, nonché di un Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (CICS), che costituirebbe la principale differenza rispetto all’impianto del disegno di legge di iniziativa governativa.


5. Il Fondo unico

Il secondo aspetto fondamentale attiene al Fondo unico, dal quale il testo unificato esclude per la verità la parte di competenza del Ministero dell'economia e delle finanze. Immediatamente dopo aver affermato questa unitarietà, che deve trovare nel documento triennale la sua complessiva razionalizzazione (e quindi anche un'unica relazione a consuntivo da presentare annualmente in Commissione affari esteri), è del tutto evidente che il Ministero dell'economia e delle finanze, per quanto riguarda i rapporti con le istituzioni finanziarie multilaterali, non può non veder riconosciuta autonomia nella gestione concreta delle risorse, sia pure nell'ambito della regia del Ministero degli affari esteri. Tale autonomia, del resto, era riconosciuta già nel testo del Governo, il quale introduceva un elemento innovativo che è stato recepito con il consenso generalizzato: si tratta di un meccanismo di intese molto chiaro e molto trasparente tra il Ministero degli affari esteri e il Ministero dell'economia e delle finanze.
Al riguardo è emersa l'esigenza di un approfondimento rispetto all’istituto della contabilità speciale. La Commissione si è infatti riproposta di verificare ulteriormente, anche a seguito delle sollecitazioni emerse con l'audizione del sottosegretario Cento, in che misura possiamo spingere tale contabilità in direzione della snellezza e della rapidità degli interventi, elemento cruciale per il successo della politica di cooperazione allo sviluppo. Anche quando non si tratti di emergenze, sono comunque interventi che hanno bisogno di tempi certi di erogazione proprio per la credibilità del nostro Paese, che certamente si gioca nelle istituzioni multilaterali, ma anche, allo stesso livello, nei rapporti bilaterali, quando bisogna intervenire su progetti a volte anche molto complessi.
Il Fondo unico verrebbe gestito nei suoi indirizzi fondamentali dal Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (CICS) con funzioni decisionali particolarmente stringenti rispetto ai progetti oppure, in alternativa, dall'Agenzia. Al riguardo si segnalano le sollecitazioni venute dai rappresentanti dell'OCSE e della Commissione europea nel senso di un'auspicabile precisazione delle funzioni del CICS nonché le perplessità avanzate al riguardo anche da taluni parlamentari con riferimento, tra l'altro, all'inopportunità che il CICS sia chiamato a deliberare nel merito su ciascun progetto.


6. L'Agenzia

Il nodo più delicato, e che non è stato ancora pienamente maturato all'interno della Commissione, è quello della strumentazione operativa. Il disegno di legge del Governo prevedeva una simmetria piena tra la programmazione governativa del Consiglio dei ministri e l’istituenda Agenzia, che sarebbe diventata il luogo nel quale amministrare il Fondo unico. Tale soluzione non ha trovato la maggioranza dei consensi in Commissione. Sono state quindi esplorate soluzioni più leggere, che si fondano su un'Agenzia con una struttura la più snella possibile, in modo da venire incontro a preoccupazioni come quelle di chi ha raccomandato di non sovraccaricare, da un punto di vista procedurale e organizzativo, la cooperazione allo sviluppo di una macchina autoreferenziale che finisca con il costare più delle risorse che si riescono ad erogare, in uno strano processo di entropia che purtroppo non è raro nella nostra amministrazione pubblica.
Si tratta quindi di adottare uno strumento operativo, che pure è necessario per portare fuori dall'amministrazione ministeriale la parte gestionale. In sostanza, si vuole evitare di costituire un'Agenzia per esigenze di tipo gestionale che finisca per diventare una sede politica impropria, con il risultato di generare un possibile dualismo politico.
Se si vuole seguire la strada di un’Agenzia che sia struttura operativa e non decisionale, è evidente infatti che bisogna collocare altrove il momento decisionale. Questo è un altro punto di equilibrio provvisorio. Sulle soluzioni delineate nel testo unificato proposto dal relatore non vi è un consenso unanime, ma è un punto di equilibrio rispetto ad una resistenza piuttosto ferma da parte di taluni componenti della Commissione, che hanno espresso in linea di principio la loro contrarietà a un ruolo decisionale dell’Agenzia. Temono infatti che si possa determinare un appesantimento burocratico e una confusione tra livello politico e livello gestionale e che possa diventare un luogo di sovrapposizione e di non efficace relazione con la struttura diplomatica. Molte di queste obiezioni sono fondate e trovano consensi nel mondo politico e parlamentare, ma anche in parte della società civile e nelle diverse articolazioni della diplomazia.
Per scongiurare il rischio che tale organo possa diventare un luogo di dibattito politico si è ritenuto opportuno non prevedere numerosi organi collegiali, condizione che in Italia spesso ha finito per diventare occasione di lottizzazioni e di rappresentanza politica impropria. Si rischiava di ricreare una sorta di duplicazione del Governo se non addirittura delle Commissioni parlamentari in seno all’Agenzia nell'ambito della quale magari sarebbero stati approvati progetti a seconda delle paternità politiche degli uni o degli altri.
Un’Agenzia con un'autorità monocratica, quindi con a capo un direttore o un segretario generale, addetto alla esecuzione - ovvero, secondo taluni, all'attuazione - di un piano stabilito in sede politica, eviterebbe duplicazioni, posto che in tale schema sarebbe il livello politico a discutere delle finalità e degli obiettivi, mentre l'Agenzia sarebbe chiamata a concentrarsi sulla parte esecutiva, ovvero anche su quella attuativa.
Infine, un ulteriore ordine di rilievi altrettanto delicati è quello della presenza dell’Agenzia nel mondo. A tale riguardo, è emersa una preoccupazione che non è solo corporativa, ma trova un suo fondamento da parte della diplomazia: come evitare, cioè, che l'Agenzia diventi, soprattutto in alcuni paesi, nei suoi terminali periferici, più forte, potente ed importante nel rapporto bilaterale rispetto all'ambasciata e alla figura dell'ambasciatore. Pertanto il problema di come mantenere in capo al rappresentante diplomatico dell'Italia il primato, la funzione di coordinamento nel rapporto con il paese nostro interlocutore, è un tema assolutamente importante e significativo.
Allora, l’ipotesi di risolvere il problema attraverso l’esclusione di strutture permanenti, non significa che non debba essere presente personale dell'Agenzia nei paesi con i quali l'Italia stabilisce relazioni bilaterali di cooperazione allo sviluppo, ma che si deve finalizzare tale presenza soltanto all'espletamento del lavoro necessario a portare avanti i progetti per il tempo che essi durano e nell'ambito di un coordinamento alle dipendenze – chiaramente - dell'ambasciata. Sul punto taluni componenti del Comitato ristretto e i rappresentanti dell'OCSE/DAC e della Commissione europea hanno segnalato peraltro l'importanza della presenza di strutture tecniche in loco anche al fine di assicurare una migliore interlocuzione con le realtà locali e, in definitiva, un rafforzamento della ownership da parte dei paesi beneficiari.
Si evidenzia quindi come il Capo IV, relativo all’istituzione dell’Agenzia per la cooperazione e la solidarietà internazionale, costituisca la parte più controversa del testo in esame in quanto proprio sul ruolo e sulla fisionomia della istituenda Agenzia sono emerse delle opinioni divergenti. Al riguardo si precisa che l’articolo 14 del testo proposto dal relatore si basa sull’impianto di massima del disegno di legge di iniziativa governativa da cui si differenzia, tuttavia, in quanto viene accentuato il carattere esecutivo dell’Agenzia stessa snellendone la struttura (imperniata sulla figura del direttore e sopprimendo organi collegiali previsti dal disegno di legge n. 1537 come il Comitato direttivo) e venendo rimossi quegli elementi che ne avrebbero potuto configurare un ruolo politico, che spetta invece al Ministro e al CICS.
Occorre pertanto lavorare sul raccordo tra il CICS e l'Agenzia, in modo da non ridurre il ruolo del CICS a quello di un mero ufficiale pagatore (come nella relazione del rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze si propone) che si occupa di questioni minute, ma senza neppure consegnare all'Agenzia un fondo aperto che possa essere poi gestito con un margine di discrezionalità politica eccessivo.


7. Altri aspetti operativi, la cooperazione decentrata e il ruolo delle autonomie territoriali

Il Capo III definisce gli ambiti di applicazione con riferimento ai contributi multilaterali, alle relazioni bilaterali, alle iniziative di carattere multibilaterale, all’emergenza umanitaria e alla più complessa questione della cooperazione decentrata e del coordinamento, in tale materia, tra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali.
Un altro aspetto da considerare, meno centrale e tuttavia ugualmente rilevante, è quello della cooperazione decentrata. Questo tema è un elemento di novità rispetto alla legge n. 49 del 1987, perché nel frattempo l'Italia è cambiata: oggi si può forse dire che la cooperazione, almeno quella fatta sui progetti, è prevalentemente decentrata, almeno dal punto di vista della quantità di progetti, visto che c'è un fiorire, a volte disordinato, di iniziative. Si è posto quindi il problema di come mettere ordine senza mortificare l'autonomia. Tra l'altro, in un paese come l'Italia, sarebbe perfino velleitario immaginare una grida manzoniana che riporti all'ordine, provocando soltanto ulteriore disordine.
Il relatore ha dunque proposto, nel testo unificato, una procedura consensuale, fondata sull'assunzione di responsabilità pubblica da parte di tutti i soggetti, che forse è l'unica strada per arrivare a una regolazione condivisa di questo comparto. È previsto un passaggio impegnativo e forte (del resto, questa è una scelta del Governo, dato che questa norma è presente nel disegno di legge delega d’iniziativa governativa), cioè la concertazione del programma triennale del Governo con la Conferenza unificata. L'unico parere vincolante previsto è quello della Conferenza unificata, perché negli altri casi si tratta di pareri obbligatori ma non vincolanti, come quello delle Commissioni parlamentari e quello della Consulta per la cooperazione, quindi delle ONG, degli attori della cooperazione.
L'unico parere davvero vincolante è quello della Conferenza unificata, naturalmente sulla base di un patto e, quindi, di un do ut des: lo Stato, come Governo, la valorizza al punto da consegnarle una doppia chiave, senza la quale non vi può essere il testo che il Ministro degli esteri porta al Consiglio dei Ministri, quindi le dà una corresponsabilità molto rilevante; in cambio, naturalmente, le chiede coerenza rispetto alle linee che ha concorso a determinare. L'obiezione che viene mossa più volte è che per l'eventuale mancata coerenza non vi è sanzione. In effetti, con l'attuale contesto costituzionale è difficile immaginare una sanzione.
Vi sono, tuttavia, due strumenti: uno è quello di cui all'articolo 12 del testo unificato proposto dal relatore, sulla cooperazione decentrata, in cui vengono definite le modalità con le quali devono essere realizzate le leggi provinciali e regionali in questa materia, in modo da chiarire qual è l'aspetto di principio che in questa potestà concorrente le Regioni e le Province autonome devono osservare e rispettare. Per altro verso, c'è l'obbligo di creare una banca dati, cioè di far conoscere a livello centrale, attraverso l'Agenzia, tutte le iniziative realizzate a livello decentrato. Può apparire un elemento minimale, tuttavia è importante, innanzitutto perché oggi non sappiamo quali e quante sono le iniziative. Non esiste alcun elemento di conoscenza e sappiamo che il primo fondamento del potere è la conoscenza. Che il Ministero conosca ciò che si fa è il primo elemento per poter regolare questa materia e, ovviamente con uno strumento di pressione politica e istituzionale, per poter in qualche modo orientarla.
Questo aspetto presenta anche una rilevanza di tipo finanziario, perché venire a conoscere la quantità di risorse che a livello decentrato vengono destinate al settore tra l'altro serve ad avere una visione più realistica della percentuale di Prodotto interno lordo che l'Italia destina a questo scopo. Non vogliamo ovviamente con questo attenuare i nostri impegni, ma forse l'immagine dell'Italia, prendendo a base di calcolo soltanto la cooperazione internazionale, è distorta in negativo, perché ignora quest'altro filone, che probabilmente in nessun altro paese come nel nostro è così fiorente e così vivo.
Al riguardo, la proposta contenuta nel documento presentato dal sottosegretario Cento è di cautela e ha invitato la Commissione a riconsiderare la scelta del metodo della concertazione con la Conferenza unificata come troppo forte, proponendo modalità di rapporto più leggere e meno impegnative. La Commissione tiene conto che la concertazione è la modalità più impegnativa che esista, in quanto impone una sorta di doppia chiave per poter arrivare all'approvazione del programma triennale. Si osserva tuttavia che la proposta del relatore si inserisce nel filone già scelto dal Governo. Tale aspetto avrebbe dovuto essere oggetto di ulteriore approfondimento in rapporto con l'altro soggetto interessato, ossia la Conferenza unificata Stato-Regioni- Città e le rappresentanze delle Regioni e degli enti locali.


8. Il ruolo della società civile

I Capi V e VI del testo unificato proposto dal relatore sarebbero rispettivamente dedicati alla partecipazione della società civile e alle norme transitorie e finali. Al riguardo si segnala che un altro elemento che caratterizza il testo proposto rispetto al disegno di legge delega presentato dal Governo è che il conferimento della delega, nel testo unificato, viene circoscritto alla disciplina della istituenda Agenzia di cui all’articolo 14 e del servizio civile del volontariato internazionale di cui all’articolo 16, restando gli altri profili regolati da norme di legge ordinaria.
Nel corso delle audizioni è emersa l'esigenza che il disegno di legge dovesse essere potenziato e arricchito dal punto di vista di un maggiore e migliore approfondimento della presenza e della iniziativa privata, del mondo delle imprese che operano nel settore della cooperazione allo sviluppo. Alcuni elementi indicativi di questa attenzione esistono già nel testo, tuttavia, perché, ad esempio, il punto è già presente negli articoli relativi all'impostazione, al tema del partenariato e all'idea di dover oggi impostare la cooperazione in termini paritari e non più paternalistici, come in qualche modo era immaginabile in passato. Evidentemente, partenariato bilaterale significa, in sostanza, non occuparsi soltanto di microcredito ma anche di grandi temi quali i programmi infrastrutturali o educativi.
Tutte le rappresentanze delle organizzazioni non governative (ONG) che hanno fornito contributi all’indagine hanno inoltre sottolineato come la cooperazione allo sviluppo debba basarsi sulla centralità delle risorse umane e sulla corresponsabilità di tutte le persone coinvolte. Essa deve essere fondata su capacità progettuale, professionalità, valorizzazione del capitale umano nel rispetto dei diritti fondamentali, e sulla crescita del soggetto locale. Anche la formazione e l’educazione debbono essere adeguatamente valorizzate e sostenute, per modificare alla radice i problemi che condizionano le relazioni tra i popoli e che determinano situazioni di ingiustizia sociale. In questa ottica è determinate attuare un partenariato duraturo con i soggetti beneficiari, con il coinvolgimento della società civile e degli enti locali. A tal fine è opportuno applicare il principio di sussidiarietà, grazie al quale si possono limitare i casi di gestione diretta dei programmi di intervento, e assicurare una maggiore trasparenza nell’uso dei fondi pubblici. La disciplina normativa generale sulla cooperazione dovrebbe limitarsi a definire le linee guida, rimandando a disposizioni ministeriali o regolamenti, che sono più elastici, la disciplina dei dettagli. Le ONG ritengono comunque essenziale l’unitarietà dell’azione politica che deve fare capo al Ministero degli affari esteri e deve avere come organo di vertice politico un Vice ministro delegato. Auspicano la costituzione di un ente gestionale e programmatico snello dotato di larga autonomia e svincolato dalle norme ordinarie della pubblica amministrazione, l’istituzione di un fondo unico gestito dal Ministero degli affari esteri, di concerto col Ministero dell'economia e delle finanze ove necessario, e il ripristino della contabilità speciale. Un argomento di particolare interesse per le ONG italiane è la gestione delle emergenze umanitarie, che rientrano nelle politiche di partenariato e co-sviluppo.
Un altro aspetto, più circoscritto ma ugualmente importante, è contenuto nella norma sull’Agenzia, in cui si afferma esplicitamente che questa promuove forme di partenariato con soggetti privati per la realizzazione di specifiche iniziative di cooperazione e che può realizzare iniziative di cooperazione finanziate da soggetti privati previa verifica della coerenza con gli indirizzi e le finalità di cui all’articolo 3. Ora, l'espressione "finanziate da soggetti privati" rinvia ad iniziative di tipo umanitario e filantropico, ed è immaginabile si tratti di fondazioni. Parlando invece di partenariato per la realizzazione di specifiche iniziative di cooperazione in tale ambito si fa riferimento in maniera diversa agli investimenti su infrastrutture.
Comunque, questo punto dovrà essere approfondito, come anche il tema della presenza del mondo delle imprese all'interno della Consulta per la cooperazione allo sviluppo. Nell’ambito della costellazione degli strumenti istituzionali volti a definire programmi di cooperazione, è questo lo strumento nel quale lo Stato si apre all'apporto dell'iniziativa privato-sociale e a quella privata d'impresa. Naturalmente c'è anche un lavoro di tipo culturale da fare per definire in maniera soddisfacente ed equilibrata il rapporto tra cooperazione profit e no profit: è un punto cruciale, è anche piuttosto delicato. Indubbiamente questo è un tema molto delicato, perché bisogna evitare che i fondi già modesti della cooperazione allo sviluppo siano utilizzati per iniziative che si possono ben finanziare sul mercato. Bisogna, quindi, tutelare i fondi della cooperazione da incursioni che possono diventare improprie. Tuttavia, è anche vero che ci può e ci deve essere una forma di incentivazione per iniziative anche di tipo economico. Nel corso delle audizioni la Commissione ha ascoltato anche i rappresentanti dell'ANCE e delle cooperative, che naturalmente hanno fatto osservare questa incongruenza. Non è facilissimo, anche in questo caso, individuare una norma che salvi un ruolo senza renderlo improprio.
Da ultimo, è opportuno tener conto che il testo del Capo V, dal punto di vista redazionale deve essere ancora approfondito, considerato che l'attenzione del Comitato ristretto si è concentrata invece sui nodi politici più rilevanti, mentre si segnala come nel corso delle audizioni, in particolare di quella del rappresentante dell'OCSE, dottor Manning, è emersa l'esigenza di sviluppare ulteriormente il tema dei controlli sia dal punto di vista dell'individuazione di idonee forme di auditing indipendente sull'efficacia degli interventi rispetto agli obiettivi definiti e alle risorse assegnate, sia, più in generale, in termini di sostegno all'affermazione, a tutti i livelli, di una cultura della responsabilità e della verifica dei risultati.