LAVORI PUBBLICI, COMUNICAZIONI (8ª)

MERCOLEDÌ 24 NOVEMBRE 2004
399ª Seduta (pomeridiana)

Presidenza del Presidente
GRILLO
Intervengono il vice ministro delle infrastrutture e dei trasporti Tassone e il sottosegretario di Stato per lo stesso dicastero Mammola.


La seduta inizia alle ore 15.


IN SEDE CONSULTIVA

(3224 e 3224-bis) Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2005 e bilancio pluriennale per il triennio 2005-2007 e relativa Nota di variazioni, approvato dalla Camera dei deputati
- (Tabb. 10 e 10-bis) Stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per l'anno finanziario 2005
- (Tabb. 11 e 11-bis) Stato di previsione del Ministero delle comunicazioni per l'anno finanziario 2005
(3223) Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005), approvato dalla Camera dei deputati
(Rapporti alla 5ª Commissione. Seguito dell'esame congiunto e rinvio. Seguito dell'esame delle Tabelle 10 e 10-bis e delle connesse parti del disegno di legge finanziaria e rinvio)

Riprende l'esame congiunto sospeso nella seduta antimeridiana di oggi.

Il presidente GRILLO dichiara aperta la discussione generale sullo stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti contenuto nelle tabelle 10 e 10-bis del bilancio pluriennale per il triennio 2005-2007 e sulle parti connesse della legge finanziaria per l'anno 2005.

La senatrice DONATI (Verdi-U) stigmatizza preliminarmente l'impossibilità della Commissione di modificare gli stanziamenti di bilancio relativi allo stato di previsione del Ministero delle infrastrutture contenuti nella tabella 10-bis, poiché la loro quantificazione per l'anno 2005 è stata operata sulla base di modifiche introdotte dalla legge finanziaria. Fa quindi presente che la manovra di bilancio per il 2005 penalizza fortemente gli investimenti relativi alle opere strategiche ponendo una limitazione, stabilita in 450 milioni di euro, ai pagamenti in favore dei soggetti beneficiari nell'ambito degli interventi finanziati dalla legge n. 166 del 2002. A tale limitazione si aggiunge poi il tetto all'incremento della spesa fissato nel limite del 2 per cento rispetto alle previsioni di bilancio dello scorso anno che colpisce anche il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. In tale contesto, inoltre, taluni investimenti rilevanti nel campo delle infrastrutture di trasporto, quali ad esempio il tratto ferroviario dell'alta velocità Milano-Genova, sfuggono dal bilancio di previsione dello Stato, eludendo il controllo parlamentare, e sono gestiti da Infrastrutture S.p.A. Osserva poi che il Governo non ha ancora stabilito una gerarchia sulla base della quale ordinare gli interventi da realizzare in funzione della scarsità delle risorse disponibili e solo a fini propagandistici, cerca di avviare contemporaneamente tutte le opere considerate strategiche pur nella consapevolezza di non disporre delle risorse necessarie al loro completamento. Un altro tema che merita particolare attenzione è quello relativo all'avvio di programmi di dismissioni concernenti il trasferimento di tratti della rete stradale nazionale a società controllate dallo Stato, previsto dal comma 19 dell'articolo 41 del disegno di legge finanziaria. A questo proposito sottolinea l'indeterminatezza della previsione normativa in questione che risulta carente sotto diversi aspetti, non ultimi quelli concernenti i tempi e i modi del programma di dismissione nonché i criteri in base ai quali si è proceduto a quantificare, nella relazione tecnica, in 3 miliardi di euro i proventi attesi. Un altro tema completamente disatteso dal disegno di legge finanziaria per il prossimo anno è quello relativo al controllo e al miglioramento della qualità ambientale nelle città italiane a carico del trasporto urbano. La finanziaria non contiene infatti nessuna indicazione in merito alla questione della mobilità sostenibile. Preannuncia pertanto l'intenzione di presentare nelle sedi opportune, a nome del Gruppo dei Verdi, proposte emendative volte al finanziamento di provvedimenti tesi al miglioramento della qualità dell'ambiente in ambito cittadino.

Il senatore VISERTA COSTANTINI (DS-U) osserva una sostanziale battuta d'arresto da parte della maggioranza nel settore degli investimenti in opere strategiche, nonostante il grande risalto ad essa attribuito ai fini della realizzazione del programma di Governo. Dall'esame dello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per il prossimo anno è possibile infatti rilevare una sostanziale diminuzione nell'attribuzione delle risorse disponibili che sembra preludere al fallimento della politica del Governo in materia di infrastrutture. Osserva inoltre che nell'ambito della manovra di bilancio sono scomparsi gli interventi finalizzati alla riqualificazione delle città. Per quanto riguarda poi il trasferimento di tratti della rete stradale nazionale a società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, previsto dall'articolo 41, comma 19, rileva l'approssimazione con cui tale argomento è trattato nel disegno di legge finanziaria. Tale indeterminatezza sarà sicuramente causa di contenzioso dinanzi alla Corte costituzionale, tenuto conto delle competenze delle regioni in materia. Propone infine di redigere un ordine del giorno condiviso dall'intera Commissione sulla questione della privatizzazione delle strade statali, così come è avvenuto alla Camera dei deputati, al fine di manifestare la netta contrarietà di questo ramo del Parlamento sulla proposta del Governo.

Il presidente GRILLO dichiara di essere favorevole a farsi carico di elaborare un ordine del giorno che formalizzi la proposta espressa dal senatore Viserta Costantini.

Il senatore MENARDI (AN) sottolinea come vi sia, ad ogni manovra di bilancio, un curioso dibattito tra maggioranza e opposizione con quest'ultima che obietta sulla necessità di costruire opere infrastrutturali e contemporaneamente lamenta l’insufficienza dei finanziamenti. Anche in occasione di questa manovra finanziaria lo schema appena illustrato si ripete ma la cosa più grave, sia per la maggioranza che per l'opposizione, è che non si riescano a trovare le risorse per il piano degli investimenti strategici proposto nel 2001 a partire dall’approvazione della legge obiettivo. Sarebbe infatti necessario a questo fine poco più dell’uno per cento del PIL per un beneficio che, per il Paese, sarebbe di gran lunga superiore. Si dichiara convinto che le ragioni di questa discutibile dinamica siano dovute all’impossibilità di tagliare una spesa pubblica che ognuno dei membri del Parlamento si trova a difendere in altra veste, in genere di amministratore locale, non appena fuori da queste Aule. Il fatto non appare peraltro risolvibile anche se un taglio della spesa pubblica dell’uno per cento significherebbe soltanto la razionalizzazione di talune spese e la riduzione di alcuni sperperi.

Il senatore MONTALBANO (DS-U), pur riconoscendo l’onestà intellettuale delle osservazioni avanzate dal senatore Menardi, dichiara tuttavia di dissentirne in quanto quelle richiamate non sono dinamiche incomprensibili ma piuttosto le ragioni del fallimento delle politiche proposte in questi anni dal Governo. Ritiene infatti che non sia in una corsa indiscriminata o incontrollata alla spesa pubblica ciò che impedisce al Governo di stabilire alcune priorità. Ritiene piuttosto che sia l’inadeguatezza dell’approccio dell’Esecutivo, ad esempio nel settore delle infrastrutture, l'ostacolo al raggiungimento dei piani da esso stesso stabiliti. Un caso per tutti è dato proprio dalla “legge obiettivo” riguardo alla quale non esistono neanche le risorse per le opere già deliberate dal CIPE. Il fallimento dell’intero progetto è inoltre ancor più marcato se si considerano i mancati finanziamenti destinati al Mezzogiorno che vede così aumentare il suo gap infrastrutturale. Inoltre, gli interventi fin qui fatti sono pochi e di bassa qualità. Dichiara infine di condividere quanto detto in altri interventi sul comma 19 dell’articolo 41 del disegno di legge finanziaria e di accogliere positivamente la proposta avanzata dal presidente Grillo di un ordine del giorno unitariamente accolto dalla Commissione, volto ad una radicale correzione della norma.

Il senatore SCALERA (Mar-DL-U) non può non sottolineare il forte ridimensionamento della spesa pubblica per opere infrastrutturali dovuto alla manovra economica per l’anno 2005 ed il prossimo triennio: questo è il dato di fondo su cui il Parlamento è chiamato ad esprimersi e sul quale viene misurato il fallimento delle politiche dell’Esecutivo nel settore delle infrastrutture. Inoltre, il generale contenimento della spesa pubblica imposto a tutti i settori del bilancio avrà un ulteriore riflesso negativo anche nel settore delle opere ordinarie, oltre che in quello delle opere strategiche, con una alta probabilità di blocco dei lavori in corso d’esecuzione. Sull’articolo 41, comma 19, del disegno di legge finanziaria richiama i problemi di mobilità e dei costi che una reale attuazione della norma potrebbe comportare. La finanziaria inoltre non contempla nessuna iniziativa nel settore dell’edilizia residenziale pubblica (né sono contenute altre misure per agevolare il problema della casa) e in quello della riqualificazione urbana e della mobilità. Auspica pertanto che possano essere trovati criteri alternativi a quelli proposti dal Governo per gli investimenti in infrastrutture, una soppressione del comma 19 dell’articolo 41 del disegno di legge finanziaria e una selezione delle priorità per procedere alla programmazione delle opere ordinarie sia in termini di messa in sicurezza di alcune reti, come ad esempio quelle idriche, sia per un più generale intervento per la salvaguardia del territorio attraverso una mobilità sostenibile.

Il senatore Paolo BRUTTI (DS-U) sottolinea ancora una volta come l’impossibilità di conoscere la reale portata della manovra economica, non ancora completa per la mancata presentazione dell’emendamento annunciato dal Governo sui saldi, renda parziale il giudizio sulla manovra medesima. Anche il solo esame dei provvedimenti nei testi trasmessi dalla Camera dei deputati rende tuttavia evidente il carattere sostanzialmente recessivo della proposta avanzata dal Governo. Non è un caso che siano del tutto assenti meccanismi volti a produrre crescita, contenuti invece in tutte le finanziarie precedenti. Inoltre diminuiscono le spese in conto capitale. D’altra parte è piuttosto curioso che ciò accada in un momento in cui nella comunicazione politica si pone un accento quasi esasperato sulle necessità di crescita del Paese. Anche a leggere con la massima attenzione i documenti di bilancio non è possibile rintracciare, nemmeno attraverso i limiti d’impegno, nuove risorse finalizzate ad investimenti infrastrutturali per il 2005 e per gli anni successivi. Ciò rende del tutto evidente che opere di interesse strategico – un caso per tutti la tratta autostradale Civitavecchia-Mestre – non potranno essere realizzate. Vi è inoltre da registrare anche il ridimensionamento complessivo delle risorse contenute nella Tabella B del disegno di legge finanziaria che limita anche le spese per le opere ordinarie con una complessiva contrazione dell’intero settore. Sulle questioni relative al finanziamento dell’alta velocità nel settore ferroviario richiama le osservazioni della senatrice Donati in relazione ad una scarsa trasparenza sui costi degli interventi e sulla carenza di finanziamenti mentre sulla questione relativa all’articolo 41, comma 19, del disegno di legge finanziaria fa presente la necessità di trovare la copertura per l’ammissibilità di un eventuale emendamento che volesse sopprimere quel comma o modificarlo radicalmente. Esprime infine forti perplessità sui meccanismi previsti dalla manovra che potrebbero trasferire beni demaniali dello Stato, come la rete stradale, nelle mani di soggetti privati i quali attraverso l'imposizione di pedaggi, oltre a rompere la continuità della rete di comunicazione stradale, potrebbero ingiustificatamente assumere posizioni dominanti nel settore.

Interviene infine il presidente GRILLO che dichiara anzitutto di farsi carico di predisporre un ordine del giorno che, si augura, sarà unanimemente approvato dalla Commissione per riaffermare il divieto a vendere strade ed autostrade. Dichiara quindi di concordare con il senatore Paolo Brutti sulla necessità di trovare la copertura finanziaria ad un emendamento da presentare alla Commissione Bilancio per una eventuale modifica del comma 19 dell'articolo 41. A questo ultimo riguardo ritiene tuttavia più opportuno aspettare di conoscere l’emendamento del Governo che potrebbe intervenire anche su questo punto. Si dichiara inoltre preoccupato per la mancanza di risorse finalizzate alla costruzione delle opere strategiche sulle quali il Governo ha fatto un forte investimento politico sin dai primi mesi del suo insediamento. La mancanza di risorse, infatti, mette sicuramente a rischio il programma stabilito a partire dal 2001. Sulla questione del finanziamento da parte di Infrastrutture S.p.A. all’Alta Velocità, pur condividendo talune delle osservazioni avanzate dalla senatrice Donati, ritiene che non si possa fare un processo alle intenzioni del Governo. Tale soggetto, infatti, non è nient’altro che una banca la quale dovrà essere, da un certo momento in poi, remunerata degli interessi per gli investimenti che ha operato nel settore ferroviario e questi interessi dovranno essere pagati dallo Stato. Ritiene pertanto che il meccanismo sia piuttosto trasparente. Anticipa infine la presentazione di un ordine del giorno sulle questioni della cantieristica. Intende infatti invitare il Governo ad approvare una normativa, già in vigore anche in Francia e in Spagna che, superando il divieto di aiuti di Stato imposto dall’Unione europea, metta in condizioni competitive il settore della cantieristica rendendo appetibile far costruire navi di grosso tonnellaggio in Italia piuttosto che in Corea.
Poiché non vi sono altri interventi dichiara chiusa la discussione generale.

Il relatore sulle tabelle 10 e 10-bis sullo stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per l'anno finanziario 2005 e sulle parti connesse del disegno di legge finanziaria per l'anno 2005, senatore PEDRAZZINI (LP), rinuncia alla replica impegnandosi a recepire nel rapporto da presentare alla 5ª Commissione alcune delle osservazioni scaturite dal dibattito.

Il seguito dell’esame congiunto è quindi rinviato.


La seduta termina alle ore 16,50.
SENATO DELLA REPUBBLICA
XIV LEGISLATURA


BILANCIO DI PREVISIONE DELLO STATO PER L’ANNO FINANZIARIO 2005 E BILANCIO PLURIENNALE PER IL TRIENNIO 2005-2007 E RELATIVA NOTA DI VARIAZIONI (nn. 3224 e 3224-bis) (Approvato dalla Camera dei deputati)

Stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
per l’anno finanziario 2005
(Tabelle 10 e 10-bis)

Stato di previsione del Ministero delle comunicazioni
per l’anno finanziario 2005
(Tabelle 11 e 11-bis)

DISPOSIZIONI PER LA FORMAZIONE DEL BILANCIO ANNUALE E PLURIENNALE DELLO STATO (LEGGE FINANZIARIA 2005) (n. 3223) (Approvato dalla Camera dei deputati)

IN SEDE CONSULTIVA

3º Resoconto stenografico

SEDUTA DI MERCOLEDÌ 24 novembre 2004

(Pomeridiana)

Presidenza del presidente GRILLO

I N D I C E
(3224 e 3224-bis) Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2005 e bilancio pluriennale per il triennio 2005-2007 e relativa Nota di variazioni, approvato dalla Camera dei deputati
(Tabelle 10 e 10-bis) Stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per l’anno finanziario 2005
(Tabelle 11 e 11-bis) Stato di previsione del Ministero delle comunicazioni per l’anno finanziario 2005
(3223) Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005), approvato dalla Camera dei deputati
(Seguito dell’esame congiunto e rinvio)
Presidente
Pag. 3, 10, 17 e passim

Brutti Paolo (DS-U)
16, 17

Donati (Verdi-U)
3

Menardi (AN)
11

Montalbano (DS-U)
12

Pedrazzini (LP), relatore sulle tabelle 10 e 10-bis e sulle parti ad esse relative del disegno di legge finanziaria
21

Scalera (Mar-DL-U)
13

Viserta Costantini (DS-U)
8
N.B.: Gli interventi contrassegnati con l’asterisco sono stati rivisti dall’oratore.

Sigle dei Gruppi parlamentari: Alleanza Nazionale: AN; Democratici di Sinistra-l’Ulivo: DS-U; Forza Italia: FI; Lega Padana: LP; Margherita-DL-l’Ulivo: Mar-DL-U; Per le Autonomie: Aut; Unione Democristiana e di Centro: UDC; Verdi-l’Ulivo: Verdi-U; Misto: Misto; Misto-Comunisti Italiani: Misto-Com; Misto-Lega per l’Autonomia lombarda: Misto-LAL; Misto-Libertà e giustizia per l’Ulivo: Misto-LGU; Misto-MSI-Fiamma Tricolore: Misto-MSI-Fiamma; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI; Misto-Partito Repubblicano Italiano: Misto-PRI; Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC; Misto-Socialisti democratici Italiani-SDI: Misto-SDI; Misto Popolari-Udeur: Misto-Pop-Udeur.

I lavori hanno inizio alle ore 15.

(3224 e 3224-bis) Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2005 e bilancio pluriennale per il triennio 2005-2007 e relativa Nota di variazioni, approvato dalla Camera dei deputati
(Tabelle 10 e 10-bis) Stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per l’anno finanziario 2005
(Tabelle 11 e 11-bis) Stato di previsione del Ministero delle comunicazioni per l’anno finanziario 2005
(3223) Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005), approvato dalla Camera dei deputati
(Seguito dell’esame congiunto e rinvio)

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca, per il rapporto alla 5ª Commissione permanente, il seguito dell’esame congiunto, per quanto di competenza, dei disegni di legge nn. 3224 e 3224-bis (tabelle 10, 10-bis, 11 e 11-bis) e 3223, già approvati dalla Camera dei deputati, sospeso nella seduta antimeridiana di oggi.

Dichiaro aperta la discussione sulle tabelle 10 e 10-bis e sulle parti ad esse relative del disegno di legge finanziaria.

DONATI (Verdi-U). Mi sembra importante sottolineare in premessa che sostanzialmente questa Commissione, che sulla base dell’articolo 128, comma 2, del Regolamento avrebbe l’obbligo di operare una verifica sugli stanziamenti di bilancio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in realtà non è in condizione di agire perché tutte le modifiche introdotte alla spesa di bilancio del Ministero sono riportate all’articolo 3 del disegno di legge finanziaria. Infatti, la Commissione non può esaminare eventuali modifiche al disegno di legge finanziaria perché una parte sostanziale della manovra deve essere ancora presentata. È vero che entro il 29 novembre prossimo il Governo è stato esortato a presentare in Commissione bilancio il famoso maxiemendamento, ma resta il fatto che non è possibile intervenire nella Commissione di merito per valutare la parte di bilancio per la quale la Commissione stessa è competente perché la quantificazione per l’anno 2005 è stata operata sulla base di modifiche introdotte dalla legge finanziaria. In questo modo, per come sono strutturate la legge finanziaria e quella di bilancio – ed è la prima volta che accade – un passaggio importante della discussione presso le Commissioni di merito, con riferimento alla valutazione degli emendamenti al bilancio, è sostanzialmente venuto meno.

Èevidente che si tratta di una precisa scelta nell’ambito della manovra finanziaria, però volevo sottolinearne la gravità anche nel tentativo di evitare che si trasformi in un precedente. Se così fosse, sarebbe opportuno sopprimere il passaggio nelle Commissioni di merito delle parti dei disegni di legge finanziaria e di bilancio per le quali sono competenti perché, non disponendo di fatto del testo degli emendamenti che il Governo presenterà nella Commissione bilancio, qualsiasi valutazione correttiva risulta impossibile pur trattandosi di un passaggio parlamentare indicato dal Regolamento.
Oggi ci si può limitare soltanto ad una sorta di discussione politica sull’argomento all’ordine del giorno, tenuto conto che qualsiasi riferimento al bilancio, del quale si sarebbe potuto e dovuto discutere secondo quanto previsto dal Regolamento del Senato, ci è impedito dal meccanismo introdotto nella legge finanziaria. Del resto tutte le questioni specifiche trattate nella legge finanziaria vanno invece esaminate presso la Commissione bilancio, le cui decisioni sono purtroppo estranee alla nostra Commissione. Le Commissioni di merito possono solo presentare degli ordini del giorno, come mi riservo certamente di fare.
In premessa, pertanto, ribadisco che un’altra delle possibilità di discutere all’interno delle Commissioni di merito viene meno. Non posso che censurare questo comportamento.
Per quanto riguarda il merito delle questioni, mi limito ad affrontare tre argomenti. La prima questione riguarda gli investimenti afferenti in particolare alle opere strategiche. Secondo quanto emerge dalla relazione del senatore Pedrazzini, si pone una limitazione, stabilita in 450 milioni di euro, ai pagamenti in favore dei soggetti beneficiari nell’ambito degli interventi finanziati dalla legge n. 166 del 2002. Non si prevede alcuna risorsa aggiuntiva per il fondo speciale opere strategiche, ma piuttosto a tale limitazione si aggiunge un tetto all’incremento della spesa fissato nel limite del 2 per cento rispetto alle previsioni di bilancio dello scorso anno che colpisce anche il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Inoltre, taluni investimenti importanti nel campo delle infrastrutture di trasporto, che avrebbero meritato una considerazione da parte della Commissione perché non nell’immediato ma in futuro potrebbero andare ad incrementare il debito – che però si sta costituendo oggi senza che ne venga quantificata la dimensione – sfuggono dal bilancio di previsione dello Stato.
Mi riferisco al tratto ferroviario dell’Alta Velocità Milano-Genova che, sulla base di un decreto interministeriale, viene gestito da Infrastrutture S.p.A., nonostante tutti gli indicatori di redditività dimostrino, sulla base di uno studio compiuto dalle stesse Ferrovie dello Stato, che dal recupero dei biglietti si potrà ricavare solo il 15 per cento degli investimenti necessari, senza contare gli interessi intercalari che per legge sono dovuti una volta realizzati gli investimenti. Ciò significa che in futuro si pagherà con risorse pubbliche l’85 per cento di quell’investimento. Non è mia intenzione ragionare in questa sede sull’utilità o meno di quell’investimento, ma certo è che nei bilanci al nostro esame nulla appare di tutto ciò. È già stato deciso che così sarà e ciò produrrà degli effetti di bilancio a partire dal 2009-2010, quando il sistema sarà stato realizzato e si dovrà dare luogo all’investimento in via definitiva.
Sarebbe stato opportuno affrontare all’interno del dibattito odierno questa tematica, discutendo su quali investimenti sono stati attivati presso Infrastrutture S.p.A. e in che misura essi genereranno un debito per il futuro in modo da operare, sulla base della loro quantificazione, una scelta serena.
Peraltro, sul capitolo degli investimenti noi sappiamo che esiste già una grande difficoltà in quanto il piano di opere individuato è decisamente sovradimensionato rispetto alle disponibilità economiche. A tale proposito, sarebbe necessario avere chiarimenti dal Governo, poiché i dati riportati nella Tabella F per l’ammortamento dei mutui riferiti alle annualità in corso sono inferiori, pur scontati del freno dei pagamenti, a quelli attivati precedentemente: sarà possibile, in queste condizioni, attivare completamente i mutui, sulla base dei famosi 9 miliardi di euro assegnati complessivamente al Fondo opere strategiche? Più realisticamente, quanti miliardi di euro potranno essere effettivamente erogati nel 2005 e quanti passeranno al 2006?
Quindi, il Fondo opere strategiche è limitato e inferiore alle previsioni a legge finanziaria e di bilancio vigenti, con conseguente inevitabile rallentamento dell’attivazione dei mutui, e non si prevedono risorse aggiuntive. Così si continuano a trovare soluzioni deformi per aggirare le limitazioni di bilancio: penso al caso del quadrilatero umbro-marchigiano o del progetto Alta Velocità nel tratto Milano-Genova, il cui finanziamento è stato affidato direttamente a ISPA, soluzione che non può essere definita di project financing perché non mobilita risorse private, ma attribuisce a debito futuro, e oggi non quantificato, ingenti investimenti. A tale proposito, ricordo che l’Alta velocità Milano-Genova costa 4,7 miliardi di euro.
Nonostante non siano state previste risorse aggiuntive, la lista delle opere continua ad allungarsi. E’ questo un altro argomento sul quale sarebbe opportuno conoscere l’opinione del Governo. Nel Documento di programmazione economico-finanziaria presentato a luglio, alla lista delle 91 opere prioritarie venivano aggiunte altre nove opere con il documento allegato sulle infrastrutture. Iniziata la discussione, il ministro Siniscalco si è tuttavia affrettato a chiarire che quelle opere aggiuntive non erano ancora state deliberate, dovendo prima essere sottoposte al vaglio del suo Ministero e soprattutto del CIPE, per giungere ad una decisione coerente con le prescrizioni della legge obiettivo. Questa procedura è corretta, ma sul territorio quell’annuncio ha prodotto aspettative: ovunque si vada, la lista di quelle nove opere aggiuntive è data per acquisita e quindi a livello locale non si presta sufficiente attenzione al dettaglio non secondario che a tutt’oggi il CIPE non si è pronunciato e che quindi si è ancora fermi alla delibera del 21 dicembre 2001. Credo sia necessario fornire qualche chiarimento anche in ordine alle liste e alle procedure che vengono adottate.
Se le risorse sono scarse, si può decidere (anzi, ritengo che in qualche occasione ciò sia indispensabile) di coprire gli investimenti ricorrendo all’indebitamento. Ma questa operazione è ipotizzabile solo se a monte si adotta un criterio di selezione pubblica all’interno di quella lista di investimenti, peraltro in corso di ulteriore allungamento. Invece, non si decide quali sono le 10 o 15 opere prioritarie per il Paese e si tenta di farle partire tutte, accelerando l’iter di approvazione dei progetti senza però disporre di risorse adeguate per la fase di realizzazione. Ricordo che sono almeno 80 i progetti dei quali è già stato concluso l’iter di approvazione e che sono stati dotati di una quota dei finanziamenti, in molti casi piccola, poche migliaia di euro, in modo da poter dire che la realizzazione dell’opera è stata avviata. E’ un meccanismo di alimentazione della spesa davvero inaccettabile, che la legge finanziaria non fa nulla per correggere e che avrà come conseguenza tempi incerti e costi altrettanto incerti.
Il secondo argomento che voglio affrontare riguarda l’ANAS. Abbiamo già in parte discusso durante l’esame del Documento di programmazione economico-finanziaria del problema relativo alle strade nazionali ed alle ipotesi di pedaggiamento. Ribadisco quanto dissi in quell’occasione: le politiche di pedaggiamento possono essere attuate e, a mio giudizio, anche sulle strade statali, ma non nell’ottica del Governo, tendente esclusivamente a fare cassa. Esse infatti devono essere adottate quali strumenti per disincentivare i sistemi di trasporto a maggiore impatto ambientale: non si può introdurre, al di fuori di una logica di sistema, il concetto di pedaggiamento in modo generalizzato sulle attuali strade statali, che hanno enorme bisogno di investimenti, considerate le evidenti carenze sul piano dell’ammodernamento, della manutenzione, dell’adeguamento agli standard europei, della messa in sicurezza delle gallerie.
Ma la proposta del Governo è ancor più inaccettabile in quanto all’articolo 41, comma 19, del disegno di legge finanziaria si prevede la vendita di una quota rilevante della rete stradale nazionale a società non meglio definite, delle quali si dice solo che devono essere direttamente o indirettamente controllate dallo Stato. L’unico altro elemento di valutazione a disposizione, peraltro gravissimo, è che l’operazione deve produrre nel 2005 tre miliardi di euro di entrate per il bilancio dello Stato. Siamo di fronte quindi ad una misura esclusivamente volta ad alleggerire il debito pubblico, a rastrellare tre miliardi di euro in una manovra di finanza pubblica che prevede entrate per complessivi 12 miliardi. Si tratta però di entrate presunte, stante l’assenza di valutazioni circa l’impatto che la vendita e la possibile applicazione di pedaggi potrebbero determinare e di chiarimenti su chi farà gli investimenti o su chi pagherà la manutenzione. Tutto quello che abbiamo ascoltato dal Ministro nelle precisazioni successive in ordine al cosiddetto «pedaggio ombra» non trova alcun riscontro nel provvedimento.
Ribadisco pertanto il parere contrario ad un’operazione voluta esclusivamente per fare cassa, ma della quale non vengono chiariti gli elementi di contorno. Ovviamente, il Parlamento e le competenti Commissioni sono completamente esclusi dal processo di approfondimento sulla bontà dell’iniziativa, mentre sarebbe necessario riflettere se è giusto che lo Stato rinunci alla proprietà delle reti stradali nazionali. A mio parere non si deve rinunciare ad un patrimonio essenziale dello Stato, che ha un consistente valore economico ma anche una fondamentale utilità ai fini della mobilità essenziale del Paese e della coesione sociale. È una rete di collegamento e connessione indispensabile per molte parti del Paese non sufficientemente servite dalle autostrade: serve altri cittadini e altri territori rispetto alle autostrade e, con il sistema chiuso esistente in Italia, è quasi sempre la rete ANAS a sopportare i carichi enormi del crescente traffico locale. Ritengo pertanto che passare dal regime di concessione all’ANAS alla rinuncia da parte dello Stato della proprietà sia un errore perché si tratta di un bene fondamentale di connessione e di servizio ai cittadini del quale è opportuno non privarsi.
Si possono immaginare anche forme di grande efficienza rispetto alla concessione e al pedaggiamento, sempre che l’infrastruttura assuma con adeguati investimenti certe caratteristiche di qualità, ma tutto ciò non ha nulla a che fare con la dismissione della proprietà, secondo quanto previsto purtroppo dal comma 19 dell’articolo 41. Mi auguro che anche questo aspetto venga valutato accuratamente dalla Commissione e che ne venga proposta, nelle sedi opportune, la sua soppressione. È una misura sbagliata, non servirà allo scopo e presume delle entrate davvero cospicue. Sarebbe interessante capire chi ha fatto queste valutazioni e sulla base di quali parametri si è proceduto. Ritengo infatti che i criteri in base ai quali si è proceduto a quantificare in 3 miliardi di euro i proventi attesi non tengano conto a sufficienza degli asset esistenti. Vi potrebbe essere il rischio di una sottovalutazione. Sulla base dell’esperienza che ho maturato, una rete ferroviaria che copre 16.000 chilometri può dare luogo a valutazioni ben più ottimistiche. Mi rendo conto che la questione è difficilmente risolvibile, trattandosi di beni non presenti sul mercato ma in un uso ad un soggetto che ne ha la piena titolarità, però mi sembra importante che in questo caso non si starebbe procedendo ad una vendita ma piuttosto ad una svendita. Mi auguro che questo modo di «fare cassa» venga meno e che in ogni caso la proprietà della rete ANAS non venga in alcun modo ceduta.
L’ultima tema totalmente disatteso in questo disegno di legge finanziaria riguarda in particolare le città e la mobilità sostenibile. Dal primo gennaio 2005 entrano in vigore, sulla base di quanto indicato nelle direttive europee e poi successivamente recepito nell’ordinamento italiano, nuovi limiti sulla qualità dell’aria. Si prevede che, sulla base dell’andamento dei dati relativi al 2003 e dei meccanismi di conteggio e controllo della qualità dell’aria posti in essere nelle principali aree metropolitane, nel mese di marzo la metà delle città italiane sarà costretta a bloccare la viabilità del trasporto in ambito urbano. Siamo al di sopra dei limiti per quanto riguarda il particolato PM10 e il benzene. È paradossale che a fronte di questa prospettiva e nonostante il grido di allarme da parte di molte amministrazioni locali, sia di destra che di sinistra, la finanziaria di quest’anno nulla dica in ordine alla mobilità sostenibile. Non si finanziano ulteriormente gli investimenti esistenti, in particolare le norme che favoriscono l’utilizzo di mezzi alternativi all’automobile, quali la bicicletta, oppure quelle inerenti il fondo per la mobilità sostenibile. Si tratta di misure di innovazione e di servizio tecnologico che le città sono tenute a predisporre per contrastare quella che sarà – come fu negli anni 1992-1993 – una vera e propria emergenza nazionale. Adesso si fa finta di nulla ma il problema, una volta superati i limiti previsti dalla normativa comunitaria, raggiungerà livelli di emergenza e sarà in quel momento necessario ridiscuterne, purtroppo ancora una volta nell’ambito di una situazione emergenziale e non di una capacità di Governo che evidentemente dimostrate di non condividere e di non sostenere.
Presenterò numerosi ordini del giorno ed emendamenti che vanno nella direzione di sostenere le città in questo sforzo immane di favorire sistemi di mobilità alternativa, che non sono sempre collettivi o pubblici, ma che hanno bisogno di un sostegno economico oltre che regolamentare.
Voglio ricordare che tutte le misure che ancora adesso le città stanno attuando, dal mobility manager al car-sharing e quant’altro, sono diretta conseguenza dei decreti attuativi del decreto legislativo n. 22 del 1997. Sono ancora in fase di attuazione quelle misure. Se non si procede ad un rifinanziamento di quei decreti di attuazione, il prossimo anno le città, quando si troveranno di fronte a problemi ulteriori di controllo rispetto ai nuovi limiti della qualità dell’aria, non saranno in grado di offrire misure innovative ed alternative al veicolo privato. Da molte parti – immagino anche nei collegi dei senatori di maggioranza – si sollecita, oltre alla questione degli investimenti in opere strategiche e a quella della dismissione di tratti stradali di competenza dell’ANAS, la questione anzidetta. È un problema molto avvertito dagli amministratori locali chiamati a gestire in concreto le modalità di attuazione delle direttive sulla qualità dell’aria al fine di garantire ai cittadini forme alternative alla mobilità in città.

VISERTA COSTANTINI (DS-U). Mi limiterò soltanto a qualche breve osservazione in considerazione del fatto che si è costretti ad esaminare il testo della manovra finanziaria sulla base di cifre che tra pochi giorni saranno completamente modificate. Pertanto, con il mio intervento voglio semplicemente rilevare alcuni elementi caratterizzanti rispetto ai documenti che sono stati presentati in Parlamento nel settore degli investimenti in opere strategiche. Si osserva una battuta d’arresto molto significativa in ordine agli obiettivi e alle strategie adottati dalla maggioranza. In particolar modo la maggioranza, nel momento in cui ha assunto l’incarico di governare il Paese ha posto, anche giustamente, al primo posto la questione delle infrastrutture. Ricordo tra tutte la legge obiettivo, gli sforzi per dare attuazione alla finanza creativa voluta da Tremonti e infine il DPEF 2005-2008 in cui ancora una volta il Governo ribadisce la valenza dell’impegno finanziario per le infrastrutture riconoscendo al settore un significato che, oltre a travalicare l’oggetto del finanziamento in quanto tale, ha dirette conseguenze sullo sviluppo e sulla capacità competitiva del Paese.

Questa era l’impostazione generale da cui eravamo partiti. Ci si sarebbe aspettati, per tenere fede a questa impostazione, un impegno finanziario maggiore a favore delle opere strategiche. D’altro canto, attraverso i mezzi di informazione abbiamo seguito la trattativa che ha visto impegnati il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e quello dell’economia e delle finanze. Secondo il ministro Lunardi, per mantenere lo sforzo di finanziamento delle infrastrutture, era necessario che il Ministro dell’economia e delle finanze assegnasse a questo scopo 7 miliardi di euro. Se andiamo a verificare le decisioni assunte dal Governo, scopriamo che gli stanziamenti previsti sono assolutamente deludenti. Cito solo il Fondo di cui alla legge n.166 del 2002, riportato in tabella F, per il quale sono previsti 182,4 milioni per quest’anno, addirittura una diminuzione dello stanziamento previsto lo scorso anno. Anche se la riduzione non è molto significativa, rappresentando solo l’1,7 per cento circa, se rapportata a quanto stanziato nel 2003 e alla riduzione relativa al 2004, la compressione delle risorse per le opere strategiche si aggira addirittura intorno al 20 per cento. Questo è il quadro attuale.
Quindi una scelta presentata come una caratterizzazione fondamentale del programma del centrodestra si stinge in questi mesi e segna uno degli elementi più evidenti e determinanti del fallimento della politica di Governo.
C’è un secondo aspetto che volevo sottolineare: riguarda le politiche per la città. Si tratta di argomenti che noi approfondiamo da qualche anno, ma la maggioranza negli ultimi tempi ha addirittura lanciato sul tema una parola d’ordine per molti aspetti interessante: come è stata approvata una legge obiettivo per le grandi infrastrutture, così si può elaborare una legge obiettivo per le città, che dovrebbe affrontare non soltanto i problemi della sostenibilità ambientale di cui parlava la senatrice Donati, ma più in generale programmi di riqualificazione delle città. Ci saremmo aspettati che questi propositi, ribaditi anche nella discussione sul Documento di programmazione economico-finanziaria, trovassero applicazione nella manovra finanziaria. Invece essa appare assolutamente sorda a tali istanze e non individua alcuna posta di bilancio a favore di obiettivi così ambiziosi. La tematica viene lasciata cadere.
Desidero fare un’ulteriore osservazione che però necessita di una breve premessa. Il Governo e i colleghi hanno seguito il dibattito alla Camera sulla finanziaria e avranno notato come in quella sede la competente Commissione abbia votato all’unanimità un ordine del giorno col quale si chiedeva alla Commissione bilancio di cassare dalla finanziaria la norma sull’assicurazione privata obbligatoria sugli immobili. Si è trattato di un passo molto positivo: i colleghi della maggioranza della Camera hanno valutato in maniera autonoma e libera le proposte del Governo. Ritengo che allo stesso modo la proposta che il disegno di legge finanziaria reca all’articolo 41, comma 19, potrebbe produrre un punto d’incontro tra maggioranza e opposizione: secondo una valutazione abbastanza generalizzata (basta scorrere la rassegna stampa sull’argomento) l’idea di vendere una quota così ampia della rete stradale desta fortissime perplessità. La Commissione dovrebbe respingere unitariamente questa proposta del Governo per una serie di ragioni. Innanzi tutto, è possibile cedere la proprietà delle strade di interesse nazionale? Molti ritengono che questo non possa essere fatto perché le strade appartengono al demanio indisponibile dello Stato: del resto, nella classificazione prodotta qualche tempo fa dallo stesso Governo, le strade di interesse nazionale erano collocate in questa categoria. Quindi la proposta sarebbe, dal punto di vista giuridico, un azzardo che potrebbe aprire un contenzioso davanti alla Corte costituzionale.
La questione va letta anche da un altro punto di vista: sappiamo che le strade di interesse nazionale, in base al decreto-legge n. 138 del 2002, dovevano essere assegnate in proprietà all’ANAS. Una giustificazione di questa scelta, quindi della volontà dello Stato, era che, dando all’ANAS le risorse necessarie per svolgere in maniera adeguata i compiti ad essa assegnati dalla legge che l’ha privatizzata, si garantiva continuità al processo di rafforzamento dell’Azienda. Prima di decidere di cedere 1.500 chilometri di strade di interesse nazionale, occorrerebbe vedere in prospettiva quali conseguenze questa decisione potrebbe avere sull’ANAS, che rischierebbe di essere posta nelle condizioni di non poter svolgere la sua missione. Certo, come dice la relazione tecnica, la cessione serve a realizzare da subito 3 miliardi di euro; ma per far fronte alle esigenze di cassa non si possono creare problemi estremamente preoccupanti per quanto riguarda la gestione complessiva del sistema della viabilità nazionale. Mettere in crisi l’ANAS, come sarà inevitabile approvando una misura di questo tipo, significa mettere in crisi l’intera gestione del sistema della viabilità nazionale.
Ultima ragione per la quale non può essere condivisa la proposta del Governo è che la cessione della proprietà a privati presuppone che successivamente questi ultimi possano istituire un pedaggio. A tale proposito, il Ministro per l’economia, rispondendo ad una interrogazione dell’onorevole Tarantino alla Camera, ha sostenuto che in realtà non ci sarà pagamento di pedaggi da parte degli utenti e ha parlato di un «pedaggio ombra». Ma anche il Servizio studi del Senato evidenzia che né nella relazione tecnica che accompagna la finanziaria, né nell’articolato si fa menzione dell’eventualità alternativa. Si sa solo che la proprietà di queste strade a carattere nazionale passerà a privati e che debbono essere tratte sottoponibili a pedaggio, perché altrimenti non si capisce per quale ragione un privato dovrebbe essere indotto ad acquistare parte della rete. E’ un’operazione che ricadrà sui cittadini, che sono, come abbiamo detto tante volte a tutti livelli, particolarmente tartassati in questo periodo. Allora, se i colleghi della maggioranza lo ritengono, potremmo pensare ad un ordine del giorno unitario, critico nei confronti di questa misura del Governo.

PRESIDENTE. Anticipo (e del resto ho già fatto dichiarazioni pubbliche a tale proposito) che il comma 19 dell’articolo 41 del disegno di legge finanziaria è assolutamente da cancellare. A mio parere si tratta di una previsione assurda e quindi sono d’accordo che i Gruppi propongano un ordine del giorno con l’invito al Governo a ritirare la previsione. Anzi, mi farò carico personalmente di formalizzare la proposta espressa dal senatore Viserta Costantini.
MENARDI (AN). Signor Presidente, approfitto della discussione su queste tabelle per fare alcune considerazioni di carattere generale. Ormai da qualche anno ci si ritrova a discutere della manovra finanziaria e di quanto in essa è previsto in relazione alle opere che si vogliono realizzare o che si ha intenzione di indicare per la realizzazione in questo Paese.

Nella discussione si evidenziano normalmente due posizioni, una della maggioranza che, pur manifestando qualche critica – una è con riferimento al comma 19 dell’articolo 41 che nell’attuale formulazione non è proponibile e discutibile nel merito –, sostanzialmente è d’accordo con la proposta del Governo, l’altra dell’opposizione che, pur esprimendo specificità distinte, sostiene che gli stanziamenti non sono sufficienti e che bisognerebbe fare di più su una serie di questioni. Ovviamente, a prescindere dalla valutazione della situazione attuale, è curioso che i Governi – oggi si discute di quello attualmente in carica – non riescano mai a trovare i fondi per dare attuazione al piano degli investimenti strategici che pure la maggioranza si era prefissata quattro anni fa, a partire dall’approvazione della legge obiettivo. Si era immaginato di spendere 240.000 miliardi di vecchie lire, pari a circa 120 miliardi di euro in dieci anni, 12 miliardi di euro per ogni anno per garantire la realizzazione del piano di opere infrastrutturali necessarie al Paese, una cifra di poco inferiore all’1 per cento del PIL.
Se si immagina che la spesa dello Stato rappresenta circa la metà del PIL, non dovrebbe essere difficile raggranellare una cifra assolutamente minima rispetto al grande beneficio che deriverebbe all’intero Paese dalla realizzazione di certe opere. Se così stanno le cose, perché finora nessun Governo – oggi quello in carica – è mai riuscito ad imprimere, soprattutto negli ultimi anni, un colpo di acceleratore su tali questioni?
La verità, al di là della discussione che si svolge oggi in questa sede, è che ognuno di noi quando lascia quest’Aula assume una veste diversa che lo porta spesso a difendere una spesa pubblica che di fatto risulta impossibile tagliare. Se non si è in grado di incidere neanche per l’1 per cento di una spesa pubblica di enorme rilievo, diventa certo difficile dare una risposta concreta alla molteplicità dei problemi sul tappeto, compresi quelli che da anni sono stati indicati nei vari piani programmatici approvati in questi anni.
Non credo che si possano indicare coperture diverse da quelle proposte dal Governo se poi non si riesce a spiegare all’opinione pubblica il significato di talune priorità che in quanto tali meriterebbero di essere accolte dall’intero Parlamento. Le mie sono probabilmente soltanto pie illusioni, perché in realtà all’interno della maggioranza – e a maggior ragione da parte di un’opposizione che è chiamata a svolgere il proprio ruolo – non c’è la volontà di accettare un’impostazione del genere.
Chiudo con una battuta. Chiunque di noi ha svolto la funzione di amministratore pubblico (consigliere comunale, sindaco, presidente di comunità montana e altro) è sicuramente al corrente delle caratteristiche proprie di un bilancio e dunque può convenire con me sulle similitudini che esistono rispetto al bilancio dello Stato. Pertanto, non è particolarmente difficile nella redazione dei diversi bilanci risparmiare alcuni punti percentuali rispetto alla spesa di queste amministrazioni. Basta solo un po’ di buona volontà. Operare un risparmio, variabile tra l’1 e il 3 per cento, nell’ambito delle voci di bilancio degli enti locali, in rapporto al bilancio complessivo dello Stato, non significa gettare le amministrazioni locali nella disperazione o nell’impossibilità di dare risposte alle domande della società di cui si preoccupano. Se si tiene conto della realtà complessiva del Paese, è del tutto inopportuno contrabbandare l’esigenza di tagli alla spesa degli enti locali, come spesso accade in televisione da parte degli oppositori, alla stregua di una pura e semplice operazione di «macelleria» sociale. Non credo che un taglio della spesa pubblica dell’1 per cento possa essere considerato scandaloso, anche se riguardasse la sanità. Certo, è assolutamente necessario garantire una corretta gestione degli stanziamenti previsti per il settore operando contestualmente nell’ambito di una necessaria ed ampia razionalizzazione della spesa sanitaria.
Detto ciò, sono convinto che mantenendo il tetto di spesa previsto nella finanziaria e operando un taglio rispetto alle voci di bilancio verrebbero forse meno risorse per le ambasciate all’estero e per alcuni viaggi di turismo politico, tanto diffusi in questo Paese, oppure si riuscirebbe a limitare il numero di auto blu circolanti. Solo in questo modo è possibile costruire un bilancio sempre più corretto e concretamente rispondente alle aspettative dei nostri concittadini.

MONTALBANO (DS-U). In primo luogo, pur apprezzando la sincerità e l’onestà intellettuale del senatore Menardi, che sostanzialmente ammette che il Governo non ha raggiunto gli obiettivi che si era proposto all’inizio della legislatura in ordine alla dotazione infrastrutturale del Paese, mi permetto garbatamente di dissentire sulle ragioni che stanno alla base di questo sostanziale fallimento delle politiche governative. In realtà, non è vero che la corsa indiscriminata o incontrollata alla spesa pubblica – è curioso che certi sprechi vengano scoperti solo adesso – e l’esigenza di una sua razionalizzazione impediscano al Governo di perseguire certe priorità strategiche poste alla base del progetto politico e dell’impegno programmatico di inizio legislatura. Penso non sia così; penso ci sia stato da parte del Governo un approccio inadeguato, basato sulla negazione sostanziale delle difficoltà in cui il Paese si veniva via via a trovare sul piano economico e finanziario, con una rincorsa, tutto sommato un po’ patetica, ad una nuova politica finanziaria, molto virtuale e poco sostanziale, che ha di fatto impedito il perseguimento degli obiettivi prefissati e che oggi ci consegna una situazione fallimentare.

La riduzione delle spese relative al 2004 di 1.123 milioni di euro in termini di competenza dimostra l’impossibilità di perseguire gli obiettivi politici individuati ad inizio legislatura. Del resto, questa è la penultima manovra finanziaria della legislatura e quindi si può cominciare ad abbozzare un consuntivo su alcune grandi questioni. La prima è quella relativa al perseguimento delle finalità della legge obiettivo: troviamo uno stanziamento di 9 miliardi di euro, non uno in più, evidentemente inferiore al fabbisogno annuale necessario alla realizzazione del programma di opere già deliberato dal CIPE, la cui dotazione finanziaria dovrebbe ammontare a 43 miliardi di euro.
Se poi ci riferiamo al costo complessivo delle opere individuate nella filosofia di interventi della legge obiettivo, per un importo totale di oltre 230 miliardi di euro, è evidente che siamo di fronte ad un gap che formalizza il fallimento del progetto di ammodernamento delle dotazioni infrastrutturali del Paese. A fronte di ciò, dobbiamo aggiungere, per quanto riguarda la legge obiettivo, che soltanto nove gare sono arrivate all’aggiudicazione degli appalti e solo tre cantieri sono aperti: è un dato sconfortante per uno dei cardini del programma politico del Governo.
In tale contesto, un discorso a parte va fatto per quanto riguarda la dotazione infrastrutturale del Mezzogiorno: sono lacrime e sangue! Fatta 100 la media nazionale, il Mezzogiorno è al 77,7 di interventi infrastrutturali, contro il 115,4 del Centro-Nord. Il Governo si è arrampicato sugli specchi per sostenere la necessità di destinare strategicamente almeno il 45 per cento degli investimenti al Mezzogiorno, ma al Sud risulta allocato soltanto il 30 per cento delle risorse, con una ulteriore divaricazione del gap infrastrutturale. In simili condizioni, non è stato certo d’aiuto il velleitario perseguimento del progetto di costruzione del Ponte sullo Stretto, quando persino il Vescovo di Patti, dopo il deragliamento del treno a Rometta Marea, ha sostenuto la necessità di una maggiore e diffusa dotazione infrastrutturale del Mezzogiorno.
Lo stesso giudizio critico dobbiamo formulare sulla riduzione del 20 per cento di investimenti per le opere pubbliche. Da questo punto di vista, penso ci siano tutti gli elementi per stigmatizzare la manovra finanziaria, almeno in relazione alle Tabelle che stiamo trattando, e per allinearci al giudizio che ha dato lo SVIMEZ, secondo il quale per quanto riguarda le infrastrutture al Sud siamo di fronte ad interventi di modesta qualità.
Non aggiungo altro a quanto detto dalla senatrice Donati e dal senatore Viserta Costantini sulla questione dell’ANAS, però è evidente che si tratta di due distinti piani di intervento: da una parte le esigenze di cassa, dall’altra l’ipotesi avventata di alienare parte del patrimonio stradale nazionale a prescindere da un ragionamento strategico sul ruolo presente e futuro dell’ANAS. In questo senso, accolgo positivamente le considerazioni che ha fatto il presidente Grillo, del resto già rese pubbliche precedentemente, e sarebbe quanto mai opportuno procedessimo con un ordine del giorno di tutta la Commissione affinché il comma 19 dell’articolo 41 venga riconsiderato in modo sostanziale.

SCALERA (Mar-DL-U). Credo che alcuni dati emergano con lucida chiarezza all’interno di questo dibattito. E’ al nostro esame una manovra finanziaria che segna un forte, ulteriore ridimensionamento degli investimenti di natura pubblica. Con il Documento di programmazione economico-finanziaria, il Governo aveva manifestato l’intenzione di destinare alle opere strategiche stanziamenti per circa 7 miliardi di euro, considerati, come valore, il minimo indispensabile per proseguire il programma avviato dalla legge obiettivo. La finanziaria invece non prevede alcuna risorsa aggiuntiva: tenuto conto delle risorse attivate in precedenza e soprattutto dell’esiguità di quelle disponibili, che fanno segnare uno scarto enorme rispetto al fabbisogno connesso alla realizzazione del programma, tutto ciò oggettivamente e senza spirito di polemica finisce per sancire il fallimento degli impegni per le infrastrutture che il Governo aveva assunto.

Sappiamo tutti, peraltro, che una drastica riduzione delle disponibilità finanziarie finirà inevitabilmente per riguardare anche l’ANAS e le Ferrovie. Dal confronto degli importi da iscrivere nell’ambito del bilancio 2005, soprattutto rispetto a quanto riportato nella Tabella F, con i corrispondenti impegni collegati alla finanziaria dello scorso anno per quanto riguarda gli interventi infrastrutturali, emerge chiaramente per il prossimo anno una riduzione delle risorse. In questa chiave, rispetto al 2004, si può parlare di una riduzione in percentuale dell’1,7 per cento circa.
L’evidente diminuzione di risorse si aggiunge in effetti a quella già evidente riscontrata nel 2004 rispetto all’anno precedente. I colleghi ricorderanno che in termini reali la riduzione fu pari al 19 per cento. Ecco dunque un primo dato che credo emerga chiaramente dall’analisi dei documenti di bilancio. La contrazione di risorse nel 2005, se paragonata a quella del 2003, alla fine è superiore al 20 per cento. Ciò risulta del tutto evidente dai dati su cui la Commissione è chiamata a discutere, anche se poi anche su altre questioni è indiscutibilmente necessaria una riflessione. Il generale contenimento della spesa, previsto dall’articolo 2 della legge finanziaria, con l’introduzione del limite del 2 per cento nell’incremento della spesa rispetto all’anno precedente, determinerà purtroppo un ulteriore riflesso negativo. Nel 2005 si determinerà, infatti, una complessiva riduzione del livello degli investimenti dello Stato, soprattutto in opere di ammodernamento. In questo senso è scontato che il settore che finirà per essere maggiormente colpito sarà inevitabilmente quello delle opere ordinarie. I vincoli posti a carico degli enti locali non potranno che dare luogo a pesanti rallentamenti nei nuovi investimenti e porteranno addirittura a un blocco – o perlomeno a un rischio di blocco – dei lavori in corso d’opera.
Un altro dei temi strategici sui quali si è soffermata la nostra riflessione è legato all’ipotesi di cessione della proprietà di tratti della rete viaria stradale. È un’ipotesi rischiosa, inaccettabile e tale da mettere sostanzialmente in discussione l’intero sistema di governo e di gestione della viabilità nazionale, con una serie di ricadute estremamente gravi sia dal punto di vista economico-finanziario che della tutela dell’interesse pubblico.
Su questo piano mi richiamo ovviamente alle dichiarazioni dello stesso Presidente e del senatore Montalbano secondo i quali è necessario che la Commissione assuma un’iniziativa per verificare l’attuabilità di tale proposta. L’ipotesi di un pedaggiamento del 20 per cento circa dell’intera rete stradale, contenuta nel comma 19 dell’articolo 41 del disegno di legge finanziaria, mi sembra avanzata in modo assolutamente confuso ed è per certi versi difficilmente accettabile. Appare finalizzata esclusivamente all’esigenza di fare cassa, con ciò aggravando i costi che già le famiglie sono costrette a sostenere continuativamente per la mobilità. Si introduce un ulteriore pericoloso balzello.
Con riferimento poi alle misure volte ad agevolare le problematiche relative alla casa, mi sembra che sostanzialmente non siano previste norme che rendano permanenti e strutturali le agevolazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie e gli interventi finalizzati alla sicurezza degli edifici e alla loro qualità ambientale, nonché quelle finalizzate a favorire il risparmio energetico, l’abbattimento delle barriere architettoniche, la riqualificazione urbana e la mobilità.
Le risorse assegnate al fondo per l’accesso alle locazioni abitative risultano infatti inadeguate a soddisfare le richieste delle famiglie a più basso reddito e sono tra l’altro – mi sento di sottolinearlo nuovamente – in diminuzione rispetto al 2004. Si rileva poi che nelle tabelle del disegno di legge finanziaria nulla si dice con riferimento alle risorse necessarie per dare sostegno all’annunciata proposta di riqualificazione urbana denominata «Legge obiettivo per le città», né sono previste risorse per il rifinanziamento di interventi di riqualificazione delle aree urbane.
Mi sembra che l’insieme delle misure previste per la casa, tra cui la rivalutazione degli estimi catastali o la polizza anticalamità, avrà inevitabilmente come conseguenza un pericoloso inasprimento della tassazione sugli immobili, tanto più se si considera che gli italiani sono già sottoposti ad un prelievo non indifferente nell’ambito delle realtà locali.
Cosa sarebbe necessario fare in questo contesto, se ancora è dato in ambito parlamentare offrire un contributo, quanto meno in termini di proposte? Innanzi tutto è necessario cercare in qualche modo di frenare l’aumento della spesa pubblica assolutamente incompatibile con la dinamica degli investimenti di natura infrastrutturale; sopprimere contestualmente il comma 19 dell’articolo 41 del disegno di legge finanziaria relativo alla vendita di strade nazionali assoggettabili a pedaggio; prevedere poi finalmente, dopo tante promesse, un forte aumento degli investimenti in opere pubbliche, indicando in modo puntuale gli impegni finanziari e cercando soprattutto di ripristinare una corretta programmazione con la selezione rigorosa di circoscritte priorità; assicurare al tempo stesso adeguate risorse per le opere ordinarie, per l’imprescindibile riqualificazione delle reti idriche, per la difesa del suolo, per il risanamento di situazioni problematiche di natura idrogeologica. Si tratta di opere di estrema rilevanza per la salvaguardia del territorio e che spesso sono invocate dalle stesse comunità locali. Il finanziamento di queste opere, che ritengo fondamentali per rispondere a specifiche esigenze infrastrutturali, non può essere certamente sacrificato alle grandi opere, che vanno in ogni caso identificate in quel novero ristretto di opere di autentico valore strategico nazionale, cosa che fino a questo momento non sempre si è riusciti a fare.
Ricordo, poi, ancora la possibilità di prevedere un complesso organico di interventi di natura fiscale e finanziaria, misure di razionalizzazione normativa volte a rilanciare realmente la riqualificazione urbana e il recupero edilizio delle città e più in generale delle aree metropolitane. Credo che questo sia il quadro entro il quale, utilizzando anche la leva fiscale, si possano individuare in concreto specifiche misure per rispondere ai tanti problemi concernenti le politiche abitative della casa e gli affitti in particolare.
La nostra riflessione deve essere orientata ad individuare iniziative chiare che diano respiro a settori che oggi si trovano in grande difficoltà, che attendevano da questa manovra finanziaria risposte concrete e che sembrano ritrovarsi oggi a fare i conti con un orizzonte ancora più cupo e al tempo stesso preoccupante.

BRUTTI Paolo (DS-U). Anche se oggi la Commissione è chiamata ad esaminare queste tabelle di sua specifica competenza, nel testo trasmesso dalla Camera dei deputati, è noto che tra breve saranno introdotte notevoli e importanti modifiche. Mi riferisco in particolare al maxiemendamento che il Governo ha preannunciato per la prossima settimana e che dovrebbe contenere rilevanti novità sul fronte delle entrate.

Già ora e a prescindere dalle novità che il Governo intenderà introdurre, la manovra finanziaria al nostro esame ha sostanzialmente un carattere recessivo. Risulta evidente dal testo stesso del disegno di legge finanziaria che, nel suo articolo iniziale, definisce l’effetto di autocopertura attribuito alle entrate ulteriori che deriveranno dalla realizzazione degli obiettivi della manovra. Ogni legge finanziaria, unica fra le leggi dello Stato, si autocopre parzialmente in quanto, rispetto al complesso delle entrate, individua una voce derivante dall’immissione di una quota di risorse aggiuntive prodotte dal circuito positivo messo in moto da determinati processi economici. Fino ad oggi ciò si è verificato per tutte le leggi finanziarie, in misura maggiore o minore: questa è la prima legge finanziaria nella quale si dice che l’effetto di autocopertura è pari a zero.
Inoltre, questa manovra finanziaria reca un importante contenimento delle spese in conto capitale rispetto alla finanziaria dell’anno scorso ed è noto che gli effetti in termini propulsivi degli investimenti in conto capitale sono ben diversi dall’effetto propulsivo della spesa pubblica in conto di esercizio: nell’un caso si mette in moto un processo di moltiplicazione, nell’altro si tratta di un semplice, eventuale allargamento dell’area dei consumi. Poiché il disegno di legge finanziaria dimostra di non avere capacità di crescita e riduce sensibilmente il suo impatto sul terreno del conto capitale, il risultato netto che è ragionevole ipotizzare è addirittura di natura recessiva.
Mi chiedo (e la domanda è in qualche modo sottesa al ragionamento del senatore Menardi) come mai, in un momento in cui si dà tanta enfasi alla problematica della crescita e si dice che l’unica via d’uscita è quella di incrementare lo sviluppo del Paese, l’elemento che dovrebbe avere le maggiori caratteristiche propulsive, cioè la spesa pubblica in conto capitale, venga sacrificato. E’ un punto che bisogna comprendere: se la spesa in conto capitale fosse stata mantenuta allo stesso livello degli anni precedenti, non avrebbe dato sovrappiù ma almeno si sarebbe garantito un andamento inerziale; qui, invece, addirittura si riduce rispetto all’anno scorso perché stanno venendo a capo sbilanci che erano stati tenuti nascosti e che oggi non si riesce più a mantenere tali. Quindi di fronte all’emergere di queste difficoltà della finanza pubblica, si è posta la necessità di intraprendere manovre correttive imponenti (tagli per 24 miliardi di euro, quasi due punti del prodotto interno lordo) che toccano inevitabilmente anche la spesa in conto capitale.
Questi sono i motivi per cui oggi assistiamo ad un effetto recessivo della legge finanziaria. Voglio essere onesto per non fare demagogia: sono ben consapevole del fatto che, negli anni passati, soprattutto le grandi infrastrutture strategiche furono finanziate mediante la tecnica dei limiti di impegno, in base alla quale si stabiliscono risorse poliennali e poi esse spariscono dal bilancio dello Stato. I limiti di impegno sono visibili solo nell’anno in cui vengono costituiti: quelli famosi della cosiddetta legge Lunardi restano in vigore, ma non compaiono nella quantificazione del bilancio dell’anno in corso e, se non vengono ampliati, non compaiono neppure nella legge finanziaria.

PRESIDENTE. Questo può essere vero formalmente per i documenti che giungono nostra attenzione, ma nel bilancio le risorse ci sono tutte.
BRUTTI Paolo (DS-U). Infatti, sostenevo che i limiti di impegno con i quali abbiamo finanziato le opere strategiche fortunatamente continuano ad essere validi nonostante non compaiano nella finanziaria e nel bilancio. Poiché però si tratta di limiti di impegno utilizzati per finanziare opere già deliberate dal CIPE, il fatto che qui non ne compaiano altri ulteriori significa che non ci sono risorse per nuove opere, da definire e decidere nel 2005 e nel 2006.

Pertanto per le opere in essere non ci dovrebbero essere difficoltà, almeno per quelle strategiche, mentre avremo difficoltà a realizzare ulteriori nuovi progetti. Per esempio, le 27 opere strategiche di cui si parlava nell’allegato al Documento di programmazione economico-finanziaria, con questa formulazione del progetto, risulteranno di complicata realizzazione. E tra queste 27 opere strategiche ce ne sono alcune di grande importanza per il Paese: ricordo che recentissimamente abbiamo discusso dell’arteria Civitavecchia-Orte-Mestre, menzionata anche nell’accordo di programma delle Regioni: se le cose rimangono così – vorrei essere smentito- sembrerebbe che non ci sono risorse per finanziarla. E si tratta dell’opera di cui tanto si parla, quella che, come ha detto anche lei, Presidente, potrebbe addirittura costituire un’alternativa al Corridoio 5, incentivare i traffici marittimi tra la Spagna e l’Italia e favorire il collegamento via terra fino a Trieste: tutto questo dovrà essere rinviato, giacché l’opera dovrebbe essere finanziata con fondi futuri e per il 2005 non scorgiamo ulteriori ampliamenti dei fondi esistenti.
Oltre tutto la riduzione complessiva delle risorse contenute nella Tabella B e la rimodulazione di quelle indicate nella Tabella F del disegno di legge finanziaria hanno invece effetti sulla spesa da dedicare alle infrastrutture che non rientrano nel quadro delle grandi opere strategiche. Ciò significa che anche la spesa pubblica da destinare alle opere ordinarie, che non rientrano dunque tra le grandi opere strategiche ma che vengono ordinariamente realizzate nell’arco di un anno, subirà una contrazione. Di fatto non si determinerà soltanto una perdita di efficacia dell’azione relativa alle grandi opere strategiche ma probabilmente anche riguardo a quelle ordinarie. Ciò è tanto più preoccupante se si considera che le opere di minore importanza costituiscono il tessuto connettivo dell’attività della maggior parte delle imprese di piccole e medie dimensioni.
In secondo luogo mi riallaccio al ragionamento, particolarmente delicato, della senatrice Donati in merito alla Infrastrrutture S.p.A. Ricordo infatti che la possibilità di espansione del sistema dell’Alta velocità si basava molto sul fatto che quella società mettesse a disposizione di tale comparto ingenti capitali a costi bassi e con forme di remunerazione che rendessero questi interventi, sia pure in modo parziale, simili al project financing. Se effettivamente per talune opere si prevedono, mediante i proventi del traffico, remunerazioni degli investimenti inferiori al 15 per cento del costo complessivo dell’opera, nasce il problema di come finanziare complessivamente questi interventi. A chi spetta l’onere del finanziamento?
Un altro ragionamento molto delicato concerne l’effettivo utilizzo dello strumento del project financing, anche se in realtà in questo caso ci si limita a ristorare il debito mediante una quota bassissima dell’investimento. Nessun intervento stradale si basa su questi livelli di remunerazione. Anzi, è noto che in molti casi il 60 o il 70 per cento di remunerazione del capitale investito viene garantito attraverso i pedaggi. Nel caso della rete ferroviaria il problema è ancora più evidente e dunque si deve fare un ragionamento particolare rispetto all’impegno di bilancio pubblico relativo agli investimenti in tale settore.
L’ultima questione che vorrei richiamare attiene all’ANAS. Il problema è stato ampiamente discusso e c’è ben poco da aggiungere. Certo, considerata l’attuale formulazione dell’articolo 41 e la relazione tecnica di accompagnamento, da cui risulta un introito per le casse dello Stato pari a 3 miliardi di euro, è opportuno chiarire in che modo viene assicurata la copertura prima di poter presentare uno specifico emendamento modificativo del comma 19 dell’articolo 41.
Da una lettura del testo non è escluso che il trasferimento a terzi di una parte della rete stradale tariffabile – anche questo è un concetto complesso e dunque sarebbe il caso di stabilire cosa significhi, anche se si può intuire – potrebbe anche avvenire, anche se non è detto, se non attraverso la vendita attraverso la cessione in concessione poliennale e pluriennale, le quali potrebbero essere remunerate attraverso un canone concessorio. In questo caso si avrebbe un altro effetto diverso da quello della pura vendita; però anche quest’ultima non consente di ricavare l’intero introito e di metterlo in bilancio. Oppure si potrebbe pensare a un canone concessorio che si può in ogni caso cartolarizzare: si potrebbe decidere di utilizzarlo per quarant’anni per un certo numero di miliardi l’anno, cartolarizzandolo e riportandolo per intero nell’ambito della manovra finanziaria di quest’anno; non sarebbe molto bello ma certo è possibile agire in questo senso.
In ogni caso va considerata l’intera partita, dagli effetti molto complessi. Nel disegno di legge al nostro esame non è fatta alcuna menzione della cosiddetta tariffa ombra o pedaggio ombra. Non è vero che si è di fronte ad una partita di giro ma solo ad una effettiva uscita o a un’entrata da parte dello Stato che non è remunerata dai pedaggi ombra. Si dovrebbe ragionare su tale questione per cercare di capire come si può aggirare tale difficoltà, fermo restando che per la lettera della norma va poi osservato attentamente anche un altro profilo.
Le strade, qualora siano di proprietà dello Stato, rientrano nel demanio pubblico. Dunque, strade che non sono di proprietà dello Stato possono non rientrare nel demanio pubblico. Il passaggio dalla condizione di demanio pubblico alla condizione di patrimonio statale deve avvenire con una precisa procedura perché il cambiamento della natura giuridica del bene ne modifica poi la sorte. Infatti il bene di demanio pubblico può anche essere messo in concessione però il concessionario di quel bene non può istituire su di esso alcun diritto verso terzi, nel senso che non può chiedere prestiti dando come garanzia quel bene del demanio pubblico che lui ha in concessione. Qualora invece quel bene passi al patrimonio dello Stato è possibile su di esso costituire diritti di terzi e dunque in linea teorica (ma non è solo un ragionamento astratto) può accadere che questo bene pubblico cessi questa sua natura e diventi un bene totalmente privato. Il bene di demanio pubblico può essere utilizzato in molti modi ma non può mai finire nelle mani di una banca perché è stato pignorato. Nell’altro caso invece questo potrebbe avvenire.
Tale questione è adombrata al comma 19 dell’articolo 41 del disegno di legge finanziaria in quanto si fa riferimento al codice civile ma non a quel comma dell’articolo del codice civile in cui si preordina che quel bene resti comunque nel demanio pubblico. Pertanto sembra di capire che c’è il rischio concreto che questo passaggio, anche avvenendo per concessione, faccia uscire il bene dal demanio pubblico. La questione è molto rilevante poiché riguarda parti di rete stradale di interesse generale: infatti, le parti cosiddette tariffabili sono quelle su cui si registra un fortissimo volume di transito, altrimenti non sarebbero tariffabili. Si dice che l’ANAS abbia fatto uno studio dal quale emerge che vi sono circa 4.000 chilometri di strade sui quali si potrebbe applicare la tariffazione, strade sulle quali pare che passi ogni giorno un numero enorme di veicoli. Si tratta di una quota davvero molto consistente del traffico nazionale. A questo punto immaginare che beni demaniali dello Stato, come la rete stradale, possano diventare una partita economicamente spendibile o alienabile sul mercato privato deve essere oggetto di un’attenta riflessione. Peraltro, consentire a soggetti privati di imporre dei pedaggi romperebbe la continuità della rete di comunicazione stradale e potrebbe favorire, senza alcuna reale motivazione, la costituzione di posizioni dominanti nel settore. Poiché situazioni del genere si sono già verificate, invito tutti a meditare sui meccanismi previsti nella manovra finanziaria al nostro esame.

PRESIDENTE. Confermo la mia disponibilità e il mio impegno a predisporre un ordine del giorno che registri la convergenza unanime (mi sembra ve ne siano le condizioni) della Commissione, per dire finalmente una parola ferma su questo punto: lo Stato non può vendere le sue strade e le sue autostrade.

Come ha giustamente rilevato il senatore Brutti, nella norma al nostro esame si ipotizza un introito di tre miliardi di euro. Convengo dunque sulla necessità di trovare una copertura finanziaria ad un emendamento da presentare in 5a Commissione, tendente a modificare il comma 19 dell’articolo 41, che produca il gettito previsto di tre miliardi di euro. Credo esistano gli spazi per una proposta del genere. Valuterei eventualmente la possibilità di ricorrere a pedaggi ombra e a contratti di programma, quali quelli prima ipotizzati dal senatore Brutti. In questa fase però sarebbe opportuno attendere l’emendamento del Governo che potrebbe intervenire anche in questo comparto.
Sono anch’io preoccupato per la mancanza di risorse finalizzate alla costruzione delle opere strategiche, per la realizzazione delle quali il ministro Lunardi aveva chiesto 7 miliardi di euro. Anche in questo caso credo sia opportuno attendere l’emendamento del Governo. Ovviamente, qualora permanesse questa povertà di stanziamenti, sui quali il Governo ha fatto un forte investimento politico sin dal suo insediamento, il programma stabilito a partire dal 2001 verrebbe largamente compromesso. È una conclusione che anch’io rilevo con amarezza.
L’esempio più clamoroso è quello cui faceva riferimento il senatore Brutti dell’autostrada Civitavecchia-Orte-Mestre che dovrebbe essere alternativa all’autostrada del Sole. Nonostante l’approvazione del consiglio di amministrazione dell’ANAS, l’accordo con le Regioni e l’intesa raggiunta sul percorso, quest’ipotesi molto interessante per il nostro sistema Paese in assenza di risorse non potrà essere realizzata e reputo ciò molto grave.
Pur condividendo alcune delle osservazioni espresse dalla senatrice Donati sul finanziamento da parte di Infrastrutture S.p.A. (ISPA) all’Alta velocità, non credo si possa fare un processo alle intenzioni del Governo. L’ISPA di fatto è una banca che, ad un certo punto (immagino tra il 2007 e il 2008) dovrà percepire gli interessi per gli investimenti che ha posto in essere nel settore ferroviario. Non v’è dubbio che gli interessi dovranno essere pagati dallo Stato, secondo un meccanismo che è abbastanza trasparente.
Le Ferrovie hanno sempre sostenuto di non voler realizzare la Pontremolese e il Terzo valico dei Giovi perché non sono redditizi in quanto non c’è traffico. La sottoscrizione ufficiale dell’accordo di programma relativo alla linea ferroviaria pontremolese è un primo importante traguardo che fa seguito al decreto del Governo che autorizza l’ISPA a finanziare il Terzo valico dei Giovi per il collegamento ferroviario veloce tra Genova e Milano. La Genova-Milano è motivo di polemica con amici e colleghi genovesi dei DS che sostengono la mancanza di risorse.
Altrettanto importante è procedere alla riforma dei porti affinché Genova possa tornare ad essere il primo porto del Mediterraneo.
Si tratta di scelte per lo sviluppo che, se avverranno, impegneranno dal 2007 in avanti lo Stato a stanziare nelle prossime finanziarie le risorse da destinare all’ISPA, che non dispone di una sua dotazione. Occorrono risorse pubbliche e il contributo della Regione che credo si sia in qualche modo già impegnata in tal senso.
Vi anticipo inoltre che presenterò un ordine del giorno sulle questioni della cantieristica, per sollecitare il Governo ad adottare una normativa, che è già in vigore in Spagna e in Francia, in materia di costruzioni navali. Tutti sapete che dal 2000 l’Unione europea ha imposto il divieto di aiuti di Stato. Inoltre, la fiscalità intelligente praticata nei Paesi del Terzo mondo, ha fatto sì che le navi di grosso tonnellaggio si costruiscano prevalentemente in Corea. I francesi e gli spagnoli invece hanno previsto una normativa sulla fiscalità che spero il Governo possa introdurre nell’attuale manovra finanziaria. In sostanza, si applica – il sottosegretario Mammola lo sa bene – il concetto di leasing alla costruzione delle grandi navi. Ovviamente una nave non costa quanto una barca: si parla anche di mille miliardi per le navi da crociera. Però, inventando un soggetto terzo trasparente sul piano fiscale, che possa consentire di recuperare parte del costo fiscale, si potrà rendere appetibile ai cantieri navali costruire le navi in Italia. Si tratta di una questione molto abbastanza complessa per cui per il momento mi riservo di presentare un ordine del giorno in cui si auspica che le navi tornino ad essere costruite nei cantieri italiani con una politica fiscale adeguata.
Dichiaro chiusa la discussione.

PEDRAZZINI, relatore sulle tabelle 10 e 10-bis e sulle parti ad esse relative del disegno di legge finanziaria. Rinuncio alla replica e mi impegno a recepire nel rapporto da presentare alla 5a Commissione alcune delle osservazioni scaturite dal dibattito.
PRESIDENTE. Rinvio il seguito dell’esame congiunto dei disegni di legge in titolo ad altra seduta.
I lavori terminano alle ore 16,50.