LAVORI PUBBLICI, COMUNICAZIONI (8a)

MERCOLEDI' 2 APRILE 2003
191a Seduta

Presidenza del Presidente
GRILLO


Intervengono, ai sensi dell'articolo 48 del Regolamento, per l'ANCE l'ingegner De Albertis presidente, il dottor Ferroni direttore generale, il dottor Gennari direttore dell'area economia delle costruzioni, il dottor Calcagnini dirigente dell'area legislazione opere pubbliche e la dottoressa Di Vecchio funzionario dell'Ufficio rapporti con il Parlamento e per l'AGI il dottor Lupo, presidente.

La seduta inizia alle ore 15,10.

PROCEDURE INFORMATIVE

Seguito dell'indagine conoscitiva sulla situazione infrastrutturale del Paese e sull'attuazione della normativa sulle grandi opere: audizione dei vertici dell'Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE) e dell'Associazione Imprese Generali (AGI).

Prosegue l'indagine conoscitiva, sospesa nella seduta del 18 marzo scorso.

Il PRESIDENTE ringrazia i rappresentanti dell'ANCE e dell'AGI per essere intervenuti nell'ambito dell'indagine conoscitiva in titolo e dà la parola all'ingegner De Albertis, presidente dell'ANCE.

L'ingegner DE ALBERTIS sottolinea preliminarmente che il tema delle infrastrutture è stato posto negli ultimi tempi all'attenzione dell'opinione pubblica. Ciò, se da un lato rappresenta una considerazione positiva, non deve indurre a trascurare gli elementi di criticità che tuttora permangono. Vi è innanzi tutto la necessità di recuperare un gap infrastrutturale: nel nostro Paese infatti la quota dedicata agli investimenti in infrastrutture è pari all'1,5 per cento rispetto alla media europea del 2,7 per cento. Ciò significa che l'Italia dovrebbe investire ogni anno 15 miliardi di Euro in più rispetto ai 18 miliardi di Euro effettivamente investiti, per allinearsi agli altri Paesi dell'Unione. Un'altra questione rilevante riguarda le opere e le risorse rese disponibili dalla legge obiettivo. Con la delibera CIPE del 21 dicembre del 2001 è stato approvato il piano triennale delle infrastrutture strategiche. Da un'analisi effettuata risulta che, fino ad ora, sono state assegnate risorse pari ad appena il 9 per cento della spesa prevista nel triennio. Anche considerando tutte le altre risorse attivabili dai finanziamenti disposti tramite fondi pregressi o risorse private, pari a 1973 milioni di Euro, risultano disponibili solo 4150 milioni di Euro pari al 17 per cento del fabbisogno del triennio. E' forte quindi l'esigenza di un chiarimento circa la quantità di risorse disponibili per evitare che esse possano essere drenate a danno di opere ordinarie già previste, ma anche per la necessità di dover effettuare scelte di priorità tra gli interventi Per quanto riguarda la gradualità nell'introduzione di nuovi criteri per l'attribuzione dei fondi osserva una crescita del numero e del valore dei bandi di gara per l'affidamento dei lavori pubblici più sensibile ed equilibrata, nel corso del 2002, rispetto al valore dei lavori. Segnala, tuttavia, la tendenza a favorire i grandi lavori e ad accorpare in appalti di grandi dimensioni quelli che, fino a pochi mesi fa, rappresentavano affidamenti di importo unitario notevolmente inferiore. Tutto ciò determina infatti un forte impatto sull'assetto industriale del mercato e delle imprese. Appare quindi necessario agire con gradualità e non perdere di vista il giusto equilibrio tra grandi opere strategiche ed opere che sebbene di minori dimensioni, non sono di minore importanza. Questa tendenza al gigantismo negli appalti trova il suo esempio più chiaro e preoccupante nell'annunciato accorpamento degli appalti riguardanti le 13 grandi stazioni ferroviarie. Un altro elemento di criticità presente nel panorama infrastrutturale del nostro Paese è costituito dai lavori cosiddetti "in house" nei servizi pubblici locali. Il rischio di drenaggio di risorse a danno delle opere ordinarie, infatti, si unisce al preoccupante fenomeno dell'invasione del mercato delle opere pubbliche da parte di soggetti che gestiscono i servizi pubblici locali, che nella maggior parte dei casi hanno avuto il servizio in affidamento diretto - e quindi senza l'espletamento di procedure ad evidenza pubblica - e che godono pertanto di una posizione monopolistica. Si tratta di fatto di una pubblicizzazione strisciante del mercato dei servizi pubblici locali che va contro ogni principio di concorrenza e liberalizzazione di questo mercato. Per arginare questo fenomeno è necessario modificare l'attuale contesto normativo ripristinando la logica di una previsione già contenuta nella legge n. 109 del 1994 e recentemente abrogata dalla legge n. 166 del 2002. A questo proposito lascia agli atti della Commissione, unitamente ad una memoria scritta, la proposta di una modifica dell'articolo 2 della legge n. 109 del 1994. Per quanto riguarda poi l'utilizzo di capitali privati per il finanziamento delle infrastrutture pubbliche, ribadisce che un contributo importante al recupero del ritardo infrastrutturale può provenire anche dal risparmio privato attraverso lo strumento del project financing e attraverso il contributo di soggetti istituzionali, quali le fondazioni bancarie e i fondi di investimento. Riguardo alla finanza di progetto, certamente le modifiche intervenute con la legge n. 166 del 2002 avranno un effetto espansivo sull'utilizzo di tale strumento; tuttavia, tali risorse non potranno essere sufficienti a soddisfare l'enorme richiesta di ammodernamento del territorio. Lo Stato dovrà continuare a svolgere un ruolo importante attraverso un flusso di risorse pubbliche adeguato e costante nel tempo. Inoltre, se è illusorio attribuire ai capitali privati l'effetto risolutivo sulla situazione infrastrutturale italiana, è ancora più sbagliato scagliarsi contro una scarsa accoglienza che il mercato riserva ai programmi infrastrutturali delle amministrazioni pubbliche. E' compito delle singole amministrazioni compiere un'accurata programmazione delle opere e comunicare al mercato le proprie intenzioni. Solo così il mercato sarà in condizione di effettuare le proprie valutazioni e, se del caso, avanzare proposte di realizzazione.

Ha quindi la parola il dottor LUPO, presidente dell'AGI, che dichiara di riconoscersi nel documento presentato dall'ingegner De Albertis rispetto al quale procede ad alcune integrazioni. In particolare, sottolinea il ruolo dell'AGI nello sforzo corale del processo di infrastrutturazione del Paese. Al riguardo ritiene che lo stato di attuazione delle iniziative previste dalla legge obiettivo sia sostanzialmente a buon punto, anche se il raggiungimento di tale risultato è stato particolarmente faticoso. Su ciò ha influito il comportamento non proprio collaborativo di talune regioni. Sottolinea, inoltre, che lo sviluppo della finanza di progetto richiede un percorso di maturazione da parte di imprese e pubbliche amministrazioni per poter sfruttare appieno le potenzialità di tale strumento. Il project financing è, in sostanza, un negoziato nell'ambito del quale c'è un soggetto che realizza una vera e propria attività di progettazione, cosa a cui le nostre imprese non sono spesso abituate. La parte più faticosa è inoltre la promozione di attività di business collaterali all'investimento per le quali sono richieste doti di creatività e di imprenditorialità a cui le pubbliche amministrazioni non sono abituate. A fronte di regioni non particolarmente attive, è dato di riscontrare che altre hanno invece istituito appositi nuclei di valutazione al fine di massimizzare l'apporto progettuale fornito dalle imprese contraenti. In questa ottica, lo strumento del project financing sarà in grado di generare sempre più risorse aggiuntive e le difficoltà attuali verranno gradualmente risolte. A tale riguardo, cita lo strumento delle intese generali quadro che il Ministero delle infrastrutture ha messo a punto recentemente per le predette finalità di monitoraggio.

Si apre il dibattito.

Il senatore MENARDI ritorna sul punto relativo alla questione del monopolio che si sta creando nel nostro Paese a causa della gestione di talune opere pubbliche affidata direttamente alle imprese municipalizzate o a partecipazione pubblica, sottolineando che le aziende pubbliche o private che ottengono l'affidamento in costruzione e in gestione di opere pubbliche, senza lo svolgimento di alcun procedimento ad evidenza pubblica, esercitano di fatto una concorrenza sleale. Tale disagio nasce dal fatto che in passato si è proceduto ad un'opera di privatizzazione di talune imprese pubbliche ma non alla liberalizzazione dei mercati nei quali queste stesse operavano. I casi più emblematici si riscontrano nel settore autostradale, energetico e del trasporto. Il problema è grave e va affrontato nel più breve tempo possibile. Per quanto riguarda infine lo strumento del project financing sostiene che l'intervento privato è opportuno e deve essere favorito, a condizione che il rischio imprenditoriale permanga in capo allo stesso soggetto privato.

Il senatore Paolo BRUTTI osserva anzitutto che sulla base delle affermazioni del Presidente dell'ANCE nulla pare cambiato rispetto al passato e, dopo circa due anni di attività del governo Berlusconi, le risorse finalizzate al settore delle opere pubbliche sono ancora insufficienti: ci si trova di fronte al sostanziale fallimento della politica infrastrutturale contenuta nel programma delle forze di centro-destra. Il ritardo enorme degli interventi posti in essere appare cioè un fatto inoppugnabile. Ritiene inoltre opportuna una riflessione sulla configurazione che lo strumento della finanza di progetto sta assumendo; esso si sta infatti trasformando in un sistema di garanzie degli investimenti privati, del tutto esentati dal rischio di impresa, e si va configurando come una forma particolare di finanziamento pubblico occulto in cui il rischio dell'opera resta sempre in capo alle pubbliche amministrazioni a prescindere dalla redditività della stessa.

Il PRESIDENTE rinvia il seguito delle audizioni dei rappresentanti dell'ANCE e dell'AGI e quindi della procedura informativa a martedì 8 aprile 2003 alle ore 14,30.

La Commissione prende atto.

La seduta termina alle ore 16.
INDAGINE CONOSCITIVA


SULLA SITUAZIONE INFRASTRUTTURALE DEL PAESE E SULL’ATTUAZIONE DELLA NORMATIVA SULLE GRANDI OPERE

17º  Resoconto  stenografico

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 2 aprile 2003

 

Presidenza del presidente GRILLO

INDICE

Audizione dei vertici dell’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE)
e dell’Associazione imprese generali (AGI)

    PRESIDENTE
 
Pag. 3, 13

    BRUTTI Paolo (DS-U)
 
11

    MENARDI (AN)
 
10

    DE ALBERTIS
 
Pag. 3

    * LUPO
 
7


 

        N.B.: Gli interventi contrassegnati con l’asterisco sono stati rivisti dagli oratori.

        Sigle dei Gruppi parlamentari: Alleanza Nazionale: AN; Democratici di Sinistra-l’Ulivo: DS-U; Forza Italia: FI; Lega Padana: LP; Margherita-DL-l’Ulivo: Mar-DL-U; Per le autonomie: Aut; Unione Democristiana e di Centro: UDC; Verdi-l’Ulivo: Verdi-U; Misto: Misto; Misto-Comunisti italiani: Misto-Com; Misto-Lega per l’autonomia lombarda: Misto-LAL; Misto-Libertà e giustizia per l’Ulivo: Misto-LGU; Misto-Movimento territorio lombardo: Misto-MTL; Misto-MSI-Fiamma Tricolore: Misto-MSI-Fiamma; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI; Misto-Partito repubblicano italiano: Misto-PRI; Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC; Misto-Socialisti democratici italiani-SDI: Misto-SDI; Misto Udeur Popolari per l’Europa: Misto-Udeur-PE.

        Intervengono, per l’Associazione nazionale costruttori edili, il presidente, ingegner Claudio De Albertis, il direttore generale, dottor Carlo Ferroni, il direttore dell’area economia delle costruzioni, dottor Antonio Gennari, il dirigente dell’area legislazione opere pubbliche, dottor Massimo Calcagnini, e il funzionario dell’Ufficio rapporti con il Parlamento, dottoressa Stefania Di Vecchio; per l’Associazione imprese generali, il presidente, dottor Mario Lupo.

        I lavori hanno inizio alle ore 15,10.

PROCEDURE INFORMATIVE
Audizione dei vertici dell’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) e dell’Associazione imprese generali (AGI)

        PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito dell’indagine conoscitiva sulla situazione infrastrutturale del Paese e sull’attuazione della normativa sulle grandi opere, sospesa nella seduta del 18 marzo scorso.

        Comunico che, ai sensi dell’articolo 33, comma 4, del Regolamento, è stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo e che la Presidenza del Senato ha già preventivamente fatto conoscere il proprio assenso. Se non ci sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
        È oggi prevista l’audizione dei vertici dell’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) e dell’Associazione imprese generali (AGI).
        Nel ringraziare i nostri ospiti per la loro disponibilità, do loro la parola.

        DE ALBERTIS. Signor Presidente, prima di tutto vorrei ringraziare per l’ennesima occasione che ci viene offerta di confrontarci con voi, per offrire la nostra lettura della situazione.

        Procederei per capitoli; abbiamo peraltro redatto un documento che poi lasceremo alla Commissione.
        In breve sintesi, la situazione che in questa stessa sede alcuni mesi orsono avevamo cercato di evidenziare è tuttora presente, anche se dobbiamo sicuramente prendere atto che negli ultimi anni il tema dell’infrastrutturazione è stato posto all’attenzione non solo dei
media, ma anche del Governo, del Parlamento e soprattutto del Paese. Pertanto, questo problema, legato alla competitività del Paese, sicuramente si riscontra ed è divenuto sostanziale.
        Siamo comunque sempre in presenza di un
gap infrastrutturale molto forte, perché, al di là degli sforzi, in Italia gli investimenti in infrastrutture sono pari a circa l’1,5 per cento del PIL contro una media degli altri Paesi pari al 2,7 per cento. Per cui investiamo abitualmente 18 miliardi di euro ogni anno, ma per recuperare il gap e «stare al passo» occorrerebbero altri 15 miliardi di euro, cioè circa 30.000 miliardi di lire.
        Inoltre, le finanziarie del 2002 e del 2003, con qualche differenziazione (meno 0,2 per cento) hanno, di fatto, reso sostanzialmente stazionarie le risorse pubbliche destinate all’infrastrutturazione, per cui questo differenziale rimane sempre molto forte. D’altronde, il connotato di fondo è che, mentre la spesa è in generale aumentata del 17 per cento dal 1990 ad oggi, la spesa per infrastrutture è diminuita del 22 per cento. Sul tema delle risorse debbo dire che, nonostante alcuni sforzi che facciamo, soprattutto con il nostro ufficio studi, non siamo ancora ben riusciti a leggere tra le righe della delibera CIPE e delle risorse legate alla cosiddetta legge obiettivo, coniugandole con le risorse previste nel bilancio dello Stato. Considerando la delibera CIPE del 21 dicembre 2001, i 220 interventi e i 125.000 milioni di euro di stanziamento, da una parte, e le previsioni per il triennio 2002-2004, sempre all’interno della predetta delibera, cioè i 24 milioni di euro, dall’altra, mancano all’appello, tra stanziamenti ed altro, circa 7.954 milioni di euro, che non siamo ancora riusciti a reperire per rispettare gli impegni previsti dal Documento di programmazione economico-finanziaria. Sulla base dei dati in nostro possesso non siamo ancora riusciti a capire il perché di questa situazione, nonostante diversi tentativi di chiarimento.
        La seconda considerazione che possiamo fare è che, a fronte della delibera CIPE, la spesa attivata per il momento sembra essere pari a meno del 10 per cento. Ne consegue che il processo, già accelerato dalla normativa ma ancora in via di completamento, deve trovare la sua definizione e si deve spingere in questa direzione, ed anche che occorre disporre di un quadro degli investimenti. Ripeto, noi continuiamo a paventare il rischio che alla fine le risorse per queste grandi opere andranno a drenare il monte (che rimane sempre stazionario, anzi, leggermente in calo) delle risorse destinate alle cosiddette opere ordinarie. È una questione di fondo.
        Quanto alla necessità del completamento delle regole, una normativa che ci auguriamo veda la luce il più rapidamente possibile è il regolamento sul
general contractor. La formulazione passata al Consiglio dei ministri, che credo sia ora all’esame del Parlamento, trovava la soddisfazione della nostra associazione: erano state recepite alcune indicazioni importanti, che noi definiamo di politica industriale, perché l’accesso a questo mercato era garantito anche ai consorzi stabili. È infatti premiante la norma che obbliga l’impresa più grande ad aggregarsi con altre imprese di dimensioni più piccole; per cui il quadro che ne esce non può che trovarci d’accordo, anche come stimolo per la politica industriale. Però, va segnalata in proposito una questione per noi rilevante, che più che una tentazione, essendo dei numeri, è da considerare un dato di fatto. Mi riferisco alla tendenza delle stazioni appaltanti ad accorpare sempre di più le opere, spesso in maniera arbitraria, o comunque a mettere in appalto opere di sempre più rilevanti dimensioni. Se questa è una necessità, perché nessuno nega che il numero delle stazioni appaltanti sia enorme e che in passato le opere venissero spesso spezzettate senza alcuna ragionevolezza, è anche vero, che poiché abbiamo un numero spaventoso di stazioni appaltanti ed un numero ancora più spaventoso di imprese, da ambo le parti vi è la consapevolezza di doversi accorpare. Però il punto di incontro tra domanda e offerta non può essere improvvisamente elevato, soprattutto, in termini quantitativi, dall’oggi al domani, altrimenti il nostro sistema produttivo va a scatafascio. Il problema era di avvicinarsi ad un sistema di opere di maggiori dimensioni. Ecco perché avevamo accolto l’indicazione di andare avanti gradualmente nella direzione delle opere CIPE considerate nella legge obiettivo, che sono poco più di venti nel primo triennio. Invece, debbo dire che questo non sembra essere avvenuto. Abbiamo ad esempio protestato vivacemente contro le grandi stazioni per l’accorpamento di 12 interventi su 12 città diverse, che fanno un unico appalto di 1.200 miliardi invece che 12 appalti di circa 100 miliardi di vecchie lire. Ma gli episodi non sono solo questi, ce ne sono molti altri; sto citando solo i più clamorosi ed emblematici.
        È un problema di gradualità e di gestione degli strumenti legislativi, due fattori estremamente importanti per consentire uno sviluppo armonico. Questo deve essere garantito anche dall’attenzione – lo abbiamo detto in questa sede tempo fa – che le varie forze, il Governo, le amministrazioni appaltanti e soprattutto gli esecutivi territoriali devono indirizzare al problema delle cosiddette opere ordinarie, che mi sembrano altrettanto importanti, soprattutto in un Paese fatto da tante città.
        Relativamente al mercato, alla questione finanziaria ed al punto di incontro tra domanda e offerta, vorrei in questa sede rivolgere al legislatore un appello. Il complesso delle nostre imprese vede il proprio mercato sempre più costretto dalla volontà di ingigantire la dimensione delle opere, quindi di accorparle. Però, il vero attacco lo subiamo in termini assolutamente non competitivi, cioè non rivolti al mercato, sul versante dei cosiddetti lavori
in house; mi riferisco specificamente alle ex municipalizzate, alle concessionarie, al versante delle società miste in genere. In questo settore sta succedendo qualcosa di particolarmente grave. Da una parte, questi signori, per effetto di una modifica che è avvenuta nella legge n. 109 del 1994, vengono sostanzialmente ad appaltare in casa loro i lavori, quindi senza più alcun riferimento al mercato; dall’altra, avendo eseguito in passato opere in regime assolutamente monopolistico, perché non poteva essere altrimenti, quindi senza alcuna concorrenza, conquistano l’iscrizione e la qualificazione e si iscrivono, anche dopo il parere dell’autorità, alle società di attestazione (SOA). Pertanto, non solo questi soggetti effettuano i lavori in house, utilizzando cioè proprie strutture interne, ma, acquisendo la qualificazione a realizzare determinati lavori, tendenzialmente si pongono anche in competizione sul mercato con le imprese private. Nei fatti – lo dico apertamente e l’ho anche scritto nella relazione – quanto sta avvenendo non corrisponde tanto ad una privatizzazione, quanto ad una neanche tanto nascosta pubblicizzazione del mercato dei servizi pubblici locali. I ben noti IACP del passato si trasformano in impresa, così come le metropolitane, le aziende municipalizzate, e così via. In alcuni casi si arriva addirittura a comprare le imprese e a svolgere «in casa» gran parte dei lavori strumentali fino alla gestione dei servizi.
        Questa situazione, dal mio punto di vista, non è assolutamente sostenibile perché lede alla base le regole della concorrenza e del mercato. È un plauso al monopolio e anche alla pubblicizzazione del settore. Francamente, credo che sia un atteggiamento da combattere seriamente. Nella relazione che ho predisposto e che lasceremo agli atti della Commissione, mi sono permesso, perché la questione ha carattere d’urgenza e preoccupazione somme, di sottoporre all’attenzione del legislatore una proposta di emendamento all’articolo 2, comma 5, della legge n.109 del 1994. Ripeto, si tratta di un problema di assoluta gravità.
        Quanto poi alle risorse private, su cui l’Esecutivo conta molto per la realizzazione dell’infrastrutturazione, vanno fatte due considerazioni. In primo luogo, non si può pensare, a fronte di una norma che comunque è entrata in vigore soltanto pochi mesi fa e considerato anche che in Paesi molto evoluti come la Gran Bretagna ci sono voluti quasi vent’anni per l’attuazione, che la finanza di progetto riesca a decollare all’improvviso. In secondo luogo, non basta soltanto monitorare le proposte di finanza di progetto relative alle grandi opere. In realtà, lo strumento del
project financing risulta particolarmente complesso, come risulta dai fatti, ed è più facile governare processi, e conseguentemente proposte, di media o medio-piccola dimensione.
        Se, ad esempio, si effettua un monitoraggio sulle città, ci si accorge che sono moltissime e sempre crescenti le proposte legate a piccoli impianti di depurazione, parcheggi o inceneritori, anche per una maggiore certezza del momento contrattuale rispetto al quale è sempre possibile identificare il rapporto che intercorre tra pubblico e privato. Preoccupa invece molto di più la situazione relativa alle grandi opere.
        Vi è poi un altro aspetto sul quale sia l’Esecutivo che la Commissione dovrebbero fare chiarezza. Il legislatore ha espressamente indicato che l’amministrazione pubblica deve comunque specificare, in un momento preciso del proprio processo divulgativo ai cittadini, quali sono le opere che possono effettivamente essere oggetto di un
project financing. Credo che sia un suo dovere-diritto e che una semplice elencazione non sia sufficiente. Se così fosse, risulterebbero tutte possibili.
        Mi sembra che in ultima analisi manchino sia un monitoraggio che un’accurata programmazione delle opere.
        Siamo sostanzialmente d’accordo con il
project financing, secondo quanto indicato dall’articolo 37-bis della legge n.109 del 1994. È certamente possibile attivare tale strumento, ma bisogna farlo da ogni punto di vista, dando significato al momento della programmazione e della pubblicizzazione. Sarà poi il mercato nei fatti a dire se la risposta è adeguata, ma soprattutto se vi sono opere che attraverso il processo tariffario possono generare flussi di cassa. Se i flussi si manifestano, una soluzione si può trovare, altrimenti si torna al discorso iniziale, cioè che su molte opere è necessario un massiccio intervento statale che si realizza solo attraverso adeguati finanziamenti.
        Anche se il momento è assai difficile, credo che in prospettiva un certo comportamento sia inevitabile, pur nella consapevolezza della rilevanza della finanza privata. A questo proposito si sottolinea che non esistono soltanto le grandi opere infrastrutturali, anche perché quelle di medie o medio-piccole dimensioni sono invece molto più abbordabili dal punto di vista della finanza di progetto. Tra l’altro, nell’ambito di un discorso relativo alla finanza privata, mi sembra che opere il cui importo varia dai 25 ai 50 milioni di euro si possano cominciare a considerare di una certa dimensione. Non necessariamente vanno considerate solo quelle oltre i 250 milioni di euro. Per sommi capi è questo il quadro complessivo della situazione del settore.

        LUPO. Anch’io ringrazio la Commissione e il suo Presidente per questa occasione di incontro e di audizione. L’AGI non ha presentato e non produce in questa sede un documento specifico perché fondamentalmente si riconosce nel documento predisposto dall’ANCE, rispetto al quale proporrò soltanto alcune considerazioni e annotazioni integrative. Se lo si riterrà opportuno, sempre che il contributo che intendo offrire sarà giudicato di qualche interesse, provvederò in un secondo momento a trasmettere alla Commissione un documento in tal senso.

        Concentrerò dunque la mia attenzione su alcune questioni essenziali. Credo che l’AGI, che rappresenta le maggiori imprese italiane di costruzioni operanti nel settore delle opere pubbliche, non sia stata convocata soltanto per un’attenzione che da sempre questa Commissione e in generale il Senato dedicano a tutte le organizzazioni imprenditoriali, ma perché riveste un ruolo fondamentale rispetto ad un tema di interesse centrale.
        Sia nell’intervento dell’ingegner De Albertis, sia nel programma relativo all’indagine conoscitiva che la Commissione ha avviato, emerge il tema del contributo che la finanza privata, cioè il mondo delle imprese e finanziario in generale, può dare alla copertura finanziaria del programma di grandi opere pubbliche di carattere infrastrutturale di cui alla legge obiettivo e del ruolo che in questo settore possono giocare le grandi imprese di costruzione. In particolare, ricordo la
private finance initiative (PFI) adottata nel Regno Unito, che ebbe – e continua ad avere – come nucleo traente i grandi general contractor inglesi.
        Intanto, mi permetto di richiamare un dato. Il Governo, nella programmazione delle opere che sono state poi oggetto della delibera CIPE del 21 dicembre 2001, vale a dire le cosiddette infrastrutture strategiche del Paese (per le quali si prevede un investimento complessivo di circa 125 miliardi di euro ) ha assegnato alla finanza di progetto una copertura pari a 33 miliardi di euro. Questo è il dato con il quale dobbiamo confrontare l’esistente e ciò che ci attendiamo per vedere come meglio promuoverlo. Siamo assolutamente coerenti con l’esigenza da tutti sottolineata che i mondi dell’impresa e della finanza privata facciano la loro parte in questo sforzo abbastanza corale – quale deve essere – di infrastrutturazione strategica del Paese.
        Cosa è avvenuto fin qui? Sappiamo che di questi 33 miliardi di euro, circa 9 sono già disponibili, perché oggetto di programmi già stanziati e finanziati da un grande concessionario di opere pubbliche quale la società Autostrade.
        Cosa è avvenuto oltre a questo stanziamento a tutti noto e propagandato da parte di Autostrade? Forze imprenditoriali private, in buona parte iscritte alla mia associazione, hanno candidato se stesse quali promotrici di operazioni di
project financing. Queste iniziative sono dodici, ad oggi, per un importo complessivo – vi prego di verificare questi dati che mi sono pervenuti, in parte, dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e, in parte, direttamente dalle imprese private che rappresento – di 3 miliardi di euro. Se sommiamo questi 3 miliardi con i 9 che già ci sono, arriviamo a 12, quindi abbiamo all’incirca un 34-35 per cento di copertura di ciò che nei suoi programmi iniziali il Governo aveva dichiarato di aspettarsi dal finanziamento privato. Non è tantissimo ma, se mi consentite, non è nemmeno pochissimo, soprattutto se pensiamo che anche la strumentazione normativa – alludo alle modifiche alla legge-quadro introdotte con la legge n. 166 del 2002 – è di ieri o al massimo dell’altro ieri.
        Qual è lo stato di queste iniziative? Alcune sono partite male, perché mancava la cultura, la conoscenza, eccetera. Il Ministero è dovuto intervenire chiarendo con i soggetti che si erano fatti avanti come promotori, semplicemente candidandosi con una sorta di istanza, che dovevano fare di più: occorreva presentare insieme a questa candidatura un progetto preliminare, uno studio di impatto ambientale e tutto ciò che, – voi me lo insegnate – prevede l’articolo 37-
bis della legge n. 109. E questo è stato fatto.
        Dopodiché, c’è stato un altro non piccolo incidente di percorso, che riguarda direttamente il mondo delle imprese che rappresento (lo dico sottolineando che non siamo qui per fare denunce ma per esaminare problemi e vedere cosa fare per risolverli). Le imprese più direttamente interessate a questi interventi infrastrutturali – alludo a quattro interventi presentati da imprese AGI relativi a sistemi idrici per circa 1,8 miliardi in
project financing, quindi non cose di poco conto – si sono trovate di fronte ad una non risposta o addirittura ad una risposta negativa ma senza istruttoria da parte delle Regioni destinatarie. Chiarisco subito che il silenzio o l’esplicita reiezione dei soggetti aggiudicatori non può essere spiegato con la mancata previsione di queste opere nei programmi triennali delle Regioni in questione. Il fatto che queste infrastrutture siano comprese nella delibera CIPE prima ricordata le rende suscettibili di iniziative di project financing.
        Le motivazioni – peraltro non esplicitate – non sono pertanto di ordine giuridico formale e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è dovuto perciò intervenire per chiarire che i soggetti aggiudicatori, quando ricevono candidature e proposte di finanza di progetto, non possono esimersi dall’istruirle, per poi accoglierle o respingerle secondo una valutazione motivata.
        Per rendere possibili, promuovere e realizzare iniziative di finanza di progetto nel comparto delle infrastrutture c’è comunque un percorso di maturazione culturale che tutti – imprese, banche, pubbliche amministrazioni – dobbiamo compiere.
        Il
project financing dà vita ad un partenariato pubblico-privato che esige negoziato, impegno per trovare soluzioni che concilino gli interessi dell’investitore e del concedente.
        Purtroppo le nostre pubbliche amministrazioni non sono abituate a questo tipo di approccio al mercato. Se chiedete a chi ha avuto esperienze di finanza di progetto nei paesi che più hanno sviluppato questa tecnica di finanziamento delle opere pubbliche quale sia la parte più consistente e faticosa che debbono affrontare i soggetti preposti da parte pubblica al
project financing, vi si risponderà che è proprio la promozione, e qualche volta anche l’ideazione di un business, di un sistema di convenienze.
        Qualche volta l’opera di cui si tratta non fa recuperare l’investimento con il semplice «pedaggiamento», bisogna allora inventare qualcosa all’interno o al contorno che muti il quadro delle convenienze. Se i soggetti aggiudicatari fanno i propri programmi ma poi rimangono ad aspettare che arrivi qualcuno pronto a finanziare le opere programmate, succederà poco se non addirittura nulla.
        So che alcune Regioni si stanno attrezzando ricorrendo ai nuclei di valutazione cui affidano anche compiti di questo tipo. È un primo passo, anche se probabilmente non ancora sufficiente. I miei associati che avevano presentato quelle proposte di interventi in finanza di progetto, essendosi sentiti rispondere di no o addirittura non avendo avuto risposta, non hanno ricevuto naturalmente uno stimolo incentivante.
        L’AGI non attenuerà per questo il suo impegno nel sollecitare i suoi associati, ma questi sono i problemi che abbiamo di fronte.
        Esistono poi problemi di minor rilievo, come nel caso del diritto di prelazione che ha trovato alcuni rilievi critici in sede di Unione europea, che sono però risolvibili. Un altro problema si presenta quando, sempre a fronte dell’iniziativa del promotore, i soggetti interessati alla realizzazione dell’opera siano più di uno. A tale proposito bisogna arrivare ad intese istituzionali, rispetto alle quali però le Regioni non sempre si dimostrano disponibili. La vera questione da affrontare attiene alla difficoltà nel promuovere questo salto culturale.
        Per il resto, nel ringraziarvi per l’attenzione che mi avete dedicato, ribadisco di riconoscermi integralmente nel documento dell’ANCE, con una sfumatura di differenziazione relativamente al discorso del sacrificio delle infrastrutture ordinarie rispetto a quelle indicate nella legge obiettivo. Condivido pienamente la valutazione secondo cui il sistema di infrastrutturazione del Paese deve muoversi in maniera armonica. Ci mancherebbe solo che si andasse a costruire grandi infrastrutture avulse dall’infrastrutturazione ordinaria. In ogni caso rilevo che, trattandosi di una preoccupazione condivisa, può essere più facilmente tenuta sotto controllo. Tra l’altro, mi risulta che il Ministero ha messo a punto un sistema di monitoraggio e di confronto sistematico con le Regioni, le cosiddette intese generali quadro (ne sono già state promosse 14), nell’ambito delle quali si predispone l’insieme dei programmi infrastrutturali relativi a ogni singola Regione, si cerca di verificare nel tempo per gli opportuni interventi correttivi se vanno avanti soltanto le grandi opere infrastrutturali o soltanto quelle relative all’infrastrutturazione minore ovvero né le une né le altre o se invece, come è auspicabile, procedono entrambe in sintonia. Credo che quest’attenzione al problema sia assolutamente comune e condivisa e mi pare che il Governo da questo punto di vista si stia muovendo bene. Da parte nostra si sta facendo il possibile per realizzare una collaborazione con l’ABI, la società Infrastrutture S.p.a. e il Fondo rotativo per le opere pubbliche (FROP), nel tentativo di individuare strumenti che consentano di incentivare la finanza di progetto.

        MENARDI (AN). Rispetto al tema al nostro esame, che è certamente molto vasto, ritengo di dover affrontare in particolare una questione. Qualche giorno fa ho avuto modo di leggere l’intervento dell’ingegner De Albertis su «Il Sole-24 Ore», in cui si richiamava il rischio, del resto indicato anche nell’audizione odierna, di una sorta di monopolio che ormai – ed è un tema sul quale credo che il Parlamento debba realmente intervenire – sembrerebbe realizzarsi nel nostro Paese.

        In sostanza, esistono aziende pubbliche e aziende che da pubbliche sono diventate private che esercitano una sorta di concorrenza sleale rispetto ad altri operatori del settore. Ciò avviene in generale nel campo delle costruzioni, dei servizi, ma anche in quello della progettazione. All’inizio della legislatura avevo dichiarato che il nostro Paese, prima del problema della privatizzazione, si sarebbe dovuto porre quello della liberalizzazione del mercato. In realtà, credo anche per una sorta di riserva mentale – questo è veramente un problema culturale – negli ultimi dieci anni il confronto si è incentrato più sulla privatizzazione delle aziende che non sulla liberalizzazione. Questo problema, nonostante gli strumenti normativi messi in campo – e sono contento che anche le vostre associazioni diano atto dell’importanza di questo passaggio per la modernizzazione del nostro Paese – non è stato ancora affrontato.
        Credo che il Parlamento debba affrontare la questione nel più breve tempo possibile perché la situazione sta diventando veramente insostenibile. Invece di ottenere il risultato, peraltro da voi stessi auspicato, di dare luogo gradualmente ad aziende sempre più grandi e concorrenziali, diminuendo contestualmente il numero delle piccole aziende sottocapitalizzate e non attrezzate a partecipare alla competizione, nel breve periodo questa situazione potrebbe condurre inevitabilmente ad un regime di monopolio rispetto al quale sarà poi difficile tornare indietro. Il caso più emblematico attiene alle autostrade, anche se altrettanto rilevante – ed è sotto gli occhi di tutti – risulta il problema dell’approvvigionamento e della distribuzione dell’acqua e dell’energia e quello del trasporto.
        Immagino i problemi che sorgeranno nel momento in cui, da un lato, si arriverà alla privatizzazione del trasporto su ferro, dall’altro, le Regioni dovranno intervenire con norme che assicurino la funzione sociale del servizio.
        Sempre con riferimento alla finanza di progetto, sono d’accordo sulla necessità di un tempo congruo per attrezzarsi culturalmente, ma occorre anche– non so se condividete questo mio pensiero – prendere atto che l’intervento del privato nella finanza di progetto ha un significato forte solo se il privato si assume personalmente i rischi ad essa connessi.
        Si è parlato anche dell’intervento delle banche e, in particolare, delle fondazioni. Vi è la certezza del ritorno economico dell’opera? Ogni azienda dovrà fare accuratamente i conti evitando di affidarsi ad un eventuale sostegno statale, in modo che il rischio d’impresa risulterà condiviso dal promotore e dai finanziatori, siano essi banche private o fondazioni.

        BRUTTI Paolo (DS-U). Signor Presidente, volevo fare un’osservazione ed alcune domande.

        Dall’inizio della legislatura abbiamo ascoltato in audizione l’ingegner De Albertis almeno quattro o cinque volte: durante la discussione della legge obiettivo, nel corso dell’intervento che abbiamo fatto con la legge n. 166 del 2002, in audizioni conoscitive, oggi, eccetera. Ora, io ho una sensazione. Il ragionamento che oggi ha espresso l’ingegner De Albertis non è molto diverso da quello con il quale lui iniziò la sua riflessione con la nostra Commissione prima che venisse varata la cosiddetta legge obiettivo, prima cioè che iniziasse la nuova politica delle infrastrutture (eravamo agli esordi del Governo Berlusconi). Lei allora, ingegner De Albertis, enunciò alcuni dubbi – se crede, mi può smentire – sull’entità delle risorse complessivamente messe in gioco, sull’efficacia effettiva degli interventi proposti e sui rischi di questi interventi di spiazzamento degli investimenti tra grandi, medie e piccole opere. Sono trascorsi da allora quasi due anni e mi sembra che il giudizio che sento oggi sia sostanzialmente quello di allora. Prima della legge i fondi erano insufficienti, il gap infrastrutturale era ampio, lo spiazzamento degli investimenti tra grandi, medie e piccole opere era un rischio, il project financing camminava poco, vi erano situazioni monopolistiche in essere di alcune grandi o grandissime società che lasciavano poco spazio agli altri soggetti. Ora, dice l’ingegner De Albertis – lo voglio interpretare così, anche se non sono le sue esatte parole – le cose sono rimaste come prima, perché le risorse sono ancora largamente insufficienti (ha parlato della necessità di 15.000 miliardi di lire l’anno in più rispetto a quanto viene stanziato oggi per poter conseguire una giusta dinamica rispetto alle esigenze del Paese) e ci ha detto che per quanto riguarda la legge obiettivo vi è il rischio che le risorse vengano pescate all’interno di quelle già stanziate per le opere ordinarie. Ci ha detto anche che, almeno dal suo punto di vista, le varie leggi finanziarie non hanno minimamente corretto questa impostazione e addirittura che tra gli stanziamenti indicati nel primo triennio e quelli che effettivamente sono reperibili – so che l’ANCE dispone di un serio centro studi che elabora questi dati, quindi se non ci riescono loro è difficile che ci possa riuscire qualcun altro – vi è un divario di circa il 30 per cento in termini di stanziamenti e inoltre che quanto è stato effettivamente messo in cantiere è pari a meno del 10 per cento di tutte le opere previste. In pratica, è una descrizione che si può sintetizzare in una sola frase: siamo di fronte al fallimento di una politica infrastrutturale. In altri termini, questa politica dopo due anni non ha prodotto quello che ci si aspettava; la politica infrastrutturale non ha prodotto nel primo e nel secondo anno quello che si prevedeva avrebbe dovuto produrre nel primo e secondo anno, non nel 2020! Si diceva che nel 2002 dovevano essere erogate alcune somme, e ne è stato erogato il 30 per cento; si diceva che nel 2003 ci sarebbero state altre somme, e ne è stato erogato il 30 per cento. Non sto parlando di quello che succederà tra 20 anni. Con gli andamenti attuali avremo un accumularsi di residui.
        Capisco dall’intervento dell’ingegner De Albertis che, rispetto a quello che si doveva fare nel 2002, che si sta facendo nel 2003 e che si farà nel 2004, non siamo in enorme ritardo, stante le delibere di stanziamento effettivo che verranno assunte. Evidentemente, gli strumenti messi in campo, i finanziamenti e le leggi finanziarie, pur rinnovati, non sono stati in grado di invertire quell’andamento deficitario che si diceva esistere negli anni precedenti. In questo senso parlo di fallimento. È un fallimento nel breve periodo; nel lungo periodo non lo sappiamo, ma nel breve sicuramente questo cambiamento non c’è stato.
        In secondo luogo, francamente concordo pienamente con quanto diceva poc’anzi il senatore Menardi, ma vorrei anche una conferma del fenomeno evidenziato sulla base dell’esperienza che ne hanno i nostri ospiti. Cioè, ho l’impressione che sia in atto un tentativo di trasformare il
project financing, che incontra tutte le difficoltà che sappiamo e che voi avete detto, in una ricerca di finanziamenti garantiti sul mercato dei capitali, il che non è la stessa cosa. Insomma, all’origine del concetto di project financing c’è l’affidamento ad un intervento privato, parziale o totale, della realizzazione di un’opera; colui il quale la realizza si soddisfa parzialmente o totalmente, secondo la quota di finanziamento a lui imputata, attraverso la gestione del servizio sotteso a quell’opera: se il servizio funziona, guadagna; se non funziona, perde. Se invece faccio un altro tipo di discorso e dico: prestatemi dei soldi, io emetto obbligazioni e ve li garantisco con il debito pubblico e poi con questi soldi realizzo delle opere, è vero che mi finanzio sul mercato, ma questi signori che finanziano non corrono il rischio che la mia opera renda o meno ma solo che alla fine ci possano non essere risorse per garantire il prestito con lo strumento pubblico. Quindi, non è un problema di remunerazione ma di garanzia. Questa è un’enorme differenza. Nel primo caso, siamo di fronte a ad un project financing, mentre nel secondo caso si tratta semplicemente di una forma evoluta di debito pubblico.
        Ho letto questi ultimi documenti sulla TAV e sullo sforzo che sta compiendo la società Infrastrutture S.pa. insieme al Fondo di rotazione per le opere pubbliche (FROP) per trovare modalità che distacchino totalmente il finanziatore dal rischio della gestione dell’opera finanziata. Se si compie questa operazione, non si avrà alcun effetto positivo; se è il finanziatore a correre il rischio, realizzerà l’opera in fretta, perché deve iniziare subito a guadagnare, la farà bene, perché se la fa male l’opera non funzionerà, e farà in modo che la sua gestione sia efficiente. Se invece tutto questo manca, ritorniamo al sistema di prima, in cui l’opera sarà efficiente se chi l’ha fatta l’ha studiata bene. È chiaro il ragionamento?. Questo secondo me è un punto interessante, perché porta ad un mutamento della strategia.

        PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, purtroppo, per concomitanti impegni parlamentari, dobbiamo procedere al rinvio dei lavori odierni. Ritengo che quanto emerso sia meritevole di ulteriori approfondimenti.

        Ringraziando i nostri ospiti per il loro prezioso contributo, rinvio il seguito dell’audizione ad altra seduta.

        I lavori terminano alle ore 16.


Licenziato per la stampa dall’Ufficio dei Resoconti