SULLA SITUAZIONE INFRASTRUTTURALE DEL PAESE E SULL’ATTUAZIONE DELLA NORMATIVA SULLE GRANDI OPERE
6º Resoconto stenografico
SEDUTA DI MARTEDÌ 3 dicembre 2002
Presidenza del presidente GRILLO
INDICE
Audizione del Coordinatore dell’Unità tecnica Finanza di progetto istituita presso il CIPE
CICOLANI (FI) 6, 10
VISERTA COSTANTINI (DS-U) 11
* DE PIERRIS Pag. 4, 5, 8 e passim
N.B.: L’asterisco indica che il testo del discorso è stato rivisto dall’oratore. Sigle dei Gruppi parlamentari: Alleanza Nazionale: AN; Democratici di Sinistra-l’Ulivo: DS-U; Forza Italia: FI; Lega Padana: LP; Margherita-DL-l’Ulivo: Mar-DL-U; Per le Autonomie: Aut; Unione Democristiana e di Centro: UDC: CCD-CDU-DE; Verdi-l’Ulivo: Verdi-U; Misto: Misto; Misto-Comunisti italiani: Misto-Com; Misto-Lega per l’Autonomia lombarda: Misto-LAL; Misto-Libertà e giustizia per l’Ulivo: Misto-LGU; Misto-Movimento territorio lombardo: Misto-MTL; Misto-MSI-Fiamma Tricolore: Misto-MSI-Fiamma; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI; Misto-Partito repubblicano italiano: Misto-PRI; Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC; Misto-Socialisti democratici italiani-SDI: Misto-SDI; Misto Udeur-Popolari per l’Europa: Misto-Udeur-PE.
Intervengono il dottor Luigi De Pierris, coordinatore dell’Unità tecnica Finanza di progetto istituita presso il CIPE, e la dottoressa Monica Foschi, funzionario dell’area economico-finanziaria dello stesso organismo.
I lavori iniziano alle ore 15,10.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito dell’indagine conoscitiva sulla situazione infrastrutturale del Paese e sull’attuazione della normativa sulle grandi opere, sospesa nella seduta del 27 novembre scorso.
È in programma oggi l’audizione del Coordinatore dell’Unità tecnica Finanza di progetto istituita presso il CIPE. Ringrazio i nostri ospiti, il dottor De Pierris e la dottoressa Foschi, per aver assicurato la loro presenza ai lavori della Commissione. Desidero fare una breve introduzione in modo che sia più chiaro il senso del lavoro che stiamo svolgendo. Abbiamo contribuito, come Commissione, ad approvare le norme che sono state licenziate tra lo scorso anno e quest’anno in ordine al settore delle opere pubbliche. Mi riferisco alla legge n. 443 del 2001 (la cosiddetta legge obiettivo), alla legge n. 166 del 2002 (il collegato in materia di infrastrutture) ed al decreto legislativo n. 190 del 2002, di attuazione della citata legge n. 443. Completato questo lavoro, ci è parso utile, di fronte all’ambizioso progetto presentato dal Governo per realizzare un robusto rilancio degli investimenti nel settore delle opere pubbliche, procedere ad una verifica delle risorse esistenti nel bilancio dello Stato e di quelle potenzialmente utilizzabili sul mercato per supportare il progetto medesimo. Abbiamo ascoltato rappresentanti di banche e di fondazioni, abbiamo sentito il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ed il direttore generale della Cassa depositi e prestiti. Desideriamo conoscere anche l’opinione dei responsabili dell’Unità tecnica Finanza di progetto istituita presso il CIPE, che svolge un’opera di monitoraggio dei progetti realizzati in project financing nel nostro Paese. In particolare, dottor De Pierris, ci interessa il suo giudizio sulla praticabilità della nuova normativa, in base all’esperienza che avete maturato in questi anni (lei, se non vado errato, ricopre tale ruolo da due anni e mezzo), al fine soprattutto di capire quali sono le potenzialità esistenti nel nostro Paese affinché questa tecnica di finanziamento possa davvero decollare. Le cedo pertanto la parola. DE PIERRIS. La ringrazio, signor Presidente. Non ho preparato un mio intervento introduttivo perché penso sia importante avere un confronto con la Commissione e rispondere alle domande che verranno poste. Comunque, posso riportare quanto è stato già scritto in atti formali che abbiamo predisposto, in primo luogo la relazione annuale presentata al CIPE a fine gennaio 2002, che sostanzialmente ha esposto una diagnosi sulla finanza di progetto nella quale si rileva che il mercato si è evoluto in modo più lento di quanto avremmo desiderato. Le novità legislative introdotte con la riforma della legge Merloni del 1998 hanno impiegato del tempo per produrre risultati. Questo tipo di ritardo è stato da noi interpretato come un dato fisiologico, poiché si tratta di una strumentazione nuova e poiché il ciclo dei lavori pubblici (che va dalla fase di individuazione dell’iniziativa a quella della progettualità, quindi della costruzione e infine dell’inaugurazione dell’opera) è abbastanza lungo, richiedendo dai cinque agli otto anni per essere completato: i risultati sono quindi valutabili in un arco temporale piuttosto ampio. Una parte di questo ritardo è dovuta, dunque, a cause fisiologiche. Ci sono poi cause specifiche, derivanti dalla normativa precedente e in parte anche dai comportamenti delle amministrazioni, che non sono state sufficientemente propulsive nel sollecitare il mercato con proposte progettuali. L’impianto che è stato identificato dal legislatore del 1998 con la figura del promotore (che delega al settore privato una fase di progettualità, di stesura di piani finanziari, di convenzioni, e quindi di documenti contrattuali tra l’amministrazione e i privati) in alcuni casi ha determinato nelle amministrazioni una sorta di deresponsabilizzazione. Le amministrazioni hanno ritenuto che queste funzioni, che tradizionalmente erano affidate al settore pubblico, potessero essere delegate al settore privato. Per questo tipo di mercato, invece, è importante che il settore pubblico sappia quello che vuole ottenere e quindi svolga un ruolo di analisi. Questo tipo di debolezza non è tanto insito nella normativa, quanto nel tipo di comportamento che le amministrazioni hanno ritenuto di assumere rispetto ad essa. La carenza propulsiva delle amministrazioni è un problema reale. Debbo in proposito citare anche quanto è stato dichiarato dall’amministratore dell’ANAS, il quale ha detto che al suo insediamento ha trovato un ente ricco di cassa ma povero di progetti. È importante che l’amministrazione faccia la sua parte e solleciti il mercato in maniera corretta. Di fronte a questa situazione, è chiaro che lo sforzo di riforma intrapreso con l’approvazione della legge obiettivo in primis, poi con il decreto n. 190, in attuazione della stessa legge obiettivo, e infine con la legge n. 166 che ha riformato in alcune parti la legge Merloni, si pone come una sfida e dà un armamentario tecnico nuovo agli operatori per andare avanti su questo mercato. La valutazione di tali novità è senz’altro positiva, ma il risultato dipenderà molto da come si comporteranno le stazioni appaltanti, dalla loro capacità o meno di rapportarsi in modo corretto al mercato degli operatori. Fare finanza di progetto impone certe regole di comportamento, trasparenza, e presuppone che si diano certezze al mercato. La grossa parte di responsabilità è quindi in capo alle stazioni appaltanti, mentre il ruolo delle unità tecniche è solo sussidiario. Noi non possiamo sostituirci alle stazioni appaltanti nelle tattiche di approccio al mercato; siamo però a disposizione per dare il nostro aiuto, il nostro supporto tecnico.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor De Pierris per il quadro che ci ha fatto e gli rivolgo una prima domanda, che mi viene spontanea dopo aver ascoltato la sua esposizione e quella del direttore generale della Cassa depositi e prestiti. In questa fase, nella quale si annuncia una ripresa di investimenti, lo Stato si sta organizzando. Abbiamo sentito una serie di osservazioni da parte del dottor Antonino Turicchi in ordine al ruolo nuovo della Cassa depositi e prestiti; poi c’è la società Infrastrutture Spa, che si annuncia come nuovo protagonista nel mercato per fare ciò che la normativa prevede. Considerato che, alla fine, la tecnica della finanza di progetto sarà, io spero, largamente utilizzata, vorrei chiedervi come viene svolto in concreto il vostro ruolo di tecnici che dovrebbero supportare la pubblica amministrazione – quindi non solo l’amministrazione centrale ma anche le amministrazioni periferiche – e quali difficoltà avete incontrato fino a questo momento. Abbiamo registrato infatti una sua positiva valutazione allorché ha affermato poc’anzi che la normativa nuova funziona meglio della precedente, sulla base della quale non si è realizzato un decollo della finanza di progetto. Nel Paese, infatti, non vi sono stati esempi importanti di opere realizzate ricorrendo a questa nuova tecnica finanziaria e quindi dobbiamo sperare che con le nuove norme si recuperi il tempo perduto. D’altro canto, lei giustamente afferma che occorre verificare se, al di là delle norme, consegua un comportamento coerente degli attori sul campo. Non c’è dubbio infatti – come ho evidenziato in un recente relazione presso la Commissione – che si tratta di un problema dell’amministrazione pubblica, degli amministratori locali, delle banche e degli imprenditori. Occorre pertanto operare un salto di qualità a livello culturale, prendendo atto che non vi sono più risorse da parte dello Stato centrale e che siamo impegnati in una politica di contenimento della spesa: occorre coinvolgere il sistema privato per calamitare risorse consistenti affidandosi a questa tecnica finanziaria. In tale quadro, sarebbe interessante conoscere le difficoltà che ha incontrato l’Unità tecnica Finanza di progetto in questi anni, pur tenendo conto del quadro normativo fortemente vincolante. DE PIERRIS. Due sono i principali settori di intervento dell’Unità tecnica: in primo luogo, l’assistenza agli enti locali che ne fanno richiesta nella fase di gestione dei procedimenti (nei primi 18 mesi soltanto abbiamo assistito 118 amministrazioni e, a partire dal 1º gennaio di quest’anno, 50 amministrazioni si sono già rivolte all’Unità tecnica); in secondo luogo, l’assistenza alle amministrazioni centrali. Al riguardo, la delibera CIPE n. 121 del dicembre 2001 ha incaricato l’Unità tecnica di effettuare alcuni studi pilota su iniziative e progetti selezionati, d’intesa tra il Ministero dell’economia e delle finanze e quello delle infrastrutture e dei trasporti, nell’ambito di interventi compresi nel primo programma di opere strategiche, capaci di attrarre capitale privato. Nel dare attuazione a tale previsione, è stato individuato un primo gruppo di cinque progetti: la tratta ferroviaria Torino- Lione, i centri intermodali ferroviari, la tangenziale esterna di Milano, l’autostrada Salerno-Reggio Calabria e il quadrilatero stradale Marche-Umbria. Successivamente, è stato individuato, d’intesa con il Dipartimento politiche di sviluppo e coesione del Ministero, un altro gruppo di tre progetti afferenti specificamente il Mezzogiorno: il sistema di collegamento trasversale Nord-Sud della Basilicata, il completamento degli allacci plurimodali del sistema interportuale di Gioia Tauro e il collegamento trasversale A1-A14 da San Vittore a Termoli. Ancora un altro progetto affidato alla nostra analisi è quello sugli schemi idrici per il quale il Ministero delle infrastrutture ha presentato una prima memoria e i lavori sono stati avviati da pochissimo tempo. Riassumendo, l’attività dell’Unità è divisa tra queste due grandi aree: la prima è quella dell’assistenza agli enti locali, la seconda è quella dell’effettuazione di studi pilota.
Per quanto riguarda i problemi incontrati nell’assistenza agli enti locali, il nodo principale è che il lavoro di supporto dell’Unità tecnica non ha alcuna cogenza nei confronti dell’amministrazione, per cui può succedere che l’amministrazione chieda un parere ma poi proceda in modo completamente difforme. Questo è abbastanza normale, ma spesso succede che non si viene neanche informati delle decisioni dell’amministrazione, determinando con ciò una carenza d’informazione che impedisce spesso di operare un monitoraggio su quella che è l’evoluzione del mercato. Per innescare dunque una collaborazione positiva, occorre pertanto buona volontà da parte nostra ma anche da parte dell’amministrazione, poiché tanto più si svolge un lavoro di collaborazione tanto più le situazioni possono andare a buon fine. Peraltro, vi sono alcune amministrazioni più propulsive di altre, che hanno cioè manifestato da subito un approccio più maturo e che quindi hanno meno bisogno di una nostra assistenza, in quanto attraverso decisioni autonome sono riuscite a creare situazioni favorevoli.
CICOLANI (FI). Signor Presidente, l’iniziativa della Commissione sullo sviluppo della finanza di progetto rappresenterà in futuro un pezzo di storia della trasformazione del Paese, di cui gran parte del merito è ascrivibile al Presidente ma anche all’emergere con grande chiarezza delle iniziative che, a seguito di quelle legislative, il Governo deve assumere per attuare un piano che, ai fini dello sviluppo del Paese, appare indispensabile. La legge obiettivo, che è una delle fonti di attivazione del meccanismo degli investimenti del Paese, cui vengono destinati circa 24.000 miliardi di vecchie lire per ciascun anno, assegna alla tecnica della finanza di progetto una potenzialità di circa 6.000 miliardi, e cioè circa un quarto, a fronte di una potenzialità attuale pressoché nulla. Ma non è l’unico elemento da sottolineare. La legge Galli, ad esempio, contiene potenzialità di pari valore per la finanza di progetto. Abbiamo 108 ambiti territoriali ottimali; mediamente, gli ATO predispongono nel decennio piani di investimento per 1.000 miliardi di vecchie lire. Si tratta anche di province relativamente piccole, quindi stiamo parlando di 100 miliardi in dieci anni, tutti di finanza di progetto, che sommati a quelli previsti dalla legge obiettivo danno un totale di 160 miliardi. Le grandi opere rappresentano circa un terzo del totale delle opere che vengono realizzate nel Paese allo stato attuale, considerando come grandi opere le metropolitane, le ferrovie, le strade statali. Oggi, su una spesa complessiva vicina ai 40.000 miliardi di vecchie lire, la somma relativa alle grandi opere è di circa 13.000-14.000 miliardi.
Per quanto riguarda il residuo, anche qui è importantissimo il ruolo della finanza di progetto. Si tratta di 20.000 miliardi l’anno per le opere fatte dalle Regioni, dai comuni, dalle province, da altri enti pubblici e dai consorzi industriali, quindi al di fuori delle opere strategiche. Una buona parte di esse può essere classificata in finanza di progetto. Ci accorgiamo dunque che nella finanza di progetto rientra un ordine di grandezze pari a circa il 50 per cento, cioè 20.000 miliardi di investimenti. Questo sarebbe l’optimum, parlando di legge Galli. Qual è allora il problema? Cercherò di fare un’analisi e di dare alcuni suggerimenti. Le difficoltà sono di tipo operativo. Anche in altre occasioni, ho avuto modo di dire (e la prego di credermi perché lei, Presidente, è convinto che le banche siano attrezzate) che in Italia mancano gli advisors, manca completamente chi è in grado di innescare queste procedure in termini diffusi. Abbiamo ancora delle università che insegnano agli ingegneri solo a fare i progettisti, mentre il progetto è solo una parte, rappresenta ormai soltanto il 20 per cento della catena intellettuale che porta alla realizzazione dell’opera. I pochi operanti in Italia sono generalmente stranieri. Quando abbiamo dovuto fare le gare per l’analisi economica e finanziaria relativa all’autostrada Salerno-Reggio Calabria, c’è stata l’Arthur Andersen, che è un grande gruppo; manca però una cultura diffusa dell’organizzazione in tal senso. Dobbiamo sollecitare un’azione incisiva del Governo per favorire la nascita di simili organismi. Inoltre, malgrado la grande competenza e la buona volontà (non è certamente all’ufficio che abbiamo ascoltato che può essere attribuito, in questo contesto, il compito di far decollare la finanza di progetto), non esiste un organismo specifico che si occupi del settore. Non dico che dobbiamo istituire un Ministero ad hoc, ma dobbiamo affrontare l’argomento in Conferenza Stato-Regioni al fine di creare un’organizzazione che dialoghi con le Regioni sul piano operativo. Le agenzie che lo Stato sta formando, i provveditorati alle opere pubbliche, l’Agenzia del demanio, le grandi aziende dovrebbero prevedere un ambito operativo preposto allo sviluppo della finanza di progetto, in cui sia possibile trovare degli interlocutori, un interfaccia che dialoghi. Ma non basta, perché a questo strumento è affidato un compito ancora più importante e delicato nel campo delle liberalizzazioni. Per fare in modo che si possa attivare una vera finanza di progetto, ad esempio, per gli aeroporti e gli interporti, occorre fare dei passi avanti sotto il profilo delle regole. È necessaria una produzione legislativa, una regolamentazione più specifica del ruolo dei privati e delle Authority che metta ordine in un sistema che non può che essere concepito come lo sta indicando questa Commissione. Mi sembrano questi gli elementi fondamentali su cui agire. Abbiamo capito, nell’ambito delle audizioni che la Commissione ha svolto, che le risorse ci sono (ma non avevamo dubbi in proposito), che il Paese nel suo complesso ha una capacità produttiva che può essere indirizzata a questo tipo di investimenti, però dobbiamo comprendere che cosa manca per far innescare veramente il processo, quali azioni devono essere intraprese e in quale ordine. Mi sia consentita un’ultima considerazione. Per comprendere meglio la portata che la finanza di progetto può avere in un nuovo modello di società, è opportuno fare un riferimento alla sanità. Esistono due iniziative che sono state assunte dagli ospedali di Como e di Mestre in finanza di progetto, una ancora non riuscita del tutto, l’altra che invece sta andando avanti bene. Parliamo di 600 posti letto e di centinaia di miliardi di vecchie lire, di un progetto importante dove, in un nuovo quadro di regole, la sanità resta pubblica per quanto riguarda la cura, i primari, mentre viene privatizzato il contesto che sta intorno. Lo ritengo un passo avanti, ma tutto ciò va accompagnato da regole rigide che stabiliscano chi fa che cosa e consentano una crescita della garanzia di qualità da parte dell’amministrazione. Per accompagnare la finanza di progetto, dobbiamo svolgere un’azione importante per il Paese, che è solo agli inizi. L’elemento legislativo assicurato grazie soprattutto al lavoro fatto in questa Commissione rappresenta solo il primo passo. Ne dovranno seguire ancora molti altri.
DE PIERRIS. Si tratta di argomenti di grossa rilevanza. Sicuramente sottoscrivo il richiamo alle regole da rispettare nei processi di privatizzazione.
È stato citato prima il settore delle risorse idriche: per tale ambito, in effetti, la legge Galli ha fatto un grosso richiamo agli investimenti dei privati. I ritardi sono stati dovuti semmai ad un eccesso di ambizione di tale normativa. Facciamo un confronto con gli altri Paesi. La legge Galli mirava ad una concentrazione del numero degli operatori. Per arrivare allo stesso risultato, in Inghilterra ci sono voluti vari anni. Molto spesso il ritardo da superare è talmente elevato che si crea un eccesso di aspettative rispetto a quanto è umanamente possibile. Alcune gare di affidamento della gestione del servizio idrico integrato sono state effettuate sulla base di bandi di gara preparati a cura delle autorità di ambito, le quali non sempre si sono dotate di advisors per cui hanno spesso sondato il mercato con richieste molto onerose per gli operatori privati. Faccio un esempio: un’autorità di ambito pretendeva che tutti i candidati alla gestione presentassero da subito un finanziamento bancario che coprisse l’intero piano di investimento, mentre a livello internazionale si chiede semplicemente un performance bond, che è una procedura molto più semplice e molto meno onerosa. In sostanza, al fine di assicurare all’amministrazione il massimo della sicurezza, si imponevano al mercato condizioni troppo onerose a scapito della concorrenza e della pluralità di risposte da parte degli operatori. Per quanto riguarda la questione di stimolare la cultura degli operatori, il Paese dove la tecnica della finanza di progetto è più evoluta è il Regno Unito, dove è stata creata un specifica task force all’interno del Ministero del tesoro, accompagnata dalla istituzione di una serie di unità tecniche all’interno di altri Ministeri nonché presso gli enti locali. Anche in Italia ci si sta avvicinando a questo modello, considerato che molte regioni si stanno dotando di strutture tecniche similari. La nostra Unità sta seguendo questo processo attraverso la creazione di una rete, in modo da favorire relazioni a livello informale che però possono essere formalizzate in protocolli di intesa con le varie realtà regionali (domani, per esempio, firmerò un protocollo d’intesa con il nucleo tecnico costituito presso la regione Campania). L’idea è quella di realizzare un continuo scambio di informazioni e di dati, anche perché la finanza di progetto è una materia molto complessa e sul mercato non sono immediatamente disponibili molte competenze tecniche. Proprio per questo, è importante che l’Unità centrale agisca come punto di raccordo della rete, assicurando un ventaglio di dati tecnici e di informazioni; a tal fine, lo stesso sito internet dell’Unità tecnica – su cui vengono indirizzate le richieste delle amministrazioni – è continuamente aggiornato e contiene anche molte informazioni che prima non erano disponibili. Per quanto riguarda il settore sanitario, vi sono due casi interessanti: il primo è a Como, riguardo al quale vi è però un problema di localizzazione dell’intervento, il secondo a Mestre, in cui si è giunti all’affidamento di una concessione. In tale ultimo caso, l’amministrazione non è stata passiva, non ha semplicemente predisposto delle offerte, ma si è premurata di relazionarsi con il mercato e, con un approccio intelligente, ha saputo chiedere al mercato quello di cui aveva realmente bisogno. Questa è la filosofia che cerchiamo di introdurre: l’amministrazione deve essere un acquirente intelligente di beni e servizi e non si deve consegnare a quello che viene dal settore privato. Faccio un esempio: quando compro un oggetto per l’ufficio, debbo valutare la congruità del prezzo mentre sembra quasi che i contratti di concessione possano essere firmati a qualsiasi tipo di condizione. Occorre, pertanto, da parte di tutti una valutazione della congruità dei piani finanziari e, in proposito, l’asseverazione bancaria non ha fornito una risposta soddisfacente, non ha svolto il compito che le era stato affidato. PRESIDENTE. A suo avviso, le banche hanno proceduto ad una asseverazione generalizzata?
DE PIERRIS. L’asseverazione bancaria, per come era stata concepita, avrebbe dovuto essere una sorta di certificazione di un piano economico finanziario, non soltanto dal punto di vista della quantità di risorse, ma anche da quello della congruità tra voci di ricavo e di costo. Per quanto abbiamo potuto constatare, l’asseverazione era di fatto diventata un breve commento in cui si affermava che la banca aveva esaminato il piano finanziario e che questo era corretto. Si trattava dunque di un esame puramente formale in cui la banca non si assumeva alcuna responsabilità in merito alla congruità delle cifre. Quello invece di cui un’amministrazione ha bisogno è non tanto una garanzia di bancabilità – infatti, è stato chiarito che l’asseverazione non è un impegno finanziario da parte della banca, tanto è che la legge n. 166 del 2002 ha esteso la sfera dei soggetti asseveratori, comprendendovi anche le società di revisione contabile – quanto una verifica di coerenza del piano economico-finanziario, in modo che quando si espongono voci di costo, queste siano riferite ad un mercato e quando si espongono voci di ricavo, queste siano corrispondenti ad una domanda stimata. Finora non è stato così e ciò non ha aiutato il lavoro delle amministrazioni. CICOLANI (FI). Il problema è che le banche effettuavano le asseverazioni sulla base di una valutazione delle imprese che le presentavano; quasi sempre alla fine asseveravano in funzione della garanzia che forniva l’azienda che presentava il piano. PRESIDENTE. Con la nuova normativa ci si è fatti carico della questione. Infatti, in passato le banche, a causa di una normativa penalizzante del loro ruolo, non sono mai state coinvolte nel processo di finanziamento del project, mentre dopo l’entrata in vigore della legge n. 166 del 2002 le banche stanno mostrando nuova attenzione, così come emerge anche nei numerosi incontri e convegni a cui ho partecipato in tutta Italia. Si è infatti consentita agli istituti di credito finanziatori la possibilità di partecipare alla società promotrice e di uscirne in qualsiasi momento, non rimanendo vincolati per tutta la durata della progettazione, realizzazione e gestione dell’opera oggetto di proposta di finanza di progetto, con ciò favorendo l’investimento nel breve periodo anziché nel lungo. Sotto questo profilo, credo che le banche opereranno un salto di qualità e, anziché asseverare un piano finanziario sulla base delle garanzie del richiedente, entreranno nel merito del piano, considerato anche che l’istituto di credito ne farà parte. Infatti, nella realtà italiana, specie per importi di una certa consistenza, è da escludere che ci siano imprese con una robustezza finanziaria tale da non dover ricorrere al sostegno degli istituti di credito. Pertanto, con tale tipo di organizzazione, possiamo sperare che anche il lavoro di asseverazione sia effettuato in maniera più accurata e mirata insistendo sulla coerenza del piano finanziario all’obiettivo cui è destinato.
Stiamo ragionando sul ruolo di consulenza che questa Unità tecnica sta svolgendo per l’avvio di operazioni di finanza di progetto. Il dottor De Pierris ci ha ricordato che in base alla delibera CIPE n.121 del 2001 l’unità è abilitata anche a fare opera di consulenza per le opere strategiche, alcune delle quali sono state citate. Abbiamo riconosciuto che il ruolo svolto dall’Unità tecnica è molto importante e significativo. Credo sia chiaro a tutti che o questa tecnica di finanziamento partirà oppure dovremo registrare una mancanza di risorse pubbliche adeguate per sostenere i piani finanziari necessari ad avviare le grandi opere pubbliche. Esistono i fondi privati, ma non possono essere finalizzati perché questa tecnica di finanziamento non parte. Noi vogliamo invece che, come accade in altri Paesi europei, anche nel nostro possa finalmente decollare.
VISERTA COSTANTINI (DS-U). Vorrei fare alcune osservazioni in merito a questo interessante argomento di cui stiamo discutendo. Il problema è avvertito da noi nei seguenti termini. Se esaminiamo il disegno di legge finanziaria presentato dal Governo, constatiamo che per quanto riguarda il settore delle opere infrastrutturali gli stanziamenti sono sostanzialmente stagnanti. Non c’è un aumento rispetto all’anno precedente, e addirittura nel 2001 si è avuta una diminuzione. Quest’anno c’è un elemento nuovo: il Governo introduce strumenti di finanza creativa (penso al Fondo rotativo per le opere pubbliche, alla creazione della società Infrastrutture Spa e della società Patrimonio Spa e così via) che nelle intenzioni del Governo medesimo dovrebbero sostituire la mancanza di finanziamenti diretti.
La filosofia del Governo è la seguente: non vi sono risorse che lo Stato in questa fase possa investire direttamente nelle infrastrutture, per cui l’unica speranza è che questi programmi di rilancio (per la verità un po’ enfatizzati) possano essere sostenuti attraverso un coinvolgimento del risparmio privato. Il mezzo tecnico è quello della finanza di progetto; in più, ci sono le strutture che ho appena citato. La normativa riguardante la finanza di progetto non è stata applicata completamente perché la situazione del nostro Paese è particolarmente arretrata e non permetteva il decollo di questo istituto; tuttavia, negli ultimi mesi, soprattutto per iniziativa del nostro Presidente, abbiamo modificato sostanzialmente la normativa esistente. Tenendo anche conto di questo, la domanda che intendo porle è la seguente: lei ritiene che allo stato delle cose, cioè considerato l’affinamento del meccanismo della finanza di progetto e considerata l’esistenza di questi nuovi strumenti a disposizione dello Stato e del mercato finanziario, la finanza di progetto possa rispondere – nel medio periodo, non soltanto nel 2003 – alle aspettative del Governo per il finanziamento del programma relativo alle opere infrastrutturali strategiche?
DE PIERRIS. In realtà, c’è un’altra variabile da considerare, oltre all’esistenza di regole e alla riforma della normativa di settore. Mi riferisco ai comportamenti che le amministrazioni e le stazioni appaltanti devono assumere. Quanto ho detto prima porta a concludere che l’attività di riforma è stata importante e sicuramente ha ampliato lo strumentario di cui si dispone per fare finanza di progetto in Italia.
L’inizio lento è stato dovuto in parte al fatto che si tratta comunque di tecniche, che hanno bisogno di parecchio tempo per potersi esprimere attraverso realizzazioni concrete. Quello che si può constatare da un’analisi della situazione presente negli altri ordinamenti è che da quando si identifica un’iniziativa a quando l’opera viene eseguita trascorrono circa sette anni, e questo vale per le opere più semplici. Infatti c’è una fase di progettualità, di identificazione dei percorsi amministrativi, di sollecitazione dei capitali privati, di conclusione degli accordi finanziari con le banche, prima che possa in concreto realizzarsi la costruzione vera e propria. L’altro problema è che si tratta di un ciclo più lungo del ciclo elettorale, per cui molto spesso le amministrazioni che iniziano il procedimento non sono le stesse che inaugurano l’opera. Le normative adottate hanno sicuramente ampliato la possibilità di applicare lo strumento della finanza di progetto, ma bisogna fare in modo che le amministrazioni siano propulsive e sappiano proporsi al mercato. Quello che spesso viene dimenticato è che la finanza di progetto presuppone un settore pubblico ed un settore privato. Quest’ultimo risponde nella misura in cui trova una convenienza, ma è il settore pubblico che deve essere in grado di fare proposte che interessino il privato. Dunque, vi deve essere un equilibrio fra la convenienza del settore pubblico e quella del settore privato, una situazione in cui nessuno stravinca. È necessario un aumento di efficienza e bisogna che il settore privato riesca a ricavare profitto dai propri investimenti. Per quanto riguarda la bontà della tecnica, vorrei far notare che molti Paesi europei che non hanno gli stessi problemi di finanza pubblica dell’Italia (ad esempio, l’Olanda) hanno deciso comunque di realizzare molte opere in finanza di progetto in ragione dei guadagni di efficienza che questo strumento consente. Ricorrere ai privati soltanto perché non ci sono soldi è un ragionamento riduttivo in cui si sottovalutano gli altri benefici, quali una diminuzione dei rischi dell’amministrazione, che vengono trasferiti al settore privato. Se siamo guidati esclusivamente dall’esigenza derivante dalla scarsità delle risorse, faremo operazioni non ottimali perché non ci soffermeremo su elementi altrettanto importanti come l’erogazione di un servizio di qualità ad un costo accettabile per la collettività. Noi produciamo una serie di strumenti tecnici che sono disponibili sul sito internet della nostra Unità, nel quale forniamo informazioni al mercato, ma quello che fa la differenza sarà la capacità delle stazioni appaltanti di suscitare l’interesse del mercato. Questa è la variabile chiave: con le regole possiamo poi ottimizzare, possiamo dare un tocco in più, ma sicuramente fondamentale sarà verificare la capacità, per esempio, dell’ANAS, delle ferrovie o delle grandi Regioni di far partire le opere. L’impegno, infatti, è soprattutto delle stazioni appaltanti, in quanto noi possiamo soltanto dare un supporto ma non sostituirci alle decisioni loro spettanti.
PRESIDENTE. Poiché attribuisco molta importanza alla discussione su queste problematiche, vorrei ricordare l’origine dell’attuale politica di rigore che portò all’osservanza da parte dell’Italia dei parametri di Maastricht con sorpresa di tutti i Paesi europei, perché allora pochi credevano che saremmo riusciti a raggiungere questo obiettivo. La politica di rigore venne avviata in Italia non nel marzo del 1992, cioè dopo la sottoscrizione del Patto, ma nel settembre dello stesso anno, con la presentazione della legge finanziaria del Governo di Giuliano Amato e in considerazione del fatto che nel mese di agosto Paesi tradizionalmente alleati dell’Italia, come gli Stati Uniti e la Germania, infierirono sulla lira costringendola ad una svalutazione di quasi il 30 per cento. Si determinò una situazione di emergenza tale che il Governo dell’epoca dovette spiegare agli italiani che non era più possibile mantenere il tipo di modello fino ad allora vigente, cioè quel mix di sistema economico sovietico e di sistema di vita americano. Tale riferimento storico mi aiuta a rendere più chiara la situazione attuale del Paese, caratterizzata da un forte deficit di infrastrutture materiali e immateriali che si traduce in una ridotta competitività del sistema Paese, particolarmente preoccupante essendo l’Italia nel sistema dell’euro la cui regola fondamentale, come ricordano anche il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio, è quella della competitività. Con riferimento alle infrastrutture materiali, per colmare il ritardo, occorre dotare finalmente il Paese di quelle infrastrutture che negli ultimi dieci anni non sono state realizzate. Per far ciò, sarebbe necessario disporre di risorse pubbliche molto più consistenti rispetto a quelle reperibili nel bilancio dello Stato, sia di quest’anno che dei prossimi anni, considerato l’alto livello di indebitamento e i limiti imposti dal Patto di stabilità europeo. Ciononostante, rispetto agli altri Paesi europei, l’Italia potrebbe godere del vantaggio derivante dal fiume di denaro privato rientrato dall’estero grazie allo scudo fiscale.
La domanda che consegue è dunque se sia possibile che, con un percorso virtuoso, questi soldi anziché riversarsi nelle casse delle banche o essere spesi in borsa possano tramutarsi in un elemento di sostegno per il rilancio delle infrastrutture nel Paese. La risposta non può che essere positiva a condizione che tutti gli attori, non solo Governo e Parlamento, si rendano conto di quale sia il sistema per trasformare questo denaro da risparmio statico a risorsa dinamica. In questo senso, sono soddisfatto del lavoro effettuato dal Parlamento; occorreva, infatti, in primo luogo, modificare la normativa perché in ordine alla finanza di progetto la legge Merloni non aveva funzionato. È stata pertanto definita una normativa più efficace, ma la condizione per metterla in moto è che ciascuno degli attori faccia la propria parte. I soggetti sono quattro: l’amministrazione pubblica, gli amministratori locali, le banche e, soprattutto, gli imprenditori. Gli imprenditori italiani, infatti, non sono abituati a ragionare in termini di finanza di progetto, bensì ad eseguire i lavori e tornarsene a casa: la figura dell’imprenditore gestore in Italia non c’è ancora e quindi sarà necessario operare un mutamento culturale anche su questo versante. Dobbiamo dunque insistere su questo piano: se vogliamo che l’Italia recuperi competitività, è necessario riuscire ad utilizzare il denaro privato di cui le banche sono piene, indirizzandolo verso lo strumento esistente, che è quello di finanziare opere redditizie. Mentre prima l’amministratore locale per costruire, per esempio, una piscina comunale si rivolgeva al parlamentare eletto per trovare risorse, ora molto più semplicemente predispone un bando e deve sperare di trovare un imprenditore intelligente e capace che costruisca la piscina e la gestisca per un certo numero di anni. Sotto questo profilo, convengo sul fatto che la finanza di progetto non è uno strumento da incentivare soltanto perché ci si trova in condizioni di necessità: si tratta, infatti, di una risorsa enorme a disposizione, che va apprezzata anche perché consente di realizzare guadagni in termini di efficienza, nonché di trasferire sui privati rischi che prima erano in capo all’amministrazione pubblica. Tuttavia, mi sembra di ravvisare molta pigrizia a ragionare in questi termini da parte dei privati. Il cuore della riforma è questo: l’Italia è un Paese unico al mondo, siamo diversi dal resto d’Europa e del mondo, la ricchezza del nostro Paese è la realtà delle piccole e medie imprese – se non partiamo da questo dato la nostra analisi è monca – che però in gran parte non hanno la robustezza finanziaria per reggere da sole piani finanziari con la tecnica della finanza di progetto: hanno bisogno di apparentarsi con le banche. Ciò, con la normativa fino a poco tempo fa esistente, non era possibile, ma adesso la normativa è mutata ed è per loro conveniente. Le banche, quindi, dovranno essere il motore del decollo della finanza di progetto anche perché anch’esse debbono inventarsi nuove tecniche per fare bilanci più robusti. Questa è una linea di lavoro importante. Le banche dovranno scendere in campo perché con la normativa in vigore possono farlo non avendo più le mani legate. In tal senso, continuo ad essere ottimista. Certo, a livello di conoscenze siamo ancora un po’ indietro. In questi mesi, partecipando ad alcuni incontri e convegni nella mia Regione e in varie località d’Italia, ho preso atto che la finanza di progetto non è uno strumento conosciuto. È un fatto che comincia a preoccuparmi, perché vuol dire che la conservazione ancora una volta sta vincendo.Se non riusciremo ad avere da parte di tutti i protagonisti comportamenti coerenti con la normativa che abbiamo adottato, la finanza di progetto – che a mio avviso rappresenta un’opportunità importantissima – rischierà di non decollare e quindi non potremo raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissi. Non si tratta di un problema politico, ma culturale. Dobbiamo immaginare comportamenti nuovi sul piano delle logiche culturali. Chiedere tutto allo Stato oggi non solo non ci conviene, ma non è produttivo. Lo Stato non è in condizioni di rispondere a tutte le richieste. Le risorse ci sono, bisogna andarle a prendere e far crescere questa tecnica di finanziamento. A nome della Commissione, ringrazio i nostri ospiti per aver partecipato ai nostri lavori e per la documentazione che hanno lasciato a nostra disposizione. Dichiaro conclusa l’audizione e rinvio il seguito dell’indagine conoscitiva ad altra seduta.
I lavori terminano alle ore 16,10.